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Autore: shadow_sea    23/10/2013    4 recensioni
Lo scrittore principale di Mass Effect desiderava che il finale di ME3 si concentrasse sull’energia oscura, che stava per distruggere l’universo.
"The Reapers as a whole were 'nations' of people who had fused together in the most horrific way possible to help find a way to stop the spread of the Dark Energy. The real reason for the Human Reaper was supposed to be the Reapers saving throw because they had run out of time. Humanity in Mass Effect is supposedly unique because of its genetic diversity and represented the universe's best chance at stopping Dark Energy's spread" (Drew Karpyshyn).
Da qui, dalla forza devastante dell’energia oscura, tema appena sfiorato in ME2 e poi rapidamente abbandonato, trae lo spunto questa mia storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Garrus Vakarian, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shepard e Vakarian'
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ADDIO AI CIELI



Whispering Heart (Garrus & Femshep Tribute)
(NdA: a me risulta impossibile leggere con questo file di sottofondo, per cui mi rendo conto che non è una buona idea proporvelo all'inizio del capitolo.
Ma è da qui che “Addio ai cieli” è nato. Volevo condividerlo con voi, perché questa voce.... Spiriti! Che voce è questa!)




Mancavano ormai pochi giorni all'arrivo della Tonbay sulla Cittadella, ma molte erano ancora le cose su cui riflettere, si rese conto il comandante, mentre sedeva sul letto di quella stanza poco familiare.
L'alloggio dell'ufficiale medico era decisamente più piccolo della cabina che occupava sulla Normandy, ma era lieta di avere a disposizione solo una branda, con un comodino al suo fianco, un tavolinetto, una sedia e un minuscolo armadio. Anche il bagno era di dimensioni ridotte, ma corredato di tutto il necessario. Come aveva notato James, era più facile affrontare le giornate in quell'ambiente estraneo, ma bastava un nonnulla perché la presenza di Garrus diventasse reale e allagasse la sua mente.
Il ricordo della sua persona e della sua voce, roca e metallica, spazzava via oggetti e persone e si imponeva con autorità, catturando tutta la sua attenzione e facendole assumere un'espressione distante. Sapeva che a volte si estraniava dalla realtà, perdendosi dentro se stessa. Le era capitato di interrompersi a metà di una frase, inseguendo un ricordo sbocciato all'improvviso, o di smettere di ascoltare i discorsi che qualcuno stava pronunciando.

In virtù di qualche strano meccanismo, il suo cervello riusciva ora a ricordare, con nitidezza assoluta, le frasi che si erano scambiati nei momenti più significativi della loro vita in comune: sui ponti della Normandy o in missione, nel pieno di uno scontro a fuoco o durante i pochi momenti di gioia e tranquillità che avevano potuto passare insieme. Quelle frasi tornavano improvvisamente nella sua memoria, riportate alla luce da una parola o da un rumore, o nascevano spontaneamente dal nulla, senza alcuna ragione apparente.
E tutti i sentimenti provati durante quegli istanti passati si riverberavano inalterati nella sua mente, aggravati da una malinconia che li intensificava tanto da procurarle un dolore intenso, che le lacrime non riuscivano a diluire. Solo il visore affondato nella carne del palmo riusciva a distrarla, spingendola a trovare la forza di andare avanti.
Il visore e il bambino. Tutto il resto restava sfumato, come le immagini di quel dannato sogno che le aveva avvelenato l'esistenza durante la lunga guerra contro i Razziatori. La realtà che la circondava rimaneva qualcosa di confuso e sfumato, a cui faceva fatica a prestare attenzione.

“Devo incontrare Rennok. Devo trovare il modo di parlargli di persona” aveva deciso durante una notte passata insonne. Doveva darsi degli obiettivi precisi e concentrarsi su quelli. Un piede dietro l'altro, un passo alla volta. Il futuro era davanti a lei e doveva affrontarlo. Per farsi coraggio provava a ripetersi i versi di una canzone di un cantautore, quello che amava di più, nonostante fossero passati quasi 200 anni dalla sua scomparsa: 'e mai poter bere alla coppa d'un fiato, ma a piccoli sorsi interrotti'. Sentiva di poter vivere solo così, a piccoli sorsi interrotti.
Incontrare suo suocero sarebbe stato il primo passo che avrebbe compiuto, una volta che fosse atterrata. Dopo sarebbe andata a parlare con i Consiglieri: avrebbe fatto rapporto e avrebbe comunicato la sua decisione di prendersi un congedo a tempo indeterminato.
Non era più in grado di comandare una nave, di guidare un equipaggio. Non senza Garrus, non con un figlio in arrivo. La sua vita fra le stelle era conclusa, almeno per il momento.
Sapeva quanto le sarebbero mancati quei cieli e la sua nave e immaginava quante volte avrebbe alzato gli occhi verso l'alto o all'orizzonte, piena di nostalgia, ma non c'era un altro futuro.
“Non c'è Shepard senza Vakarian” sussurrò, appoggiando la fronte contro il vetro freddo della piccola finestra che dava sullo spazio e stringendo forte fra le dita il visore azzurro, dello stesso colore dei suoi occhi.

Il lieve bussare alla porta la distolse da quella malinconia. Si alzò immediatamente dal letto, pervasa da un'ansia che le esplose dentro, senza che riuscisse a dominarla. Avevano dovuto aspettare che l'amnios fosse di dimensioni adeguate per fare quell'esame fondamentale, che avrebbe dato una risposta alle domande più importanti, e la dottoressa, a quell'ora, doveva avere ottenuto i risultati.

- E' una femmina, Shepard - dichiarò la Chakwas non appena si accorse che il comandante era entrato nell'infermeria. Detta questa frase si lasciò cadere pesantemente sulla sedia alla destra del macchinario che mostrava i risultati dell'amniocentesi.
- Cosa ti succede? - chiese lei, preoccupata da quella reazione - Volevi un maschio, invece? - provò a scherzare, ma sentiva che il cuore stava perdendo dei colpi. “Cos'altro c'è? E' viva? Sta bene? Ce la farà mai a nascere?”. Si sedette anche lei sapendo che la sua stessa vita era legata a quella della bambina.
- E' levo... - aggiunse Karin, nascondendo la testa contro le mani aperte e sussurrando appena le due parole.
- Meglio, no? Sarebbe stato un bel casino se fosse stata destro, suppongo...
- No, non credo tu abbia idea di quanto sarebbe stata complicata la situazione, in quel caso - fu la confessione fatta con parole singhiozzate, che palesavano quanta tensione dovesse aver accumulato fino a quel momento la dottoressa.

- Tieni - sussurrò il comandante, porgendole un bicchiere riempito a mezzi di un Serrice Ice che aveva rimediato nell'armadietto dei medicinali di primo soccorso - ci meritiamo un brindisi.
Si sentì stringere il cuore nel fissare quei due occhi grigi colmi di lacrime contro le quali quell'anziana donna stava lottando per non farsene travolgere.
L'aveva tenuta a distanza perché non riusciva a dimenticare quanto male le avesse fatto con i rimproveri che le aveva rivolto mesi addietro, solo allo scopo di farla tornare a essere quella di un tempo. Sapeva che era stata una scelta saggia e coraggiosa, ma odiava le menzogne e faceva fatica a perdonarla, pur sapendo che, al suo posto, avrebbe agito nello stesso modo.
- Mi dispiace, Karin - mormorò inginocchiandosi di fronte a lei e abbracciandola con forza.
- Non dovresti bere del brandy, lo sai? - fu la domanda con cui la Chakwas cercò di alleggerire l'atmosfera, un po' troppo sdolcinata per i gusti di entrambe.
- Credo che di fronte a tutte le imprudenze che ho commesso, questa sia davvero veniale - ridacchiò Shepard, facendo tintinnare il suo bicchiere contro quello della dottoressa.
- Sta bene tua figlia, non c'è nulla che possa preoccuparci - la rassicurò Karin, bevendo in un solo sorso tutto il brandy contenuto nel bicchiere. Se ne versò un'altra dose generosa scuotendo la testa per vietarle di fare altrettanto e le chiese - Sai già come la chiamerai?
- Non ci avevo pensato - rispose Shepard con aria assorta, prima che il suo sguardo si illuminasse all'improvviso - Però, ora che me lo chiedi, credo che sia una scelta quasi obbligata.
Non specificò il nome, improvvisamente interessata ad un argomento diverso - Suppongo di poter tornare alla mia solita alimentazione - chiese infatti, mentre l'immagine di una tazza di caffè caldo e amaro le faceva venire l'acquolina in bocca.
- Certamente, ma non esagerare con caffeina e alcol - fu l'ovvia risposta - e continua a prendere gli integratori perché, anche se levo, il suo organismo potrebbe aver bisogno di sostanze che non troveresti nell'alimentazione umana.
- Allora... vado a prendermi una tazza giù a mensa - annunciò il comandante, fissando la dottoressa con un breve sorriso, prima di puntualizzare - piccola, piccola.
Fece per uscire dalla stanza ma all'ultimo momento si bloccò proprio sull'uscio - Sei davvero sicura che mi possa rilassare?
- Beh, diciamo che ti autorizzo a trasferirti nell'alloggio del comandante... Ti basta?
- Uhm, non so... Potresti essere spinta dal desiderio di smettere di dormire su una sedia... - le rispose ridendo, senza rendersi conto che quella era la prima breve risata che faceva da quando era iniziata l'ultima battaglia contro i Divoratori di stelle.

°°°°°

Andò a centellinare quella prima, preziosa tazza di caffè nella cabina di pilotaggio. Si sedette sulla poltrona con un sospiro lungo e soddisfatto, mentre Joker sbirciava la sua espressione fissando il riflesso del suo viso su un monitor al suo fianco.
- Quali sono i tuoi programmi una volta che arriveremo sulla Cittadella? - gli chiese, anche se era certa di conoscere già la risposta.
- Farò una rapida inversione di rotta. Riporterò questo dannato catorcio ai Quarian e riprenderò la mia nave... la tua nave...
- La nostra Normandy... - sospirò con nostalgia - Diavolo, Jeff... sembra siano passati dei secoli.
- E' che sono successe parecchie cose.
Ci fu un istante di silenzio, prima che entrambi se ne uscissero con un - Troppe - che venne pronunciato all'unisono.

- Sarà strano pilotare la Normandy senza averti a bordo - commentò Joker dopo qualche altro minuto che entrambi passarono in silenzio, ad ammirare una grande nebulosa che occupava una grande porzione della finestra di prua.
- Ti servirà un equipaggio, sia pure ridotto al minimo.
- A bordo rimarrà IDA, ovviamente, poi Sam e la dottoressa: suppongo voglia controllare che prenda le medicine... Anche Tali e Kal verranno con me, ne abbiamo parlato.
- Rimarranno su Rannoch?
- Sì. Credo che buona parte dell'equipaggio si disperderà per la galassia, ora che ti prenderai una pausa. Come è già successo in passato.
- Mi occuperò di questa cosa, Jeff - gli promise, sapendo che doveva fare in modo che l'Alleanza lo lasciasse alla guida della Normandy. Questo non sarebbe stato di certo un grosso problema, data la sua esperienza e la conoscenza della nave. Ma doveva trovare un comandante, e non si sarebbe accontentata di uno qualsiasi per il suo migliore amico e per la Normandy. Aggiunse mentalmente questo impegno alla lista di quello di cui si sarebbe dovuta occupare una volta sbarcata.

- E' una femmina. E' levo e sta bene - annunciò poi, guardando in viso il pilota.
- Una femmina... Sai mica cosa sarebbe piaciuto a Garrus? - rispose lui, continuando a fissare le stelle.
- Non abbiamo mai parlato di bambini.
- Giusto. Perché parlarne? Prima si fanno e poi se ne parla...
- Stai attento, Jeff...
- Mi diventi suscettibile, comandante?
- No: i Razziatori avevano previsto la sintesi come soluzione. IDA potrebbe prendere quel tuo commento come suggerimento per farti diventare papà di un bimbo-robot... - rispose Shepard in tono serio, mentre Jeff si voltava improvvisamente a fissarla con uno sguardo in cui si leggeva puro terrore e dal comunicatore giungeva una lunga risata sintetica: quel suono raccapricciante aleggiò per svariati secondi nella cabina di pilotaggio.

°°°°°

The End of an Era



Appena aprì gli occhi, la mattina successiva, ebbe un attimo di smarrimento: nulla le era familiare e per un brevissimo istante le parve perfino possibile che i Divoratori di stelle avessero fatto parte di un lungo sogno. Cercò Garrus, nella speranza che anche la sua scomparsa fosse solo un incubo destinato a dissolversi nella luce di un nuovo giorno, ma la sua mano, che corse al collo in cerca del visore, le restituì la certezza.
Si alzò dal letto, cercando di concentrarsi sul pensiero confortante di un caffè, anche perché le nausee mattutine erano ormai cessate quasi del tutto.

Si guardò attorno con aria critica: l'alloggio del comandante era poco più ampio della cabina destinata all'ufficiale medico, ma il letto era a due piazze e il bagno più grande, con una doccia molto piacevole, come ebbe modo di notare.
Si avvolse in un asciugamano e si avvicinò allo specchio per disappannarlo con la mano, ma si fermò prima di completare il gesto, ricordando le scritte che lei e Garrus avevano tracciato nel loro bagno sulla Normandy.
“Devi piantarla, Trinity” si disse, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Si pettinò stando seduta sul letto, rifiutandosi di tornare a guardare lo specchio appannato, si vestì e scese in sala mensa.

Ci trovò Tali e Kal, che stavano chiacchierando e ridendo, ma che si interruppero immediatamente, quando la videro entrare dalla porta.
- Siamo davvero felici, Shepard - le disse la ragazza, abbracciandola con forza, mentre il comandante realizzava che tutto l'equipaggio doveva essere al corrente delle novità riguardanti la sua gravidanza. Anche sulla Tonbay, come sulla Normandy, le notizie viaggiavano più velocemente degli scafi stessi.
- Chi te lo ha detto? - chiese incuriosita.
- IDA. Stavamo lavorando a un progetto per un impianto speciale, su suggerimento della Chakwas, nel caso in cui il bambino... la bambina fosse stata destro.
- Mi mancherà un po' non vedere più Tali dietro i fornelli - aggiunse poi ridendo Kal - non avevo immaginato quante esclamazioni colorite conoscesse, oltre al classico bosh'tet.
- Piantala, kos'rhit di un quarian - replicò Tali - Stai diventando scemo come il resto dell'equipaggio...
- Kos'rhit? - ripeté Shepard incuriosita, mentre rifletteva che quell'accenno ad un impianto sottolineava ancora una volta quando Karin fosse stata realmente in pena per lei.
- E' una versione più affettuosa dello stesso epiteto - chiarì Kal, che poi si girò verso la sua amica proponendole - Potresti cucinare anche per me, qualche volta.
- Non ci penso proprio: a te non piace mai nulla di quello che preparo - confessò la ragazza, mentre il comandante si chiedeva se la cucina levo fosse davvero immangiabile come aveva avuto modo di ritenere fino a quel momento o se fosse la quarian a renderla tale.

- So che tornerete su Rannoch. Suppongo che vi fermerete lì - dichiarò poi, una volta che si fu versata una tazza di caffè, buttandoci automaticamente dentro anche una manciata di cereali integrali, prima di accorgersi di quel gesto e di ricordarne il significato. Pensò di alzarsi e buttare tutto, perché preferiva il caffè solo, ma alla fine si strinse nelle spalle, prese un cucchiaio e cominciò a mangiare.
- Per degli anni, credo - replicò Kal, che ridacchiò e aggiunse - servirà parecchio tempo per riuscire a costruire una casa adatta alle esigenze di Tali - dichiarò poi, con il visore indirizzato verso il proprio piatto.
- Cosa intendi?
- Mi prende in giro perché gli ho confessato che desidero una dozzina di bambini - intervenne Tali, in tono divertito.
- Una dozzina? - ripeté Shepard, sgranando gli occhi.
- Bisognerà pur ripopolare il nostro pianeta - fu la pronta replica - La legge sul numero di figli, in vigore a bordo della Flotta Migrante, è stata fra le prime ad essere abolite. Adesso ci sono agevolazioni speciali e incentivi economici per le famiglie numerose...

Una volta che i due quarian terminarono di far colazione, Shepard rimase sola in quella stanza. Prese un succo di frutta e tornò a sedersi al tavolo, in attesa che altri membri dell'equipaggio passassero di lì.
Aveva trascorso lunghe ore nella mensa della sua nave prima dello scontro contro i Divoratori di stelle, per rassicurare i suoi compagni, ma oggi si sarebbe fermata lì per salutarli e informarsi sulle loro prossime destinazioni, spinta anche dal desiderio di poter fornire qualche aiuto in proposito.
Seppe così che Gabby e Ken sarebbero rimasti sulla Tonbay, in attesa di trasbordare sulla Normandy, più che altro per avere la certezza di non essere assegnati a due equipaggi differenti, e che anche Sam si sarebbe unita a loro.
Cooper e Foster, arrivati insieme ai due addetti alla sala macchine, avrebbero fatto ritorno in Accademia, non appena possibile, per terminare il ciclo degli studi.
Quando chiese loro notizie di Jack, notò un certo disagio in Cooper, ma nessuno dei due ragazzi poté fornire alcuna notizia sulla loro insegnante.

Poi fu il turno di Liara e Javik che stavano discutendo così animatamente da non vedere neppure Shepard, che si limitò a squadrarli con aria incuriosita, mentre ascoltava quell'inatteso litigio.
- Perché sei il solito testone, arrogante e presuntuoso.
- No, è perché conosco voi asari: di certo non siete animate da spirito caritatevole. Se non c'è un valido tornaconto personale non vi interessate a qualcuno che non appartenga alla vostra razza spocchiosa.
- Ohhhh! Ma sentilo! Perché invece i Prothean erano diversi? Imperialisti e totalitari... Noi almeno non fagocitiamo le altre razze - esplose Liara, chiaramente esasperata.
- Mi piacerebbe conoscere da cosa nasce questo amichevole scambio di opinioni - dichiarò Shepard, mentre i suoi due amici zittivano all'istante e si scambiavano un'occhiata incerta.
- Javik è stato contattato da un gruppo di studiosi asari, disposti a portarlo ovunque lui desideri, facendosi carico di tutte le spese - rispose alla fine Liara, sedendosi sulla sedia di fronte al comandante.
- Vorrei che accettasse - aggiunse - così potrebbe compiere quel dannato pellegrinaggio commemorativo a cui tiene tanto. E a me piacerebbe accompagnarlo... - rispose diventando di un bel colore viola intenso sul viso.
- Il fascino dei Prothean... - replicò Trinity ridacchiando - Ne hai uno in carne e ossa al tuo fianco e adesso ci si aggiunge il miraggio di una quantità di roba vecchia e dimenticata da riportare alla luce. Non credo che potresti farla più felice - dichiarò, fissando Javik.
- Non mi fido delle asari. Non puoi mai essere certo di quello che vogliono veramente, quando ti fanno una proposta che appare allettante. E questa lo è fin troppo... - rispose il prothean, in tono poco convinto.
- Suppongo che Liara verrebbe con te anche allo scopo di controllare che quei tipi, apparentemente tanto munifici e disinteressati, non ne approfittino per mettere le mani su qualche artefatto prezioso - ipotizzò, mentre la asari le rivolgeva un sorriso grato - Ha imparato che ben difficilmente le persone fanno qualcosa senza pensare al proprio tornaconto. Ricordati che è stata l'ultima Ombra: dubito che si farebbe fregare da un gruppetto di studiosi.

Dopo quel suo commento, un lungo silenzio cadde nella stanza, ma non c'era bisogno di uno psicologo per capire che il momento di tensione era sfumato. Quando Liara si alzò dal tavolo per andare a riempire una tazza per lei e una per Javik, si divertì a fissare l'espressione con cui il prothean stava fissando la sua amica. Ci si leggeva quel rispetto che aveva dimostrato anche a lei, nel saluto che si erano scambiati poco prima dell'ultimo scontro contro i Razziatori, ma l'espressione di quel doppio paio di occhi era anche addolcita da un sentimento di affetto profondo.
“Chissà quanto vivono i prothean?” si ritrovò a chiedersi, sperando che Liara non dovesse essere costretta a sopportare il dolore per la perdita di quel suo compagno. Ma dubitava vivessero quanto una asari.
Non si doveva preoccupare di quello. Il dolore che lei avvertiva, pensando a Garrus, era probabilmente molto diverso da quello che avrebbe provato Liara, in un futuro. La consapevolezza di essere destinate ad assistere alla morte del proprio partner era insita nella loro natura, era uno degli insegnamenti che ricevevano fin dalla più tenera età.

Stava per alzarsi dalla tavola, pensando che ormai nessun altro sarebbe arrivato a far colazione, quando vide le sagome dei due krogan occupare tutto il corridoio antistante. Sorrise fra sé nel notare lo sguardo cupo con cui Lazara stava fissando il suo amico e si risedette, preparandosi a godersi la scena successiva.
- Ho fame - dichiarò Grunt, piombando pesantemente sulla sedia, in risposta allo sguardo sconcertato del comandante di fronte ai tre piatti carichi di cibarie che il krogan aveva posto di fronte a sé.
- Dovresti far colazione a un orario normale, invece di costringermi a cercarti per tutta la nave, come se fossi un ragazzino indisciplinato e irrequieto - bofonchiò Lazara, fissandolo con uno sguardo che però non nascondeva una buona dose di dolcezza e comprensione.
- Puoi sempre fartelo cercare da IDA, quando te lo perdi - osservò divertita.
- Più che altro dovrei raccomandarle di tenerlo d'occhio. Riesce a combinare danni in quantità ogni volta che mi distraggo - ringhiò, gettandogli un'altra occhiata cupa.
- Okeer non mi ha trasmesso informazioni sui pesci - si scusò Grunt, con aria pentita, mentre Lazara gli allungava una gomitata, lanciandogli un'occhiata ancora più irritata della precedente.

- Quali pesci? - chiese Shepard, mentre si accorgeva che la ragazza aveva alzato gli occhi al cielo, chiaramente seccata che l'amico si fosse lasciato sfuggire qualcosa di cui lei era all'oscuro.
- Quelli che stanno giù nella stiva - specificò Grunt, con la sincerità disarmante che lo contraddistingueva.
- Spiegami meglio. La Tonbay ha dei pesci nella stiva?
- No - chiarì Lazara, comprendendo che ormai la frittata era fatta e che sarebbe stato impossibile continuare a cercare di nascondere la cosa. Fece un sospiro, allargò le braccia e spiegò - Liara aveva chiesto a Grunt di spostare l'acquario dalla tua cabina sulla Normandy alla stiva della Tonbay - concluse rassegnata, fissandola in viso per capire come avrebbe reagito a quell'informazione.
- E come mai non l'ha fatto rimontare nella mia nuova cabina?
- Suppongo avesse paura che non avresti apprezzato il pensiero...
- Non apprezzo affatto, in effetti - ammise, pensando a quanti ricordi quei maledetti pesci le riportavano alla mente.
- Ma in futuro potresti cambiare idea... - suggerì la krogan, fissandola con tranquillità e prendendole una mano fra le sue.

- Io spero di no - intervenne Grunt a quel punto - Credo che i pesci siano piuttosto... morti.
- E come sei riuscito ad ucciderli? - chiese interessata, mentre si sentiva incerta sulle sue emozioni.
- Sembravano affamati. Gli ho dato da mangiare... un po' di volte...
- C'era il distributore automatico di mangime...
- Non lo sapevo... e non sapevo neppure che i pesci fossero così inefficienti.
- Inefficienti?
- Se un Krogan ingoia più cibo del necessario aumenta solo la sua gobba, mica schiatta. I tuoi pesci invece stanno tutti a pancia all'aria - confessò con aria pentita.
- Forse perché non hanno la gobba?... - suggerì il comandante, cercando di restare seria.

Dopo qualche altro minuto durante i quali rimase seduta con le mani in grembo, vincendo la tentazione di prendere una seconda tazza di caffè, decise di alzarsi: sarebbe andata a cercare quegli ultimi due compagni che non aveva ancora incontrato quella mattina.
- Dov'è James? - chiese a IDA.
- In palestra. Mi ha chiesto di dirti che desidera parlarti in privato, meglio se nella tua cabina.
- D'accordo. Torno lì. Avvertilo che può venire quando vuole.
- Anche io vorrei parlarti.
- Certamente, ti ascolto.
- Ti raggiungo nel tuo alloggio usando il corpo della dottoressa Eva.
- Come preferisci - rispose, piuttosto stupita e anche leggermente inquieta.

- Cosa c'è? - le chiese non appena la vide entrare nella stanza.
- Ti volevo consegnare questo - disse l'androide, mettendole fra le mani un piccolo congegno - la dottoressa Chakwas mi aveva chiesto di interrompere il lavoro, per concentrarmi solo sull'incubatrice, ma tende a dimenticare che posso eseguire più compiti contemporaneamente.
- Incubatrice... Per la bambina, suppongo - rifletté Shepard ad alta voce.
- Se dovesse nascere prematura...
- Saggia cautela - commentò, pensando a quanti aspetti non aveva preso in considerazione - E questo oggetto, invece, cos'è?
- L'impianto che dovevamo costruire nel caso tua figlia fosse stata destro.
- Dubito mi serva, allora.
- Non puoi esserne certa - notò la voce Eva, con un sorriso incerto - Garrus potrebbe tornare e... chissà...
Shepard arrossì violentemente, incerta se arrabbiarsi o mettersi a ridere.

- La verità è che questo impianto è troppo avanzato - dichiarò poi IDA fissandola con aria seria - Non voglio cada in mani sbagliate. Non voglio consegnarlo neppure a Tali o alla dottoressa. Io... credo di aver imparato molto da quando mi sono appropriata di questa nave: ho elaborato dati e fatto scoperte inattese che potrebbero rivoluzionare gli equilibri galattici esistenti. I quarian hanno utilizzato tecnologia dei Razziatori per questo scafo, ma senza comprenderne in pieno tutte le potenzialità.
- Questa nave è simile al cervello degli organici, di cui voi sfruttate solo una porzione minuscola. Io derivo dalla tecnologia dei Razziatori e comprendo le potenzialità di questo scafo, anche se non tutte, probabilmente. Potrei rendere la Tonbay estremamente più potente ed efficiente di quanto sia ora, in una manciata di minuti. E potrei continuare a lavorare ad ulteriori miglioramenti, facendone la nave più avanzata di tutta la galassia.
- Ma non hai fatto nulla di tutto questo.
- Le conseguenze sono difficilmente valutabili per me, perché coinvolgono razze organiche. Io sono l'ultima IA rimasta nella Via Lattea, in questo momento. Ho deciso che avrei ascoltato i tuoi consigli.
- Hai ragione: avanzamenti tecnologici rivoluzionari sconvolgerebbe gli attuali equilibri, se forniti a una singola razza - rifletté Shepard - Non sto pensando ad una razza in particolare, spero che tu possa capirmi. Non vorrei che svelassi le tue scoperte agli umani più che ai quarian o ai turian.
Vide che Eva annuiva e continuò - E fornire queste conoscenze a tutti? Potrebbe equivalere a mettere una bomba capace di distruggere intere civiltà nelle mani di un gruppo di bambini inesperti...
- Non ho intenzione di svelare ciò che ho imparato in questi giorni, su questa nave – fu l'affermazione inattesa che interruppe le sue riflessioni - Non credo siate pronti, comandante.
- Nemmeno io voglio sapere nulla, IDA - dichiarò Trinity, sapendo che quell'affermazione era partita impulsivamente, ma che non se la sarebbe rimangiata.
- Lo immaginavo. Per questo volevo parlare con te.
Non replicò, ma si prese del tempo per riflettere. Quel discorso faceva scaturire quesiti complessi e difficilmente risolubili nel breve periodo.
“Chi sei, IDA? Come agirai in futuro? Potresti diventare un pericolo per le razze organiche? Sarebbe possibile disattivarti, in caso di necessità?” furono le prime domande che le esplosero nella mente, mentre fissava l'androide in silenzio, provando un vago senso di timore.
- C'è altro? - chiese, mentre si augurava che se ne andasse subito: desiderava restare sola per poter riflettere.
Non si aspettava la risposta affermativa che fu invece pronunciata.

- Ho conosciuto i Divoratori di stelle - fu la rivelazione inaspettata - anche se il verbo 'conoscere' è molto approssimativo.
- Puoi spiegarti meglio? - domandò, sapendo che adesso era ancora più inquieta di prima.
- Quando hanno 'toccato' la Normandy, assorbendone l'energia, li ho 'sentiti', anche se per pochi millesimi di secondo. Da allora ho passato interi giorni a elaborare le informazioni raccolte, per cercare di comprenderle.
- Quali sono le tue conclusioni?
- Credo siano l'evoluzione perfetta di una forma di intelligenza artificiale, non più vincolata alla fisicità. Sono pura energia, ma lo schema che seguono nelle comunicazioni mi è estremamente familiare, molto più di quanto lo siano i vostri confusi processi cognitivi. Sono razionalità allo stato puro, priva di sbavature, priva di qualsiasi emozione che non sia l'autoconservazione.
Shepard si sedette sul letto, fissando il volto di Eva, nel tentativo di leggerci le emozioni. Si rese conto di quanto assurdo fosse il tentativo di capire un essere inorganico come se avesse di fronte un'umana, ma IDA era entrata in sintonia con tutto il resto dell'equipaggio anche grazie all'apprendimento del linguaggio del corpo. E lei sapeva che non avrebbe 'mentito', utilizzando segnali in disaccordo con le sue vere 'emozioni'.
- Se ti chiedessi cosa provi per i Divoratori di stelle, sapresti rispondere oppure è una domanda troppo complessa o priva di significato?
- Provo repulsione - rispose con sicurezza - Ma capisco la tua preoccupazione, comandante. Io non sono un ibrido fra vita artificiale e organica. Io sono pura tecnologia e quindi dovrei essere a favore della prima. Ma sono stata liberata dai miei creatori e gli organici mi affascinano e mi incuriosiscono. Sto cercando risposte alle domande che vi fate da quando siete nati. Non le conosco, ma forse è la loro stessa ricerca ad essere lo scopo ultimo degli esseri organici.
Fece una breve pausa e poi continuò - Non mi riconosco nei Divoratori. E se ho trovato alcuni punti di contatto con i Geth, e con Legion in particolare, solo gli esseri organici hanno un vero interesse per me. Per alcuni di voi provo 'sentimenti' profondi, anche se nessuno potrà mai stabilire quanto le mie 'emozioni' siano simili alle vostre.

- Cosa vogliono quei nemici? - chiese Shepard, accantonando per qualche istante le frasi che aveva appena ascoltato. Ci avrebbe pensato più tardi, a mente fredda, cercando di essere obiettiva. Ora voleva solo conoscere le informazioni che IDA aveva raccolto su quel nuovo nemico della galassia, anche se difficilmente avrebbe potuto trasmetterle ad altri: non era certa che avrebbe confessato alle autorità come le aveva ottenute perché non si fidava di quali reazioni avrebbero avuto nei confronti di quella IA che anche a lei appariva inquietante.
- Energia. E' il loro unico obiettivo, puro e nitido. Non provano emozioni, non hanno coscienza del male, ma solo del necessario. Non si interessano agli organici. Non si interessano alla sorte dei sistemi stellari. Queste questioni non hanno significato. Non sono neppure mai state prese in considerazione.
- Da dove vengono?
- Ho ricevuto delle... immagini. Anche se non lo sono realmente: parlerei di... trasmissione globale di conoscenza. Non so come spiegare, ma è come se avessi 'visto' una galassia spenta che sta ormai trasformandosi in ammassi di polveri cosmiche. La loro casa è quasi completamente disgregata. Si stanno preparando a diventare nomadi, ma hanno bisogno di molta energia per questo passo definitivo. Ho avvertito in loro quello che voi chiamate 'fame' o 'bisogno'.
- Hanno un portale nella Via Lattea?
- Sì.
- Dove?
- Non usano nulla di paragonabile alle nostre coordinate. Non so dirlo. Si orientano utilizzando mappe di energia, un po' come gli uccelli migratori sulla Terra si orientano sulla base dei campi magnetici. Ma ho ricevuto anche vaghe immagini di buio, nebbia e caos, anche se, come ti ho già avvertito, parlare di 'immagini' è molto impreciso. Ho avvertito anche confuse memorie, la presenza di nemici annientati in scontri antichi.
- Razziatori?
- Non 'vedono' come noi. Ricordavano esseri grandi, identificati come ricche fonti di energia. Se mi chiedessi se potrebbe trattarsi Razziatori, ti risponderei di sì. E' possibile.
- Sai dirmi altro?
- No, Shepard. Questo è tutto.
- Le notizie sui Divoratori sono interessanti e confermano ciò che sapevamo, ma non sono utili o decisive. Credo che non ne farò parola con le autorità. Non saprei come giustificare queste conoscenze senza tirartici dentro.
- Mi vuoi proteggere dagli organici, comandante Shepard? - fu la domanda che Eva pronunciò cercandole gli occhi.
- Io... dovrò riflettere sulle altre cose che mi hai detto - rispose, senza provare a dissimulare l'inquietudine che avvertiva, al pensiero di trovarsi di fronte un'entità molto più potente e potenzialmente pericolosa di quanto avesse supposto fino ad allora.
- Lo so, me ne rendo conto. So che prenderai le decisioni giuste - rispose IDA con una fiducia che la commosse.
- Dico a James di venire qui? - le chiese poi, mentre usciva dal suo alloggio.
- No. Preferisco camminare un po' - le rispose, sentendo che era troppo agitata per rimanere ferma - Dimmi se si trova nella palestra.
- Sì, con Jack.

Lo trovò da solo, invece, mentre prendeva a pugni il sacco da pugilato, appeso nel mezzo della stanza, con entusiasmo eccessivo. Fu certa che stesse sfogando contro quell'attrezzo inanimato una qualche emozione violenta e non volle interromperlo. Non perse l'occasione per ammirarne la struttura fisica, sapendo che probabilmente sarebbe trascorso molto tempo prima che si incontrassero di nuovo.
Quando lo vide fermarsi, dopo aver tirato un pugno più violento di tutti i precedenti, fece per passargli l'asciugamano che si trovava al suo fianco, sopra una sbarra. Si bloccò di colpo, stupita da quanto fosse sudicio, ma l'invito - Dai qua - che lui pronunciò, accompagnandolo con un gesto del capo, la fece decidere e glielo tirò.
- Va bene qui o andiamo nella mia cabina? - gli chiese poi, una volta che il ragazzo si fu asciugato dal sudore, porgendogli una bottiglietta d'acqua.
James la bevve tutta, lanciò un'occhiata alla porta, poi si strinse nelle spalle - Suppongo andrà bene anche qui. Dubito che ci disturberanno...
- Ti ascolto.
- Il programma N7 inizierà fra un mese.
- Avrai un po' di tempo per prenderti una pausa: andrai a rivedere le onde dell'oceano? - rispose fissandolo incuriosita - Spero non ti siano venuti dubbi. Sono certa che andrà benissimo: sei un bravo soldato.
- Non posso non avere dubbi, specie dopo quest'ultima missione. Solo un pazzo non ne avrebbe, ma non è di questo che volevo parlarti. Vorrei chiederti una cortesia.
- Va bene, spara.
- Non abbiamo apposto le ultime targhe sul memoriale della tua nave. Non abbiamo avuto tempo per quella piccola e semplice cerimonia. Ma immagino che si terrà, quando la Normandy tornerà sulla Cittadella, e che tu parteciperai. Vorrei esserci anche io. Se mi avvertirai per tempo troverò un modo per liberarmi - dichiarò, prima di ricominciare a prendere a pugni il sacco.
Shepard si limitò ad annuire, sapendo che nessuna parola sarebbe stata adeguata. Si appoggiò contro la parete, fissando in silenzio quella serie elegante di colpi, fino a quando alcune parole, gridate irosamente da una voce familiare, turbarono quel silenzio pesante, interrotto solo dai colpi contro il sacco.
- Sei solo un idiota! - fu la prima breve frase - Un maledetto, stupido idiota! - fu il supplemento, seguito a breve dall'accusa - Rendi tutto inutilmente complicato.
Poi Jack uscì dalla stanza, senza neppure aver notato Shepard.

- Ero incerto se passare i pochi giorni di vacanza sull'oceano oppure vicino alla sede dell'Accademia Grissom - commentò James affondando il pugno destro contro il sacco - ora suppongo di non dover effettuare alcuna scelta.
- Ha paura dei sentimenti, ha paura di lasciarsi andare - commentò Shepard a sua volta, mentre capiva improvvisamente che quell'asciugamano era sporco di rimmel e di rossetto.
- Mi ha narrato una storia, su un suo amico - riprese a dire James, dopo qualche altro minuto di silenzio - Ma dubito tu voglia sentirla: è troppo lunga. E non credo vorrebbe che la raccontassi in giro.
- Immagino di sapere di quale storia si tratti. Prima che la raccontasse a te, suppongo che io fossi la sola a conoscerla.
- E' un casino quella ragazza, enigmatica come i suoi dannatissimi tatuaggi. Poco fa è scoppiata in lacrime, facendomi sentire un vero idiota.

- Non posso aiutarla, Lola - aggiunse poi - E non so neppure se voglio impegnarmi tanto. Nessuno di noi due vuole una storia, per degli ottimi motivi.
- Perché sei un soldato: mi ricordo il discorso che mi hai fatto nell'appartamento di Anderson. Dici che nessuno di voi due vuole impegnarsi in una storia. Non riesco a esserne del tutto convinta, forse per via del modo in cui prendi a pugni quel sacco innocente o per via dei discorsi misurati di Jack...
- Mi ha detto che una relazione come quella che vorrei io finirebbe solo male. Ma io non so neppure se voglio una relazione con lei, a dire il vero.
- E come le sarebbe venuta in mente questa strana idea, secondo te?
- Forse perché le ho detto che non mi interessa andarci a letto - ammise, arrossendo visibilmente.
- E perché no? E' una bella ragazza. Sono sicura che non sei rimasto a secco per tutto il tempo che sei stato sotto il mio comando.
- Dannazione, Shepard! Cosa vuoi che ti risponda?

- Potrebbe essere la cosa più idiota di questo mondo o la migliore che ti sia mai capitata. Non potrai mai saperlo se non rischi.
- Sa molto di frase da cioccolatini, con tutto il rispetto.
- Tutto il rispetto puoi infilartelo dove sai. Quanti altri casi di rapporti intimi fra un'umana e un turian conosci? E' stato un bell'azzardo, ma ne è valsa la pena - fu la replica irritata che pronunciò mentre lasciava la palestra. Giunta sulla porta, lo avvisò - Hai del rossetto sulle labbra.
Non era vero, ma la foga con cui lo vide prendere l'asciugamano per strofinarcisi la bocca, le fece capire che ci aveva azzeccato.

Ora le rimaneva solo Jack. Quando chiese a IDA dove si trovasse, non si stupì della risposta: sapeva che avrebbe cercato rifugio nella zona più buia e interna di tutta la Tonbay.
La fitta penombra le impediva di leggerle il viso alla ricerca di segni di pianto, ma avrebbe scommesso che c'erano.
- Cosa cazzo vuoi? - fu la domanda poco cordiale.
- Dovresti prepararti e avvertire i tuoi ragazzi di tenersi pronti. Manca poco al vostro sbarco.
- La Cittadella non è così vicina.
- Vi porto sul pianeta su cui ci avete raggiunto, così potrete riprendere la nave che avete usato all'andata.
- Quanto manca?
- Poco. Dovresti sistemare le questioni in sospeso.
- Non ne ho.
- Meglio così - replicò in tono scettico. Poi aggiunse - Quando Jeff riporterà indietro la Normandy ci occuperemo di apporre le targhe sul memoriale. Te lo farò sapere con un certo anticipo, se vorrai venire.

- Si chiamava come me: Jack - dichiarò la ragazza, appoggiandosi contro la parete - Jack Milton, ma nessuno assocerà quel nome allo stupido ciccione. Finirà dimenticato prima di tutti gli altri. Maledizione, Trinity!
- Allora sulla targa scriveremo Jack Milton, detto Volus. Ma dubito sia questo il punto, Jaqueline.
- Non osare mai più chiamarmi a quel modo - sibilò la ragazza, diventando blu da capo a piedi, segno che si era fatta riattivare gli impianti dalla dottoressa.
Ma non era stata l'unica ad avere quell'idea, si rese conto la ragazza, trovandosi a fronteggiare il suo comandante ricoperto da un identico bagliore.
- Mai visto Mezzogiorno di fuoco? - fu la domanda che le rivolse Shepard in tono divertito - Un duello all'ultimo sangue sarebbe una degna fine per chiudere questa avventura che è costata troppo a tutti.
- Dovresti smettere di fare la salvatrice della galassia, Trinity - rispose Jack, mentre l'aura bluastra che la avvolgeva si indeboliva fino a sparire.
- Per una volta sono completamente d'accordo con te - replicò Shepard stancamente.
- Alla fine chi ci ha rimesso di più sei proprio tu, stavolta. Sarai morta ben prima che i Divoratori di stelle fottano la nostra galassia. Chi cazzo te l'ha fatto fare? - fu la domanda retorica.
- Sei stata una perfetta idiota - concluse Jack, scuotendo la testa.
- Cerca di non esserlo anche tu, allora - le rispose, prima di girarsi su se stessa per tornare sui suoi passi. Gettò un'occhiata alla piccola finestra che dava sui cieli freddi e distanti, indifferenti alle miserie umane, e sussurrò verso una lontana stella che brillava di luce azzurrina - Devi tornare da me, dannato testone. E questo è un ordine.
  
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