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Autore: tortuga1    22/10/2013    2 recensioni
Gli uomini e le donne sono spesso lontani pur vivendo vicini, così tanto da avere difficoltà ad incontrarsi. Pensando a questo mi è venuta l'idea di SPLIT, una storia ambientata in un futuro possibile, nella quale uomini e donne sono stati separati per un esperimento che aveva il fine di salvare l'umanità dall'estinzione. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto, e alla fine del viaggio uomini e donne non si sono più incontrati...
La storia comincia così, nella comunità di sole donne che ha colonizzato come previsto il pianeta Terra Due, e da secoli ormai ripete un rituale di clonazione.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III.

 
Sarah appoggia sulla neve il calcio dell’arma pesante, ancora troppo grande per lei. È un fucile a pompa che spara pallettoni, un’arma micidiale senza rinculo che funzionerebbe anche nel vuoto dello spazio e in assenza di peso. Lei come sempre lo tiene scarico: non ha mai sparato contro qualcosa di vivo, solo d’estate, in mezzo ai boschi, ai bersagli di carta colorata disposti a varie distanze da Miko. La sua maestra è piccola e sottile, il suo viso liscio sembra non avere età. E quando volteggia preparando un colpo micidiale, capace di uccidere se solo lo volesse, non si direbbe che ha settantasei anni. Però negli ultimi tempi è diventata ancora più taciturna, e passa lunghe ore a meditare rivolta contro la parete dipinta di bianco. Ma non importa se sta zitta, per capirsi fra loro due basta uno sguardo o un gesto impercettibile. Sarah fa la guardia alla zona proibita, nessuna giovane può avvicinarsi e tanto meno lei, ma non importa, lei è abituata ad obbedire e non si sognerebbe nemmeno di cedere alla curiosità. Alcune delle sue compagne invece hanno provato ad intrufolarsi, ogni tanto, e sono state sempre scoperte e rimandate indietro con il sedere bruciante. Miko è bravissima a somministrare castighi veloci come il fulmine, non ti accorgi nemmeno che ti ha colpita, il dolore lo senti solo dopo, quando è di nuovo sorridente e lontana. Sarah riprende il fucile e muove qualche passo sulla neve soda. È coperta con il mantello d’argento e porta caldi stivali di feltro, ma il freddo sembra penetrarle nelle ossa. Non le piace il lungo inverno della colonia, quando le giornate sono brevissime e non è possibile allontanarsi dalle case anguste. Meglio quando l’acqua del lago è tiepida, e si può nuotare guardando il cielo solcato da nuvole bianche attraverso le foglie dei faggi. Pensa ancora alla cosa che le ha detto Miko la sera prima, una cosa che lei aveva già sospettato anche senza spiegarsi perché. La stessa misura nei gesti e nelle mosse, nessun bisogno di spiegare le cose più di una volta, la certezza assoluta di quello che l’altra avrebbe detto o fatto. Lo stesso sguardo negli occhi perfettamente identici. E così lei è la quarta Sarah, e si chiama come la madre di Miko. Metà giapponese metà irlandese, una combinazione che ha determinato la curiosa mescolanza di lineamenti orientali e capelli ondulati castano chiaro. Una catena iniziata in un posto sconosciuto, in un passato quasi impossibile da immaginare. Una catena senza scopo apparente, forse senza fine. Ma tutto ha una fine, questo glielo ha insegnato Miko prima di insegnarle a camminare. E allora, come sarà? E chi vedrà questa fine, una Miko o una Sarah?
Un suono di voci concitate interrompe i suoi pensieri, lei afferra istintivamente l’arma e la punta come le ha insegnato Miko, però non serve. La sua maestra sta guidando verso di lei un gruppo di ragazze che parlano tutte insieme.

Abbassa il fucile, Sarah. Va tutto bene.

Che ci fanno qui tutte le ragazze?

Vengono a visitare la zona proibita. Da oggi non lo è più.

E io…

Sì, hai capito. Puoi venire anche tu. Dammi quel fucile e seguimi. – si avvia verso il passaggio tenuto accuratamente libero dalla neve. Sarah non ha mai visto dove porta, sa solo che gira intorno alla collina e non si può spiare da lontano. Ora, fra due pareti di ghiaccio, il sentiero proibito sembra banale e troppo stretto. Le ragazze passano una alla volta, vociando allegramente, poi si trovano davanti all’ingresso di una grotta.

E ora?

Ora seguitemi. Non c’è pericolo, questo è il posto più sicuro del pianeta. – Miko precede il gruppo dentro la grotta, illuminata da deboli lampade bluastre. Sembra scavata nella roccia, ha le pareti lisce e regolari, e finisce bruscamente con una paratia di metallo. Miko cerca un piccolo portello, lo apre e compone una lunga sequenza di caratteri su una tastiera. Subito una sezione della paratia si apre. Dentro c’è luce e calore, e le ragazze aprono i mantelli. – Benvenute sul modulo di atterraggio.

Cos’è un modulo di atterraggio?

La maestra Naomi potrebbe spiegarvelo meglio di me. Posso dirvi che la nave con cui siamo arrivate è molto grande, è lunga più di tre chilometri. Da quasi trecento anni sta in orbita intorno al pianeta, e ci resterà. Noi siamo scese con questa navetta, che ha potuto fare un atterraggio planato. Abbastanza riuscito, nessuna si è fatta male. Però la navetta si è danneggiata e non può ripartire.

Non si poteva riparare? – Flavia è sempre interessata ai dettagli tecnici e guarda avidamente i comandi sconosciuti lungo la paratia.

Non era prevista la riparazione del modulo. E poi proprio tu dovresti sapere che non c’è modo di fare uscire il modulo dall’attrazione del pianeta. Ci vorrebbe un razzo potentissimo.

Forse si potrebbe costruire… – Flavia pensa in fretta, ripassando le nozioni generali di fisica. – sì, si potrebbe fare. Ci vorrebbe molto tempo, ma è possibile.

Ma a cosa servirebbe, me lo dici? Noi siamo qui, le piante e gli animali sono stati ambientati, lassù non c’è più niente. Niente che ci possa essere utile.

E la possibilità di viaggiare ancora? – Geneviève sente il cuore battere forte, ecco a cosa servivano le lezioni di volo virtuale che Naomi si ostinava a darle. La consolle che lei conosce così bene per averci giocato migliaia di volte, ma non era un gioco perché Naomi era molto severa quando sbagliava, eccola identica davanti a questo sedile, che sembra proprio della sua misura. Si siede e prende in mano i comandi, aspettandosi di essere rimproverata, ma Miko si limita a sorridere.

Sei uguale a Naomi. – tutte ridono nervosamente, certo che è uguale, lei è Naomi. Questa verità ha scosso anche le più forti, ma non ha sorpreso per davvero nessuna di loro. Si sentono eccitate e importanti. – anche lei la pensa come te. Bene, niente è escluso, dipende solo da noi decidere come utilizzare le nostre risorse. Pensate che per tornare alla nave madre dovremmo lavorare ininterrottamente per… duecentottanta anni. Questo calcolo lo ha fatto Emily una trentina di anni fa.

Già… – Paula guarda con gli occhi socchiusi la piccola Miko dal viso impenetrabile – immagino che dovremo abituarci, a non dire mai niente di originale. Tutto è già successo, no?

Sì. Perché ti disturba? È una legge della natura, non c’è niente di nuovo, ogni cosa si ripete. È bello…

No! Io non la penso così! Perché devo essere uguale a me stessa, qualunque cosa succeda! Perché devo pensare le stesse identiche cose che ha pensato la mia… copia cinquecento anni fa! È disumano!

Calmati, Paula! Anche Ester ogni tanto fa come te, lo vedi che non c’è niente di nuovo… ah, ecco Erika. Come ti senti oggi?

Meglio. – Erika è alta e grossa, con il viso largo e arrossato. Si muove con difficoltà ansando e sorreggendosi ad una stampella di legno. – questa maledetta gamba…

Vedi che non è tutto uguale! – Paula torna alla carica – scommetto che la tua… copia non se l’era rotta, la gamba!

È… è vero. No, non se l’era rotta. Io sono scivolata mentre facevo il bagno nel lago…

Allora non siamo costrette a ripetere tutto quello che hanno fatto le nostre copie! Non c’è niente che ci obblighi! Potremmo… magari morire giovani, ecco.

Che dici, stupida ragazza! – Francesca si toglie il mantello e lo appoggia su un sedile. – la più importante direttiva è trasmettere tutto quello che sappiamo alla nostra compagna! A quella che dovrà continuare il nostro lavoro! Non possiamo, ti dico non possiamo assolutamente morire prima di aver trasmesso tutto! Ecco perché dobbiamo rispettare le procedure! Erika ha sbagliato a rischiare, pensa se avesse battuto la testa…

Non è… – Paula si morde la lingua e tace. Meglio non dire quello che si pensa, se tutte ti danno addosso. Però continua a pensarla nello stesso modo, che non è giusto, che vivere così non è vivere.

Vieni, Flavia. – Emily prende per mano la ragazza e la conduce lungo un corridoio, mentre le altre continuano a vociare nella cabina di pilotaggio. Alla fine del corridoio una porta scorrevole, che dà in un ambiente lungo una ventina di metri, illuminato fiocamente. Ai lati file di ampolle trasparenti. Emily tocca il metallo accanto ad una delle ampolle, e il pannello della parete si apre lasciando vedere un complicato fascio di fili e tubi, schede elettroniche ed elettrovalvole.

Cosa sono queste macchine…

Quelle di cui ti parlavo. Le cellule staminali vengono seminate su un terreno di coltura, che viene sistemato qui. – indica una piastra verticale di plastica rosa, ad un lato dell’ampolla vuota. – qui cominciano a dividersi, e ad un certo punto si differenzia una struttura che si chiama placenta.

Questa l’ho studiata. Serve a nutrire l’embrione dei mammiferi e a farlo respirare.

Brava. Se hai altre domande più specifiche chiedi a Ester, è lei che si occupa della biologia. Però tu devi sapere come funziona la macchina: deve dare alla placenta quantità precise di ormoni, sostanze nutritive e ossigeno, e garantire che l’embrione sia sempre immerso dentro il liquido amniotico.

E poi…

E poi, dopo nove mesi, la nuova giovane è pronta per nascere. Il liquido viene sostituito con aria, e lei comincia a respirare. Poi bisogna tagliare il cordone che la unisce alla placenta. Il cordone ombelicale.

Ecco, è qui. – si girano a guardare, è arrivata Ester insieme a Paula. Ester è molto alta e un po’ curva, con i capelli candidi e le mani nodose solcate da grosse vene blu. Però gli occhi sono vivaci e la voce squillante. – finalmente posso mostrartelo. Ciao, Flavia. Ciao, Emy.

Perché le distingui, sono due copie della stessa persona!

Stai zitta, Paula. Dovete scusarla, non ha preso bene la novità. Non l’ho fatto nemmeno io, mi ricordo…

Ecco! Non c’è nessuno spazio per la libertà! Mi sento soffocare…

Calmati, ti ho detto. Abbiamo un lavoro da fare e non c’è molto tempo. Queste sono le unità di crescita. Controllate dal computer, con tutti i meccanismi ridondanti per ridurre al minimo il pericolo di arresto. Però durante quei nove mesi gli ingegneri devono stare con gli occhi aperti, vero, Emily?

Lo stavo spiegando a Flavia.

Venite qui, ragazze. – Ester indica uno schermo nero su una parete, lo tocca e compare una fila di provette allineate. – queste sono le cellule staminali. Abbastanza per migliaia di generazioni, geneticamente stabili. Stanno a duecento gradi sotto zero, la priorità assoluta del sistema è mantenerle a questa temperatura. Ad ogni ciclo ne preleviamo alcune e…

Come, alcune? Io credevo una sola…

La procedura prevede da cinque a dieci. Alcune inspiegabilmente non si sviluppano, altre mostrano difetti non predicibili. Noi… io scelgo il gruppo migliore e lo impianto.

E che fine fanno gli altri… gruppi?

Distrutti. Vanno distrutti.

Anche se… se non hanno difetti?

Sì. Ti sembra sbagliato? La procedura prevede una sola giovane per ogni ciclo. Solo una.

È… – Paula si morde di nuovo la lingua. Ester sa benissimo cosa ha pensato, è mostruoso. Anche lei la pensa così, ne è sicura, anche se è costretta a fare questa cosa, perché come tutte deve obbedire alle direttive. Ma le altre, l’altra… Le guarda con la coda dell’occhio, sembrano serene e non si sognano di chiedersi se è giusto che per ciascuna di loro “da quattro a nove” copie identiche siano state sacrificate.

È necessario, Paula. – Ester ha capito e taglia corto. – E ora andiamo a raggiungere le altre. Naomi vuole farvi vedere i motori, per quello che servono ormai…

 
La giornata è stata lunga, Paula si sente stanca ma non può prendere sonno, troppe emozioni e troppa rabbia che non riesce a spiegarsi. Perché non accettare la verità come tutte le altre, perché questo desiderio di mandare tutto all’aria. Si rigira nel letto e parla a voce bassa.

Dormi?

No. – la risposta arriva subito, anche Ester non riusciva a riposare.

Perché sono tanto inquieta, me lo dici? È successo anche a te, quando lo hai saputo?

Lo stesso identico. Però…

Però? Parla, ti prego! Ho bisogno di capire, mi sento male…

Non serve a niente sentirsi male. Le cose non cambiano. Però io…

Tu? Perché ti fermi continuamente? Ricordati chi sei tu e chi sono io. Siamo la stessa persona, diavolo, non devi avere segreti con me.

E va bene. Tanto devo dirtelo per forza. Senza di me morirebbe, e io…

Chi, morirebbe? Cosa vuoi dire? – Paula accende la luce e si siede sul letto. Ester è rannicchiata contro il cuscino, il viso avvizzito con gli occhi cerchiati sembra terribilmente vecchio e stanco.

Mi resta poco. Non fare quella faccia, è la biologia, lo sai che di qualcosa si deve morire, no? Per noi è una leucemia cronica, ce l’ho da qualche anno e mi indebolisce a poco a poco, senza farmi soffrire. Solo alla fine, giusto un po’… Ho pochi mesi, quanto basta per insegnarti alla svelta le ultime cose.

Pochi mesi! Ma sei sicura? Non si può fare niente, proprio niente? – Paula richiama disperatamente le sue nozioni di medicina, sì che c’è da fare, prima la chemio, e poi… – facciamo il trapianto del midollo! Ti darò io le cellule!

Già fatto. Quando ho avuto la febbre alta e tu credevi che fosse un forte raffreddore. Ha funzionato per un po’.

È successo… due anni fa. Ma è pazzesco! Io non voglio rassegnarmi! Io voglio cercare di salvarti!

Ti ho detto che non si può, fidati di me. Vorrei anch’io più tempo, non ti ho ancora trasmesso tante informazioni e dovrò fare in fretta.

Non posso vederti morire! Non così! E tu, perché non me ne hai parlato prima? Perché? – Paula piange liberamente senza vergogna, che importa, Ester non è un’altra persona, è la sua immagine allo specchio, non deve guardarsi da lei, forse nemmeno rimpiangerla. E invece la logica non serve, si accorge di soffrire come non le è successo mai, e per chi? Per sé stessa. Che cosa crudele e triste.

Anch’io ho pianto quando Paula me l’ha detto.

Maledizione, mi dispiace, mi sento morire dal dolore! Non è giusto, tu sei me, perché deve dispiacermi tanto, poi ci sarò io a continuare la tua vita… – s’interrompe e singhiozza più forte. Sente sulla spalla la mano dolce di Ester, è fredda e trema leggermente.

Che vuoi farci, noi siamo fatte così, poco pragmatiche. E costrette a fare quello che non vorremmo.

A me piace curare la gente! Sono contenta quando riesco a guarire…

Ma non sai quanto è frustrante quando non ci riesci. Lo vedrai, purtroppo molto presto. Ma io ti stavo dicendo una cosa. Una cosa importante, stai attenta e giurami che non dirai niente alle altre.

Non occorre giurare. Io sono te, no?

Sì, sei me. Anche nei dubbi e nelle paure. Io ho… noi abbiamo fatto una cosa. Solo la nostra linea lo sa, è stata Paula a dirmelo. Le altre non lo sanno.

Che cosa, che cosa ha fatto Paula…

Ha portato con sé un campione di cellule staminali. Lo ha nascosto per tutti questi anni senza usarlo. E io, sono stata io a farlo, le ho seminate.

Devi spiegarmi meglio. – Paula guarda attentamente la compagna, sembra avvizzita e rimpicciolita, sarà la sua posizione curva, le mani tremano ancora di più.

Non erano… cellule dell’equipaggio. Provenivano… dall’altra parte.

Cos’è l’altra parte! Ora che hai cominciato devi finire! – l’afferra per le spalle, è così dimagrita che sembra un fuscello e lei non se n’era accorta, dove li aveva gli occhi… – ti prego.

Che stupida sei. – la voce di Ester è sorda e amara – Non devi pregare, la conoscenza ti spetta. Fa parte del gioco, dato che sei me.

Allora parla!

È difficile, è complicato. La nave… era divisa in due parti. C’erano due equipaggi e due moduli di atterraggio. Però nei primi anni di viaggio è successo qualcosa. Nessuno sa cosa, e poi i dati del computer sono stati cancellati e…

È quella storia della guerra, vero? Una storia o una leggenda, dato che tutte ne parlano ma nessuna sa dire niente di preciso. La guerra con gli uomini.

Tu cosa ne sai?

Ma niente, ti dico! Si mormora che siamo fuggite via da loro, qualcuna dice che li abbiamo distrutti per impedire che ci uccidessero. Giulia mi ha parlato di un filmato, erano spaventosi, sparavano con le loro armi terribili, erano sporchi di sudore e di sangue…

L’ho visto, quel filmato. Impressionante, forse troppo. Sembrava finto.

Come, finto?

Ma sì, troppe smorfie, troppo realismo ed era fatto troppo bene, pensa che si vedeva prima chi prendeva la mira per sparare e poi chi cadeva morto.

E allora?

Non so, non capisco. Ho la testa piena di dubbi, come allora. Ma allora ero giovane, avevo cinquantotto anni. Due anni dopo sarebbe partito il ciclo, quello che ha dato vita a te e alle tue amiche. E così ho seminato le cellule.

Quali cellule? Di chi? – Paula ha un sospetto terribile ma deve essere lei a dirlo.

Quelle che Paula aveva nascosto. Sono del medico, Paula aveva preso anche tutti i dati su di lui.

Un… uomo?

Sì, un uomo. Il maschio della nostra specie. Noi siamo mammiferi e ci riproduciamo sessualmente.

Come… i conigli?

Esattamente come loro. Lo so che non ve ne ho parlato mai a lezione, le direttive lo proibivano, quelle nuove. Insieme alle cellule Paula ha preso anche questa. Diceva che era importante. – scopre il collo avvizzito e mostra un ciondolo appeso ad un laccio di cuoio. Lo toglie e lo porge a Paula. – tieni, adesso è tua.

Il tuo ciondolo… – Paula guarda il quadratino nero, lo rigira fra le dita. Non lo aveva mai visto da vicino. – sembra un pezzo di computer… ma cos’è?

È una scheda di memoria, stava su un cadavere. Nella loro sezione ce n’era un mucchio.

Cadaveri… vuoi dire…

Sì, erano tutti morti. La loro sezione devastata da un’esplosione, non era rimasto niente, solo i corpi conservati dal gelo dello spazio. Ma Paula…

Aspetta, aspetta! Questo è successo durante il viaggio. Come mai questa… conoscenza non è stata tramandata? Come mai si dice che i dati sono cancellati e non si sa nemmeno da dove veniamo?

Perché queste sono le direttive, e sono state applicate con la forza. Hanno imposto di non dire niente alla generazione successiva, forse per nascondere qualcosa, o forse per non far perdere la speranza. Fin dall’inizio la nostra linea ha deciso di contravvenire. Paula mi ha trasmesso tutto quello che ha potuto e io adesso lo farò con te. Ho tante cose da dirti…

E allora… – Paula parla lentamente per ritardare il momento della risposta, la sa la risposta ma non vorrebbe sentirla. – allora tu hai seminato le cellule. Sono andate perdute, vero?

No. Lo sai che no, non girare intorno al problema. Lui c’è, ha diciotto anni.

E dove… dove lo tieni? Dove lo hai tenuto nascosto per diciotto anni? – Paula è esasperata ma in fondo capisce l’azione di Ester, una forma di ribellione contro le direttive che non lasciano nessuna speranza. Forse anche lei… ma certo, anche lei l’avrebbe fatto, dato che è la stessa persona.

In un compartimento segreto della nave. Si chiude dall’esterno, è il reparto di isolamento del modulo da usare in caso di malattie infettive sconosciute. Una di quelle stupide procedure di sicurezza, infatti per fortuna non è mai servito. Ci sono tutte le comodità, almeno d’inverno non fa freddo e d’estate non ci sono le zanzare. Che coglionata, portare con noi uova di zanzara insieme ai semi delle piante acquatiche…

E come mai nessuno l’ha scoperto…

E come farebbe? La porta non si vede, bisogna sapere che c’è e conoscere il codice per aprirla. E poi nessuna gira liberamente in quella sezione della nave, ci andiamo solo io che ho i laboratori, ed Emily per la manutenzione delle macchine. Mai vista una persona meno curiosa di Emily.

Ma come hai fatto a tenerlo chiuso per diciotto anni…

Non sapevo che fare. Pensa se le altre se ne fossero accorte. E poi la sua vita non è molto diversa da quella che tutte noi abbiamo fatto durante il viaggio.

E lui? Com’è? Come sta?

Sta benissimo, ti assicuro. Crede che la realtà sia questa, non conosce nient’altro. Non mi ha mai vista.

Come… non ti ha vista?

No, io parlo con lui attraverso il computer che maschera la mia voce. Quando era piccolissimo l’ho accudito con un braccio meccanico e gli ho insegnato a parlare utilizzando uno schermo interattivo. Adesso è diventato bravissimo.

Bravissimo a fare che? Dentro una scatola…

Mi sottovaluti. Gli ho insegnato tutto quello che sapevo, ora è un medico come me e te. Ha una buona mano in chirurgia.

In chirurgia… ma com’è possibile?

Certo, sa usare benissimo l’unità remota, ho simulato gli interventi più difficili. Non ha mai visto il sangue da vicino, lo so, però non importa. Mi fiderei di lui ciecamente.

Ma…

Niente ma. Adesso copriti bene, andiamo a trovarlo.

 

  
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