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Autore: Ely79    22/10/2013    1 recensioni
Il novilunio, la notte più difficile per un lupo mannaro. Ma come vive invece queste notti la compagna umana di un licantropo, un donna che sogna di poter diventare parte del clan?
Seguito di "Due Lune".
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Beauty of the Beast - La Bellezza della Bestia'
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Midnight Cheesecake - Cap. 3
3

Passerei l’intera nottata con la faccia sprofondata morso dopo morso nella cheesecake, se questo aiutasse il mio compagno a liberarsi dalla sofferenza che lo perseguita da ore. Helios è bravo a nascondere il suo stato, ma dopo tanto tempo insieme riconosco i segni del malessere. All’inizio pensavo lo facesse per proteggermi, per tranquillizzarmi, tuttavia sono giunta alla conclusione che sia la dignità del licantropo a spingerlo a dissimulare le sue reali condizioni. Un lupo mannaro che mostra apertamente il proprio dolore è considerato debole, indegno d’indossare il manto che libera la sua vera natura.
Le lupe invece non hanno affatto problemi con fitte e crampi: abituate alla doppia natura di animale e donna, sopportano molto meglio entrambi i periodi neri che contraddistinguono la loro vita. Trovo sia un ottimo argomento per invogliare una donna a considerare l’ipotesi di diventare un licantropo.
Mi correggo. A ben pensarci non è la dignità da licantropo a far tacere Helios: è la solita solfa dell’orgoglio virile. Pelliccia o no, sembra che tutti i maschi del creato condividano questo stupido, inutile principio.
Helios mi lecca la faccia, spinge con la testa e le spalle, ringhia scherzoso e schiocca le mascelle impedendomi di raggiungere la torta ad ogni tentativo. Ha deciso che spetta solo a lui, è la sua preda di stanotte e non la condividerà facilmente.
Rido. Sembra quasi che la mia presenza da problema sia diventata fonte di divertimento.
«Lupo cattivo» obbietto quando finalmente decide di offrirmene un pezzo porgendolo con i denti, per poi sottrarlo appena addento un angolo.
Davvero molto spiritoso.
«Ti farà male» ribadisco.
Si volta di scatto, scrutando oltre la finestra, oltre gli aloni ambrati dei lampioni. Lo imito, percorsa da un brivido. È l’ora peggiore, quando la luna è troppo lontana.
Trema, le labbra contratte a scoprire i denti. Ha gli occhi lucidi e fissi come quelli di un cieco, le pupille dilatate all’inverosimile, ma se il buio fuori da casa nostra è pieno di stelle, in lui c’è solo tenebra. Si solleva sulle punte, le ginocchia flesse, barcollando. La pelliccia sulla schiena sembra fremere come se fosse viva.
In quei momenti, Helios dice di aver l’impressione di sentire il filo che lo lega alla Grande Madre tendersi allo spasimo, assottigliandosi fin quasi a diventare una ragnatela pronta a spezzarsi. È impossibile che accada, ciò nonostante il panico ed il rancore dilagano in lui e, di riflesso, dentro me.
Lo fisso spaventata battere i palmi sul vetro, tentare di graffiarlo con dita inarcate e rigide. Un verso incoerente emerge dalla sua gola; non è un pianto e neppure ricorda un ululato. La testa del manto si rovescia indietro e mi guarda afflitta. Per un attimo ho l’impressione stia chiedendo aiuto, che mi stia supplicando di allacciare le fibbie che la unirebbero ad Helios, aprendo le porte all’unione di carne e stregoneria che conduce alle sembianze del lupo antropomorfo.
Non posso accontentarla. La legge del clan vieta di assumere la vera forma nelle notti di novilunio. Basta guardare la tensione di Helios per avere un’idea del perché e chi contravviene rischia pene molto severe. Non esistono attenuanti di sorta davanti al Concilio degli Anziani per una colpa simile.
Helios torna ad accoccolarsi sul pavimento. Ansima. I brividi scuotono ogni centimetro della pelle nuda.
«V-vai. S-su… ub-bi.. ito» boccheggia senza guardarmi.
Cerco il suo petto con la fronte, voglio che percepisca il mio sostegno. Sento il suo cuore pulsare violento tra le costole. Voglio restare. Riempire il vuoto che la Luna ha lasciato nel suo animo.
Guaisco. So di essere ridicola: un essere umano che imita malamente il verso di un licantropo.
Mi morde con decisione la nuca, senza farmi male. Lo stesso gesto con cui le madri afferrano i cuccioli. Lo ascolto ringhiare piano, trattenendo il respiro. Mi scuote leggermente, affondando un poco i denti.
«Vai» intima liberandomi.
Annuisco a testa bassa e mi allontano in silenzio, le ginocchia indolenzite. Cercare di convincerlo di nuovo sarebbe inutile quanto pericoloso. Tra poco perderà quasi del tutto la razionalità umana, ma sarà incapace di sviluppare appieno quella animale, restando in uno stato impreciso di sensazioni amplificate e pensieri incoerenti. Probabilmente fisserà il cielo fino a quando avvertirà il riavvicinarsi della Luna.
Siedo sul letto sospirando. Vorrei aspettarlo ma l’attesa sarà lunga. La sveglia sul comodino segna solo l’una e mezzo.
Non sono pronta per stargli accanto, per combattere il vuoto dei noviluni; quando lo imparerò? Mi mancano la forza e le giuste percezioni per comprendere fino in fondo ogni cosa. Spingere al limite la mia immaginazione, simulando sensazioni e pensieri da lupo mannaro, è solo un’illusione. Devo diventare come lui se voglio capire davvero, per affrontare la tenebra di queste notti al suo fianco, amando incondizionatamente la Luna, la nostra Luna. Colei che ci divide e fa soffrire.
Mi lascio cadere sul fianco, sconsolata. Sento le lacrime scivolare sulle guance. All’inizio poche gocce, piccole e calde che vanno a punteggiare il cuscino, si fanno via via più copiose.
«Smettila» singhiozzo.
Non so se lo stia dicendo a me stessa per calmarmi o a Lei, in un’inutile preghiera. Finirà di tormentarmi quando sarò Sua, quando Le apparterrò come figlia e devota.
Un rumore mi fa sobbalzare spaventata tra le lenzuola. Tonfi lievi, accompagnati da brevi schiocchi secchi.
Mi sono addormentata senza accorgermene. Sono passate le quattro.
Helios sta salendo e quello che sento è il suono doloroso della trasformazione incompiuta. Ogni articolazione irrigidita dall’attesa cerca di tornare alla mobilità umana, la sola cui possa aspirare per stanotte.
Si aggrappa allo stipite della porta, una mano allo stomaco e la zampa della pelliccia che pare imitarlo. Il luccichio del tapetum lucidum1 è molto attenuato. Barcolla, curvo in avanti come se il manto cercasse di schiacciarlo. Ha i capelli arruffati e sporchi. Tossisce contraendo il ventre all’inverosimile. Sussulti lo scuotono. Alza la testa e io continuo a dargli le spalle, osservandolo con la coda dell’occhio. Non ha ancora recuperato del tutto il controllo di sé, anche se la luna nuova è passata.

Crolla sul materasso. Un fruscio dice che la pelle di lupo è finita sul pavimento. Faccio per voltarmi, pronta ad abbracciarlo, ma Helios agguanta la mia spalla, obbligandomi a restare stesa sul fianco. È sfinito, eppure è ancora abbastanza forte da contrastarmi. Si trascina avanti a fatica. Mi stringe. Le sue mani s’infilano sotto al pigiama. Scalcia strusciandosi con scatti irregolari, addentando le cuciture per liberare il mio corpo dalla prigione di stoffa e raggiungere il calore che tanto desidera. La sua pelle è fredda e secca, ricorda la carta di giornale; la sento sulla schiena, sulla pancia, contro le gambe. È così diversa da quella bollente e sudata che ritrovo sotto la pelliccia dopo una notte di mutazione.
«L’hai finita?» rabbrividisco, parlando nel cuscino.
Strofina la testa nell’incavo della mia spalla, accomodandosi per bene prima di fare cenno di sì.
«Ingordo» lo sgrido con un sorriso amaro che non può vedere, impegnato com’è a procurarsi un po’ di coccole, ma che percepisce nella mia voce.
Mi mordicchia lì, dove prima aveva affondato i denti per scacciarmi. Sfrega le guance ispide e impiastricciate di crema sulla stoffa e su di me, emettendo brontolii soddisfatti.
«Hai pulito?» domando.
Nega. Figuriamoci: stupida io ad averlo chiesto. Scombussolato com’è, il suo solo pensiero ora è di trovare un posto dove dormire e recuperare le forze, le faccende domestiche non ricorda neppure cosa siano.
«Almeno hai messo il piatto nel lavandino?» tento in extremis.
Nega con decisione mentre fiuta con curiosità. La punta del suo naso passa oltre il mio orecchio, affonda nella guancia, risale oltre lo zigomo fino all’occhio. Per lunghi istanti, il tenue riverbero lattescente delle sue iridi mi scruta sospettoso. Torna ad annusarmi e mi ritrovo a serrare palpebre e labbra nello sciocco tentativo di nascondergli una verità fin troppo evidente. Le sue dita si avvicinano goffe al mio viso, premono e tirano, tracciando la scia del mio pianto. Inspira di nuovo, lasciandosi sfuggire un borbottio indispettito.
«Non mi piace lasciarti solo. Ho paura che ti succeda qualcosa e di non essere lì ad aiutarti» ammetto senza tanti preamboli. «Sei il mio compagno. Il mio maschio. E io sono la tua femmina. Devo prendermi cura di te» protesto, sentendo le lacrime bruciare di nuovo.
«B-baast… ta… p-pian… n-ngere» sussurra, premendo le labbra rigide fra i miei capelli.
Gli è costato uno sforzo immane pronunciare queste poche sillabe e non da meno è stato prodursi in un gesto che ricordasse un bacio affettuoso e consolatorio.
Intreccio le dita alle sue, che si contraggono con uno spasmo violento.
«Helios?» chiamo, allarmata dal segnale.
Geme. Come temevo. Levo gli occhi al soffitto.
«Il mio lupetto mangione ha male al pancino?»
Si lamenta, soffocando un rutto minaccioso. C’è una nota acida nel suo fiato. Una vocina in testa prega non vomiti proprio ora, subito ammutolita dall’istinto che mi fa girare verso di lui, prendendolo fra le braccia. Gli accarezzo la schiena nuda e a tentoni recupero le lenzuola, avvolgendole attorno a noi. Strizza le palpebre, colpevole, raggomitolato in posizione fetale. Un grosso bambino lupo di duecentododici anni.
«Facciamo così: smetto di piangere se tu la smetti con le cheesecake di mezzanotte. Ci stai?» propongo, scostandogli i capelli dalla faccia per baciare la fronte appena tiepida.
Helios appoggia la mano piatta e impietrita sulla mia guancia, gli occhi vitrei che brillano debolmente.
Mi mordicchia la punta del naso.
Il suo respiro sa di prosciutto rancido.

Lo prendo per un sì.


1 Tapetum lucidum: è lo strato riflettente posto subito dietro o all'interno della retina degli occhi di molti animali. Riflette la luce verso la retina, aumentando di conseguenza la capacità visiva in condizioni di scarsità di luce.
   
 
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