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Autore: Athena    04/10/2013    0 recensioni
Inoue Orihime è sposata con Kuchiki Byakuya, uno dei più ricchi uomini d'affari del Giappone. Dietro all'apparente florida felicità si nascondono segreti terribili che la giovane donna, suo malgrado, si troverà a dover affrontare. Riuscirà, alla fine, a tornare libera e chi l'aiuterà nell'impresa?
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Rito di Primavera

Le feste tradizionali di Capodanno trascorsero senza ulteriori intoppi o incidenti. La casa riluceva di colore e calore, ostentando, ancora una volta, l’opulenza della famiglia che vi risiedeva.
Lei e Renji avevano trascorso ancora molte notti insieme, confidando nella comprensione l’una dell’altro, senza giudicare, senza nulla pretendere, se non il mutuo affetto.
Non aveva chiesto il suo perdono, Renji, per quel bacio improvvisato, che non aveva voluto offenderla, né lei si era sentita a disagio in sua presenza.
Se mai la loro profonda amicizia si era costruita come una forma particolare di amore, in quella notte di nebbia, quando il mondo si era fermato e i confini erano sfumati e confusi.
Le aveva ricordato cosa volesse dire sentirsi importante, desiderata, indispensabile per qualcuno e lei gli aveva in cambio restituito un raggio di sole.

Byakuya aveva ricordato ad Orihime che si sarebbe occupata lei di coordinare le cuoche e le cameriere per la grande cena, mentre lui e Zaraki si sarebbero concentrati sulla sicurezza della famiglia e degli invitati.
La rassicurò, una delle rare notti in cui era rientrato presto e aveva deciso di condividere il letto con lei, nessuno le avrebbe fatto del male, ancora, nessuno.
Lei aveva guardato nel profondo dei suoi occhi, al di là di quanto lui voleva presentare al mondo, e aveva scorto una scintilla del ragazzo che era stato.
“Byakuya” aveva sussurrato baciandolo.
“Ti prego, stanotte rimani con me.” lo baciò di nuovo, scivolando con delicata grazia sopra di lui “Tu, Byakuya, non Kuchiki-sama”
Avvertì le sue mani contrarsi, mentre la accarezzavano
“Orihime...” lei sorrise scuotendo il capo, accogliendolo dentro di sé e sorridendo al suo viso stupito.
L’uomo che amava e che la famiglia le aveva portato via.
Per una volta, una sola da tempo immemore, aveva davvero fatto l’amore con lui, guardandolo nelle sue iridi indaco e stringendolo a sé, abbandonando ogni controllo e ogni censura.
In fondo alla sua mente, il pensiero costante che probabilmente, quella sarebbe stata l’ultima.
Scosse il capo, gemendo sotto di lui, non avrebbe permesso alle sue paure di condizionare anche quel raro, breve istante di pura gioia.
Ci avrebbe pensato, quando il momento si fosse palesato, ma ora no.
“Orihime” il suo nome gli sfuggì dalle labbra nel preciso istante in cui il suo mondo esplose di bianco
-Addio Byakuya- pensò lei seguendolo, gettandosi in quell’assoluto vortice che li trascinò entrambi al di là della notte.
Fu la prima notte dell’anno.

Renji si accese un’altra sigaretta. Il bicchiere di whisky pigramente appoggiato alla scrivania, il piccolo salotto delle sue stanze private, confinanti con la camera padronale, riempito dai gemiti della coppia.
“Buon fottuto anno a me.”
concluse ispezionando la cicatrice lasciata dal proiettile, rise, un centimetro più in basso e avrebbe rovinato il tatuaggio.
Ormai erano trascorsi un paio di mesi da quella notte tremenda, in cui per un soffio Kaien non perse la vita e lui la donna che aveva finito con il considerare più importante della sua esistenza stessa.
Prima di qualsiasi dovere o responsabilità, prima del profondo riconoscente legame con Byakuya, era stato il suo cuore a lanciarlo di fronte a lei, proteggendola.
Ora poteva riconoscere tutti i sintomi che aveva ignorato per troppi anni.
Aspettava che Hisagi smontasse per condividere qualche ora con lui e Ichigo, quindi non si stupì affatto quando avvertì bussare alla sua porta, lo lasciò sorpreso, invece, trovare Rukia.
Non si erano più incontrati da soli da mesi, ormai, e lui aveva gradito questa pausa.
Era ormai un’altra donna ad occupare i suoi pensieri e i suoi sogni notturni, una donna ancora più irraggiungibile.
“Che ne dici di seguire l’esempio di mio fratello?” suggerì, scoprendo una spalla.
Renji scosse i capelli, sciolti sulle spalle.
“No Rukia.” la fermò rivestendola con dolcezza.
Le sorrise baciandole fraterno la fronte “Adesso basta.”
Richiuse senza attendere alcuna risposta.

Ormai nessuno le chiedeva più nulla.
Quasi nessuno le rivolgeva più la parola nella grande tenuta, come se lei fosse poco più di una domestica.
Dopo tanti mesi e svariati tentativi andati a vuoto, era stata definitivamente archiviata anche la richiesta di un secondo erede, appena dopo aver appreso la notizia, da un raggiante Kaien, della gravidanza della giovane Rukia.
Lentamente, lei era scivolata via.
Le notti che suo marito trascorreva a casa erano sempre minori, quelle che lei trascorreva in compagnia di Renji, sempre più lunghe.
Il suo sapore sulle labbra, la sensazione dei suoi capelli tra le dita sempre più familiari.
Non aveva più visto Byakuya, il suo Byakuya, da quella notte d’inverno e la prima notte di maggio era arrivata la terribile notizia: suo marito avrebbe trascorso un mese in Okinawa per dirigere questioni lavorative della massima urgenza.
Il fatto che non avesse richiesto la sua presenza aveva chiaramente sottolineato come l’importante improrogabilità della suddette questioni fosse di natura molto, molto personale.
Perfino il vecchio giardiniere Baraggan, di natura schivo e poco incline al pettegolezzo aveva addirittura riportato alla cuoca, Kiryo, la probabile impellente nascita di un figlio al di fuori del matrimonio; notizia che era rimbalzata nella tenuta ormai da una settimene buona.

Renji stava fumando nervoso.
Per la prima volta dopo tanti anni aveva rifiutato un incarico.
“Non ritengo di essere all’altezza della situazione, Kuchiki-sama. Credo che la migliore opzione per accompagnare Voi e Zaraki-sensei in questa trasferta sia Hisagi” aveva concluso lasciando lo studio privato dell’uomo che aveva meramente annuito.
La risata di Zaraki lo aveva riscosso.
“Alla fine il ragazzo ha tirato fuori i coglioni.” aveva commentato, con uno sguardo di vittoria “Attento, Kuchiki...la mano che ti ha tenuto così tante volte, sta per lasciare la presa”.
La sua risata risuonava per i corridoi della tenuta.

La notte del quindicesimo giorno di maggio era calda e umida. Le stelle luminose al di là del glicine fiorito.
I fiori profumati della stessa tonalità del suo leggero yukata.
Prese posto accanto a lui, intrecciando le dita alle sue.
“Cosa sta succedendo, Hime?” lei scosse il capo, i capelli liberi ondeggiavano sciolti sulle spalle, le lacrime argento sulle sue guance
“Va bene così. Solo.” l’abbracciò “solo stammi vicina”
La baciò sotto lo sguardo materno della luna, lattea, assaporando il gusto salato del suo dolore.
“Renji” lo interruppe lei, guardandolo negli occhi, la sua voce intrisa di desiderio, di un sentimento che lui non voleva azzardarsi a nominare.
“Promettimi che sarai felice” concluse, baciandolo ancora, abbracciandolo.
Lui sorrise, gli occhi preoccupati
“Hime...” aveva paura, Abarai, di chiederle cosa sarebbe accaduto, quelle parole risuonavano come un lungo addio.
“Hime...” sussurrò con un’urgenza maggiore, sofferente, quando le dita fresche di lei disfecero il nodo del suo yukata, scuro, seguendo poi le linee dei suoi tatuaggi sulle sue spalle e sul suo petto.
“Sei sicura, Hime?” mentre lei annuiva tra i sospiri.
Sul suo letto disfatto, appoggiato alla testata, cercava di imprimere nella sua memoria il viso arrossato di lei, a cavalcioni sopra di lui, mentre lo accarezzava, la stoffa pregiata che scivolava come una nuvola sulle sue gambe.
La baciava, Renji, senza parlare, lasciando che fossero gli altri sensi a riempirla di quanto lui avrebbe voluto dirle.
La baciava, mentre scivolava dentro di lei, liberandola definitivamente di stoffa e paure, assicurandola sotto il calore del suo corpo in una danza proibita ma oh così dolce.
Le sensazioni di quella notte di luna piena amplificate da una consapevolezza nuova, mentre lei incontrava il desiderio di lui.
Mentre tutto attorno taceva e solo loro abitavano quel mondo fatto di passione umida.
Il rumore della pelle contro la pelle, il respiro affannoso e maledettamente vuoto, i muscoli tesi.
Venne gridando, lui gemendo il suo nome.
Lui la tenne stretta, impedendole con la dolcezza di allontanarsi, ignorando le sue lacrime, mentre lei si stringeva a lui
“Renji.” Si aggrappava alle sue spalle leggera.
Il pianto in riso.
Baciando le linee di inchiostro nero che gli segnavano la pelle.
Baciandolo ad imprimere nella memoria ogni colore, ogni profumo, ogni sensazione dell’uomo che ora era il solo vincitore del suo cuore.
Non dirlo, non dirlo mai, mai.
Ma fu lui a confidare questo segreto nella notte, parole proibite nel silenzio della luna.
“Ti amo, Hime.”
Mentre le sue braccia la proteggevano e le sue carezze la cullavano accompagnandola nel sonno.

L’alba la trovò addormentata in un calore che stentava a riconoscere.
La gioia che provava le diede il coraggio e la forza di alzarsi.
Poche righe, in un biglietto appoggiato sul comodino.
Un bacio che gli bagnò le guance addormentate di lacrime nuove.
Solo il fruscio della carta di riso e del legno ad accompagnare la sua decisione.

Renji si svegliò presto quella mattina. Il profumo di lei sulla pelle ancora tenue il calore del suo corpo.
Renji si svegliò e capì che la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Stringeva in mano il suo biglietto.

Si vedeva il mare, ormai. Era più di un’ora che viaggiavano su quella improvvisata Toyota presa a noleggio dal vecchio Shinichi.
Verso una destinazione imprecisata, un paese piccolo dove non avrebbero dato nell’occhio.
Un posto solo loro
“Mamma hai idea perché da oggi in poi dovrò chiamarmi Daisuke?” chiese suo figlio Mamoru guardando con fare inquisitorio il documento falso, cortese concessione dei contatti non proprio rispettabili di Starrk.
“Porta pazienza, tesoro. E’ solo per qualche tempo...” lui la squadrò leggendo nei suoi occhi preoccupati più di quanto lei avrebbe voluto dirgli.
Così sospirò.
Arrivarono in un quartiere commerciale nella periferia di Osaka che il cielo volgeva alla sera. Il piccolo albergo che li ospitava era accogliente e fresco.
Non fece domande, il portiere, nemmeno quando la ragazza dai lunghi capelli di fragole si presentò la mattina dopo con una disordinata zazzera nerissima.
Non fece domande nemmeno il responsabile dell’agenzia che le trovò due stanze in affitto.
Necessitava solo un lavoro che le consentisse di vivere dignitosamente almeno per qualche tempo.
Sospirò, mentre la luna sorrideva calando sulla sua nuova vita.
Sorrideva mentre tra le lacrime, ripensava al calore di quella notte, quell’unica notte.

Ikkaku Madarame era stato un allievo di Kenpachi molto prima di Renji. Ritirato dall’azione sul campo, gestiva un piccolo ristorante con il suo compagno Ayasegawa Yumichika, in un piccolo paese sul mare.
Non si stupì più di tanto quando ricevette la telefonata di Zaraki che, contenendo appena la risata che rischiava in ogni momento di scoppiare, gli chiedeva se avesse visto la moglie di Byakuya.
Madarame sorrise, spaventando una buona metà dei clienti del locale.
No, non l’aveva vista, ma non lo sorprendeva il fatto che avesse lasciato per sempre quella gabbia di pazzi con una scopa saldamente piantata nel sedere.

“Non è andata verso Nord” comunicò poi a mezza voce a Byakuya.
L’uomo sospirò, in nessuno degli scenari che aveva immaginato sul futuro della sua coppia, lei sarebbe arrivata a scappare.
Dopo quasi un mese e gli ingenti mezzi a disposizione della famiglia, di lei ancora nessuna traccia.

  
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