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Autore: Angie Mars Halen    09/10/2013    1 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6) NIKKI

“Così non va!” sbraitò Vince con quel suo fastidioso modo di fare da diva spocchiosa, sbattendo ripetutamente sul tavolo il palmo della mano avvolta in un paio di guanti di pelle nera. “Dobbiamo farci venire delle idee per questo maledetto album, o è la volta buona che ci fanno chiudere baracca.”

Tommy stava guardando dentro una bottiglia di Jack alla disperata ricerca di qualche residuo. “Tu ne hai qualcuna, Barbie?”

Vince spalancò gli occhi di fronte a quel soprannome e Doc, il nostro manager, si passò una mano sulla faccia con fare sconsolato.

“Ripetilo un’altra volta se ne hai le palle,” sibilò Vince avanzando a passi lenti verso Tommy, che continuava a tenere un occhio puntato dentro la bottiglia. T-Bone non gli rispose e si limitò a strizzare di più l’occhio a contatto con il vetro per mettere meglio a fuoco il fondo. Vince scosse il capo e tornò a sedersi al suo posto mentre tutt’intorno taceva, fatta eccezione per la penna che Doc stava battendo a tempo sul tavolino nell’attesa che la situazione si calmasse.

“E così anche oggi avete zero proposte per il nuovo album?” domandò poi guardando dritto verso di me come se fossi stato l’unico da cui dipendeva la situazione.

“Sotto zero,” confermai scrollando le spalle.

Mick Mars, di fianco a me, sembrava completamente su un altro pianeta. Era caduto in catalessi nascosto dietro le lenti scure degli occhiali da sole, il capo gli pendeva di lato e teneva le mani intrecciate abbandonate sul grembo. Per un attimo pensai che stesse dormendo e, irritato dal fatto che avrebbe veramente potuto esserlo, gli rifilai una gomitata e si ricompose all’istante.

Doc gli schioccò le dita davanti agli occhi. “Tutto bene, Mick?”

“Eh? Sì, be’... ho avuto una nottata insonne,” si giustificò Mick sollevando gli occhiali sul capo. Le occhiaie violacee che avevano celato fino a quel momento erano la prova che non solo non aveva dormito, ma aveva anche passato ore a piangere e ubriacarsi, come faceva spesso.

Doc raccolse alcuni fogli sparsi sul tavolo e sul pavimento, li ripose ordinatamente in una cartellina e si soffermò a osservare la scena: Mick, stanco morto, condivideva il divano con me, che avevo preso la maggior parte dello spazio. Tommy continuava a guardare dentro la bottiglia con aria preoccupata come se fosse stata l’ultima disponibile sul mercato, e Vince si contemplava l’estremità di una ciocca di capelli, strappando via le doppie punte con fare maniacale. Secondo me a volte gli prendeva lo sconforto, al povero Doc, e gli veniva voglia di piantarci tutti e quattro, poi però si ricordava che eravamo il mezzo più potente per riempirgli le tasche di quattrini e si rimangiava tutto.

“Forza, ragazzi, tornate a casa e cercate di riprendervi. Dopodomani vi rivoglio qui alle sette del mattino.”

“Alle sette?” saltò su Vince con ancora la ciocca tra le dita.

Doc annuì. “Tenendo conto delle vostre consuete due ore di ritardo, per le nove dovreste essere arrivati, e allora avremo cominciato in tempo. E poi, non credo che sarà un disastro se per una volta andrai a letto prima anziché perderti a fare bagordi in giro.”

Detto questo sparì, lasciandoci soli nello studio di registrazione, ognuno di noi intento a portare avanti la propria attività. Era una scena triste persino per me, che ero quello che faceva più pena di tutti, così mi alzai a fatica, diedi un colpetto sulla spalla di Tommy e gli feci cenno di seguirmi. Sfrecciammo a bordo della sua auto fino a un piccolo locale sul Sunset, dove ci fermammo per una birra in santa pace e, soprattutto, senza gli altri che commentavano e giudicavano.

Bro, devo raccontarti una cosa,” mormorai non appena ci fummo seduti a uno dei tavolini nella veranda sul retro.

Tommy si mise comodo e appoggiò i gomiti sui braccioli della sedia di ferro battuto. “Spara.”

“Hai presente la ragazza che era entrata in casa mia, quella di cui ti ho parlato l’altra volta?” azzardai.

Tommy roteò gli occhi. “Credevo che dopo un’altra settimana avessi smesso con questa fissazione del cazzo, Sixx, ma a quanto pare non è così.”

“Ieri l’ho incontrata in un negozio di dischi a Van Nuys.”

T-Bone trasalì. “E cos’è successo?”

Trascinai la sedia di fianco a lui per essere sicuro che nessuno potesse sentirci. “Stava guardando un disco e mi ha detto che non poteva permetterselo, allora gliel’ho comprato io, poi siamo andati in un bar e le ho offerto da bere. Mentre ce ne stavamo andando, ha visto che avevo con me un ciondolo uguale a quello che aveva perso mentre scappava dalla mia casa, e così ha capito chi sono.”

“Aspetta, bello, frena,” mi interruppe Tommy. “Stai cercando di dirmi che la tipa ha scoperto che Nikki Sixx dei Mötley Crüe caccia la gente da casa sua spaventandola a morte?”

“No! Cioè, sì, però fammi finire prima di preoccuparti per queste stronzate,” sbottai attirando l’attenzione di qualche altro cliente, ma me ne fregai e ripresi a parlare a bassa voce. “Si è spaventata ed è scappata.”

Tommy si passò nervosamente una mano tra i capelli. “E ci credo! Dopo quello che le hai fatto, non poteva certo riconoscerti e saltarti al collo per ringraziarti per averle fatto perdere dieci anni di vita.”

“Mi sono sentito un mostro,” confessai torcendomi le dita.

Tommy appoggiò gentilmente la sua mano sul mio avambraccio e lo strinse per trasmettermi il suo calore. “Amico, tu non sei un mostro. Se però la smettessi con tutta quella droga sarebbe meglio, perché a volte diventi proprio strano.”

Smetterla con la droga, ripetei nella mia mente. Certo, per Tommy era facile: si sballava sempre a forza di Jack e cocaina, ma non si era ridotto come me. Su di me la droga aveva un effetto disastroso che non aveva su di lui, e questo era un pensiero che mi assillava. Mi serviva più dell’ossigeno, ma mi stava uccidendo, e sapevo che se avessi smesso sarei morto comunque perché pensavo che non sarei stato in grado di sopportare le conseguenze della sobrietà.

Mi alzai dal tavolo senza finire la mia birra e lasciai i soldi sotto bottiglia mezza vuota. “Avanti, T-Bone, riportami a casa.”

Tommy sospirò e obbedì senza fare storie. Ripartimmo diretti verso casa mia e, quando scesi dalla macchina, lo invitai a entrare per passare il pomeriggio con me. Di solito ci stravaccavano sul divano a guardare MTV con qualche drink, fumavamo come ciminiere e sparavamo idiozie a mitraglia. In sé non era un passatempo divertente, ma a noi bastava essere insieme per far diventare spassoso anche il pomeriggio più afoso. Purtroppo, però, ultimamente Tommy rifiutava spesso i miei inviti o cercava di convincermi ad andare fuori, forse perché non ne poteva più dello stile di vita che gli proponevo.

“Mi piacerebbe restare, ma ho una commissione urgente da sbrigare,” rispose dispiaciuto, confermando i miei sospetti.

Feci spallucce e accennai un sorriso sforzato. “Non importa, sarà per la prossima volta.”

Tommy sorrise e mi salutò mentre alzava il finestrino. “Adesso devo scappare. Tu però fai il bravo.”

Ricambiai il saluto senza rispondere ed entrai in casa non appena ripartì. Oltrepassai la soglia controvoglia e mi sembrò di essere piombato in un universo parallelo. Chiusi gli occhi: Tommy non c’era ed ero solo. Gli avevo chiesto se voleva entrare così non avrei passato il resto della giornata a disperarmi, quindi nella mia richiesta c’era un messaggio d’aiuto nascosto, ma lui non l’aveva colto. O, più semplicemente, l’aveva capito ma non se la sentiva di starmi vicino. Quando ero solo in quella casa grande e vuota e c’era silenzio, tutto tornava a galla: la mia vita passata, i miei errori, la nostalgia delle poche cose belle che non avrei mai vissuto di nuovo... e tutti quei pensieri mi incasinavano il cervello. Quando invece avevo gente in giro, che si trattasse di Tommy sul divano o di più invitati, tutto sembrava un po’ più sopportabile.

Mi accasciai sul divano come se mi avessero improvvisamente privato delle ossa e aspettai di riacquistare abbastanza forze prima di salire al piano di sopra. Là c’era il mio armamentario e tutto ciò di cui avevo bisogno per placare il dolore. La busta con la polvere bianca che mi avrebbe salvato era già pronta sul comodino e ormai i gesti per disporre la pista su un piano mi venivano spontanei. Pochi minuti dopo ero già perso nel mio paradiso artificiale e non sentivo più nessun dolore né il peso dei pensieri, ma gli effetti collaterali non tardarono ad arrivare, portando con loro i nani messicani. Li sentivo ridere ovunque: le loro voci provenivano da dentro il muro, dal tetto, e sapevo che erano sugli alberi del giardino. Le fronde toccavano quasi i vetri, e se avessero voluto entrare ci sarebbero riusciti perché un balzo sarebbe stato loro sufficiente per raggiungere il davanzale.

“Andate via, stronzi!” gridai. La mia stessa voce che rimbombò tra le pareti non fece altro che peggiorare la situazione. Avevo bisogno di silenzio e non volevo nessuno intorno a casa, soprattutto strani esseri chiassosi che volevano uccidermi.

Mi avvolsi nel lenzuolo, che era così sporco che a contatto con la pelle mi sembrava umido e freddo, nascosi la testa sotto il cuscino e lo premetti sulle orecchie senza riuscire a far sparire quelle voci. Mi girai e mi rigirai nel letto finché il lenzuolo puzzolente non mi impedì più nessun movimento, allora mi alzai a sedere con uno scatto e con la testa che girava all’impazzata. Mi veniva da vomitare e lo feci, centrando in pieno il tappeto persiano ai piedi del letto, poi annaspai fino alla cabina armadio cercando di evitare la pozza che avevo lasciato per terra. Una volta dentro chiusi la porta a chiave, dimenticandomi di accendere la luce. Da seduto non riuscivo ad arrivare all’interruttore ed ero troppo debole per alzarmi, quindi restai al buio ripetendo ininterrottamente dei sommessi “andate via” come se fossero stati una formula magica. Passai una buona mezz’ora dentro quello stanzino in attesa che l’incubo finisse, poi mi addormentai, esausto, con la testa appoggiata alla parete e una gamba contro la porta, come l’avevo messa prima per impedire ai nani di aprirla.

Un po’ di tempo dopo, che per quel che mi riguardava poteva essere un’ora così come un giorno intero, fui svegliato dal suono del campanello. Quando lo sentii sobbalzai e il cuore cominciò a battermi all’impazzata, poi mi resi conto che c’era qualcuno fuori dalla porta che mi stava cercando e che sarebbe stato meglio rispondere, o almeno provare a farlo. Pensai che fosse Tommy che aveva terminato le sue commissioni ed era venuto a trovarmi, e se così fosse stato ne sarei stato davvero felice perché quando c’era lui stavo molto meglio.




N. d’A.: Salve a tutti!
Finalmente ha fatto capolino anche il resto dei Crüe! Si sono fatti un po’ attendere e finalmente sono arrivati tutti e quattro, e ovviamente saranno tutti fondamentali nel corso della storia.
Spero che questo capitolo vi piaccia.
Grazie a tutti e un abbraccio,

Angie

   
 
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