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Autore: sonyx1992    27/10/2013    0 recensioni
Finalmente, dopo tanto tempo dalla sua prima stesura, ho deciso di riscrivere la mia prima e vera FanFiction (BLU ANGELO); la trama in sè non cambierà molto, semplicemente vorrei cercare di renderla più "formosa" e più "da libro" per così dire.
La stesura, purtroppo, avverrà molto lentamente, ma non per questo non dovrete seguirmi! ;) Quella già pubblicata ho deciso di lasciarla, quindi se vorrete potrete comunque leggerla mentre aspetterete questa revisione.
Quindi, buona lettura! :)
TRATTO DALLA PREFAZIONE:
"Sono sola. I gabbiani cantano e sembrano voci stridule di angeli.
Il mare è calmo e si lascia accarezzare, imperturbabile, dalla brezza leggera.
Piccole stelle sbucano in lontananza, nel cielo, come i tanti piccoli pensieri che ora nascono dentro di me.
Penso a te ed il sole si nasconde dietro l'orizzonte, arrossendo mentre se ne va.
I ricordi mi attraversano insieme alla brezza leggera e chiudo gli occhi per vederli meglio.
La nostra canzone è muta, il tuo abbraccio invisibile, ma ci sei, ti sento, il tuo respiro è inconfondibile, il tuo profumo indimenticabile; ed un battito d'ali improvviso mi costringe ad aprire gli occhi.
Non sono le ali dei gabbiani."
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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02- UMANO


Nel momento in cui iniziò a sentire le gocce di pioggia che gli caddero sulle palpebre, spalancò gli occhi e li coprì con una mano per proteggerli.
Una luce fioca filtrò tra le dita e li colpì, obbligandolo a socchiuderli leggermente.
L’aria era calda e lui sentiva tutto il corpo sudato e bagnato dall’acqua che continuava a cadere dal cielo.
Da quanto tempo era lì sdraiato a guardarlo?
Girò la testa di lato ma il deserto che lo circondava non gli donò alcuna sensazione familiare.
Ma quale posto avrebbe dovuto dargliela? Sentiva la testa vuota, svuotata da ogni cosa, ogni pensiero, ogni ricordo. Non riusciva a ricordare nemmeno il suo nome. Provò a muovere le labbra per pronunciarlo, ma loro si socchiusero solo in un movimento confuso ed amareggiato.
Allora il panico iniziò ad impossessarsi di lui: tolse la mano da sopra gli occhi e con le braccia iniziò a toccare il terreno che lo circondava, cercando un appiglio per potersi alzare.
Appoggiò i palmi sulla sabbia rossa e fece forza per tirarsi in piedi. Non ci riuscì, la schiena era come incollata al terreno e non si staccava da quella distesa di rena.
Si arrese e, col fiatone, lasciò cadere le braccia lungo la distesa di fuoco, osservando quel cielo che lo spiava dall’alto.
Si sentì sopraffare all’improvviso da una rabbia sovrumana, come se fosse stato colpito da un’ingiustizia, un qualcosa che non si meritava. Perché era lì? Lui non doveva esserci, lui doveva andare, lui…
Dove doveva andare?
Una fitta alla testa lo costrinse a chiudere gli occhi, a toccare il punto dolorante con una mano, a dimenticare quello che stava ricordando.
Una sensazione strana, però, rimase dentro di lui: come se qualcuno avesse bisogno di lui, lo stesse chiamando. Era un dolore, un brivido che gli si allungava in tutto il corpo e lo costrinse a riprovare ad alzarsi.
Non ci riuscì, di nuovo.
Disperato, chiuse la sabbia dentro le sue dita e la strinse forte, finché questa non fuggì tutta attraverso le fessure della sua mano.
La pioggia continuava a cadere e sembrava che il cielo piangesse su di lui, un povero essere a cui mancava la metà giusta per riuscire a stare in piedi.
Chiuse gli occhi e strinse i denti, incapace di resistere al dolore che sentiva e, allo stesso tempo, senza essere in grado di riuscire ad alzarsi.
Poi una voce riempì l’aria e la pioggia sembrò diminuire a quel suono, che emanava dolcezza e rispetto: “Come facciamo a cercare la nostra anima gemella se siamo sdraiate a terra, confuse, disperse e senza la possibilità di rialzarci?”.
Spalancò gli occhi, girò la testa, si sforzò di cercare l’origine di quella voce ma non ci riuscì, qualcosa continuava a tenerlo legato alla sabbia.
Non possiamo vedere nulla intorno a noi; cosa ci circonda?”, continuò la voce ed un rumore di passi colpì il suo udito, mentre un paio di piedi nudi e pallidi affondavano nella rena morbida e si avvicinavano a lui.
Finalmente riuscì a vedere la figura che pronunciava quelle parole.
Una donna si ergeva in piedi accanto a lui e lo fissava dall’alto, il volto sereno, gli occhi fissi nei suoi, la bocca tesa leggermente in un caldo sorriso.
“Cosa stai facendo?”, gli domandò la donna, mentre con una mano scostava una ciocca di lunghi capelli neri dal volto.
Il giovane restò immerso nelle sue iridi verdi che come due smeraldi brillavano illuminati da una luce sconosciuta.
“Non dovresti essere qui”, continuò la donna e si chinò su di lui, piegando le ginocchia, “la tua metà ti sta cercando”. Allungò una mano verso la sua, ancora distesa a pugno chiuso sulla sabbia. Quando le dita di lei si chiusero sul suo polso, un freddo intenso lo gelò e lo fece rabbrividire istintivamente.
“Non devi avere paura”, sussurrò lei, scambiando quel brivido come un gesto di paura e diffidenza. Ma lui in realtà si fidava, anche se non ne capiva proprio il motivo.
In pochi istanti si sentì staccare dal terreno; la mano della donna lo tirò seduto e poi lo aiutarono ad alzarsi in piedi.
La sabbia iniziò a scivolare dal suo corpo, dalle sue spalle, scivolò lungo la sua schiena e ricadde silenziosa sul deserto.
La donna gli sorrise, gli lasciò il polso e portò la mano sulla sua guancia: “ora vai, ti sta aspettando”.
E in un battito di ciglia scomparve. Anzi, tutto scomparve, non solo lei: ma anche il cielo lacrimoso, la rena di fuoco, l’aria calda.
In un brevissimo istante, il giovane si ritrovò immerso nell’oscurità e nel silenzio; ma quest’ultimo non durò a lungo: uno strano rumore iniziò a riempirlo piano. Sembravano dei sussulti, dei piccoli lamenti e, mentre iniziò a guardarsi in giro per cercarne la fonte, i suoi occhi iniziarono ad abituarsi al buio.
Si trovava in una camera da letto: vedeva una scrivania piena di oggetti, degli scaffali colmi di libri, quadri appesi ai muri e là, addossato ad una parete un enorme armadio; infine posò lo sguardo su un letto al centro della stanza.
Scorse dei movimenti sotto le coperte, ma non riusciva a capire cosa potesse essere. Preso da un’insaziabile curiosità, si avvicinò con cautela, mentre il dolore al petto che aveva iniziato a sentire nel deserto, gli stava incollato dentro e iniziava a battere come un tamburo.
Si inginocchiò accanto al bordo e si sporse verso l’essere che restava raggomitolato sotto le lenzuola, rivolto verso di lui; lunghi fili scuri cadevano disordinati e coprivano parte del suo volto.
Il giovane si ricordò del gesto della donna nel deserto e provò a ripeterlo, scostando quei lunghi capelli con un movimento delicato della sua mano, sfiorando per sbaglio anche la pelle dell’essere che, a quel tocco, si mosse leggermente.
Il ragazzo ritrasse subito la mano, spaventato ma subito dopo, appena la figura si calmò e ritornò immobile, si sporse ancora di più verso il suo volto, ora libero dai lunghi fili neri e tenne il suo viso distante di pochi centimetri.
A quella breve distanza poteva riuscire a sentire il respiro sommesso di lei, che usciva dalle sue labbra dischiuse, due linee rosse carnose e leggermente umide.
Allungò una mano per provare a toccarle, ma poi la spostò verso qualcos’altro, che improvvisamente catturò la sua attenzione: delle strane gocce uscivano da due fessure e bagnavano il volto del misterioso essere. Lui le catturò con le dita e poi le annusò, ma non avevano odore; le assaggiò con la bocca e le trovò orribilmente salate; infine, se le portò ai suoi occhi ma, queste, provocavano solo freddo alle sue palpebre e nient’altro.
Si sentì orribilmente diverso da quell’essere che dormiva, come sbagliato: perché lui non poteva versare quell’acqua? Fino a quel momento solo il cielo del deserto aveva potuto farlo e ora anche questo…
“Umano”, rispose una voce, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Il giovane la riconobbe come quella della donna del deserto ma quando si voltò per cercarla non c’era nessuno e la stanza era vuota, salvo lui e quel…come l’aveva chiamato? Umano.
Tornò a fissarlo e questa volta si sentì avvolgere da un’ondata di invidia, come se quell’umano avesse qualcosa che lui non possedeva; aveva qualcosa in comune con quel cielo e come quello, piangeva liberando il suo dolore.
Lui, invece, il dolore doveva sopportarlo, tenerselo dentro e lasciare che battesse contro il suo corpo, causandogli brividi e scosse insopportabili.
Si alzò e si allontanò dall’essere che giaceva nel letto, stufo di lui e di quel luogo in cui si trovava.
Ma una voce bloccò i suoi passi e lo costrinse a voltarsi di nuovo: “non andartene”.
Era un suono nuovo, non veniva dalle labbra della donna del deserto, ma dalla ragazza che imitava un cielo piangente raggomitolata sotto delle coperte.
“Resta, ti prego”, continuò con una voce spezzata e debole.
Istintivamente, il giovane si portò di nuovo vicino al letto e, inginocchiatosi di nuovo, appoggiò la testa e le braccia sulle lenzuola, fissando per qualche istante ancora quell’umano. Poi, quando una nuova e terribile stanchezza lo colpì, chiuse piano gli occhi e si addormentò silenziosamente accanto a quell’essere che invidiava, ma che, per qualche inspiegabile motivo, lo affascinava.


 
   
 
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