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Autore: Fear    26/10/2013    7 recensioni
{ STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA }
[Angst; H/C, storico, dark; whump ― Rein!centic, introduzione di nuovi personaggi, hints!various pairings]
C'è tanta felicità a questo mondo; in futuro ce ne sarà abbastanza anche per noi.
Se un giorno qualcuno ti chiamerà bugiardo, se cercheranno di farti del male con quelle parole senza cuore, se il mondo non crederà più in te, se cercheranno di metterti su una corona di spine, io sarò il tuo unico e solo alleato. Conosco la solitudine e il dolore. Quindi, tutto ciò che mi è stato dato, offro tutto a te.
Sono tua.
Cit/: Si aspettava di poter avere il mondo, ma era diventato fuori dalla sua portata, così scappava via durante il sonno. E sognava il paradiso.
La sua pelle era di porcellana, avorio e acciaio.
[...]
Prima o poi la mia mano le raggiungerà, ma siccome l'orizzonte è eccessivamente lontano, le tue parole sono come un cielo di primavera; anche se so che non arriverà, oggi sto di nuovo pregando.
• {ispirata alla saga "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco" di George R. R. Martin}
Genere: Dark, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, Rein, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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{Note dell'autrice: è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore, dell'opera 'Come il cielo di primavera'. Alcuni personaggi non mi appartengono e la storia non è stata scritta a scopi di lucro.

Canzone consigliata per leggere il capitolo: Owaranai Melody wo Utaidashimashita di Mikako Komatsu.
Buon pomeriggio popolo di EFP, finalmente - e posso dire veramente finalmente - sono tornata a pubblicare i nuovi capitoli.
Spero che non vi dispiaccia troppo per Rein dato che le sue sfortune sono appena all'inizio, ma si sa': in una storia tutto può succedere ed io personalmente adoro far soffrire i miei personaggi. Poi, la vita non è tutta rose e fiori, percui perché dovrebbe esserlo una storia?
Ah, i miei nipotini sono nati e sono ufficialmente zia di Bianca e Davide, due bellissimi bambini dalla pelle bianca e capelli neri. Non vedo l'ora di Natale, così potrò prenderli in braccio.
Comunque, ritornando alla storia, la canzone consigliata è anche l'ending dell'anime Sunday Without God (osservate la mia piccola Ai e quel figo di Alis insieme alla mia dolce Dee), non criticatela perché è una canzone che adoro tantissimo, e l'anime è il mio preferito. Di conseguenza è una delle quali a cui tengo di più e l'ho usata proprio in questo capitolo perché appunto la canzone parla di una nuova vita, come quella che Rein affronterà - da qui arriva anche il titolo del capitolo 'Bocciolo'.
Auguro a tutti una buona lettura e una buona serata, coraggio che oggi è Venerdì.
La citazione all'inizio è di Osho Rajneesh, un mistico e maestro spirituale indiano.
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon Rebecca Arya Baratheon
 

 

Come il cielo di primavera
I giorni di sole e delle risate che non sentiamo più


Capitolo III - Terzo petalo
Non importa che tu sia una rosa, un fior di loto o una margherita. L'importante è sbocciare.

 

Certe volte a Rein succedeva di svegliarsi troppo presto, quando ancora il buio e il silenzio tessevano la loro trama, quando era possibile fare caso ad alcuni suoni e rumori che durante la giornata passavano inosservati.
Colpa dei pensieri, forse.
Rein - come era solita fare - aspettò una manciata di secondi prima di aprire gli occhi. C'era un profumo nella fresca aria circostante: muschio, terra bagnata, aghi di pino impregnati della rugiada mattutina e anche un'altro odore, ancora più inebriante e piacevole... terribilmente travolgente. E in quel momento Rein aprì gli occhi di colpo. Era sdraiata a pancia in su, braccia e gambe divaricate e ancora con la sua divisa scolastica addosso. Avvertì un brivido insieme ad un leggero nitrito che, scoprì, proveniva da uno stallone bianco antico che scalciava il terriccio umido sotto i suoi lunghi ed esili arti.
Con fatica Rein si sedette a terra, affondando le mani nel letto della foresta e ancora attratta da quella creatura elegante innanzi a lei, senza dire una parola, con la mente completamente priva di ogni genere di pensiero, alzò lo sguardo, la bocca socchiusa. Era ancora troppo buio per riuscire a mettere a fuoco la figura sul destriero, ma Rein riconobbe i lineamenti di un ragazzo immobile, mascella tesa e mani perfettamente serrate su uno strano oggetto. Sentì un tremito lungo la colonna vertebrale appena identificò l'attrezzo: un'arma, appurò. Assomigliava ad un arco, ma la rifinitura era leggermente diversa, più complicata e... letale.
Il ragazzo lasciò per un momento le redini e si posò un dito sulle labbra sottili e sorridenti e Rein poté scorgere il guizzo di un ghigno anche nei suoi occhi prima che facesse scattare l'arma da lancio che, silenziosa come un gatto, lanciò una piccola freccia a velocità supersonica, che trapassò la spalla di Rein come un coltello avrebbe potuto infilzare del burro.
Non urlò di dolore, ma tenne gli occhi fissi sul ragazzo, prima che quest'ultimo galoppasse lontano. Subito dopo sentì i suoi battiti salire sempre di più, il sangue pulsare alla testa e - ancora impregnata di quell'odore, che tanto somigliava al mare al crepuscolo, al bucato appena steso o semplicemente a una serata primaverile - scappò ancora una volta dalla realtà, svenendo.

Questa volta le sue palpebre si spalancarono immediatamente, non esitò a cercare la luce. Sentiva l'aria mancare dai suoi polmoni, la spalla era fasciata e delle strisce di stoffa premevano sulla ferita ancora incandescente e allo stesso tempo ghiacciata; faceva male, così stavano le cose, faceva maledettamente male, ma appena Rein si sfiorò la benda percepì una sensazione d'eccitazione infuocarle l'intero corpo. Subito rimosse la mano e prese un profondo respiro catturando il freddo da un refolo proveniente dalla finestra accostata.
«Questa non è la mia camera...,» mormorò a bassa voce esaminando la stanza; il letto su cui era sdraiata era stranamente morbido, insoliti cuscini erano appoggiati sia ai piedi di esso che dietro la sua testa. I mobili erano in legno e tutto ciò che li ornava erano dei libri dall'aspetto vecchio e malandato, ingrigiti dalla polvere e dagli anni. La porta era bassa e di legno di noce, la finestra piccola e appannata, ma, nonostante l'offuscamento, si poteva scorgere il cielo chiaro al di fuori di essa e un pallido sole fare capolino dalle nuvole grigie sparse un po' dappertutto. La domanda le sorse spontanea: dov'era finita?
Con un gesto fugace, ma che allo stesso tempo le provocò ulteriore sofferenza, si tolse le soffici coperte di dosso e si alzò in piedi. Avvertì le gambe cedere momentaneamente, ma, riuscendo a camminare senza perdere l'equilibrio, si diresse verso la porta, notando che a fianco di essa non c'era né un lampadario né una fonte di luce elettrica, ma un candelabro appoggiato su uno spoglio comò. Posò la mano sulla maniglia - anch'essa rigorosamente in legno - e la girò lentamente uscendo dalla stanza in punta di piedi, attenta a non attirare alcuna attenzione indiscreta su di sé.
Se quella era una casa, pensò Rein, era certamente la più grande che avesse mai visto; corridoi lunghi diversi metri si aprivano da tutte le parti e Rein ne scelse uno a caso. Si era sempre vantata di avere un senso dell'orientamento alquanto sviluppato, perciò era quasi certa di saper individuare la corretta direzione da prendere.
Aumentò il passo quasi per istinto fino ad iniziare correre. Muri di pietra, colonne imponenti e odore d'incenso si presentavano davanti a lei, non aveva mai visto né sentito niente del genere e in qualche modo si sentì come se fosse stata trasportata indietro nel tempo.
Una piccola terrazza si affacciava sulla strada e Rein scese senza esitare i gradini che la separavano da quest'ultima. Quel posto le ricordava una gabbia di cristallo; così bella, ma pur sempre una prigione.
Appena i suoi piedi toccarono il terreno parzialmente asfaltato, sporco e deserto, per un momento pensò di tornare indietro e sdraiarsi di nuovo in quel letto di piume d'oca, ma fece un passo avanti e poi un altro finché iniziò a camminare speditamente in cerca di un qualsiasi indizio sul posto in cui si trovava. La strada era diventata sempre più stretta, da ognuno dei due lati c'erano delle case che seguivano uno schema edilizio costante: piccole, ricoperte da un tetto evidentemente fragile, che sarebbe crollato con una semplice giornata di pioggia insistente, raggruppate attorno a cortili ampi pochi metri. Le stanze basse, a livello della strada, ricevevano luce attraverso una serie di finestre che si affacciavano sul cortile interno. Semplici composizioni floreali pendevano dai piccoli balconi, donando una diversa composizione spettrale ad un ambiente i cui colori dominanti erano il grigio e il marrone pallido.
Rein non aveva notato che tre uomini di media statura, dall'espressione aggressiva e dagli abiti sporchi la stavano squadrando da capo a piedi. Alzò il viso e riuscì solamente a inquadrare le loro grandi mani avvicinarsi sempre di più al suo gracile corpo prima di girarsi e scappare il più velocemente possibile. Udì parole confuse, soffocate da risate inseguirla. Non conosceva il villaggio perciò corse senza una meta precisa fino a che giunse in uno dei tanti cortili all'aperto. Pensava di averli seminati quando invece spuntarono dall'angolo alla sua sinistra. Fu costretta a indietreggiare fino a rimanere con le spalle al muro. Un odore di fieno le invase le narici, ma anche il puzzo degli uomini si stava facendo sempre più forte. Con uno scatto deciso, due dei tre uomini le afferrarono le braccia e la strattonarono facendola cadere a terra, a pancia in su.
«No, vi prego...» urlò scalciando più che poteva, ma il terzo uomo si inginocchiò ai piedi di Rein con uno sguardo famelico. Gli occhi scuri scintillavano di nera brama. Prese la gonna con le grosse mani e Rein poté solo sentire il rumore della stoffa che si squarciava. Continuò a dimenarsi mentre iniziava a singhiozzare al solo pensiero di ciò che quell'uomo aveva intenzione di farle.
Quando stava ormai per serrare gli occhi lucidi di lacrime, scorse un'altra figura che si accostò alle spalle dell'uomo in ginocchio davanti alle cosce nude di Rein e, dopo averlo voltato malamente, lo infilzò con un pugnale guardandolo negli occhi. Rein sentì il respiro mozzato del suo aggressore e avrebbe potuto giurare di aver anche sentito delle gocce di sangue toccare il terreno. Appena l'uomo - anche se Rein avrebbe preferito chiamarlo animale - cadde a terra senza vita, gli altri due alle sue spalle lasciarono la presa e si alzarono cercando di scappare - invano. Rein scorse due guardie con vestiti medioevali uccidere i suoi assalitori trafiggendoli con due lance dalla punta di pietra affilata. Rimase a terra, incapace di reagire, fino a quando la figura che aveva tolto la vita al primo uomo non la raggiunse, abbassandosi per prederle la mano. Finalmente Rein girò il capo e s'imbatté in due occhi così blu da fare invidia ad un cielo senza stelle o ad un oceano. Il ragazzo aveva più o meno la sua stessa età e indossava abiti simili a quelli del ragazzo del suo sogno, - perché quello era stato solo un incubo, giusto? - ma aveva qualcosa di differente da lui... i suoi occhi... sorridevano anche se la sua bocca era una linea retta. Lei gli sorrise a sua volta, a modo suo.
«Grazie» sussurrò stringendo la presa della sua mano. E si lasciò cadere tra le sue braccia.

   
 
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