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Autore: Eynieth    24/10/2013    2 recensioni
Matilde ha una sola paura. E tanti sogni, ma sono collegati l'uno all'altro.
Sogni. Paura.
Paura. Sogni.
E i suo sogni la conducono per nove mesi in Francia, dalla famiglia Ulliel. Per realizzare i suoi sogni stravolgerà la sua vita, ma non stravolgerà solo la sua...
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi sveglio con la sveglia del cellulare. Con gli occhi ancora chiusi e il caldo delle coperte, penso che sia tutto normale, come lo è stato per piú di un mese.

Peccato che quando apro gli occhi, trovo il viso di Gaspard, illuminato dalla poca luce che entra dalle finestre, proprio davanti a me. Inizio a mordermi il labbro. Ho giá scoperto che a muovermi silenziosamente, sono una frana, però adesso è addormentato, magari ho piú fortuna... Inizio ad allontanarmi il piú lentamente possibile, ma dopo che mi sono mossa solo di pochi centimetri, sento Gaspard muoversi e il suo braccio si posa sulla mia pancia e vengo tirata verso di lui. Cerco di aggrapparmi al bordo del letto, ma anche nel sonno, Gaspard é piú forte di me. Mi stringe in un buffo abbraccio, un po' contorto, un po' assonnato, e mi stringe. Nel buio spalanco gli occhi.

E adesso cosa diamine faccio? Cominciamo col respirare. Posso sentire il corpo caldo di Gaspard, attaccato al mio. Arrossisco senza un motivo e giro la testa. Devo pensare... Non voglio assolutamente svegliarli, ci sono stati fin troppi momenti imbarazzanti, vorrei evitarne altri, in futuro. Posso quasi sentire i minuti scorrere, segnati dai battiti dei nostri cuori. Cavoli! Annalise mi sta aspettando, e non sopporta i ritardi. Si arrabbierà tantissimo! Mi mordo il labbro prendendo il braccio di Gaspard e cerco di sollevarlo il piú delicatamente possibile, e appena sono libera, scappo dal letto. Mi chiudo nello studio e comincio a vestirmi. Trovo un paio di pantaloni neri a vita bassa e stretti e ci abbino una cintura argentata ad anelli. Cerco una camicia bianca aderente e prendo il gilet nero che ho appena finito. Allaccio con cura i bottoni argentati. Prendo delle scarpe a caso dal mucchio nell'angolo, e guardandole, vedo che ho pescato le scarpe giuste. Sono chiuse e nere, ma il tacco è argentato, come i bottoni e la cintura.

Mi pettino i capelli senza badare agli innumerevoli nodi, e faccio una treccia che lascio cadere sulla schiena. Indosso gli occhiali, che avevo lasciato sul tavolo la sera prima, prendo la borsa, con dentro vari quaderni e il mio computer, ed esco dallo studio, chiudendomi la porta alle spalle. Cerco di fare il meno rumore possibile, anche se con i tacchi è difficile. Prima di uscire dalla camera, vedo la cravatta nera di Gaspard per terra, che probabilmente ha lasciato lì la sera precedente. La prendo al voli ed esco. Intanto che scendo le scale, faccio il nodo alla cravatta. Arrivo in ingresso in perfetto orario. Mi guardo attorno, ma di Annalise nessuna traccia. Sistemo gli occhiali che mi sono scivolati sul naso, e mi avvicino alla sala da pranzo. Sono tutti lì a fare colazione. «Matilde, eccoti. Oggi viene anche Gaspard, adesso vado a svegliarlo. Peró dobbiamo aspettarlo...» dice Annalise alzandosi. Faccio per fermarla, ma lei mi ferma per prima con un gesto della mano e scompare dalla sala. E io cosa faccio, adesso? Devo dirglielo. E oggi verrá anche Gaspard. Bene, molto bene. Mi avvicino al tavolo e mi siedo al mio posto, rinunciando a guardare Lisa, mi verrebbe un complesso di inferioritá orribile. Prendo un croissant e inizio a mordicchiarlo, giusto per non martoriare il mio labbro mal ridotto. Almeno questa volta saremo vestiti entrambi... Penso con un sorriso.

 

 

 

Toc. Toc.

Faccio una smorfia nascondendo la testa sotto il cuscino: chi è che rompe a quell'ora della mattina?

Toc. Toc.

Prima o poi se ne andrà se resto qui fermo e faccio finta di dormire.

«Gaspard.»

Salto in piedi: è mia madre. Non deve sapere che ho dormito nel letto con quella ragazza. Mi infilo velocemente i primi jeans che mi capitano a tiro e mi avvicino con noncuranza alla porta, per poi aprirla.

«Era ora. Questa mattina hai la sfilata, spero che tu te lo ricordassi.» annuisco appena alzando gli occhi al cielo, mentre lei mi squadra poco contenta delle mie condizioni. «Verrà anche Matilde con noi. Oh, è vero. Mi sono scordata di dirtelo, ma credo che ormai vi siate già conosciuti.»

«Eh già. Ho dormito su una poltrona, sta notte. Potevate almeno avvisarmi.»

Agita una mano in segno di scuse e mi intima di vestirmi e scendere al più presto a fare colazione perchè non ha tempo da perdere. Richiudo la porta sbuffando sonoramente. Almeno sono riuscito a mentirle e a quanto pare la ragazza misteriosa non ha aperto bocca in proposito. Meglio così.

Apro l'armadio tirando fuori una camicia azzurra, una giacca grigia e un paio di jeans del medesimo colore. Mi cambio velocemente cercando per terra, dove avevo lasciato la sera prima, la cravatta. Scomparsa. Sospiro: rimarrò senza. Infilo un paio di scarpe a caso e mi precipito in bagno, per poi bloccarmi davanti alla porta. Busso. Non si sa mai. Non ricevendo alcuna risposta apro e richiudo la porta dietro di me. Mi sciacquo il viso per svegliarmi e passo un po' di gel tra i capelli per tirarli indietro.

Arrivo in sala da pranzo dove sono tutti seduti a fare colazione, Matilde compresa. Saluto tutti con un “Bonjour” e mi siedo accanto a mia sorella, anche quella mattina vestita e agghindata impeccabilmente: uscirà con quel tipo? Faccio una smorfia prendendo una croissant alla crema e versandomi un po' di latte nel caffè davanti a me. Mangio in fretta, irritato dallo sguardo di mia madre che sembrava intimarmi di sbrigarmi.

Sono ormai le nove quando usciamo dalla villa con Gabriel che ci aspetta fuori dal cancello con la nostra limousine. Sto per scaraventarmi nel posto anteriore, ma mia madre, impicciona, mi precede: come diavolo fa camminare così velocemente con dei tacchi tanto alti? Donne!

Mi ritrovo nei sedili posteriori. Con la ragazza castana seduta di fianco a me. Cade tra noi un silenzio imbarazzante, rotto dalle raccomandazioni di mia madre a cui do decisamente poco ascolto. Sto ancora ripensando alla notte e alla giornata precedente. Il bagno. Il letto.

Mi porto istintivamente una mano davanti al volto per non far notare che sono arrossito. Fortunatamente, per me almeno, il luogo dove si terrà la sfilata non è molto lontano; si trova nella periferia di Parigi, anche se è molto rinomato. Si tratta di un teatro con un'enorme palco che si estende nella fila centrale, tra le sedie, fino a metà sala. Non è la prima volta che sfilo lì, quindi so trovare la strada per conto mio e riuscirò a fuggire prima che mia madre possa dirmi di muovermi.

Dopo una ventina di minuti in cui riesco soltanto ad aprire la bocca per chiedere a Matilde come mai fosse in Francia, raggiungiamo la nostra destinazione. Scendo al volo, ma non faccio in tempo a scappare perchè mia madre mi fulmina con lo sguardo; alzo gli occhi al cielo e mi appresto ad aprire la portiera della ragazza italiana porgendole la mano per aiutarla ad uscire.

«Mademoiselle...» sussurro tirandola appena verso di me senza molta fatica. E' leggera. Piego le labbra in un mezzo sorriso mostrando la fossetta, per poi lasciarle la mano e dileguarmi dentro il teatro verso i camerini.

Non ci metto molto a trovare il mio e mi chiudo dentro rifiutando di far entrare qualsiasi persona che non fosse lì per aiutarmi a vestirmi e prepararmi. Fisso la mia immagine riflessa nello specchio: perchè ho un'aria così agitata? Passo una mano fra i capelli per poi voltarmi e osservare i capi da indossare. Nulla di così complicato, fortunatamente. Qualche abito autunnale, camicie a maniche lunghe, giacche di vari tipi. Mi danno la lista dell'ordine in cui ci saremmo presentati: fortunatamente tra un abito e l'altro ho almeno una decina di altri ragazzi, così non dovrò fare tutto di fretta. Mi spoglio rimanendo in boxer per poi infilarmi un paio di jeans abbastanza aderenti, una camicia a quadri bianchi e neri e un trench grigi molto elegante. Mi lascio pettinare e poi esco pronto a presentarmi. Passo sicuro sul palco cercando di non incrociare lo sguardo di Matilde e mia madre che sono giusto giusto in prima fila: sento i loro sguardi su di me, ma continuo a testa alta, senza la minima esitazione, per poi tirare un sospiro di sollievo una volta rientrato in camerino. Mi svesto nuovamente, per provare i vestiti successivi.

Strap.

Non è possibile...

 

 

 

Cerco di non guardare Gaspard, durante la sua colazione frettolosa,e mi perdo ad osservare le briciole che ho lasciato nel piatto, come se potessero rivelarmi i grandi misteri della vita. Quando Annalise si alza, decretando la fine della colazione, cerco di camminare in disparte, ancora un po’ traballante sui tacchi alti. E, quando Annalise mi lascia con Gaspard sulla limousine, vorrei strozzarla. Mi perdo a guardare il paesaggio che scorre fuori dal finestrino dell’auto, faccio di tutto per non guardarlo.

Quando mi chiede del motivo della mia visita in Francia, gli dico semplicemente che l’università mi ha offerto questa opportunità per i buoni voti che ho. Non aggiungo nient’altro, limitando le parole al minimo e tornando a guardare fuori dal finestrino.

Possibile che questo viaggio mi sembri lunghissimo? Anche se so che il teatro dove si svolgerà la sfilata è a soli venti minuti dalla villa, mi sembra che non passi mai il tempo, con Gaspard che mi guarda. Così ricomincio a mordermi il labbro. Prima della fine della giornata gronderà sangue, se continuo così.

Quando, finalmente, arriviamo, Gaspard mi aiuta ad uscire dalla limousine, non che ne abbia bisogno, anzi, forse era meglio se non mi aiutava affatto, visto che mi tira leggermente verso di sé, e io rischio di cadere, su quei tacchi che sembrano trampoli. Non mi abituerò mai.

Poi, fortunatamente, Gaspard si dilegua. Annalise comincia a parlare con gli organizzatori della sfilata e io prendo appunti frettolosamente, seguendola come un cagnolino.

Quando ci sediamo, nei posti riservati, non sento più i piedi e sono ben felice di non dover più camminare.

Osservo Gaspard sfilare con il primo completo, che gli cade a pennello, ovviamente. Velocemente ne faccio uno schizzo approssimato, abbozzando il modello e i vestiti, segando sul margine le cose che per me sono più importanti.

Faccio degli altri schizzi per tutti i modelli successivo. Ad un certo punto, un’assistente si avvicina ad Annalise e le sussurra qualcosa a un orecchio. Annalise alza gli occhi al cielo e dice qualcosa che non riesco a sentire. Poi si gira verso di me.

«Matilde, per favore, vai in camerino da Gaspard, ha rotto dei pantaloni, potresti sistemarglieli?» mi chiede tornando subito a guardare la sfilata.

Rimango un attimo a bocca aperta. «Io…?» chiedo titubante. «Sì, Matilde, tu. Ho visto i tuoi vestiti, sei brava a cucire. E Gaspard ne ha bisogno. Per favore.» dice senza neanche guardarmi.

Guardo l’assistente che mi sta guardando esasperata. Sbuffo, mi alzo, ma la seguo. Ho forse scelta? Assolutamente no.

La ragazza mi indica un camerino e se ne va.

Mi fermo davanti alla porta e faccio un respiro profondo, poi prendo tutto il coraggio che ho, e busso. Aspetto fino a quando penso di sentire un “avanti”, poi entro.

Trovo Gaspard che si guarda allo specchio, cercando di capire cosa si è strappato.

Quando si gira per vedere chi è entrato, alzo una mano sconsolata, per salutarlo. Forse l’ho già detto, ma penso che qualcuno si stia divertendo da qualche parte.

Mi avvicino a lui, girandogli attorno, per capire anche io cosa si è rotto. Alla fine vedo uno strappo sulla cucitura della gamba interna. Per abitudine, faccio per abbassarmi, per osservare meglio lo strappo, ma mi fermo a metà del movimento. Cosa mi ero ripromessa? Niente più figure imbarazzanti? Penso proprio che non riuscirò a mantenere la promessa.

Indico lo strappo a Gaspard, che va dall’inguine e prosegue giù per la gamba.

Sto per chiedergli se può darmi i pantaloni, così li sistemo, ma lui mi precede, dicendo che non ha tempo, che tra poco è il suo turno e non riuscirebbe a vestirsi di nuovo.

Mi giro imbarazzata, osservando il camerino. Su un tavolino vedo degli spilli e del filo. Prendo tutto il necessario e mi avvicino a Gaspard, inginocchiandomi. Potrebbe esistere una situazione più imbarazzante? Sento gli occhiali che scivolano sul naso e li tiro su. Prendo degli spilli e comincio a chiudere approssimativamente lo strappo. A un certo punto, vedo Gaspard saltare e non oso alzare lo sguardo. Per sbaglio devo averlo punto. Dio, penserà che non sono neanche capace di cucire!

Prendo l’ago e facendo il più attenzione possibile, e cercando di toccare le gambe di Gaspard il meno possibile, inizio a cucire. Non è per niente facile, ma alla fine ci riesco. Certamente non è il mio lavoro più bello, ma sono molto felice di potermi alzare e allontanare in fretta. Sento le gambe tremare un po’ e faccio fatica a rimanere su quei dannati tacchi.

 

 

 

Mi giro e rigiro davanti allo specchio: dove diamine mi sono strappato? Sto iniziando a stancarmi, finchè non sento bussare e borbotto un “avanti”. La mia salvezza era arr...

Matilde?!

Mi saluta con un cenno della mano, imbarazzata: dannazione, avevo chiesto di chiamare qualcuno che mi aiutasse... Ok, si cuciva i vestiti da sola, ma proprio lei? Mi si avvicina per cercare di capire dove vi fosse il maledetto strappo e sembra averlo trovato perchè si china... Ma poi si blocca e si limita ad indicarmelo: lo squarcio partiva dall'inguine e finiva quasi al ginocchio. Sono un disastro!

Mi chiede di toglierli, ma mi rifiuto: manca poco al mio turno e non avrei mai fatto in tempo a rivestirmi! Lei sembra arrossire e si guarda attorno alla ricerca di qualcosa, per poi allontanarsi e tornare da me con in mano spilli, filo e ago. Si china davanti a me.

Dio, qualcuno deve avermi giocato un brutto scherzo! Non era bastata la giornata precedente, no! Adesso deve pure ricucirgli i pantaloni. Ringrazio il cielo che non puoi vedermi in faccia, troppo occupata a cucire, perchè sono decisamente avvampato. Devo anche essermi mosso perchè sento lo spillo pungere sulla gamba e sobbalzo per via del dolore. Dannati pantaloni aderenti, dannate sfilate e dannata mia madre che mi ha mandato lei!

Inizio a torturarmi nervosamente una ciocca di capelli in attesa che finisca il lavoro. Fortunatamente aspetto pochi minuti e la vedo rialzarsi, un po' barcollante su quei tacchi decisamente troppo alti.

«Rimani pure qui seduta, se vuoi riposarti un po'. Troverò qualche scusa con mia madre.» dico apparentemente indifferente prima di uscire per la sfilata. Di nuovo quel palco: spero vivamente di non aver fatto un danno così evidente nonostante il soccorso all'ultimo secondo della ragazza. Cammino respirando profondamente e ripetendomi nella mente di non abbassare lo sguardo per controllare che fine ha fatto lo squarcio. Non sento mia madre borbottare nulla di negativo: allora non si nota. Tiro un sospiro di sollievo e torno velocemente nel camerino ignorando tutti gli assistenti che mi accerchiano sbattendogli la porta in faccia.

«Merci, mi hai salvato la vita. Ti devo un favore.»

Matilde è ancora lì, seduta e cerco di non farci troppo caso mentre mi spoglio, per l'ennesima volta. Non è la prima volta che una ragazza mi vede seminudo, giusto? E lei mi ha comunque visto in quello stato ieri sera. Rabbrividisco appena per il freddo, ma soprattutto perchè sento i suoi occhi puntati su di me, nonostante io sia di spalle. Afferro una bottiglietta d'acqua posta su un tavolino e ne bevo praticamente metà, assetato e agitato. Poi mi avvicinò agli ultimi capi, grazie a Dio. Una camicia nera, un altro paio di jeans e una giacca in pelle anch'essa nera. Infilo i pantaloni senza troppi problemi: sono più larghi; poi cerco di mettermi velocemente anche la camicia, ma qualcosa deve essere andato storto perchè la testa non passa.

«Merde, tutte a me!» sbuffo sonoramente cercando di venire a capo del motivo per il quale mi fossi incastrato in quel pezzo di stoffa. Inizio a girare su me stesso, ad agitarmi e divincolarmi, per poi ricordarmi che non dovevo fare altri danni e sarebbe stato meglio calmarsi. Respiro profondamente, ma qualcosa mi irrita: la ragazza sta ridendo. Se la sta ridacchiando perchè mi vede goffo e in difficoltà. Arrossisco, ma non so se per via della rabbia o, tanto per cambiare, dell'imbarazzo. Poi sento il rumore dei tacchi avvicinarsi e delle mani posarsi sulla mia testa. Improvvisamente quel pezzo di stoffa sembra allargarsi e far passare il mio volto...non l'avevo slacciata. Ok, sono un perfetto idiota. Borbotto qualcosa che assomiglia molto ad un “grazie” mentre mi sistemo meglio la camicia.

Mi sento osservato... Alzo il volto e lei è lì a pochi millimetri da me, poco più alta grazie ai tacchi. Con quegli occhiali e i capelli raccolti non sembra più la ragazzina indifesa con addosso la mia maglia larga della sera precedente. Anche se effettivamente si diverte a rubarmi i capi, dato che indossa la dannata cravatta che cercavo furiosamente questa mattina. Arrossisco, in silenzio. Non so cosa dire o come comportarmi. Penserà sicuramente che sono un idiota: perchè mi faccio tanti problemi?

Improvvisamente vedo gli occhiali di Matilde scivolarle pericolosamente verso la punta del naso e li blocco con un dito per poi sistemarglieli. E' vicinissima. I nostri volti quasi si sfiorano e posso sentire il suo profumo leggero e delicato, come lei.

«Gaspard.»

Mi sento chiamare, probabilmente da un assistente fuori dalla porta, e torno alla realtà. Mi allontano da lei ringraziandola per l'ennesima volta mentre afferro la giacca di pelle che mi infilo mentre esco di nuovo dal camerino per l'ultima sfilata.

 

 

 

Intanto che Gaspard esce dal camerino, mi siedo e comincio a fare uno schizzo del vestito che ho appena visto. Trovo dei fogli e delle matite e comincio a disegnare. Sto ancora finendo lo schizzo, quando Gaspard torna. Alzo appena lo sguardo e guardandolo sistemo alcuni dettagli sul foglio. Arrossisco quando mi guarda e mi ringrazia. «Figurati, è quello per cui sto studiando...» sussurro sfumando un'ombra. sento il fruscio della stoffa e alzo lo sguardo. Gaspard si sta spogliando tranquillamente davanti a me. Distolgo lo sguardo. Come non detto. Possibile che per un giorno non possiamo rimanere in una stanza senza situazioni imbarazzanti? Chiedo forse troppo? Continuo a disegnare, fino a quando non sento Gaspard borbottare qualcosa sottovoce. Alzo gli occhi e lo vedo incastrato nella camicia che non ha sbottonato.

Rido vedendolo agitarsi. Mi alzo e mi avvicino a lui, cominciano a slacciargli i bottoni, sorridendo. Quando si è liberato dalla "tirannia" della camicia, ci troviamo a pochi centimetri l'uno dall'altro. Il mio sorriso scompare. Gaspard mi guarda e allunga una mano verso di me, prende gli occhiali e me li sistema sul naso. Fortunatamente, qualcuno bussa alla porta, chiamandolo, liberandomi dall'impiccio di dire qualcosa. Non saprei cosa inventarmi.

Così rimango come una stupida al centro del camerino. Cosa mi sta succedendo? Perchè mi comporto così? Non riesco più a riconoscermi. Mi stropiccio gli occhi. Dove sono finiti i miei obiettivi? E perchè mi comporto in maniera così infantile?

Arrossisco per niente e balbetto. Non è da me. Sono io quella forte e sicura. Sicura delle mie idee, del mio futuro. Io devo portare avanti la mia vita, io voglio essere ricordata. Non voglio diventare come mia madre, sola e dimenticata da tutti, dimenticata perfino da sè stessa. Creatura invisibile, coperta dalla malattia. Dalla malattia peggiore, per me. L'Alzheimer.

Neanche mia madre si ricorda di me, e questa cosa deve cambiare. Asciugo la lacrima solitaria che segna il mio viso, prendo i disegni ed esco. Quando torno al mio posto Gaspard ha già finito di sfilare, fortunatamente. Perseverare nel mio obiettivo. Solo questo. Mi obbligo disegnare i modelli successivi. Questo è il mio lavoro, la chiave per i miei sogni. Seguo Annalise, prendo appunti. Aspettiamo Gaspard e ci avviamo alla limousine. Quando Gabriel parte, prendo il cellulare e chiamo Amelia. E' da tanto che non la sento. E' da tanto che non parlo in italiano, quanto mi mana la mia lingua! Ma soprattutto, ho bisogno di parlare con qualcuno che mi capisce, che mi conosce. Amelia mi risponde al quinto squillo.

«Bonjour Matilde!» esclama felice. Sorrido anche io. Questo mi fa capire come una semplice voce può tranquillizzarmi, farmi sentire a casa, anche a chilometri da Milano. «Hola Amelia!» dico sorridendo. Il nostro stupido gioco, quanto mi mancava! Salutarci ogni volta in una lingua diversa. Parlando comincio a giocare con la punta della treccia. «Ho combinato un casino...» guardo da sotto gli occhiali Gaspard. Spero che non capisca l'italiano. «Sai la famiglia in cui sto... Sai che hanno un figlio... Sì, lui... Ecco, ho fatto giusto un paio di brutte figure. In bagno, nel letto.... No, così suona male... Stavo uscendo dalla doccia... esatto. Poi te lo racconto meglio, adesso... esatto. No, non sono fortunata, sono disperata... non matta. Non so come comportarmi e... di certo non ascolterò il tuo consiglio!» rido guardando fuori dal finestrino. Quando arriviamo alla villa mi sento molto meglio, sono riuscita ad ignorare Gaspard, cosa per niente facile. Prometto ad Amelia di scriverle una mail con dentro tutto quello che non le ho detto.

Appena scendo dalla limousine, mi fiondo nello studio. Per prima cosa, mi tolgo quei dannatissimi tacchi e li butto a in qualche maniera in un angolo. Poi inizio a spogliarmi, senza curarmi della porta aperta. Tolgo i pantaloni e la camicia e li butto su una sedia, poi rendo la mia adorata magli larga e i pantaloni della tuta, e mi sento finalmente a posto con me stessa. Prendo gli appunti e i disegni e li guardo. La moda maschile non è il mio forte, ma voglio diventare brava anche in questo. Peccato che dopo poco ci rinuncio, visto che mi viene in mente solo Gaspard. Dannazione. Mi alzo e mi metto al lavoro, devo ancora finire il vestito che ieri sera mi ha tolto Gaspard.

 

 

 

Quando torno alla limousine, mia madre e Matilde sono già lì che mi aspettano. Come all'andata, mi ritrovo nei sedili posteriori in compagnia della ragazza che però, questa volta, pensa bene di ignorarmi mettendosi a parlare al telefono, nella sua lingua per giunta. Riesco a capire solo qualche minima parola della conversazione, ma capisco che si tratta di una sua cara amica.

Tornati a casa, chiude la chiamata e si precipita nella mia camera, mentre io mi fermo in giardino accedendo una sigaretta.

«Gabriel...» chiamo quando questo scende dalla macchina e mi si avvicina chiedendomi se avessi bisogno di lui. «Mi dovresti aiutare a portare un letto in più in camera mia. Così Matilde non si dovrà per forza spostare.»

Annuisce e, finita la sigaretta, saliamo le scale e ci dirigiamo verso la parte di villa che è in ristrutturazione. Dopo aver cercato in diverse stanze troviamo un letto non a baldacchino e iniziamo a trascinarlo per i corridoi con non poca fatica. Dannazione se pesa! Spero solo che l'italiana non si lamenti ancora e voglia andarsene in un'altra stanza perchè lo riporta lei indietro questo.

Dopo venti minuti buoni riusciamo a raggiungere la mia stanza. Lei è nello studio e probabilmente sta cucendo, i vestiti lasciati sul letto. Sistemiamo il letto vicino alla finestra e ringrazio Gabriel prima che esca dalla camera.

Mi svesto velocemente rimanendo solo in pantaloni e decido che è meglio farmi una doccia: laverò via tutto lo stress di quell'odiosa mattinata. Vado in bagno chiudendo la porta a chiave e, dopo essermi tolto gli ultimi indumenti, mi infilo sotto la doccia lasciando che l'acqua calda mi scivoli addosso; mi passo una mano fra i capelli bagnati chiudendo gli occhi e cercando di pensare il meno possibile a quegli ultimi due giorni.

Dopo un buon quarto d'ora esco asciugandomi per bene per poi legarmi un asciugamano alla vita. Lascio i capelli un po' bagnati e torno in camera. Matilde è ancora nello studio. Mi lascio cadere sul mio letto ignorando che fosse ricoperto dai vestiti della ragazza: manca ancora un'ora prima di pranzo e non so che fare. Alla fine, stanco, mi addormento rannicchiato su un fianco.

 

 

 

Continuo a lavorare per un po', voglio finire questo abito! Ma ha delle parti che sono un incubo! non ci riuscirò mai! Guardo l'ora sul cellulare. Oddio1 E' tardissimo! Lascio da parte il vestito e inizio a frugare tra vestiti, un giorno o l'altro, devo decidermi a sistemare tutto questo casino. Prendo un vestito verde acqua semplice e mi allaccio una cintura colorata per dare un tocco creativo. Prendo una giacca nera e la indosso. Evito completamente le scarpe assassine di questa mattina e ne prendo un paio più basse, ma sempre nere.

Prendo un paio di forcine e mi sistemo la treccia al volo, non ho la minima voglia di prepararmi, se fosse per me, scenderei anche in tuta. Ma non posso. Esco dallo studio e nella fretta vado quasi a sbattere contro il letto. Il letto? Guardo bene la stanza. C'è un letto in più. Come è possibile? E su un letto è sdraiato qualcuno. Ed è sdraiato sui miei vestiti! Mi avvicino lentamente. E' Gaspard, ovviamente. E, siccome non siamo destinati a vivere situazioni normali e non imbarazzanti, indossa solo un asciugamano. Per un attimo, penso di lasciarlo lì dov'è, fatti suoi se Annalise lo sgriderà per il ritardo. Vado avanti di qualche passo e poi torno indietro. Non sono così cattiva. E lui è stato gentile on me.

Mi avvicino lentamente l letto e mi siedo sul bordo. Mi mordo il labbro. Ecco la parte difficile. Gli poso una mano sulla spalla e lo scuoto leggermente, chiamandolo per nome. La treccia scivola in avanti, gli arriva giusta giusta sul petto. «Gaspard... Farai tardi per il pranzo...»

Peccato che il ragazzo mi ignora totalmente e si gira dall’altra parte. Alzo gli occhi al cielo. Perché? Perché!

Mi alzo dal letto e vado dall’altra parte del letto. Mi metto di nuovo davanti al viso di Gaspard e ricomincio a chiamarlo. Lo scuoto un po’ più forte, cercando di svegliarlo. Se non si sveglia in fretta, ci faremo sgridare entrambi.

«Gaspard!» lui apre gli occhi all’improvviso e me lo trovo davanti. Balzo indietro e cado per terra. Benissimo. Mi alzo dolorante, aiutandomi con il letto. «Dobbiamo scendere per il pranzo, tua madre si arrabbierà se non fai in fretta a… vestirti…» dico indicando l’asciugamano stretto in vita.

Mi avvicino alla porta e scendo le scale. Avremo mai un incontro non imbarazzante? 

   
 
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