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Autore: Ceci Princessofbooks    05/10/2013    0 recensioni
Vegeta, giovane principe senza popolo tormentato dal desiderio di vendetta e dalla solitudine,viene mandato sulla Terra per raccogliere informazioni su dei particolari oggetti dai grandi ed inimmaginabili poteri: il suo scopo è confondersi con i terrestri,nascondendo la sua identità finchè non avrà portato a termine la prima parte di un' enorme e terribile macchinazione...Ma una volta giunto sul pianeta, il guerriero incontrerà una persona :Bulma, ragazzina tutto pepe la cui monotona vita verrà scossa dall'arrivo dell' oscuro ragazzo. E mentre il principe porta avanti la sua recita,qualcosa inizia a cambiare:finalmente conosce una vita senza guerra,senza sangue,senza vendetta ,e con qualcuno che può davvero strapparlo al suo passato:Vegeta,forse, non è più solo. Ma cosa succede quando la missione arriva al suo termine? E se ora il principe non volesse più abbandonare la Terra,e tutto ciò che rappresenta?
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bulma, Vegeta
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi con il quinto capitolo. Bulma riflette, e forze segrete congiurano contro di lei...o forse, con lei. Confusi? Leggete e capirete.

 

Capitolo 5

-L'occhio della luna-

Alla luce della notte può esistere tutto, anche il destino”

 

Stava correndo, ma non sapeva perchè. L'abito argenteo, di una foggia sinuosa ed arcaica che non conosceva, le frustava le caviglie, avvinghandosi ai cespugli di rovi che orlavano il sentiero. Il bosco intorno a lei respirava, tremava, profumava di vita e di notte e di materia che muore e si trasforma. Ma Bulma non poteva fermarsi: questo era tutto ciò che ricordava, tutto ciò che importava. Doveva correre, perché qualcosa di più grande e terribile di ogni gioia e di ogni bacio la stava aspettando. Il suo destino, il suo significato, la sua meta, tutto si raggrumava in un punto di luce, alla fine della strada.

Se fosse arrivata in tempo.

Bulma si slanciò in avanti, i piedi graffiati dalle spine, il sangue che ruggiva nelle tempie, una preghiera spezzata sulla lingua. Finchè sbucò in una radura, nella luce fredda e immacolata della luna, e lo vide.

Le dava le spalle, ma non avrebbe potuto sbagliarsi. Quei capelli, simili a una fiammata d'ebano, quella schiena snella e pronta, quella posa austera e orgogliosa non potevano appartenere a nessun altro. Il pesante mantello aveva riflessi scarlatti, frammischiati alle luce delle stelle. La corazza, candida e dorata, era appena più bianca dello scorcio di volto che coglieva; le mani affusolate svanivano in guanti pallidi come neve.

Si voltò, e Vegeta avanzò verso di lei. -Ti stavo aspettando.-

Per un attimo, tra loro cadde d nuovo il silenzio, quel silenzio fatto di attese e bagliori d'oro e gesti invisibili. Poi Bulma mosse un passo sulla brina del prato, i piedi nudi. -Eccomi. Alla fine, sono venuta.-

Vegeta annuì, sfilandosi pianno un guanto; quando la tese verso di lei, la mano riluceva di un chiarore perlaceo, e Bulma pensò che non aveva mai visto nulla di più alieno e più fragile. -Avvicinati, Figlia degli Uomini. Lascia che stringa la tua mano, sotto la luna.-

Con un gesto solenne, e tuttavia sorprendentemente naturale, lei sollevò le dita, intrecciandole a quelle del giovane: nonostante il loro aspetto, erano calde e ruvide, mani che avevano molto lavorato e molto combattuto. Eppure, non la stupirono affatto. La luna del cielo bruciava d'argento, avvampando sulle loro braccia, trasformandole nell'anello di una catena, inesorabile e indivisibile come la perla di una collana. Gli sorrise, e anche nelle ombre frastagliate scorse sul suo volto l'impronta di un sorriso.

Fu allora che lo sentì: un tremito, un fiotto viscoso sui polpastrelli, rovente. Bulma aggrottò la fronte, incerta; poi abbassò lo sguardo sulle loro mani allacciate, e iniziò a gridare.

Le dita di Vegeta erano intrise di sangue.

 

Bulma cominciò ad urlare prima ancora di svegliarsi.

Il cuore le ruggiva nelle tempie, il respiro intrappolato in gola; con un tocco tremante, cercò a tentoni l'interruttore della lampada sul comodino, e un istante dopo una luce di un azzurro delicato inondò le forme familiari della stanza. Quando il sangue cessò di pulsarle nelle orecchie, si lasciò cadere sulle coperte, deglutendo.

Un sogno. È stato solo un sogno.

Si passò una mano tra i capelli, e represse un brivido: era l'incubo più incomprensibile e ambiguo che avesse mai avuto. Vedeva ancora le dita insanguinate, il grumo scuro delle loro braccia legate, senza poter sciogliersi, senza poter sfuggire. No, non senza poter sfuggire: senza volerlo. Quel sogno la invischiava, come una ragnatela di scintille che pungevano e illuminavano ad un tempo. Perchè diavolo immaginava scene insensate con un perfetto sconosciuto? Pur non volendolo, ricordò i riflessi della luna nei suoi occhi, bianchi come lacrime, il modo in cui la sua testa si inclinava verso di lei. E tuttavia, era proprio qesto l'aspetto più bizzarro. Non era stato una delle fantasie rosse e confuse che accendevano il suo corpo, né uno dei sogni di dolcezza e romanticismo cui si abbandonava prima di dormire. No, tutt'altro: in quella visione c'era invece qualcosa di severo e di profondamente potente, come un rituale perduto nel tempo, intessuto a corde nascoste del mondo. Si guardò la mano, e la sorprese non vederla tremare. Che cosa significava tutto questo?

Bulma emise un basso ringhio. Ah, dannazione, pensò, mordendosi il labbro, quel tipo deve tormentarmi anche la notte?

Sospirò, scivolando in piedi e infilando le sue pantofoline di peluche rosa. Sapeva di cosa aveva bisogno: una tazza di latte caldo, qualche biscotto e un bel libro di Jane Austen. E forse le dita avrebbero smesso di formicolarle in quel modo.

Si avviò per il corridoio, le tende di mussola della finestra che danzavano al vento. Si avvicinò al davanzale, inspirando l'aria della notte. Il giardino della Capsule Corp era un arazzo di bianco e celeste; un pulviscolo di stelle crepitava nel cielo. E poi c'era lei, la luna. Eccola, un disco d'argento immobile, pulito, come un occhio sgranato nel buio. Per un attimo, le parve davvero di sentire il suo sguardo.

Il pensiero affiorò, naturale, inevitabile come il respiro. Chissà se la sta guardando anche lui, si chiese, chissà se la luna osserva anche lui.

Arricciò il naso, ritraendosi: che idee le venivano in mente? Aveva proprio bisogno di rilassarsi un poco, e quelle immaginazioni assurde sarebbero scomparse. Davvero.

Risoluta, si diresse in cucina, sotto il grande occhio candido della luna

 

Seduta sullo schienale della panchina nel cortile, Bulma masticò pigramente la gomma, prestando una vaga attenzione al cicaleccio delle sue amiche. Jennifer, gli occhi verdi che splendevano sul naso lentigginoso, stava ridendo ad una battuta, il corpo minuto che guizzava come una lontra. -Davvero ha detto così? Non ci posso credere!- gridò con la sua voce troppo rumorosa. -Te lo stai inventando!-

-No, è vero!- sussurrò Greta, la fronte alta e bianca incorniciata dalle trecce nere. -L'ho sentito da fonti sicure.-

-Lei è stata con Brad? Con quel Brad?-

-Me l'ha detto Mary stessa...-

Stava per cominciare a dibattere sulla veridicità delle affermazioni di Greta, quando lo vide: Vegeta, la fiamma di capelli scuri e la giacca gettata sulla spalla, incedeva sotto il sole di Settembre con la grazia imperiosa di un re tra i corridoi del proprio palazzo. Ripensando al sogno della notte prima, attese il brivido di repulsione.

Che non venne.

In quel momento, il ragazzo voltò gli occhi e, con la sicurezza innocente di una calamita, li posò su di lei: dopo che il suo sguardo le bruciò il volto un attimo, si distolse di nuovo.

Prima che potesse capire cosa fosse successo, le labbra sottili di Greta si incurvarono in un sorriso compiaciuto. A Bulma ricordò sgradevolmente un gatto di fronte ad un topo intrappolato. -Mmm- mugolò, inarcando un sopracciglio -sbaglio o qualcuno ha messo gli occhi su un certo straniero?-

Jen spalancò le palpebre, voltando la testa così in fretta da far sussultare tutti i riccioli rossi. -Come come? E non ci hai detto niente? A noi, le tue migliori amiche?-

Il suo tono ferito non sarebbe mai stato convincente.

Bulma scrollò le spalle, giocherellando con l'orlo del fiocco rosso della divisa. -Non c'è niente da dire. So solo che quel tipo è davvero strano, e simpatico come un riccio di mare. Senza offesa per i ricci.-

-Suvvia, vi siete guardati come i migliori innamorati da romanzo. Non può non interessarti almeno un po'.-

Lei si strinse nelle spalle, seguendo, quasi senza accorgersene, il percorso di Vegeta: era arrivato al piccolo fazzoletto di giardino, orlato dalle rose rampicanti, e si stava sedendo sotto la quercia al termine del sentiero. Cosa faceva? A cosa stava pensando?

-Bulma?- la richiamò Greta -sei ancora con noi?-

-Eh?- bofonchiò, voltandosi di scatto, un rossore colpevole sulle guance: perché doveva arrossire così facilmente? -Ah, sì...bè, ecco, no, non direi che mi interessa. Diciamo piuttosto che mi incuriosisce.-

D'improvviso, si rese conto che era proprio così: voleva sapere qualcosa di più di quel ragazzo, che sembrava penetrarle sotto la pelle come un respiro, come un veleno. Un veleno però che purificava, e bruciava la debolezza. -Anzi, voi ne sapete qualcosa, ragazze?- domandò, sentendosi d'un tratto più forte -da dove venga, perchè sia qui...cose così.-

Jen scompigliò di nuovo la criniera color rame. -No, assolutamente no. Insomma, non ho ancora fatto ricerche...- la rete di conoscenze di Jennifer era semplicemente impressionante. -...ma potrebbe essere sbucato da un altro pianeta, per quanto ne sappia.-

Greta si accoccolò sulla panchina, gli occhi violetti socchiusi. -In ogni caso, non mi pare che giustifichi tanto interesse. È loquace quanto una pietra, e altrettanto rigido. Non so cosa puoi trovarci in uno così.-

Bulma serrò le labbra, concentrandosi sulla gomma, e osservando le due ragazze sedute sotto di lei: erano le sue più care amiche da quando sapevano a malapena parlare, e sapeva che l'affetto che le legava era sincero e solido come un albero. Ma sapeva anche che le radici di quell'albero non arrivavano a toccare le sue profondità più vere, né le potevano riscaldare. No, aveva bisogno di qualcuno che potesse penetrare nella terra, giù nelle vene, giù nel cuore.

Da quando sono così lirica? Pensò, aggrottando la fronte. Di nuovo, si rese conto di aver completamente perso il filo della conversazione. -Scusa, Gre. Mi ero distratta. Cosa dicevi?-

-Terra chiama Bulma- borbottò Jen, ripiegando le lunghe gambe sotto di sé.

-Dicevo che non vedo cosa tu possa trovarci in lui.-

Le parole caddero, ovvie e semplici come foglie d'autunno. -C'è qualcosa di duro, in lui, ma anche di fragile. Anzi, è proprio la parte dura a essere fragile.-

Le sue amiche la guardarono con lo stesso cipiglio che avrebbero mostrato se le fosse spuntata un'altra testa. -E che cosa diamine vorrebbe dire?-

Bulma battè le palpebre,come risvegliandosi da un sogno. -Non ne ho la minima idea.-

-È ufficiale- bofonchiò Jen -l'abbiamo persa.-

-Francamente, amica mia, non posso che dirmi d'accordo.-

Bulma le ignorò, stringendosi nelle spalle.

Forse è vero. Forse sono impazzita.

Sapeva dove sarebbe caduto il suo sguardo. Vegeta era ancora sotto la quercia, l'ombra verde delle foglie che gli tremolava sul viso, gli occhi chiusi.

Le sue parole le tornarono alla mente, risuonando come voci, come un presentimento.

È proprio la parte dura a essere fragile.

   
 
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