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Autore: Angie Mars Halen    31/10/2013    2 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9) GRACE

Avevo ascoltato più volte il disco dei Mötley Crüe che mi aveva dato Nikki e mi era piaciuto così tanto che ero corsa a comprarmi anche Theatre of Pain. Avevano una carica a dir poco fantastica e quel chitarrista spaccava davvero! Del secondo album ero pazza di Red Hot, mentre del terzo mi ero fissata con Louder Than Hell, e avevo costretto Grant, che con la chitarra ci sapeva fare, a trascrivermi le tablature perché volevo imparare a suonarla. Non si spiegava per quale motivo mi fossi convertita radicalmente a quel gruppo, lo stesso che lui aveva cercato di farmi piacere per mesi, ma non aveva fatto molte domande. Elisabeth, che una volta in cui ne parlammo era con noi, mantenne un’espressione seria e attese in silenzio che cambiassimo argomento prima di tornare a parlare con noi.

Volevo che Nikki sapesse che con i loro album era stato amore a prima vista, e speravo che portasse i miei complimenti a quel geniaccio di Mick Mars, così un pomeriggio, con le dita prive di sensibilità per aver suonato troppo, andai a casa sua. Ero talmente eccitata dall’idea di fargli sapere cosa pensavo dei suoi dischi che decisi addirittura di prendere la macchina per percorrere una distanza che normalmente avrei potuto fare a piedi. Anche stavolta dovetti suonare un paio di volte prima che si degnasse di rispondere, però quando sentii la sua voce notai subito che c’era qualcosa che non andava. Forse aveva litigato con qualcuno e io gli ero piombata in mezzo ai piedi, ma ora che avevo suonato e lui aveva aperto non potevo certamente girarmi dall’altra parte e andarmene. Mi aspettava dietro la porta socchiusa e guardava fuori con fare sospettoso, scrutando ogni angolo del giardino con occhi freddi e diffidenti.

“Nikki!” esclamai non appena vidi la sua sagoma nell’ombra. “Sai che ho ascoltato due dei vostri album e mi sono piaciuti così tanto che–”

“Ti avevo detto di non tornare,” mi interruppe bruscamente. Il suo tono era così duro che tutta la mia eccitazione sparì in un secondo. Mi sentii così poco benvenuta che avrei voluto sparire anch’io.

“Volevo solo farti sapere che mi siete piaciuti,” dissi.

“E va bene,” rispose Nikki, rassegnato, poi sbuffò. “Entra, così ci sediamo.”

In casa era buio e quando accese la luce dovette ripararsi gli occhi con le mani come se avesse passato le ultime ore al buio. Le allontanò solo dopo essersi abituato e solo allora vidi che le sue guance erano solcate da righe nere e verticali che colavano dagli occhi fino al mento. Sembrava trucco sbavato dopo un pianto e questo, visto su di lui, mi fece una certa impressione perché, sebbene fossi consapevole che tutti piangiamo, non riuscivo a immaginarlo mentre lo faceva.

“Nikki, ma… hai pianto?” domandai timidamente mimando sulle mie guance delle righe di trucco con la punta del dito.

Lui volse lo sguardo da un’altra parte e si pulì alla meglio le guance con il palmo della mano. “Se sei venuta fin qui solo per dirmi che ti piacciono i nostri dischi, allora direi che hai fatto quello che dovevi fare. Puoi anche tornartene a casa.”

Non mi risultava che l’ultima volta fosse stato così freddo con me e, poiché mi ero convinta di averlo disturbato, non mi restava che andare via. Probabilmente aveva altre cose a cui pensare che erano molto più interessanti e urgenti di una sconosciuta che ti bussa alla porta per parlare dei tuoi dischi.

“D’accordo,” dissi fissando il muro per non incappare nel suo sguardo assente. “Io vado, allora. A presto.”

Stavo giurando mentalmente che quella sarebbe stata veramente l’ultima volta in cui avrei messo piede nella sua casa quando, poco prima che oltrepassassi la soglia, la mano di Nikki mi strinse delicatamente un braccio, costringendomi a voltarmi e a guardarlo negli occhi.

“Anzi, aspetta,” disse sottovoce. “Rimani qui ancora un po’.”

Aumentò di poco la morsa e io, ancora influenzata dalle leggende di quartiere, per un attimo pensai che mi avrebbe strattonata, invece continuò a guardarmi dritto negli occhi, e la presa sul mio braccio era troppo debole e incerta per trattenermi nel caso avessi opposto resistenza.

“Non capisco, Nikki. È successo qualcosa?” domandai seriamente preoccupata.

Lasciò andare il mio braccio con un gesto lento e delicato e tornò a passarsi una mano sulla faccia per liberarsi dai capelli che gli pungevano la pelle. “Non sforzarti, nessuno è in grado di capirmi.”

Inarcai un sopracciglio. “Scusa se mi sono presentata in un momento poco opportuno, ma se c’è qualcosa che posso fare per te, volentieri.”

“Non fa niente,” biascicò Nikki, poi spostò le mani dal viso e le portò sui fianchi. “Solo io so quello che sto vivendo e nessuno può fare nulla per tirarmi fuori da qui, per cui no, non c’è niente che tu possa fare.”

“Oh... be’, non so cosa stai vivendo, ma se hai bisogno anche solo di parlare con qualcuno, fammelo sapere.”

Per tutta la risposta Nikki mi abbracciò e mi ritrovai serrata nella sua stretta con il viso premuto contro il suo petto, ormai incurante della pelle appiccicosa delle sue braccia che si attaccava alla mia.

“Nikki?” chiamai, e lui sembrò disincantarsi. Mi lasciò andare all’improvviso cercando di nascondere l’imbarazzo, forse pensando che avrei potuto ritenerlo un rammollito per avermi abbracciata senza motivo.

Si sistemò nervosamente in capelli senza ottenere un gran risultato e fece un respiro profondo. “Vieni, siediti dove ti pare, per terra, sul divano... vuoi qualcosa da bere? Una birra? Non ho acqua in casa a parte quella del rubinetto.”

Annuii mentre prendevo posto sul divano, lontano dalla coperta sudicia, e accettai la birra. Nikki corse in cucina e sentii prima il rumore delle pentole che venivano spostate con poca delicatezza, poi lui che imprecava perché non riusciva a trovare il cavatappi. Mentre era ancora impegnato nella ricerca di un qualsiasi oggetto utile per aprire la bottiglia, sentii qualcosa di duro sotto un piede e mi sporsi per guardare di cosa si trattasse. Mi ero abituata alle bottiglie sparse ovunque, ma non mi aspettavo di trovare una siringa incrostata di una sospetta sostanza ambrata. Provai immediatamente una sensazione di ribrezzo poi tutto divenne chiaro: Nikki non era una specie di demone solitario come dicevano tutti. Nikki era un tossico, e io ero in casa sua. Se lo avessero saputo i miei genitori, mi avrebbero reclusa nella mia stanza per l’eternità nonostante fossi maggiorenne e mi ritenessero ormai responsabile di me stessa.

Quando Nikki uscì dalla cucina, aveva con sé un paio di bottiglie di birra, che appoggiò sul tavolino da caffè prima di sedersi vicino a me.

“Cos’è quella?” domandai con un dito puntato contro la siringa.

Nikki si incupì e sembrò incantarsi per qualche attimo, forse alla ricerca delle parole giuste. Quando le trovò, si tirò indietro i capelli prima di parlare. “La mia rovina e la mia salvezza allo stesso tempo.”

“Quella è roba pesante. Hai mai pensato di smettere?”

Nonostante gli avessi detto quelle parole con un tono calmo e pacato, Nikki schizzò in piedi e mi fissò con gli occhi iniettati spalancati come se lo avessi offeso.

“Grazie tante, certo che ci ho pensato!” tuonò nel silenzio della casa. “E smettetela tutti di dirmi che devo ripulirmi perché tanto lo sapete che non lo farò. Non riesco più a farne a meno.”

Restai impietrita dall’ansia e dallo stupore mentre si lasciava cadere scompostamente sul divano come un castello gonfiabile a cui hanno spento la pompa dell’aria.

“Lo dicevo per te, ma non volevo offenderti,” mormorai con l’intento di giustificarmi.

Nikki sferrò un calcio a una lattina che rotolò con un rumore sordo fin contro il muro poi buttò giù un sorso di birra. “Lo so solo io quello che è giusto per me, non Tommy, non Vince, e soprattutto non tu.”

Sapevo che Tommy e Vince erano rispettivamente il suo batterista e il suo cantante perché lo avevo letto su uno dei dischi e, a quanto pareva, anche loro stavano provando a far uscire Nikki dalle sue dipendenze senza alcun risultato. Per quel che ne sapevo, sicuramente nemmeno loro erano dei santi sotto questo punto di vista.

Nikki aveva smesso di parlare ed era rimasto immobile sul divano, le mani abbandonate in grembo e la sua solita faccia inespressiva. Provai a pensare di trovarmi al suo posto ed essere una tossica disperata, e tentai di comprendere anche solo un po’ la sua situazione, ma potevo farlo solo fino a un certo punto. Nikki era caduto dritto dentro quello schifo con i piedi e anche con le mani, e adesso la melma lo stava sommergendo e sarebbe salita lentamente verso la testa fino a soffocarlo. Avrebbe dovuto smettere, ma far ragionare una persona nelle sue condizioni è più difficile che parlare con un muro e pretendere che ti risponda. Io, però, volevo provarci perché non ero abituata a mollare nemmeno quando mi rendevo conto che era ora di farlo, e quella volta non lo avrei certo abbandonato nel momento del bisogno. Non sapevo quanto la mia presenza potesse essergli d’aiuto ma decisi che, se avesse avuto bisogno di qualcuno, io ci sarei stata.

Presi un fazzoletto dalla tasca, lo umidificai con un po’ della mia birra e mi avvicinai a Nikki per cancellare le tracce di trucco sbavato dal suo viso.

“Cosa ci fai ancora qui?” domandò con tono piatto.

“Sei stato tu a chiedermi di restare,” gli ricordai mentre continuavo il mio lavoro.

“Giusto...”

“Ti rompe se resto?”

“No.”

“Perfetto.”

Aprì appena gli occhi, sospirai, ma non con rassegnazione: avevo capito che con quel suo sguardo stanco mi stava chiedendo di non lasciarlo da solo in quella casa orribile. Forse gli bastava avere qualcuno che gli facesse un po’ compagnia o che lo ascoltasse e, finché fossi stata in grado di farlo, lo avrei aiutato.




N. d’A.: Ciao a tutti! Scusatemi per il ritardo, ma è stato per una buona causa...
La mia vena melodrammatica si fa sentire! Spero che vi piaccia.
Grazie mille a chi segue e recensisce la storia! Mi fa davvero molto piacere.
A mercoledì. =D

Angie

   
 
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