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Autore: Yuchimiki    20/10/2013    1 recensioni
"E quando intendi fare tutto ciò?" Lo guardò incerta, con lo sguardo di chi non capisce.
"Come quando?" Arruffò le ali.
"..."
"Il tempo non conta e il mio si è fermato da tanto. Anzi, non è mai partito." Si strappò una manciata di piume, osservando come ricrescevano, non provando alcun dolore. Ne aveva dimenticato il sapore.
"Il tempo non conta." Se non lo conoscesse, avrebbe giurato che si era offeso.
"Non per me."
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mephisto Pheles, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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MOCHI

Capitolo 3 – Io odio il Giappone



 


Delle volte capita che agiamo in modi impensabili, totalmente fuori carattere.
Alcuni dicono che lo fanno per cambiare, altri perché sembra la cosa giusta da fare.
La verità è che fare scelte totalmente illogiche è parte della nostra natura di esseri senzienti.
Delle volte fare un salto è ciò che serve.
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Al lavoro dicevano tutti che fumare faceva male.
 
Il capo, non aspettandosi che avesse quel vizio, la prima volta che aveva visto i rivoli di fumo uscire dalla sua bocca era rientrato nelle cucine, nonostante fosse appena uscito. Aveva sempre saputo che era un po’ strano, ma lo stipendio era ottimo, perciò non si lamentava.
I colleghi, convinti che fosse successo qualcosa di terribile, narravano allegramente che una bella bevuta sarebbe stata un toccasana.
Era sì una cosa normale adoperarlo in cucina, ma di certo se c’era una cosa che detestava più del fumo era l’alcool.

Tuttavia non vedeva dove fosse il problema.
Era puntuale, veniva addirittura in anticipo, cosa degna di nota date le sue attività notturne, dava il massimo per rendere felici i palati dei clienti e per di più non aggrediva verbalmente nessuno, anche se ne aveva tutte le ragioni…

… chi cerco di prendere in giro.

Non avrebbe mai ammesso di aver fumato tre pacchetti di sigarette il giorno prima.
Venti sigarette per pacchetto.
Sessanta sigarette.  
Una sigaretta ogni 1440 secondi, 24 minuti o 0,4 ore.
La cosa si sta facendo seria.

A dispetto di tutta quella questione, la domanda del giorno era un’altra.
Perché aveva acconsentito a ritornare in quel posto dimenticato da dio?
La risposta in un primo momento fu: la paga. Eppure non poteva essere solo quello.
Decidendo che era inutile ponderare sulla questione, mise da parte l’argomento per un secondo momento.

Continuava a dirsi che erano inutili le loro preoccupazioni, ma la verità era che prima di partire aveva comprato quattro pacchetti.
E sono già a metà del secondo.

Erano passate due settimane dalla morte di Shiro.
Solo entrare in quella dannata città era stomachevole. L’unico sollievo era di non mangiato durante il volo, altrimenti avrebbe dovuto comprarsi un nuovo paio di scarpe e quelle che aveva addosso erano il suo paio preferito.

Non sapendo come orientarsi nella citta della Vera Croce, aveva chiamato un tassista con il preciso scopo di arrivare all’accademia in tempo e preferibilmente di buon umore. Inutile dire che, come tutti gli altri prima di lui, la prima cosa che vide fu la sigaretta.
Stava diventando irritante.

Sapendo che ad attenderli ci sarebbero stati circa cinquanta minuti di viaggio (era ora di punta da quelle parti), il tassista accese la radio su un canale di musica classica, preferendo farsi i cavoli propri, nonostante si fosse dimostrato molto cordiale.
Doveva aver visto che l’irritazione usciva da tutti i pori del suo corpo.

Tornando alla questione della giornata, due giorni prima Faust aveva deciso di usufruire della proposta, offrendo ad Agi un posto di lavoro alla propria accademia.
Tutt’ora non sapeva cosa farsene di quell’invito. Chiunque altro avrebbe reagito facendo salti di gioia, cantando, o qualunque cosa si facesse in quei casi.
Ciò nonostante, l’atteggiamento allegro, quasi menefreghista su certi livelli, per non parlare di snervante, dello spilungone suscitava solo un certo fastidio. Nessuno chiama solo per me, cosa mi aspettavo? Che Shiro tornasse miracolosamente in vita?

Non sapendo che altro fare, cominciò a battere leggermente il piede sul pavimento dell’auto. Era una situazione mai affrontata prima, cosa fare?

Quell’assillo annebbiò a tal punto la sua mente che neanche si accorse quando arrivarono. Imprecò sottovoce in una lingua che il tassista non comprese, scendendo dall’auto.
Ringraziò l’uomo, pagandolo più di quanto avesse chiesto, e lo istruì su dove dovesse portare le valige che aveva deciso di portarsi dietro. Era più che probabile che decidesse di rimanere.
Chi compra un appartamento se non è certo che rimarrà?

La sua ultima richiesta fu il suo numero, perché non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto a raggiungere l’appartamento per conto proprio.

Quando la macchina partì, si concesse finalmente un primo sguardo sull’Accademia della Vera Croce.
I modi pomposi del suo preside si riflettevano sull’architettura del posto; certo, era spettacolare, dotata probabilmente di strumenti all’avanguardia e quella roba di cui ai professori piaceva tanto vantarsi, uno dei posti più fastosi che avesse visto.
Si rassegnò al fatto che probabilmente sarebbe stata la sua nuova casa, perciò non poteva lamentarsi. E poi cosa era tutta quell’incertezza che sentiva dentro? Si schiaffeggiò mentalmente, vergognandosi di tale comportamento.
Non veniva certo a combattere una guerra, ma solo per invito del capo di quel posto, un invito a lavorarci!

Si accese una sigaretta, inspirando profondamente. Quella situazione aveva del ridicolo.

Non volendosi ridicolizzare oltre, varcò il cancello.
Un guardiano domandò chi fosse non appena lo fece. Certo che erano efficienti da quelle parti.
“Ho un appuntamento con il signor Faust.” L’uomo portava una divisa nera e aveva la testa piena di riccioli biondi; portava anche un bel paio di occhiali da vista, di quelli che non si vedevano in giro spesso.
“Devo avvertirlo del suo arrivo, signor…” Ma che carino, era impacciato.
“Agi Ruze. Non si scomodi, sono certo che non sia necessario.” Per qualche motivo aveva il presentimento che, non appena avesse messo piede in città il pagliaccio già lo sapesse. Perché sprecare energie per dirgli qualcosa che già sapeva? Ma poteva sbagliarsi, dopotutto era solo un presentimento.
“Se le sta più comodo… le auguro una buona giornata.” Con la storia del presentimento poteva benissimo affermare che quel biondino fosse un professore e sbagliarsi completamente.

“Anche a lei.” Così com’era apparso, se ne andò.
Si incamminò verso la sua destinazione, assaporando la quiete.
A quell’ora non c’era anima viva. Le lezioni erano iniziate da una settimana, quindi se la prese comoda, per così dire.
 
Vedere tante zone verdi e alberi sul suo tragitto fu una piacevole sorpresa, non si aspettava che le strutture si integrassero così bene con la natura. Forse il suo soggiorno non sarebbe stato così da incubo come se l’era immaginato in un primo momento.
Proprio non riusciva a farselo piacere quel paese.

Camminando ebbe tutto il tempo di riflettere su quell’inquietudine. Cosa poteva esserne la causa… il fatto che l’ultima volta che aveva visitato quel luogo era per un funerale? Probabile.
Che Faust fosse particolare, per mancanza di altri termini? Forse, ma poco credibile.
Magari era proprio tutto il posto a essere anomalo. Poteva sbagliarsi, ma aveva come l’impressione che la terra stessa fosse impregnata di energia demoniaca. La cosa peggiore è che non ne comprendeva l’origine.

Giungendo alla fine dell’ennesima scalinata, intravide a un centinaio di metri da sé una fontana, con tanto di panchine ai lati e una gigantesca quercia dietro essa.
Era forse la sua pianta preferita in assoluto. Aveva una sorta di rispetto per qualcosa che viveva nei secoli, superando catastrofi naturali che altri potevano solo sognarsi di sopravvivere.

Si sedette un attimo per riposarsi e godersi il bel tempo su una delle panchine, rimanendo lì per qualche minuto, immobile, a osservare le nuvolette nel cielo. Era davvero una bella giornata.
Fu quasi automatico prendere la sigaretta e accenderla, inalando quella tossina.

Finita la sigaretta, che buttò a terra, si rialzò, schiacciandola con la scarpa, non volendo certo far appiccare un incendio in un luogo del genere.

Girandosi per continuare la sua camminata, quasi inciampò, fermandosi giusto in tempo.
In un primo momento non capì cosa fosse successo, poi guardò a terra e ci trovò il cane più strano che avesse mai visto: un terrier bianco, con due occhioni verdi e un fazzoletto rosa a pois bianchi attorno al collo, tenuto da una strana spilla.

Ripiegò le ginocchia, avvicinandosi a lui.
“E tu chi sei?” Nell’istante stesso che proferì quella domanda pensò a quanto fosse stupida. Come faceva un cane a rispondere? Si vede che il poco riposo sta avendo effetti drammatici sull’attività neuronale.
Quando la sua attenzione ritornò su di lui, avrebbe giurato che avesse un’espressione annoiata. Considerò che forse la sua mente si prendeva gioco dei suoi occhi, ma ispezionandolo con più attenzione si rese conto che era davvero così. Il cane è annoiato con me?
Agi non capì cosa avesse fatto di male, non lo conosceva neanche quel terrier! Poi, riflettendoci su con più scrupolo, si ricordò del mozzicone di sigaretta che aveva buttato a terra.
Batté la testa alle ginocchia.

Alzandosi di nuovo in piedi, lo raccolse e lo portò al cestino più vicino, buttandocelo. Farsi rimproverare da un cane era una cosa assurda, non che gli desse torto. Le sue cattive abitudini non erano il massimo della vita e, per quanto s’impegnasse a migliorare, non ci riusciva. Sarebbe stato più facile smettere di nuovo di fumare.

Ritornando dal cane, questa volta notò che aveva un’espressione meno annoiata. Bene.
“Scusa, per quanto ci provi, mi dimentico sempre di buttare le cicche. Quando poi ci ripenso è troppo tardi.” Riflettendoci, se a Faust dava fastidio che gli si bagnassero i vestiti, a quanto aveva visto l’ultima volta (non lo dava a vedere, ma per chi sapeva cercare non era tanto difficile percepirlo), il fatto che lasciasse mozziconi ovunque avrebbe avuto cattive ripercussioni.
Avrebbe dovuto smettere.

Tirò fuori il pacchetto di sigarette e l’accendino, rigirandoseli tra le mani qualche momento, prima di buttare anche quelli. L’ultima volta aveva smesso allo stesso modo. L’importante era evitare le tabaccherie a quel punto. E i fumatori.
Il fatto più sorprendente fu che il terrier non si era spostato di un centimetro, osservando tutta la scena. Gli sorrise, avvicinandosi a dove era seduto.
“Prometto di smetterla da questo momento in poi.” Piegò le ginocchia, accucciandosi proprio davanti a lui. Era davvero un bel cane.
Lo grattò dietro un orecchio, e giurò di aver visto il terrier alzare gli occhi al cielo. Non aveva abbaiato neanche una volta in quel lasso di tempo, comportandosi da essere senziente più di certe sue conoscenze. Doveva essere molto intelligente.

“Va bene, non ti piace che ti si tratti da cane, ho capito.” Alzò le mani in segno di resa e solo allora, vedendo l’ora che segnava l’orologio, si rese conto di essere a rischio di ritardare all’appuntamento. Non andava per nulla bene.
“Mi dispiace bello, ma il dovere chiama.” Con quelle parole, alzandosi l’ennesima volta, lo lasciò, affrettandosi verso l’edificio centrale, in cui c’era la presidenza.

Solo allora si trovò in difficoltà. Non sapeva dove andare.
Chiese a qualche alunno che scorrazzava per i corridoi se potevano mostrare in che direzione si trovasse l’ufficio di Faust; avevano tutti reazioni diverse udendo il nome del preside: alcuni si meravigliavano, altri apparivano raccapricciati, altri ancora guardavano Agi come se avesse qualche rotella fuori posto e così via. Alla fine, in qualche modo riuscì ad arrivare all’ufficio di Faust in perfetto orario.
Non entrò subito, decidendo di aspettare qualche minuto. Si limitò a scrutare dalla finestra anteponente alla porta della presidenza, che offriva una vista spettacolare dell’accademia dall’alto, così come anche della città.

Certo che Shiro era stato una calamita vivente per gente del calibro di Agi e Faust.
Erano diversi, lì dove lui era esuberante, egocentrico e appariscente, Agi era più tranquillo e riservato, anche se le apparenze di solito ingannano. Tuttavia, differentemente dal preside, Agi sapeva tenere a bada le sue stranezze.

“Signor Ruze?” Disse una donna alle sue spalle. Aveva il passo leggero, ma l’aveva sentita arrivare.
Era una donna bionda, sulla trentina, di bell’aspetto. Dal grembiule dedusse che fosse una cameriera. Se le sceglieva proprio carine.
“Si, signorina…” Le rispose, facendola arrossire. Per di più era anche timida, che tenera.

“Mayuri Anna. Il signor Faust la attende dentro.” Quasi sussultò udendo quel nome. Anna, proprio come…
La donna indietreggiò di qualche passo, accostandosi al portone e aprendolo.
“Grazie, signorina Mayuri.” Si ricompose, sorridendole. Non era lei, non la sua Anna, e causare una scenata sarebbe stato fuori luogo.
Anna non c’è più.

Quando girò la testa verso l’interno della stanza, quasi rise. Ci avrei scommesso che nascondeva qualcosa sotto quel cilindro.
Il preside era seduto dietro alla scrivania, intento a leggere dei fogli con un’espressione leggermente irritata, non che lo desse a vedere più di tanto. Quel ciuffo era davvero ridicolo, non che glielo avrebbe detto, sapeva per esperienza che quando gente di quella sorta si arrabbiava le cose andavano male. Non per questo non si sarebbe fatto una risata a sue spese.

“La scuola non ha fatto in tempo a cominciare che gli studenti già combinano casini?” Doveva aver udito il rumore dei passi di Agi, perché non fu sorpreso di udire la sua voce. Anzi, sorrise.

“La gioventù è così piena di energia oggigiorno, non voglio bloccarla. Sono oltremodo carini, ma di tanto in tanto superano il limite.” Posò i fogli, alzandosi. Cappello o no rimaneva comunque uno spilungone.
“Ruze, è un piacere rivederla. Si accomodi.” Non se lo fece ripetere due volte, sedendosi su una delle poltrone a strisce accanto alla scrivania. Lui intanto si affacciò alla finestra.

“Deduco che abbia deciso di accettare la mia proposta, ne sono deliziato.” Più che accettare era dare il beneficio del dubbio, il Giappone non era tra i suoi posti preferiti e, dopo gli ultimi avvenimenti, la sua opinione in proposito del paese in questione era precipitata più in basso di prima. Era lì per decidere se ne valeva la pena.
Dare le spalle a un ospite non era il modo migliore per persuaderlo.

“Non la prenda come scortesia, ma perché dovrei farlo? Voglio dire, prima ci venivo solo per fare delle visite a Fujimoto, molto di rado per giunta, perché non mi è mai piaciuto questo paese. Ora, solo metterci piede mi dà il voltastomaco. E per favore, mi guardi in faccia quando mi risponde.” Era pura e semplice cortesia, quella che concedeva a tutti. Pretendeva la stessa cosa nei propri confronti.
Quando si girò nella sua direzione, sul volto aveva quel sorrisetto a trentadue denti che poco a poco stava cominciando ad associare esclusivamente a lui.

“Per cambiare il panorama?”
Agi aprì la bocca per rispondergli, ma ammutolì. Per cambiare il panorama?

L’incertezza di Agi doveva essere chiaramente visibile.
“Io dopo sei anni in quel posto mi annoierei a morte.” Era una presa in giro? Sembrava di sì.

“Guardi che la Russia è un paese vasto e di grande bellezza, di panorami ce ne sono in abb-” Faust non prese Agi sul serio, agitando una mano come per scacciare una mosca, un po’ annoiato.
“Non basterebbe una vita per visitarla tutta, tanto è estesa. In confronto il Giappone, anch’esso ricco di bellezze, è piccolo e quindi esse più sono concentrate. Un cambio di panorama è ciò che le serve, Ruze.” Lo guardò per un po’, sentendo un certo sconforto.
Aveva espresso una valida ragione per far accettare ad Agi il lavoro.

“Mi dia il contratto per piacere.” Alla fine proclamò, non sopportando più quell’espressione di chi sa di essersi aggiudicato la vittoria.
Non era più un mistero come si facessero a conoscere lui e il paladino. Le singolarità l’avevano sempre attirato.
Non dovette attendere molto, perché prese il contratto da uno dei cassetti della scrivania, porgendoglielo. Non pronunciò parola mentre leggeva, cercando di rilevare se c’erano dei raggiri o trabocchetti.

“Lo conosce proprio bene il giapponese.” Faust intanto se l’era presa comoda, riprendendo posto dietro alla scrivania e poggiando il mento sulle mani incrociate.
“Con uno come Shiro, che l’inglese lo distorceva in modi macabri, ho preferito imparare il giapponese e risparmiare le mie povere orecchie da quello che lui definiva my own English. Quello che diceva era atroce.” Gli rispose, non alzando gli occhi.
Non che scherzasse. Aveva frequentato lezioni di lingua per anni per evitare quell’atrocità.

Tacquero ancora per qualche minuto.
“Firmerò, a condizione che mi alzi lo stipendio. Dove lavoro attualmente mi pagano quasi il quaranta percento in più.” Se doveva rimanere in quel posto a lavorare doveva almeno avere la certezza di recepire una paga degna di tale nome. Dubitava che le tasche del preside ne avrebbero sofferto.

“Sono desolato, ma no.” Buffo, quello che aveva in faccia era tutt’altro che dispiacere.

La sua maschera di tranquillità si incrinò.
“Sa cos’è umiliante? Quando la gente cerca di risparmiare su di te. Solo perché è un lavoro prestigioso non vuol dire che mi farò mettere i piedi in testa.” Quella che inizialmente era solo una questione d’affari divenne una di principio.
Non aveva intenzione di farsi insultare.

Ovviamente, aspettarsi che non avesse un asso nella manica era  da ingenui.
“So che ha acquistato un appartamento in città, dubito che voglia sprecare tutto quel denaro per una visita di piacere.” Si stupì. Il presentimento di prima si era rivelato fondato dopotutto. Aveva seguito ogni sua mossa… quindi il biondino occhialuto era un professore allora?

“È qui che si sbaglia. Sono ancora capo chef al Perce-Neige e una casa delle vacanze mi farebbe comodo. Sa, mi seccherebbe dover pagare l’hotel ogni qualvolta voglio visitare la tomba di Shiro.” Era una mezza verità, perché quel paese non solo lo evitava, lo odiava, ma Faust non lo avrebbe saputo. Non era affare suo.

Si guadarono a lungo.
Non aveva mai particolarmente amato il verde, se non in natura.
C’era qualcosa di famigliare in quel guardarsi a vicenda, aspettando che uno dei due si arrendesse. Solo che in passato quei piccoli conflitti erano nati per motivi infantili.

Per l’ennesima volta, si perse nei ricordi.
L’ultima cosa che si aspettava era che l’altro si mettesse a ridere fragorosamente.
“Ora mi è chiaro perché lei e Fujimoto eravate amici. E sia! Mi piace avere qualcuno con cui bisticciare di tanto in tanto.” Agi trovava difficile inquadrarlo. Come fa a prenderla in questo modo?!

“Non si tratta di bisticciare, Faust. È una questione di rispetto. La rispetterò solo se lei farà altrettanto, solo in tal caso questa cosa non sarà esasperante.” Shiro doveva essere stato molto sconsiderato per esser amico di quella specie di demone sotto mentite spoglie.
Dopotutto di esorcisti, cosa che era per certo, come dimostrava la spilla che portava in petto, di natura demonica ce n’erano in abbondanza per il mondo.

Faust non rispose.
Si apprestò a firmare il contratto, porgendoglielo indietro.

Era fatta.
Ora doveva solo prepararsi al tumulto di imprevisti che si sarebbe fatto avanti.
Poteva sembrare esagerato, ma la tranquillità era un termine che aveva valore solo sulla carta ormai.

“Signor Ruze?” La voce di Faust fu improvvisa, interrompendo i suoi pensieri.
“Si goda il panorama.”



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Delle volte, la decisione di fare il salto si può ricondurre a una causa concreta: la solitudine.
Il problema è che spesso non lo capiamo.











Salve!
Innanzi tutto chiedo scusa per il ritardo, è un mio difetto.

Finalmente posso dire che la storia vera e propria è cominciata, infatti mi sono dilungata un pò di più su questo capitolo, che ho anche dovuto cambiare perchè era un po' fuori carattere dal punto di vista di Agi.
Per il fatto delle sigarette, be'... la cosa andrà e verrà, è un vizio che si terrà per tutta la durata della narrazione, quindi spero non vi disturbi troppo, anche se ovviamente non cerco di influenzare nessuno.

Ringrazio Lulosky per aver commentato il capitolo precedente (e anche per Tramonta il tempo!), mi ha fatto molto piacere. 

L'unica cosa che vi chiedo è di dirmi se ci sono errori di scrittura, perchè mi sono distratta più volte mentre scrivevo. Ho ricontrollato, ma ormai non vedo più nulla...
Non voglio mettermi a elemosinare commenti, ma sapere cosa ne pensate mi farebbe molto piacere.


Alla prossima!


 
  
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