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Autore: Miyuki chan    10/10/2013    4 recensioni
«La leggenda narra che la Luna si innamorò di un pescatore.
E si dice che lo amasse a tal punto da volergli offrire la Vita Eterna, cosicché il loro amore potesse essere per sempre.
Ma, si sa, la Luna rappresenta il principio femminile, mutevole e capricciosa: volle mettere alla prova il pescatore, volle assicurarsi che fosse degno del suo amore.
Tre sarebbero state le prove per lui da affrontare…
Ma è solo una leggenda, una storia per bambini. »
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Smoker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Fire and the Tiger'
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Without an honest heart as compass

Entrammo nella piccola stanza dalle pareti grigie. Il pavimento era di legno scuro e consunto e l’unico mobilio consisteva in due letti dalle coperte immacolate, tra i quali era stato sistemato un comodino rettangolare, e una piccola scrivania con una sedia, situata sotto l’unica finestra e anch’essa realizzata in legno, ormai rovinato dalle tarme e dall’usura.
 
Mi appropriai del letto di sinistra, quello più vicino alla porta. Mi sedetti, pensieroso.
 
Kai sedette sull’altro letto. Non disse nulla, ma sentivo distintamente i suoi occhi puntati sulla schiena. Chiaramente, si era accorto che c’era qualcosa che mi dava da pensare ma, un po’ per il suo carattere riservato e pacato, un po’ per il fatto che ormai mi conosceva davvero bene, preferiva non parlare, attendendo pazientemente che fossi io a farlo per primo.
 
Non dovette aspettare troppo a lungo.
 
«Non ci crederai, ma so dov’è la chiave» dissi senza preavviso, voltandomi ad osservarlo.
 
Mi guardò per un lungo istante con aria interrogativa, evidentemente senza capire di cosa stessi parlando. Poi, dovette invece capire. Si fece subito attento, spalancando gli occhi e drizzando la schiena. «…Davvero?» domandò, incredulo.
 
Annuii. «Mentre tu eri in giro a fare da balia a quei due, ci siamo imbattuti in un vecchietto tutto svitato che ci ha raccontato la leggenda del tesoro, ed ha concluso dicendo che la chiave si trova su un’isola di nome Kimhina. Sapeva addirittura la posizione esatta del tesoro. Quando mi sono reso conto che, anche se sembrava l’esatto opposto, quel vecchio sapeva perfettamente ciò che stava dicendo, quasi non ci ho potuto credere.»
 
«…Sei sicuro?» fu tutto ciò che riuscì a dire, sbigottito.
 
Sospirai, infastidito. «No, ovvio che no, non posso esserne sicuro.» Mi sdraiai sul letto ed incrociai le braccia dietro la nuca, fissando gli occhi su una lunga crepa che solcava l’intonaco del soffitto. «E’ impossibile essere certi che la chiave sia realmente lì. E a dire tutta la verità, la versione della leggenda di quel vecchio era sbagliata. Nel suo racconto, il pescatore supera tutte e tre le prove ma, quando sta per ricevere la chiave dalla Luna, viene incenerito dal Sole.»
 
Mi voltai nuovamente, incontrando lo sguardo perplesso di Kai. «Ah, già, mi stavo scordando di dirti che nella sua versione la Luna ed il Sole sono marito e moglie, quindi quando il Sole capisce che lei gli vuole mettere le corna con un pescatore, pensa bene di fare fuori il rivale e di riportarsi a casa la Luna con le maniere forti. Assurdo, eh?»
 
Lui sbattè un paio di volte le palpebre, e scosse la testa. «Ho cancellato la parola “assurdo” dal mio vocabolario molto, molto tempo fa.»
 
Tornai nervosamente a sedermi. «Ahhhh, c’è una bella differenza! Un conto è dire che la Luna ed il Sole sono sposati, un altro è… beh, tutto il resto.»
 
Sospirai.
 
In realtà, per quanto mi scocciasse ammetterlo, forse non aveva tutti i torti. Dopo quello che avevo visto, effettivamente, nulla avrebbe più dovuto sembrarmi impossibile. Se credevo tranquillamente al fatto che, molto tempo fa, la Luna si fosse realmente innamorata di un pescatore e l’avesse messo alla prova, se sapevo con certezza che, purtroppo, quel dannato gatto era reale, se sapevo che lui, lui e le sue stregonerie erano reali… Mi incupii.
 
«Anche se non fosse una storia assurda, è comunque la storia sbagliata» tagliai corto.
 
«Come fai ad essere certo che sia la sua versione sbagliata, e non la tua?» domandò Kai, incurante del mio umore che andava rapidamente peggiorando.
 
Gli lanciai uno sguardo truce e apertamente minaccioso. Sapeva benissimo come facevo a saperlo, e per di più non era qualcosa di cui mi facesse piacere parlare. E lui sapeva anche questo.
 
Sollevò le mani, con i palmi aperti verso di me, in segno di resa, con un sorriso di scusa.
 
Distolsi lo sguardo con un sospiro rabbioso. «Ad ogni modo, questo ci costringe a rivedere i nostri programmi. Aver scoperto dov’è la chiave è senz’altro un bene, ma è solo questione di tempo prima che si rendano conto che non è il One Piece il tesoro a cui stiamo dando la caccia.»
 
«Vuoi dirgli la verità? Non sarebbe da te, Fall » commentò il biondo con uno dei suoi soliti sorrisi tranquilli. Maledizione a lui, quel ragazzo, oltre che essere completamente immune al mio malumore ed al mio caratteraccio, sembrava totalmente incapace di perdere la calma e preoccuparsi. Sì, in realtà era proprio per l’ incredibile autocontrollo e la sua disarmante tranquillità che mi fidavo quasi ciecamente di lui, eppure, in una situazione del genere, quando io ero teso come una corda di violino e avevo i nervi a fior di pelle, quel suo rimanersene perfettamente calmo a sorridere pacificamente era frustrante.
 
«Infatti sto pensando ad un’alternativa» replicai secco.
 
In realtà, ero già arrivato alla conclusione che di alternative non ce ne fossero. Persino ad Ace e ai suoi sarebbe sembrato strano che, casualmente, il Tesoro della Luna si trovasse sulla stessa isola del One Piece. Per non parlare della storia della chiave: oltre il fatto che non si era mai sentito da nessuna parte che per arrivare al One Piece servisse una chiave, il fatto che questa presunta chiave fosse – di nuovo – sulla stessa isola in cui si trovava anche quella dell’altro tesoro… era proprio ingiustificabile. Non vedevo altra scelta, se non rivelare agli altri che non era mai stato il One Piece il tesoro a cui stavamo dando la caccia, ma il Tesoro della Luna. L’unico interrogativo, a quel punto, era: come avrei potuto dirglielo? In ogni caso, avrei dovuto ammettere di aver mentito.
 
«Non c’è un’altra soluzione» decretai cupamente, «dobbiamo dirgli la verità.»
 
«Tutta?»
 
Kai fu investito da un'altra occhiata carica d’ira. «Chiaramente, no» sibilai, sentendo che stavo realmente iniziando a perdere le staffe, «solo la parte che riguarda il tesoro.»
 
Lui, stranamente, decise di insistere. «Se gli dicessimo tutto, magari potrebbero anche aiutarti. Almeno, Ace sembra il tipo di persona che sarebbe disposto a farlo. Potremmo fare un tentativo, visto che dobbiamo comunque ammettere di non essere stati corretti con loro.»
 
Quelle parole arrivarono molto, molto vicine a farmi perdere la pazienza. E finalmente dovette accorgersene anche Kai, quando la mia voce si fece così bassa da essere udibile a stento. Possibile che non ci arrivasse?! «Ho. detto. di. no.»
 
La luce artificiale del lampadario sembrò calare bruscamente di intensità ed affievolirsi, mentre le nostre ombre e quelle dello scarno mobilio si facevano più lunghe e dense, allungandosi verso di noi come nel tentativo di arrivare a ghermirci. Anche l’aria nella stanza si era improvvisamente fatta più fredda e pesante.
 
Solo allora Kai, allarmato, si rese conto di aver tirato davvero troppo la corda. Se non fossi stato così furioso per tutte le stronzate che continuava a sparare, mi sarei certamente stupito del fatto che non si fosse tirato indietro molto prima. Generalmente, smetteva di discutere nell’istante in cui capiva che mi stava facendo innervosire, per evitare situazioni spiacevoli di cui avrebbe poi dovuto pagare il prezzo.
 
Mi resi conto che, comunque, la situazione mi stava effettivamente sfuggendo di mano. Rivolsi un ultimo sguardo irato al ragazzo e, afferrando al volo le mie spade, che avevo precedentemente appoggiato sulla vecchia scrivania, uscii dalla stanza, chiudendo malamente la porta alle mie spalle.
 
Scesi le scale. Al piano inferiore, nonostante l’ora tarda, c’erano ancora un paio di avventori, seduti al bancone a chiacchierare pigramente con l’oste. Quest’ultimo, quando mi vide, aprì la bocca come per dire qualcosa – probabilmente credeva avessi fame, sete, o qualcosa di simile –, ma il mio sguardo scuro fu sufficiente a fargliela richiudere senza aver spiccicato parola.
 
Uscii dalla locanda. Il buio, fuori, mi sembrò quasi accecante.
 
Sbattei un paio di volte le palpebre, lasciando che i miei occhi si abituassero all’oscurità. L’aria era piacevolmente fresca, densa del profumo delle rose rampicanti che, selvagge, crescevano a ridosso del muro a nord della locanda, artigliando con le loro dita spinose il vecchio e malconcio intonaco.
 
Sentii immediatamente i muscoli che si rilassavano e la tensione che dolcemente si scioglieva ed iniziava a scivolare via.
 
Sistemai i kriss nella cintura – odiavo essere disarmato – ed iniziai a camminare senza una meta precisa con le mani affondate nelle tasche delle braghe, vagando nel labirinto che costituivano le case tipiche di quel villaggio, basse e pressate le une alle altre.
 
Quella notte il cielo era limpidissimo, di un blu intenso tendente al nero che ricordava il velluto. Era costellato di stelle: riconobbi il Grande e poi il Piccolo Carro, più un altro paio di costellazioni che conoscevo ma di cui mi accorsi di aver totalmente scordato il nome.
 
C’era solo uno spicchio di Luna.
 
Quello spicchio sottile aveva la gobba rivolta verso est, e formava una sorta di C ribaltata, come vista allo specchio. Pochi giorni, e ci sarebbe stata la Luna nuova.
 
Rabbrividii, e distogliendo lo sguardo mi imposi di pensare ad altro. Stavo diventando paranoico: figurarsi se la Luna avrebbe, anch’essa, iniziato ad infastidirmi. Probabilmente erano secoli che non scendeva più sulla Terra. Anzi, era probabile che non l’avesse più fatto, dopo che il pescatore l’aveva delusa.
 
Camminai tra le vie e gli stretti sentieri bui per mezz’ora buona. Col tempo, avevo imparato che quello di passeggiare nel cuore della notte, quando tutti gli altri dormivano, era uno dei pochi metodi efficaci per svuotarmi la mente e rilassare i nervi.
 
Quando rientrai nella locanda, il mio umore era decisamente migliorato. Lanciai un’occhiata distratta al bancone, notando che la coppia di clienti era ancora lì, al suo posto. Salii le scale, diretto alla stanza che dividevo con Kai.
 
Appena arrivato in cima alle scale, non feci in tempo a muovere nemmeno un passo in corridoio che quasi mi scontrai con qualcuno. Indietreggiai di qualche passo, vedendo i bermuda neri ed il petto nudo e riconoscendo in quel qualcuno Ace.
 
«Ciao!» esclamò lui, con un ampio sorriso stampato in faccia.
 
«Ciao» ricambiai con poco entusiasmo.
 
«Come mai sveglio ancora a quest’ora? Credevo fossi stanco» domandò innocentemente lui. Ah, vero, mi ero completamente scordato di aver detto che andavo subito di sopra perché avevo sonno.
 
«Ah, sì, ma sono un po’ insonne, non sono riuscito a dormire» risposi con un sorriso stanco. La solita vecchia scusa che torna sempre utile. «E tu?»
 
«Ho fame» affermò con un ampio sorriso, portandosi una mano alla pancia che, effettivamente ora che ci facevo caso, emetteva dei bassi e prolungati lamenti.
 
Inarcai un sopracciglio. «E cosa ci hai fatto con quel quintale di roba che hai ingurgitato a cena? Anzi, nelle due cene» mi corressi, lanciandogli uno sguardo stranito.
 
Un ampio sogghigno malizioso di dipinse subito sul suo viso «Io-
 
«Fa lo stesso, non lo voglio sapere» lo interruppi subito. Avevo sopportato anche troppo per quella sera, non credevo di poter resistere anche ad Ace. «Torno in camera sperando di riuscire a prendere sonno. ‘Notte.» tagliai corto, sgusciando rapidamente nella mia stanza e chiudendomi la porta alle spalle.
 
Sospirai.
 
Sentendomi realmente stanco, mi sedetti sul bordo del letto, sfilando le scarpe e mandandole a finire in un angolo della stanza. Mi voltai. Al buio, identificai Kai nel fagotto di lenzuola adagiato sull’altro letto. Era perfettamente immobile, ma dubitavo stesse realmente dormendo.
 
L’ennesimo sospiro. Mi spogliai, e con uno sbadiglio mi infilai sotto le coperte. Ero davvero troppo stanco per pensare a come risolvere la questione del tesoro. Ci avrei pensato la mattina seguente.
 
*
 
Qualche ora più tardi ero nuovamente sveglio, a fissare, senza vederlo realmente a causa dell’oscurità, il soffitto, le braccia incrociate dietro la nuca e le lenzuola stropicciate in un fagotto informe ai piedi del letto.
 
Sembrava che a forza di dire agli altri che soffrivo di insonnia, fossi diventato insonne realmente.
 
 Sospirai.
 
La verità, era che semplicemente ero troppo preoccupato per riuscire a dormire.
 
Continuavo a chiedermi cosa avrei detto ad Ace e agli altri e, anche se quando mi ero messo a letto ero crollato addormentato nel giro di pochi minuti, dopo poche ore di sonno – in cui tra l’altro ero stato tormentato da sogni caotici e ingarbugliati, popolati ora da Ace e la sua ciurma, ora da quel demonio di un gatto e da altri demòni ancora più oscuri di cui preferii non ricordare – mi ero svegliato, con un’unica domanda che continuava ad assillarmi: “E ora cosa gli dico?”
 
Sospirai nuovamente, rassegandomi all’evidenza che non sarei riuscito a riposare. Non finchè non avessi risolto quel piccolo problema, almeno.
 
Perciò mi misi seduto, sistemai il cuscino contro la testiera del letto e vi appoggiai la schiena: se la mia unica possibilità era trovare una soluzione per la situazione in cui mi ero cacciato… beh, non avevo altra scelta se non trovarla.
 
*
 
Quando mi svegliai il Sole era già alto nel cielo e la sua luce entrava prepotentemente dalla finestra spalancata, assieme ad una lieve brezza. E quando dico che il Sole era già alto non intendo dire che era sorto da qualche ora: intendo dire che era proprio alto, e che probabilmente era mattina inoltrata o, addirittura, primo pomeriggio.
 
Con una smorfia irritata mi passai una mano tra i capelli, levandomeli da davanti gli occhi, e constatai che non solo avevo passato in bianco buona parte della notte e dormito poi tutta la mattina, ma che avevo anche una forte e fastidiosa emicrania. E stavo morendo di fame.
 
Calciai le coperte in fondo ai piedi, e feci scivolare le gambe giù dal letto. Non mi stupii di non vedere Kai nella stanza.
 
Inutile dire, che fossi di pessimo umore.
 
Dopo una lunga  tappa al bagno – se non altro l’acqua gelida della doccia fu utile a lavare via gli ultimi residui di sonno – mi vestii svogliatamente e, uscito dalla mia stanza, mi diressi al piano di sotto. Tutto ciò che volevo in quel momento era che Ace e quegli altri tizi che aveva il coraggio di chiamare “ciurma” non ne avessero combinata una delle loro. Visto il mio umore a dir poco pessimo, non ero certo di essere in grado di trattenermi dal farli a fette nel caso si fossero messi nei pasticci. Per essere chiari, non che fosse affar mio se si mettevano o meno nei guai, ma di tempo da perdere proprio non ne avevo, e avrei gradito che la mia emicrania non peggiorasse.
 
E poi, volevo risolvere la questione del tesoro il prima possibile.
 
Incredibile a dirsi, ma fui fortunato: quando arrivai di sotto trovai che la ciurma al completo era seduta a tavola, impegnata a divorare il pranzo in maniera a dir poco famelica.
 
Vedendoli, tirai un sospiro di sollievo. Forse, dopotutto, la fortuna stava girando, e non sarebbe andata poi così male.
 
Mi andai ad unire a loro, sedendomi al tavolo sussurrando uno svogliato “buongiorno”. Gli uomini ricambiarono il saluto, e nessuno di loro sembrò particolarmente colpito dal fatto che avessi dormito tutta la mattina. Meglio così, mi sarei sentito monotono a tirare ancora in ballo la scusa dell’insonnia, e mi sarei anche sentito un  po’ stupido nel dover aggiungere che poi mi ero incredibilmente addormentato con il sorgere del Sole e che avevo tirato dritto tutta la mattina.
 
Chiamai l’oste, ordinando a mia volta il pranzo.
 
Quando ebbi finito, se non altro, il mal di testa si era alleviato ed io mi sentivo già un po’ meglio, nonostante il chiasso che riuscivano a fare gli uomini di Ace e il loro rivoltante modo di abbuffarsi.
 
«Cosa facciamo, ora?» domandò ad un tratto Mikami guardando con aria curiosa Ace, che dal canto suo era scompostamente seduto sulla sedia – quasi più sdraiato che seduto – e, con gli occhi a mezz’asta, sembrava sul punto di addormentarsi da un momento all’altro. A quelle parole sembrò riscuotersi, si sistemò meglio sulla sedia e fece spallucce. «Quello che vogliamo. Anche se fossimo fortunati, la nave non sarebbe pronta prima di domani o dopodomani. Perciò, nel frattempo possiamo fare tutto ciò che ne abbiamo voglia » concluse con un sorriso sghembo.
 
«In questo caso, io ne approfitto per fare un giro» disse subito Jon, alzandosi da tavola. «Dì la verità, vai in cerca di ragazze! O forse le hai già trovate?» lo stuzzicò Ace con un sorriso dispettoso. Il ragazzo gli lanciò uno sguardo privo di interesse. «Fatti i fatti tuoi. E quasi dimenticavo: tu e lei non potete andare in giro soli per nessuna ragione. Capito? Nessuna! O ci toccherà passare tutto il resto del giorno a cercarvi.» Ace si grattò la nuca ridacchiando, promettendo a Jon che lui e Mikami sarebbero stati attenti a non perdersi.
 
Inarcai un sopracciglio. Fossi stato io al posto di Ace,  non avrei tollerato una tale mancanza di rispetto da parte di un mio subordinato. Del resto, c’era da dire che nella ciurma – no, anzi, non ciurma, famiglia, come piaceva dire a loro – di Barbabianca di cose che andassero nel verso giusto ce n’erano ben poche. Quindi non mi stupii più di tanto di fronte alle risate di Ace.
 
«Allora io tornerò alla nave, a vedere come procedono i lavori e come stanno Gary e Igor » decise Robert suscitando l’approvazione di Ace, che annuì vigorosamente.
 
Sentii gli occhi di Kai indugiare su di me, in una domanda muta che, se fosse stata espressa a parole, avrebbe suonato pressappoco così:”E dove andiamo noi?”
 
La mia mente si mise subito in moto.
 
Avrei preferito parlare con Ace della faccenda del tesoro da solo, ma sembrava che fosse pressoché impossibile separarlo da Mikami. Temevo mi sarei dovuto accontentare di essere riuscito a levarmi di torno il resto della ciurma, il che era sempre meglio che niente.
 
Inspirai profondamente e mi rivolsi ad Ace, stampandomi sulle labbra un sorriso cortese. «Io e Kai verremo con voi, così potrete visitare l’isola evitando di perdervi.»
 
Tra noi calò il silenzio più completo.
 
 Tre paia di occhi spalancati ed attoniti si fissarono sulla mia persona, ma il mio sorriso non si incrinò nemmeno di mezzo millimetro.
 
Il primo a riprendersi fu Kai che, intuendo a cosa stessi pensando, tornò presto ad esibire la sua espressione serena e pacata. Anche Ace si destò in fretta, sfoderando uno dei suoi sorrisi a trentadue denti e dichiarandosi d’accordo. Solo Mikami continuò a fissarmi con espressione sbigottita.
 
Le rivolsi uno smagliante ed innocente sorriso, alzandomi da tavola. «Bene allora, possiamo andare.»
 
Anche gli altri si alzarono, e qualche minuto dopo eravamo già fuori dalla locanda. Ace si era subito messo a vagare senza meta tra case del villaggio, diretto chissà dove, con Mikami che gli trotterellava dietro come un cagnolino – facendo del suo meglio per ignorarmi – ed io e Kai che li seguivamo ad un paio di metri di distanza.
 
La mia mente era occupata da un unico ingombrante pensiero: il tesoro.
 
Accelerai il passo e mi portai al fianco di Ace, guadagnandomi un occhiataccia da Mikami, deciso a risolvere la questione il prima possibile.
 
«Ace, ricordi il vecchio di ieri sera e la sua leggenda?» domandai con noncuranza, continuando a sorridere pacatamente, le mani affondate nelle tasche delle braghe. «Certo, quello un po’ svitato che continuava a parlare della Luna e di un tesoro» confermò il pirata, osservando con vivo interesse una bancarella che vendeva calamari fritti e prestandomi ben poca attenzione. «Sì. Beh, non era poi così svitato come sembrava» iniziai a dire, senza però riuscire ad interessarlo più di quanto facessero i calamari che sfrigolavano nell’olio. Sembrava invece che le mie parole avessero attirato l’attenzione di Mikami che, pur fingendo disinteresse, mi sbirciava di sottecchi.
 
Iniziai ad irritarmi, non mi stava affatto rendendo le cose facili.
 
«Il tesoro di cui parlava il vecchio è il One Piece» dissi senza preavviso.
 
A quelle parole, finalmente gli occhi neri del pirata scattarono verso i miei, e lui si fece attento. Anche Mikami smise di fingere, e mi rivolse uno sguardo diretto ed apertamente esterrefatto.
 
«Cioè, non esattamente. Il tesoro che stiamo cercando, e che avevo detto essere il One Piece, è in realtà il tesoro di cui parlava quel vecchio ieri sera» mi spiegai, ora che finalmente ero riuscito a destare l’attenzione di Ace.
 
Il comandante di Barbabianca rimase immobile, a fissarmi con gli occhi spalancati e la bocca aperta, completamente spiazzato, mentre l’espressione di Mikami al suo fianco si faceva scura e minacciosa.
 
Era incredibile constatare quanto fossero diversi l’uno dall’altra.
 
Di ciò che avevo detto, l’unico messaggio che aveva recepito Mikami era stato che io avessi mentito e li avessi presi in giro, ed aveva reagito di conseguenza preparandosi, senza tanti giri di parole, ad attaccarmi così, su due piedi, mentre la consapevolezza di essere stato raggirato non aveva nemmeno sfiorato Ace, che stava probabilmente cercando di metabolizzare la scoperta che il tesoro che stava inseguendo non era il One Piece, il tesoro più famoso di tutti i mari, ma un altro strano tesoro di cui prima della sera precedente non aveva mai sentito parlare.
 
«C-come…?» balbettò Ace, incredulo.
 
«E’ stato un mio errore, una svista. Il tesoro a cui stiamo dando la caccia, la Vita Eterna, è il Tesoro della Luna, non il One Piece» ripetei lentamente, continuando a sorridere imperturbabile.
 
Mentre Ace cercava ancora di assimilare le informazioni ricevute, Mikami sembrava diventare sempre più tesa e nervosa di secondo in secondo, tanto che mi sembrava quasi di riuscire a sentire il digrignare dei suoi denti.
 
Non fu facile trattenermi dal provocarla ulteriormente e mettere mano alle spade.
 
Mi sforzai di evitare a tutti i costi che i miei occhi incontrassero i suoi: azzuffarmi con lei era l’ultima cosa di cui avevo bisogno.
 
«Perchè?» domandò Ace. Si era fatto serio, e sembrava aver infine realizzato che avessi giocato sporco.
 
Ahah, “perché”. Ora sì che arrivava la parte difficile.
 
Mi sforzai di continuare a sorridere e di fare in modo che niente perturbasse la mia espressione serena, comportandomi come se stessi parlando di una cosa frivola e priva di alcun interesse od importanza.
 
«Le mie informazioni non erano precise al cento per cento, non sapevo con certezza se il tesoro in questione fosse o meno il One Piece. Però sapevo per certo dove si trovasse e in cosa consistesse, e ho creduto che si trattasse del One Piece perché… voglio dire, il One Piece è il tesoro dei tesori, qualcosa di estremamente raro ed importante, e cosa ci può essere di più importante della Vita Eterna? Ma ieri sera, sentendo parlare quell’uomo, mi sono reso conto che ciò che lui stava raccontando sul Tesoro della Luna combaciava perfettamente – beh, quasi – con le informazioni che avevo raccolto io, e mi sono così reso conto che dovevo essermi sbagliato, e che non era il One Piece il tesoro a cui stavamo dando la caccia, ma quello della Luna.»
 
Osservai la reazione di Ace, trattenendo il respiro.
 
Gli occhi del pirata si erano fatti scuri ed impenetrabili, e quando parlò il suo tono era duro e freddo. «Perché non me l’hai detto prima?»
 
Oh, questa era una domanda facile, a cui avrei potuto rispondere altrettanto facilmente. «Temevo che se ti avessi detto che non ero certo di alcune delle mie informazioni, tu avresti deciso di non partire.» Pronunciando quelle parole, mi sforzai di mettere da parte l’orgoglio ed esibire un sorriso colpevole e un aria dispiaciuta.
 
Ace rimase in silenzio, soppesando le mie parole, gli occhi ridotti a due fessure affilate e le labbra contratte in una linea dura. Mi rendevo conto che non fosse un buon segno, tuttavia una parte di me stava quasi esultando: almeno, ora, avevo visto il vero Portgas D. Ace, l’uomo da 550.000.000 Berry considerato dalla Marina uno dei ricercati più pericolosi, Pugno di Fuoco, e non il ragazzino coperto di lentiggini che giocava a fare il pirata e rideva tutto il giorno.
 
«E perché ti interessa così tanto arrivare a questo tesoro?»
 
Mi voltai, stupito nel sentire la voce di Mikami.
 
Non ci voleva un genio per capire che non stesse aspettando altro che una qualsiasi scusa per saltarmi alla gola e, del resto, fossimo stati in una situazione diversa, certo io non mi sarei fatto pregare. Gliela avrei servita ben volentieri su un piatto d’argento, la sua preziosa scusa.
 
Ma di nuovo, mi trattenni. Sapevo di dover stare molto attento a ciò che avrei risposto, una sola frase sbagliata avrebbe potuto mandare tutto in fumo. E allora sì, che sarebbe stata la fine.
 
Smisi di sorridere e mi feci serio. «Non sono così stupido da credere di poter diventare il Re dei pirati. Ma posso aiutare Barbabianca a diventarlo: se fossi io a portarvi al tesoro, chiunque nei quattro mari imparerebbe a conoscere il mio nome. E se anche il tesoro a cui vi porto non è il One Piece… credo che anche un tesoro come la Vita Eterna potrebbe valere un posto nella storia della pirateria.»
 
Tra tutte le menzogne che avevo detto, questa mi risultò essere una delle più difficili da pronunciare.
 
Fama e ricchezza non avrebbero potuto interessarmi meno di così, e dover dire che erano quelli i veri motivi che mi spingevano ad agire mi lasciava l’amaro in bocca. Era stato un duro colpo tanto per il mio orgoglio quanto per il mio onore, ma quando ci avevo pensato la notte precedente era stata l’unica scusa plausibile che mi era venuta in mente. Per quanto mi facesse ribrezzo, credevo davvero che avrebbe potuto funzionare.
 
E infatti, Mikami sembrò soddisfatta di udire quelle parole.
 
E perché non avrebbe dovuto esserlo? Dopotutto a lei interessava soltanto trovare delle prove che attestassero il fatto che io fossi, come lei chiaramente pensava, una persona meschina e senza scrupoli. Perché quindi non essere soddisfatta, se io stesso mi dichiaravo tale davanti a lei ed Ace?
 
Era profondamente irritante, ma era stata l’unica soluzione che avevo trovato.
 
Mikami emise un suono brusco, una via di mezzo tra uno sbuffo e un ringhio, e distolse con una smorfia di ribrezzo i suoi occhi dai miei. Contrassi le dita, affondate nelle tasche delle braghe, sforzandomi di evitare che ciò che provavo si riflettesse nella mia espressione. Se avesse saputo ciò che sapevo io, forse si sarebbe comportata diversamente.
…O, forse, no. Ma alla fine, ciò che lei pensava di me non importava, non aveva la minima importanza.
 
Dovevo rimanere calmo e concentrato.
 
Spostai lo sguardo su Ace. Anche lui sembrava essersi lasciato convincere da ciò che avevo appena detto, ed il suo sguardo, ancora serio, si era fatto però un po’ meno duro.
 
«C’è altro di cui dovrei essere informato?» chiese, con voce misurata e pacata.
 
«No», risposi senza esitazione. “Sì”, sarebbe stata invece la risposta più sincera.
 
Ace sospirò e, scuotendo la testa, incrociò le braccia sul petto, mentre perdeva quell’espressione seria e tornava ad essere un ragazzino che gioca a fare il pirata.
 
…Era fatta?
 
«Beh, ormai che siamo qui, sarebbe proprio da stupidi tornare indietro. E poi, effettivamente, la Vita Eterna, anche se non è il One Piece, non è cosa da poco» commentò, mentre un sorrisetto dispettoso affiorava sulle sue labbra.
 
Oh. Allora era davvero fatta. Dopotutto, era stato anche più semplice del previsto. Mi lasciai andare ad un sorriso sincero. «Sono felice che tu non te la sia presa troppo. Scusa. E grazie.» … dopotutto, visto la piega che avevano preso le cose, potevo anche concedergli un po’ di gratitudine e gentilezza.
 
«Non c’è problema. Ma la prossima volta, gradirei che mi dicessi tutto quello che sai, senza omettere nulla» disse sorridendo, con una punta di rimprovero negli occhi neri.
 
Annuii in risposta al suo avvertimento. «Sì. E a proposito di questo, c’è un’altra cosa che devo dire, riguardo il fatto che ciò che so non corrisponde alla perfezione con ciò che ci ha raccontato il vecchio.»
 
Ace inarcò un sopracciglio, perplesso e lievemente sospettoso, mentre Mikami mi lanciava uno sguardo torvo. Quanto meno, aveva smesso di ringhiare.
 
«Non ti preoccupare, non è nulla di così importante, si tratta solo della leggenda» mi affrettai a rassicurarlo con un sorriso.
 
«Oh» commento solo Ace, stupito, mentre Mikami sembrava perdere interesse e distoglieva lo sguardo irritata.
 
«Se non vi interessa non ve la racconto, tanto non è di importanza fondamentale» dissi, incrociando le braccia sul petto. «No, a me interessa» rispose Ace. Lanciò un’ultima occhiata alla bancarella con i calamari e si allontanò, andandosi a sedere su una panchina a qualche metro di distanza, lontano da orecchie indiscrete. Lo seguii. Kai e Mikami fecero lo stesso, il primo andando ad appoggiare la schiena contro il muro di una casa lì vicino e la seconda sedendosi al fianco di Ace, con fare apertamente scocciato.
 
«Allora…» esordii, sistemandomi di fronte ai due pirati e fissando i miei occhi in quelli incuriositi di Ace. «La leggenda narra che la Luna si innamorò di un pescatore, e si dice che lo amasse a tal punto da volergli offrire la Vita Eterna, cosicché il loro amore potesse essere per sempre. Ma questo già lo sapete.
Si sa, la Luna rappresenta il principio femminile, mutevole e capricciosa: volle mettere alla prova il pescatore, volle assicurarsi che fosse degno del suo amore: tre sarebbero state le prove per lui da affrontare. Ma sapete già anche questo. Ora, quel vecchio ieri sera ha detto che il pescatore riuscì a superare le prove, ma ha sbagliato: non fu così che andarono le cose, ed è quello che sto per raccontarvi ora ciò che ancora non sapete.
La prima prova a cui la Luna sottopose il pescatore fu una prova di coraggio, volta ad assicurarsi che l’uomo non sarebbe fuggito davanti alle difficoltà che il loro amore avrebbe inevitabilmente incontrato: egli avrebbe dovuto passare tutta la notte in mare nel buio più completo, affrontando, completamente solo, l’oceano e le creature che in esso abitano. Fu una prova dura e pericolosa, ma il pescatore era un uomo forte e riuscì a superarla, ottenendo come premio uno speciale amuleto che gli avrebbe permesso di illuminare anche le tenebre più buie.
Venne poi la seconda prova. Era una prova di determinazione: il pescatore avrebbe dovuto contare tutte le stelle che erano nel cielo, per dimostrare alla Luna di essere davvero sicuro dei sentimenti che provava per lei. Anche quella volta, con infinita pazienza e volontà d’acciaio, il pescatore riuscì a farcela. Come premio per l’impresa riuscita, ricevette in dono una chiave capace di adattarsi a qualunque serratura e aprire qualunque cosa, compreso lo scrigno contente il tesoro.
Quindi, rimase soltanto la terza prova da superare. La Luna rassicurò il pescatore, dicendogli che, visto ciò che aveva passato con le prove precedenti, quella sarebbe stata per lui una passeggiata. Tutto ciò che l’uomo avrebbe dovuto fare per superarla, sarebbe stato dire quale, fra tutte le cose esistenti al mondo, era per lui la più importante. La Luna, ovviamente, si aspettava di sentirsi rispondere “tu” e così, quando non fu quella la parola che sentì uscire dalle labbra del pescatore, avvampò di rabbia, tingendosi completamente di rosso. La risposta che gli diede il pescatore fu “la felicità”… Beh, a volerla dire tutta, si dice che il pescatore fallì l’ultima prova soltanto a causa di un incomprensione con la Luna: la leggenda vuole che lui avesse risposto “felicità” spiegando poi che l’unico modo che aveva per essere felice era stare con la Luna ma ella, furibonda, non lo era più stata a sentire.» Mi sfuggì una smorfia per i risvolti sdolcinati che includeva quella leggenda e, dopo un profondo sospiro, ripresi a raccontare. «Ad ogni modo, qualunque cosa avesse inteso o detto il pescatore, il risultato fu uno solo: la prova non venne superata. Così la Luna, furibonda e delusa, se ne tornò in cielo, e non volle più saperne nulla di lui.
Ma la leggenda non finisce qui. Perché una stella, ancella della Luna, si era a sua volta innamorata del pescatore.
I due si erano incontrati alla vigilia della prima prova e poi prima di ogni prova successiva, quando ella si presentava al pescatore in vece della Luna e gli spiegava cosa avrebbe dovuto fare per riuscire nell’impresa. Ciò era necessario perché la Luna era troppo importante, e solo una volta ogni mese, con la Luna Nuova, le era permesso lasciare il cielo, e quindi soltanto in quell’occasione poteva recarsi di persona sulla Terra.
Come dicevo, anche quella stella si innamorò del pescatore e, ritenendo inutili le prove a cui lo aveva sottoposto la Luna, decise che gli avrebbe concesso la Vita Eterna. Così sottrasse alla Luna, mentre essa dormiva, un pezzetto di Pietra Filosofale, con il quale sarebbe riuscita ad ottenere che il pescatore potesse vivere per sempre al suo fianco. Quindi, diede appuntamento all’uomo in una caverna in riva al mare in una notte di Plenilunio: in quel momento, la Luna non avrebbe in nessun modo potuto lasciare il cielo per intervenire perché, se lo avesse fatto, tutti si sarebbero accorti della sua assenza, e non avrebbe nemmeno potuto vedere i due innamorati al riparo nella grotta.
Ma fu tutto inutile: le altre stelle, invidiose dell’amore della sorella, riferirono tutto alla Luna.
Ella quindi decise di vendicarsi, e quella notte mandò sulla terra due pericolose creature al suo servizio: la malvagia Lilith e la dolce Selene» feci una breve pausa.
 
Non potei fare a meno di sorridere, iniziando a raccontare la parte che di tutta la leggenda mi piaceva maggiormente. «La punizione che la Luna avrebbe inflitto ai due amanti sarebbe stata terribile. Lilith e Selene trovarono la grotta in cui i due si erano dati appuntamento e ve li intrappolarono: Lilith torturò ed uccise il pescatore davanti alla povera stella impotente. Inoltre la stella, essendo immortale, venne condannata a rimanere per sempre in quella grotta, bloccata dalla alta marea con la sola compagnia di Selene, finchè la Luna non avesse deciso di perdonarla e l’avesse liberata riammettendola in cielo. In realtà, il piano di vendetta della Luna, almeno in parte, fallì. Infatti la stella, assistendo alla morte del pescatore, soffrì così tanto che la sua luce si spense e lei morì.» Trassi un profondo respiro. 
 
«La Luna poi, impegnata com’era a governare le altre stelle, illuminare le strade dei viandanti e splendere la notte sui volti degli innamorati, si dimenticò dell’intera faccenda, del pescatore, della stella, di Lilith e Selene, e anche del frammento di Pietra Filosofale che la stella aveva ancora con sé. »
 
Sogghignai «Si dice che Lilith e Selene siano ancora in quella grotta, la prima a vegliare sulle ossa del pescatore e la seconda ad accudire la povera stella morta, pettinandole i capelli e lisciandole gli abiti. Ma è solo una leggenda, una storia per bambini» conclusi con un sospiro.
 
«E’ un bel po’ diversa da come l’abbiamo sentita raccontare ieri sera» commentò Ace, grattandosi la nuca perplesso. «Sei sicuro di quello che ci hai raccontato?» chiese, e non potei non notare che la sua voce aveva assunto un tono sospettoso. Certo non era qualcosa di cui avrei potuto lamentarmi, dopo aver scoperto la mia menzogna un po’ di diffidenza nei miei confronti era una reazione perfettamente normale.
 
«Sì, certissimo.»
 
Tuttavia, Ace non sembrò esserne molto convinto. «Ma che importa? Alla fine è solo una leggenda. Tu e il vecchio concordate sul luogo nel quale è nascosto il tesoro, ed è questo ciò che conta» decise con una scrollata di spalle. «Dove hai trovato le tue informazioni?»
 
Quella domanda inaspettata mi raggelò il sangue. Per quella, non avevo una scusa pronta. Cercai di non dare a vedere la mia agitazione e mi sforzai di stendere le labbra in un sorriso, sperando che ciò che avrei inventato sul momento sarebbe risultato credibile. «Ho fatto delle ricerche. Ho viaggiato molto e fatto molte domande, e alla fine ho messo insieme i pezzi.»
 
Ace si sfregò il mento, pensieroso. Trattenni il respiro. «Capisco… Visto che non abbiamo nulla da fare, potremmo metterci alla ricerca del vecchio di ieri sera e fargli altre domande in proposito.»
 
Annuii deciso, rilassando i muscoli: sembrava che, almeno per quel momento, Ace non mi avrebbe fatto altre domande.
 
«Allora torniamo alla locanda. Aspettiamo che tornino anche Jon e Robert, gli spieghiamo la situazione e andiamo tutti a cercare il vecchietto» decise Ace, alzandosi. Si stiracchiò, allungando le braccia oltre la testa, e si mise in marcia verso sud-est, subito seguito da Mikami, che teneva ancora il broncio.
 
Lo richiamai. «Ace… la locanda è dall’altra parte.»
 
*
 
Un paio di ore dopo era tornato anche Jon, e la ciurma era stata nuovamente al completo. Ace, che aveva già spiegato tutto a Robert arrivato mezz’ora prima, ripetè tutto anche a Jon il quale, quando seppe della mia “svista” riguardo al One Piece, commentò con un “che bastardo” diretto nella mia direzione, ma non sembrò essere particolarmente colpito da quella notizia.
 
Quindi, quando tutti furono al corrente della situazione, Ace decise di dividerci in due gruppi per perlustrare più velocemente l’isola, dal momento che né l’oste né gli avventori della locanda erano stati in grado di dirci dove avremmo potuto trovare il vecchio: io e Kai saremmo andati a nord con Robert, mentre lui e Mikami sarebbero andati a sud con Jon.
 
«Ci troviamo di nuovo qui tra due ore. Buona fortuna!» esclamò Ace al momento di dividerci, imboccando assieme agli altri due ragazzi una stretta via sterrata. «A dopo» risposi, avviandomi assieme a Kai e Robert nella direzione opposta.
 
Vagammo tra le vie quasi deserte per una buona mezz’ora, senza riuscire a trovare nulla. In realtà non mi sarei stupito se, allo scadere delle due ore, fossimo stati punto e a capo, senza aver trovato nessun vecchio: temevo di aver prematuramente esaurito la mia dose di fortuna quotidiana. “Ma mai dire mai” pensai tra me e me, continuando a camminare.
 
Sbucando da una vietta laterale iniziammo a percorre una delle strade principali del villaggio, quando un insolito trambusto attrasse la nostra attenzione.
 
Mi arrestai e tesi le orecchie, guardandomi intorno e cercando di capire da dove provenisse quel suono. Mi voltai verso destra localizzando in un viale sterrato, per buona parte nascosto dietro un folto gruppo di case, quella che sembrava essere la fonte degli scalpiccii concitati e delle grida brusche.
 
Dopo pochi secondi una ventina di uomini sbucarono da quella via precipitandosi sulla strada principale, simili ad un nugolo di insetti sul miele. Erano armati con fucili e katana e la loro uniforme, bianca come la neve e ornata di blu, li identificava senza alcuna possibilità di errore: marines.
 
Rimasi agghiacciato di fronte a quella vista, e per un attimo il mio cuore smise di battere. Ma ripresi velocemente il controllo, appena in tempo per fermare Robert che sembrava sul punto di mettersi a fuggire da un momento all’altro. Lo afferrai per il colletto della maglia senza tante cerimonie, tirandomelo vicino. «Cosa credi di fare?» sibilai, «mettersi a fuggire è il modo migliore per farsi inseguire. Tu non sei nessuno, e nemmeno io e Kai lo siamo: comportati normalmente, e nessuno verrà ad infastidirci.» Mentre parlavo ripresi a camminare, sforzandomi di ostentare calma e tranquillità, costringendo anche il ragazzo a fare lo stesso. Anche Kai continuò a camminare e, come sempre, sembrava essere il più calmo di tutti, solo lo sguardo freddo e attento che aveva negli occhi rivelava il suo reale stato d’animo.
 
«Dobbiamo correre da Ace! Saranno qui per lui, dobbiamo avvertirlo!» protestò debolmente Robert, che ancora tenevo per il colletto.
 
Sapevo che probabilmente aveva ragione. Quella su cui ci trovavamo era un isola priva di alcuna importanza, e le probabilità che lì si trovasse anche un altro ricercato non erano molto elevate.
 
Sbirciando alle mie spalle, notai che il numero dei marines era salito. Ad occhi e croce, ora, sembravano essere una cinquantina, e continuavano ad arrivarne.
 
Già, dubitavo che un tale dispiego di forze della Marina, proprio mentre noi ci trovavamo su quell’isola, fosse un caso. Era vero che Ace aveva sempre tenuto in dosso la camicia che nascondeva la Jolly Roger, eppure… Un flash mi lampeggiò davanti agli occhi: rividi la sera precedente quando, mentre tornavo in camera dopo la passeggiata notturna, mi ero quasi scontrato contro Ace che andava a fare uno spuntino. E ricordai che era a dorso nudo, e che alla locanda, oltre all’oste, c’erano almeno un paio di clienti. Possibile che…?
 
I miei pensieri vennero bruscamente interrotti dall’aumentare d’intensità delle grida dei marines alle nostre spalle.
 
Mi imposi di non voltarmi a guardare, ma tesi le orecchie cercando di capire cosa stessero dicendo.
 
All’inizio, le voci erano lontane e confuse, accavallate una sull’altra, ma nel giro di pochi secondi si fecero sensibilmente più vicine, ed io riuscii distintamente a capire cosa stessero dicendo. “Sono loro!” e “Sono quelli che erano con Pugno di Fuoco!”, e poi ancora “Prendeteli vivi, dobbiamo farci dire dov’è Portgas!”, e un infinità di altre frasi simili.
 
Lasciai bruscamente andare Robert che si voltò nella direzione dei marines, titubante, indeciso se affrontarli o fuggire, e rivolsi un’eloquente occhiata a Kai, che non aspettava altro che un mio segno: estrasse i coltelli, e si voltò fronteggiando a sua volta il nemico.
 
Un sibilo acuto, ed anche io estrassi i kriss, impugnandoli saldamente in mano.
 
Forse la fortuna non era stata dalla nostra parte, ma mi consolai pensando che, se non altro, fare a fette qualche marines mi avrebbe liberato dallo stress che avevo accumulato negli ultimi giorni, e nell’ultimo in particolare. Forse era vero che non tutto il male veniva per nuocere, dopotutto, e certo quegli uomini per me non rappresentavano una vera minaccia.
 
Dovetti ricredermi molto in fretta: una scia di denso fumo bianco venne lanciata nella mia direzione e fu solo miracolosamente e per pochi, preziosissimi centimetri, che riuscii ad evitare il pugno che si trovava all’estremità di tale scia.
 
Un brivido freddo mi percorse la schiena, quando alzando lo sguardo incontrai l’uomo che aveva lanciato quell’attacco.
 
Solo allora mi resi conto che la fortuna mi aveva davvero voltato le spalle.
 
   
 Spazio autrice:
Scusate l'enorme, immane, immenso ritardo >_< Sapevo che avrei potuto tardare un po' nell'aggiornamento, ma davvero non credevo così tanto... scrivere due storie insieme non fa proprio per me, non so cosa mi sia venuto in mente, in più con le lezioni che sono ricominciate ho molto meno tempo libero di prima -.-
A mia discolpa posso solo dire che questo capitolo, tra una cosa e l'altra, è diventato chilometrico (quasi il doppio dei primi!), la prossima volta lo faccio più corto così riesco anche ad essere un po' più puntuale forse -.- Ma sfogo a parte... No, stavolta sono esaurita dal capitolo, non ho niente da dire, lascio la parola a voi ^^'
Prometto che cercherò di aggiornare in tempo utile prossimamente, a prestooo! :*
  
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