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Autore: Ely79    07/10/2013    2 recensioni
Vorreste trasformare la vostra ridicola Urbanhare in un mostro capace di far sfigurare le ammiraglie del Golden Ring? Cercate più spinta per i vostri propulsori a vapore compresso? Spoiler e mascherine su disegno per regalare una linea più aggressiva al vostro mezzo da lavoro? Una livrea che faccia voltare ogni testa lungo le strade che percorrete? Interni degni di una airship da corsa, con quel tocco chic unico ed inimitabile?
Se cercate tutto questo, grande professionalità ed un pizzico di avventura, allora siete nel posto giusto: benvenuti alla "Legendary Customs".
[Ambientazione Steampunk]
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L.C. - Cap. 17
17

Ostap si risistemò sulla poltroncina, sorridendo all’espressione attonita dell’interlocutore. Era molto difficile sorprenderlo ed essere riuscito nell’impresa era incredibilmente appagante.
«Ridimmelo un’altra volta» scandì lentamente Clay, inspirando a fondo con altrettanta flemma. «Quante?»
Non poteva aver detto quel numero. Non ci credeva. Era ridicolo. Meravigliosamente ridicolo.
Compiaciuto come un gatto sazio e ozioso, Ostap l’accontentò:
«Trenta».
Il capofficina scivolò in basso sulla propria seduta, portando le mani al volto per nascondere l’entusiasmo che montava selvaggio nelle vene.
«Trenta» ripeté, arrivando a strozzarsi con le sillabe.
«Tutte tue, Clayton. Tue e dei tuoi ragazzi» annuì, giocherellando con il grosso anello che portava al mignolo. «Mi rendo conto che non si tratta di elaborazioni e restyling come vostro solito, che parliamo di ripristini, puliture, rattoppi di carrozzerie, interni, diruttori e livree, ma credimi. Credimi. Voi siete i soli cui le affiderei. La sola squadra di tecnici perfetta per mettere mano a quei gioielli e ridare loro lo splendore che li ha contraddistinti alla loro discesa nei circuiti».
«Trenta» insisté estasiato Clay, contando sulle dita per darsi un’idea della mole di lavoro che li attendeva.
Riusciva a vederle, una accanto dietro l’altra mentre sfilavano attraverso il portale dell’officina. La storia della motoristica e dell’aerodinamica all’ennesima potenza.
«Trenta. Inclusa la Steeler. E l’avete preparata divinamente, se mi permetti» ammiccò Ostap. «Sono già riuscito a trovare undici airship fino ad ora. Alcune sono in condizioni ottime, avrete pochissimo da fare, giusto una riverniciata e qualche ritocchino qua e là, ma di altre non posso dire la stessa cosa. Il tempo è inclemente con uomini e macchine. Solo Dio ne è immune, ahinoi!»
«Dovrò mettere sotto tutti quanti, allungare l’orario di lavoro. Potrei dover inserire sabati e domeniche. Magari ci scappa pure un’assunzione o due» suggerì con un sorrisetto perfido, giusto per saggiare la solidità delle intenzioni del cliente. «Occorrerà una montagna di materiale, dovrò mandare i ragazzi a rovistare nei depositi e dagli sfasciacarrozze di tutte le Colonie per cercare i pezzi fuori produzione, prendere contatti con privati interessati a disfarsi di qualche fondo di magazzino. E poi bisognerà testarli, pulirli, renderli installabili».
«Tutto quello che serve, a qualunque costo. In ogni senso. Sai che non ho paura di spendere quando mi metto in testa un traguardo. Voglio che il museo sia pronto per la fine del prossimo anno: sto pensando a un’inaugurazione memorabile subito dopo Natale, se non addirittura per Capodanno. Anno nuovo, museo nuovo. Il vanto di Port Serafine!»
«Il Museo di VeloCity. La storia delle corse in airship dagli albori a oggi» recitò Clay, passando le dita sulla bozza di relazione che Ostap gli aveva dato poco prima.
Il progetto della struttura ricordava gli scarabocchi che Scorch spacciava per schemi aerodinamici, tuttavia si poteva distinguere una sagoma allungata da cui fuoriuscivano delle pinne oblunghe.
«Sono in trattativa con la Falcon per avere l’aeromobile di Gunner al termine del campionato in corso».
«Bel colpo» si complimentò.
«E quella di Costica Orosz» aggiunse, sistemando il polsino della camicia che sporgeva dalla giacca di seta damascata.
Clay rimase a bocca aperta, allibito.
«La Blue Lead Gate 720! La prima airship prodotta da una casa indipendente a vincere il Campionato delle Colonie!» esclamò incrociando le braccia dietro la testa. «Avevo il poster di quella meraviglia sopra il letto, me la sognavo la notte!»
«E ora riuscirai addirittura toccarla! Mi spiace solo non poter avere la HS-c di Flash Balzaretti. È andata distrutta nell’incidente e ciò che ne è avanzato chissà dov’è finito».
Il capofficina afferrò al volo dove stesse cercando di andare a parare.
«Lascia in pace Jack. Vive già abbastanza male la perdita del padre senza che cominci a dargli il tormento pure tu».
«Vorresti biasimarmi perché desidero rendere il giusto tributo a un grande pilota?» pigolò imbronciato. «Tu non lo faresti? Insomma, non ci sarà più la HS-c, ma sono più che sicuro che il ragazzo abbia per le mani qualcosa di altrettanto adatto».
«Non ti venderà la Aries per tutto l’oro del mondo!» l’avvisò.
«Oh, no! Per carità!» si affrettò a scusarsi. «Quella di suo padre è stata una tragedia senza pari, sarebbe quantomeno inopportuno andare a risvegliare un simile dolore facendo un’offerta per un oggetto che glielo ricorda tanto! No, no, no. E poi la Aries è una muscleship stradale, non un modello da gara e a me interessano quelli. Però mi domandavo se per caso potesse avere qualche cimelio per l’esposizione. Foto, trofei, articoli di giornale… una divisa da corsa! Dopo tutto sulla tomba di Frankie Flash ci sono i suoi guanti, forse a casa la famiglia ha dell’altro da cui potrebbe separarsi senza eccessiva sofferenza. No? Sto esagerando?» domandò facendo tanto d’occhi, somigliando a un bimbo barbuto.
A volte Clay si domandava quale versione di Avelan fosse fasulla: se quella più seria e composta che sfoggiava durante le contrattazioni, quella modaiola e godereccia, o quella che sfiorava l’identico livello d’idiozia di Mac Gregor.
«Da quando t’interessi di corse, Avelan? Mi sembrano un po’ lontane dai tuoi soliti loschi giri. Ti sei stufato di avere per partner la solita piccionaia di riccastri senza palle?» osservò Scorch.
Era stravaccato sulla poltrona accanto alla porta, subito alle spalle di Avelan, e stava servendosi il terzo bicchiere del costoso whiskey irlandese appena ricevuto in dono dal cliente. I graffi lasciati da LucyBelle sulla sua faccia gli conferivano un aspetto da avanzo di galera o sfortunato accattone, a seconda dei punti di vista; secondo Bonnie invece ricordava Tamior l’Avventuriero, protagonista di una fortunata serie di romanzi per ragazzi cui si era appassionata di recente.
Clay l’avrebbe preso volentieri a pugni quando si era piazzato lì con l’aria strafottente e superiore che ostentava dopo aver passato un paio di notti attaccato alla bottiglia, ma per quanto il suo atteggiamento lo mandasse in bestia, dovette ammettere che la domanda avesse senso.
«Già, come mai quest’interesse? Le airship da corsa non rientravano tra le tue passioni».
«Che posso dire? Sogni di bambino!» si schermì semplicemente, giocherellando con un bottone di madreperla della giacca.
«Non sei mai stato bambino, speculatore» ruttò Scorch.
Avelan si volse, stupito e vagamente disgustato alla vista del progettista che si grattava fino a strapparsi alcune croste dalle ferite. Non era insolito che quell’uomo partecipasse alle riunioni intervenendo a sproposito, ma erano state poche le occasioni in cui gli si era rivolto usando epiteti del genere. Solitamente ricorreva a termini più scurrili.
«E va bene, signori. Se la mettiamo su questo piano, giocherò a carte scoperte, anche se temo mi verrà a costare parecchio» sospirò allentando il nodo della cravatta.
«Taccagno» mormorò Scorch, la lingua impastata dall’alcol.
Donat, accanto alla finestra, lo trafisse con lo sguardo ma a un impercettibile cenno di Avelan, tornò a ignorarlo. Era inutile prendersela con lui, dopo tutto faceva parte del gioco.
«Parlavo in termini di rispetto, Ingegner Almgren» specificò il magnate grattando la testa imbrillantinata con lieve imbarazzo. «Sarò chiaro, Clayton. È nato tutto al City Garden, dopo che tu e Sandy ve ne siete andati».
L’espressione di Lomann perse d’esaltazione.
«Come ben sai, e come il nostro stimato Niklas ha testé ribadito, ho rapporti economici con molte persone. E tengo a precisare che Ostap Avelan ha solo rapporti leciti e trasparenti di fronte alla legge e a Dio, checché ne dica quella torma d’incomprensibili biliosi che cerca costantemente di trascinarmi in tribunale sulla base di assurde dicerie. Comunque,» riprese abbandonando il tono lamentoso a favore di uno molto più composto e conciliante, «come ti è altrettanto noto, tra queste persone figura Aris Goundoulakis».
S’interruppe, attendendo che Clay facesse a pezzi i braccioli della sedia che artigliava con odio.

***

Quella mattina Patch aveva dovuto prendere un permesso per accompagnare Andrew al controllo mensile. Melanie non aveva potuto lasciare il lavoro e sua madre aveva troppo da fare con gli altri tre scalmanati per sobbarcarsi anche quell’incombenza. Recuperare cinque ore tra lavoro e pausa pranzo non sarebbe stato uno scherzo, ma per il suo piccolo eroe l’avrebbe fatto. Ci sarebbe riuscito, specie dopo aver visto Andy affrontare la consueta trafila di aghi, strumenti e domande tenendolo serenamente per mano, quasi a volerlo rassicurare. Non si era mai sentito sciocco di fronte a quel gesto, solo tremendamente orgoglioso: lui, un padre, un adulto sano rincuorato dal figlio, un bambino vittima del Morbo di Keelinger. Una malattia dal nome altisonante quanto nefasto, che aveva spinto Andrew a paragonarsi al suo campione del cuore:
«Io sono come Tyren Gunner, papà: parto male sulla griglia, ma poi dopo vinco sempre».
L’aveva ancora davanti mentre glielo ripeteva inspirando lentamente dalla cannula dell’ossigeno, quando mezz’ora prima l’aveva deposto con delicatezza nel suo letto.
Da sopra la sua testa arrivavano ovattate voci maschili. Ogni tanto anche il tonfo di un piede che ricadeva sul pavimento. Era lo scotto da pagare avendo lo spogliatoio esattamente sotto gli uffici. In genere i ragazzi si divertivano a protestare a suon di urlacci e battendo scope sul soffitto, ma quando Hito spiegò il motivo del silenzio di Sandy, rimase senza parole.
«Estromessa?» esclamò incredulo, mollando le bretelle della salopette che cadde pesante alle sue caviglie.
«A quanto pare questa volta c’è riuscito sul serio» annuì, infilando con cura il lungo camice che indossava durante le sessioni di verniciatura.
«Dev’essere ancora incazzato come un bisonte se l’ha tagliata fuori» osservò Patch preoccupato.
Se Clay non si calmava c’era il rischio che ricominciasse a prendersela con loro come aveva fatto la settimana precedente e nessuno voleva ripetere l’esperienza.
«Incazzato? Un altro po’ e la mangiava viva. Ozone aveva quasi pensato di intervenire e lui deve rifletterci un miliardo di volte prima di fare una mossa, quindi immagina che casino c’era» rise Boy, arrivando dalle docce avvolto in un paio di asciugamani zuppi.
«Che t’è successo, Jessie?»
L’apprendista, a differenza di Hito e Iron, solitamente non faceva docce durante le ore di lavoro ma Patch era ancora troppo scosso dalla visita in ospedale per prodursi nelle consuete frecciatine.
«Un fusto mi è esploso addosso» mugugnò, frizionando con energia la testa. «Non sono neanche riuscito a mangiare per lavarmi via quella robaccia, porca puttana. Sto morendo di fame».
Sulle sue braccia si scorgevano strie pallide che, unite alle escoriazioni, ai lividi e ai vari piercing, andavano a formare una strana tavolozza di colori. Era stato fortunato a non aver ingerito o inalato la vernice, Hito gliel’aveva ripetuto allo sfinimento mentre l’affogava nella trementina.
La prossima volta giuro che me ne sbatto i coglioni e plasmo quella ferraglia come dico io! rimuginò, convinto che l’imposizione di Ozone circa evitare l’impiego delle sue capacità alla presenza di altri cominciasse a diventare un impedimento più che un aiuto. Se avesse potuto fare di testa sua, avrebbe saputo in anticipo che il bidone era in pressione e l’avrebbe sistemato senza danni. Invece Ozone si era fatto sentire, imponendogli di atteggiarsi a persona normale.
«Si deve essere formato un vuoto d’aria durante la preparazione della tanica in ditta. E quando ho mandato Boy ad aprirla per preparare il colore, ha rifatto l’imbiancatura del Sancta Sanctorum» spiegò il verniciatore, portandosi alle labbra una matita.
Il divieto di fumo si stava facendo insostenibile.
«Comunque Maria ti ha fatto quello» aggiunse indicando un cartoccio e il ragazzo vi si buttò senza ritegno.
«E adesso che colore è?» domandò Patch.
«Bianca. Era una base neutra per fortuna. Grazie a questo pasticcio della Finn-Pastrel, non spederemo un méit per gli imbianchini» considerò astutamente Hito.
«Ehi, guarda che l’anno scorso e quello prima l’ho pitturata io quella stanza! Da solo! È una rottura arrivare dietro i tubi e le pompe del colore: quelli non li posso staccare dal muro» protestò a bocca piena Boy mentre si lasciava cadere sulla panca, poco lontano da Patch.
«Appunto. Niente extra per le tasche del capo» chiarì.
«Sì, sì, ho capito l’antifona» sospirò inacidito, esaminando il piercing al capezzolo destro, augurandosi che la vernice non fosse penetrata all’interno: l’aveva fatto da poco e l’idea di un’infezione non l’allettava.
Doveva ammettere di concordare sul lasciare in pace il portafogli e i nervi di Clay che, per quanto solidi, avevano dei limiti fisici.
«E Sandy? Come l’ha presa?» riprese Patch, tornando al discorso iniziale.
«Ha urlato un po’, ha cercato di insistere che non fosse corretto trattarla così, ha pestato i piedi…»
«Come sempre» l’interruppe Boy da sotto l’asciugamano, controllando l’assenza di rimasugli di vernice sotto le unghie e ingozzandosi di agnello al forno allo stesso tempo.
«E poi se n’è andata, trascinandosi dietro Charlotte con la scusa che le servisse una mano per i documenti della banca» concluse l’artista.
Patch riuscì finalmente a indossare la divisa, agganciando le fibbie con uno sbuffo dispiaciuto.
«Poveraccia, non la invidio. Quando Sandy è arrabbiata guida come una pazza».
Il ghigno sarcastico di Hito lo spinse a correggersi all’istante.
«Sì, beh… non che da tranquilla sia meglio» bofonchiò ricordando il giorno in cui Alexandra aveva “spolverato” con la sua Noal la fiancata di un mezzo della Guardia Coloniale, rimediando una sonora multa di venticinque trias.
Venticinque trias. Quello che ho perso stamattina, si rammaricò Patch, pensando ai due flaconi di Pneumosilirin che avrebbe potuto acquistare con quella somma. Venti giorni di costosi farmaci venuti meno. Doveva rimboccarsi le maniche all’istante e recuperare fino all’ultimo méit.
«Incredibile cosa mi sono perso! Clay che taglia fuori Sandy da un contratto con Avelan… Si avvicina l’Apocalisse» tentò di scherzare.
Non era mai successo, da che quei due erano proprietari dell’officina, che a uno di loro fosse impedito di prendere parte a una contrattazione. Era un evento contro natura.
«Che ti prende?» domandò l’artista avvicinandosi.
Le lacrime avevano cominciato a scendere senza controllo sul volto di Patch e il naso gli colava in maniera infantile fin sulle labbra. Patch non era uno dal pianto facile e anche Boy scivolò sulla panca, accostandosi preoccupato. Si tamponò con uno dei luridi stracci che pendevano dalle tasche della divisa, rendendo la propria faccia un insieme di chiazze umide e grigiastre.
«Va… va tutto bene. Va tutto bene» li rassicurò, tirando su col naso. «Pensavo solo che… se stanno succedendo queste cose, allora mio figlio ha molte più possibilità di guarire di quante dicano i medici» dichiarò tra singhiozzi e sorrisi spezzati.
Hito gli mise una mano sulla spalla, annuendo comprensivo.
«Un’interessante considerazione. Ma se vuoi stare sul sicuro, aggiungici questo» e strappò via l’asciugamano dalla testa di Boy.
Al posto del ciuffo informe che pendeva sulla faccia punteggiata di metallo, ora c’era un’ispida distesa di cortissimi capelli castani, che metteva in risalto gli aloni giallastri delle ecchimosi in via di guarigione lungo i lineamenti spigolosi. L’incidente con la vernice aveva costretto l’apprendista a correre ai ripari, facendo contento il maestro che da mesi lo pregava di darsi un aspetto più ordinato.
«Adesso manca solo Scorch astemio e Charlotte che la da a Odrin e Andy guarirà!» rise Patch per esorcizzare il timore che quella speranza non si avverasse.

***

«Preferisci mi fermi qui? Se vuoi lasciar perdere, capirò» propose Avelan, consapevole d’essersi addentrato in un terreno insidioso.
«I tuoi partner commerciali non m’interessano. Sei qui per parlare di un lavoro che vuoi offrirci. Punto e basta. È questo che conta. Vai avanti» latrò Clayton.
«D’accordo» acconsentì. «Come dicevo, quella sera, dopo che ve ne siete andati, ho avuto modo di parlare con lui di varie questioni. Ti sorprenderebbe scoprire la mole di proposte che si agita in quella testa. E dire che c’è chi lo reputa interessato solo alla moda e alla pubblicità…»
Una vigorosa pedata nello schienale lo richiamò all’ordine. Se a Clay non andava giù il sentir parlare di quello che considerava il suo più acerrimo nemico, meno ancora andava a Scorch di sorbirsi tiritere senza capo né coda. Piuttosto preferiva gustarsi il whiskey in silenzio.
«Sì, sì, perdonatemi. Divago sempre. Dunque, parlando con lui e alcuni finanziatori di mercati esteri e di nuovi campi d’investimento, abbiamo finito col sollevare la necessità di reperire dati e informazioni in tempi sempre più brevi, fulminei. Qualcuno ha azzardato il paragone con la velocità delle airship da gara. Di lì è stato un attimo passare ai ricordi di gioventù, delle domeniche trascorse accanto alle radio o fuori dai circuiti ascoltando il rombo dei bolidi in gara, immaginando di pilotarne uno o di avere una scuderia di campioni che…»
«Avelan!» sbraitarono in coro i due tecnici, spazientiti dal suo dilungarsi.
«Ci sto arrivando, calmatevi! Tutti quanti. Anche voi ragazzi, su. Hanno ragione, li sto annoiando» disse bonario alle guardie del corpo, pronte a ridurre al silenzio gli altri con le maniere forti.
«Prima della fine dei tempi, porca troia!» rampognò Scorch, tenendo d’occhio i pugni di Donat.
«O della sua bottiglia, o ne pretenderò una anch’io» sbuffò Clay, passandosi una mano sulla faccia.
Stava facendo una fatica immane nel trattenersi dall’imboccare la porta e andarsene. Associare il nome di Goundoulakis a quello che avrebbe potuto essere il lavoro più importante della sua vita, gli stava procurando un travaso di bile senza precedenti.
«Insomma, dal ricordo di fanciullesche fantasie siamo passati alle corse di oggi, facendo paragoni tra i grandi campioni e lì, Aris ha fatto notare la mancanza di uno spazio dove gli appassionati potessero rievocare quei momenti grandiosi e dove le nuove generazioni facessero la conoscenza dei miti del passato. All’inizio mi sembrava solo una considerazione senza peso, una di quelle asserzioni che Aris infila coreograficamente nei suoi discorsi, ma sulla via del ritorno, parlandone con Charlotte, mi sono reso conto che invece si trattava di un’idea brillante e dovevo farla mia immediatamente, prima che ci pensasse il nostro caro… anfitrione. Creare un museo delle corse, corredato di sale espositive, modelli per le simulazioni, diorami a grandezza naturale dei sorpassi più celebri, debiti spazi di ristoro e vendita souvenir, i quali andrebbero riforniti di materiale pensato a puntino, dalle pubblicazioni all’oggettistica… per non parlare delle più celebri aeromobili messe in mostra. Farei muovere un indotto considerevole. E Charlotte si è premurata di rammentarmi più volte che gran parte di quel movimento sarebbe derivato dall’eccellente qualità delle vostre realizzazioni» puntualizzò con un sorriso talmente grande e sincero che la barba gli toccò le orecchie.
«Quindi, Charlotte sapeva tutto» borbottò incupito Clay, guardando minaccioso il tramezzo che divideva il suo ufficio da quello della segretaria, augurandosi che stesse ascoltando.
Perché le donne che aveva attorno trovavano sempre il modo di fregarlo? Si sentiva tradito: all’improvviso aveva scoperto di essere l’ultima ruota del carro, l’imbecille che avrebbe dovuto sobbarcarsi la parte rognosa del lavoro, e l’esaltazione si era ridotta al lumicino.
«Non prendertela con lei. Le ho chiesto io di tacere finché non fossi stato certo della fattibilità dell’operazione. Far circolare la voce prima ancora d’aver svolto le opportune verifiche economiche e sulla reperibilità dei mezzi era un azzardo che non potevo permettermi. Per non parlare di eventuali raggiri in cui sarei potuto incappare se la cosa fosse trapelata anzi tempo. Purtroppo le orecchie indiscrete sono ovunque e basta una sola parola a mandare a monte un investimento o a renderlo una calamita per ruffiani e inopportuni millantatori. E tu sai quanto poco li tolleri» aggiunse, improvvisamente torvo. «Perciò, quando ho ricevuto le debite rassicurazioni, ho deciso di parlartene in prima persona perché temevo avresti mal giudicato Charlotte, se si fosse accollata l’onere di fare da tramite. Ed io metto sempre questa faccia nei progetti, non un’altra» sottolineò indicandosi con entrambi gli indici.
Tuttavia, il capofficina sembrava di ben altro avviso: il suo respiro si era fatto pesante e ricordava il brontolio di una turbina che entrava a regime.
«Cazzo, Clay, piantala! Avelan ha fatto bene a dirle di stare zitta. Ti si legge in faccia che sei incazzato nero» intervenne Scorch, decidendo finalmente di sedere composto e parlando come fosse sobrio. «Se Charlotte avesse avuto anche solo il sentore che non si trattava di un buon affare, avrebbe trovato il modo di metterci sull’avviso senza spifferare tutto. È una in gamba e tiene a noi».
Ostap e Clay si scambiarono un’occhiata eloquente, prima di voltarsi entrambi a guardarlo.
«Niklas, mi creda, non ha bisogno di difendere la nostra amica, anche se apprezzo il rispettoso attaccamento che dimostra nei suoi confronti del suo operato» ridacchiò lisciando la barba.
«Anche se sappiamo che vorresti stare più attaccato a lei che al suo operato» insinuò Lomann, ritrovando un briciolo di buon umore.
Scorch tornò ad allungarsi dando una memorabile testata sullo spigolo della libreria alla sua sinistra, masticando imprecazioni. Durante l’uscita all’“Archituono” di due sere prima era stato messo al corrente della pubblica rivelazione fatta da PigTail, cosa che gli era valsa valanghe di sberleffi dai ragazzi, dato che il caro cugino si era guardato bene dal riferirglielo in separata sede.
«Pig, sei un figlio di puttana» rimbrottò contro l’imboccatura della bottiglia prima dell’ennesima sorsata. «Te la faccio pagare».
   
 
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