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Autore: shadowsdimples_    02/11/2013    3 recensioni
Tirai addosso al muro l’ultimo vaso rimasto nelle vicinanze e mi guardai attorno: cartacce, libri aperti e strappati, il piano coperto di polvere, frammenti di vetro ovunque e il tavolo ribaltato. No, decisamente, non avrei dovuto farlo, ma sapevo che mi avrebbe aiutato. Andai nello studio con l’intenzione di distruggere pure quello, ma mi fermai quando vidi sulla scrivania un paio di fogli e una penna. Li presi e tornai in salone. Rigirai il tavolinetto davanti al divano, mi sedetti a terra e iniziai a scrivere. Non so per quanto andai avanti, la disperazione e tutto il resto non mi facevano smettere di scribacchiare parole confuse su quel foglio. Alzai finalmente la penna, lessi il testo e scrissi il titolo.
I won’t see you tonight.
Genere: Fluff, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Here we are at the start. 

Taylor.

“Taylor!”
Aprii lentamente gli occhi e mi guardai intorno: ero a casa di Elle e Brian.
“Che ore sono?” Bofonchiai rincoglionita.
“Sono le sette. Alzati, devo ricordarti per caso che giorno è oggi?” La custodia attaccata all’armadio me lo fece tornare in mente.
Era il 30 luglio.
Cristo.
Salazar afferrò con i denti il lenzuolo, scoprendomi. “Arrivo, arrivo…” Mi alzai strofinandomi gli occhi e andai in cucina prendendo il caffè che mi porgeva Elle. Sembrava radiosa più che mai, l’ombra di un sorriso le aleggiava sulle labbra.
“Successo qualcosa?” Chiesi squadrandola perplessa. Lei scosse la testa sorridendo. Alzai le spalle. “Come vuoi.”
“Va’ a farti la doccia, le altre stanno per arrivare.” Sospirai e obbedii. Quando uscii dal bagno, lavata e profumata, il soggiorno era invaso da sacche, scatole e valigette.
“Gena?” La bionda mi sbucò da dietro, facendomi sobbalzare. “Dio!”
“Buongiorno Taylor! Come ti senti?” Mi chiese con un sorrisone a trentadue denti. Notai che in testa aveva dei bigodini, il che mi fece ridere.
“Come al solito.”
“Neanche un po’ nervosa?” Chiese Lacey uscendo dalla cucina con in mano una tazza di tè.
“Come dovrei sentirmi, andiamo?” Feci con sarcasmo. Davvero, mi sentivo come sempre.
“Come una che sta per sposarsi, magari?” Suggerì con tono ovvio Valary, che era seduta sul divano. Alzai gli occhi al cielo.
“Sto benissimo. Allora? Cosa dobbiamo fare?” Chiesi rivolta a Gena.
“Prima di tutto dobbiamo asciugarti i capelli. Poi ci penso io.” Mi spinse di nuovo verso il bagno porgendomi un phon. Sospirai ancora e mi asciugai i capelli, sicura che ad aspettarmi c’era una lunga tortura.
Ebbene sì, nel giro di qualche ora sarei stata la signora Sullivan. Non meravigliatevi, dopo quello che era successo e quello che ci eravamo detti a inizio anno non avevamo di certo intenzione di lasciarci ancora, io e Jimmy. Contro la mia volontà, quel pazzo mi aveva comprato un solitario da Dio solo sa quanti dollari che adesso brillava delicatamente al mio anulare sinistro. Sorrisi nel ripensare alla sua proposta stra sconclusionata.
 
“Oh cazzo!” E caddi per la decima volta di culo. Mi imbronciai nel vedere Jimmy ridersela mentre mi rialzavo. “Non ridere, idiota.”
“Sarà la millesima volta che cadi per terra. Non hai ancora imparato?”
“È la decima. E no, non imparo ad andare sui fottuti pattini in poco più di un’ora!” Sbottai massaggiandomi il sedere, che faceva un male cane. Lui rise ancora e mi prese le mani, pattinando all’indietro e tirandomi con se. “Sullivan, sei precario…”
“Io so pattinare, a differenza di qualcun altro.” Disse distogliendo lo sguardo per cercare di fare il vago. Gli diedi uno schiaffo sul braccio.
“Non è per niente da gentiluomo dire cose del genere.”
“Domando perdono. Stai attenta, piega le ginocchia.” Mentre eseguivo, Jimmy non vide un ragazzo dietro di se e lo urtò, facendo cadere me sopra di lui.
“Porca troia…” Mormorò massaggiandosi la testa. Risi.
“Stai attento Sullivan, se ti fai male non posso rimpiazzarti.”
“Sì, sì, ridi tu…”
“E cosa dovrei fare? Piangere?” Quella prospettiva mi fece ridere ancora più forte. Quando riabbassai lo sguardo, mi trovai un anello a pochi centimetri dal mio naso.
“Che…”
“So che non vuoi un anello, ma ho deciso comunque di dartelo.” Sbattei un paio di volte le palpebre, incapace di parlare. “Che dici? Ci riproviamo?” I suoi occhi azzurri mi stavano facendo scervellare.
“Oddio, sì!” Non diedi neanche uno sguardo all’anello, gli presi il viso fra le mani e lo baciai.
“Prendetevi una camera!” Sentimmo urlare a Brian, mentre le altre persone intorno a noi scoppiavano in un applauso.


Sorrisi di nuovo e uscii dal bagno legandomi i capelli. Sentii strapparmi l’elastico dalle mani.
“No, questo non lo usi, ti si strapperanno tutti i capelli.”
“Sono abituata a vedermi senza.” Replicai accomodandomi sulla sedia da regista con scritto sopra il mio nome, aspettando la tortura. Gena alzò gli occhi al cielo e si chinò a frugare nella sua valigetta piena di cianfrusaglie da parrucchiera.
“Non voglio farti nulla di complicato, sia ben chiaro…”
“Bene, perché io non voglio nulla del genere.” Si rialzò e sospirò.
“So io quello che devo fare. Siccome il vestito ha uno scollo dietro la schiena, voglio valorizzarlo, quindi farò uno chignon molto morbido.”
“Sembra perfetto.” Gena mi mollò uno dei suoi sorrisi abbaglianti e si mise ad armeggiare con i miei capelli. Dopo una mezz’ora, dallo specchio, vidi Elle passarmi dietro: portava un vestito stile impero blu notte, senza spalline e lungo fino a terra.
“E io dovrei sentirmi bella se c’è lei nelle vicinanze?” Dissi scetticamente. Elle si voltò a guardarmi.
“Tu sei la sposa, è diverso.” Quelle parole fecero perdere un battito al mio cuore. Sospirai e mi mossi irrequieta sulla sedia mentre Gena mi metteva le ultime forcine in testa.
“Fatto. Passiamo al trucco.”
“Vuoi anche truccarmi?!” Lei si voltò a guardarmi come se avessi bestemmiato.
“Certo. Vuoi presentarti struccata?”
Mormorai una cosa senza senso e mi misi comoda sulla sedia mentre bevevo la terza tazza di caffè della mattina. Cinque minuti dopo ero di nuovo sotto le mani di Gena, che continuava a strofinarmi sugli occhi pennelli di tutti i tipi e a spalmarmi intrugli dal nome impronunciabile. Dopo un’altra mezz’ora, Gena terminò il suo lavoro.
“Fatto! Sei bellissima, guardati pure.” Alzai la testa e mi guardai allo specchio, rimanendo piacevolmente sorpresa.
La persona riflessa era molto bella, ma era una bellezza acqua e sapone. Pensavo che Gena mi avesse fatto un trucco degno di Dita Von Teese, essendo rimasta sotto le sue grinfie per quasi un’ora, ma era il trucco più sobrio ed elegante che avessi mai visto: ombretto sfumato, matita, rimmel e rossetto rosa antico, sfumato anch’esso; lo chignon, nonostante fosse molto morbido, non dava segni di cedimento anche se scuotevo la testa.
“Piace?” Chiese Gena con un sorriso sulle labbra.
“Tantissimo. Grazie mille.” La abbracciai felicissima. Era una delle migliori.
“Bene, basta smancerie Taylor! Devi metterti il vestito.” Urlò Elle tornando in camera. Notai che non portava le scarpe, camminava a piedi nudi.
“Ma che ore sono?”
“Le dieci e venti, dobbiamo muoverci.” Rispose lei porgendomi la sacca con dentro l’abito. Sospirai e la aprii, squadrando il vestito: era bianco latte, con sopra al vestito di seta una sorta di secondo abito fatto di pizzo, a maniche corte con scollo a v profondo sia davanti che dietro, una fascia sotto il seno e un piccolo strascico. Lo tirai fuori dalla custodia e lo infilai con cautela, temendo di poterlo strappare o rompere. Sentii le mani di Val e Lacey aiutarmi ad allacciare i bottoni dietro la schiena.
“Ecco le scarpe.” Fece Elle posandomele davanti. Erano altissime, bianche e con tanto di plateau. Sospirai.
“Nient’altro?”
“La giarrettiera!” Fece porgendomela. La squadrai.
“Ehm, no.”
“Sciocca creatura, mettila immediatamente.” Sospirai e, con un po’ di acrobazie, la infilai.
“Altro?” Chiesi di nuovo.
“Il bouquet.” Mi porse un mazzetto di fiori bianchi e azzurri profumati. Mi girai e mi guardai allo specchio lungo: l’abito mi faceva apparire più alta di quanto non fossi già, le maniche corte di pizzo mi facevano il solletico sulle spalle e lo spacco dietro la schiena era più profondo di quanto ricordassi. Un altro sospiro e uscii dalla stanza per vedere Gena spruzzarsi quantità industriali di lacca sui ricci appena fatti e Lacey ritoccarsi il trucco.
“Sei stupenda, Taylor.” Mi disse Valary. La abbracciai; era troppo dolce.
“Bene, la macchina è qui fuori. Vogliamo andare o ci perdiamo in abbracci e lacrimucce pre cerimonia?” Fece Elle con il suo solito cinismo. Alzai gli occhi al cielo.
“Potresti anche essere simpatica per un giorno, sai?” Replicai acidamente. Lei mi tirò un bacio e mi prese lo strascico, accompagnandomi fuori da casa sua, dove c’era una decappottabile simile alla sua, solo che questa era bianca.
“E questa?”
“Regalo di nozze mio e di Brian.” Elle mi fece l’occhiolino e montò in macchina. Al posto del guidatore notai Johnny.
“Ciao nano!”
“Guarda, guarda che sposa! Andiamo, siamo in ritardo.” Elle aveva contagiato anche lui, povero. Montai in macchina, seduta fra Lacey e Val (Gena ed Elle erano sedute sul cofano con i piedi sul sedile, come nei film) e ci dirigemmo alla villa dove ci sarebbero stati cerimonia e ricevimento; avevamo optato per una villa, anziché per una chiesa, dato che io ero atea, e Jimmy non voleva andare contro i miei principi o roba del genere. Sorrisi e mi godetti quell’ultima mezz’ora che mi rimaneva da Taylor Connor; quella sera stessa sarei stata Taylor Sullivan.
Una mezz’ora dopo arrivammo alla villa, nei pressi di Malibu. Johnny fermò la macchina e ci aiutò a scendere una per una.
“Grazie Johnny.”
“Figurati, è stato un piacere, signora Sullivan.”
“Aspetta, mi è rimasta ancora una mezz’ora da Taylor Connor.” Dissi ridendo nervosamente. Sembrava che la tensione si stesse facendo sentire solo ora.
Il nano rise. “Certo, come vuoi. Andiamo piccola?” Prese sotto braccio Lacey e la condusse attraverso il giardino, dove c’era la cerimonia. Potevo vedere dal vialetto le sedie bianche e gli invitati; riconobbi anche Jimmy, era di spalle e stava parlando con Matt, il mio testimone. Mi voltai di scatto, essendomi ricordata una cosa importantissima.
“Oh, Elle! Hai risolto quella cosa…?”
“Certo, non preoccuparti. Vado a chiamare tuo padre.” Mi sorrise un’ultima volta e sparì. Poco dopo, tornò con mio padre.
“Taylor, sei una visione!”
“Smettila, sono già abbastanza a disagio senza che me lo ricordi.”
“Era solo una constatazione.” Fece dandomi una spinta giocosa. Risi.
“Ok, come vuoi… andiamo?” Elle annuì e diede il via per far suonare la marcia nuziale solo dagli archi. Si alzò un mormorio fra gli invitati e si voltarono a guardare nella nostra direzione.
“Pronta?” Mi mormorò mio padre. Presi un respiro profondo, cercando di scacciare l’ansia senza successo.
“Andiamo, va.” Sorrise e mi condusse dove c’erano gli invitati, tutti impegnatissimi a guardarmi. Io non li avevo nemmeno notati, avevo lo sguardo fisso su Jimmy.
Aveva un sorriso radiosissimo sulle labbra, il suo sguardo puntato dritto su di me era felice come non mai, e vederlo mi fece scoppiare il cuore di gioia.
Mi sentivo a disagio, lo ammetto: camminare in mezzo a gente che ti fissa non è la cosa migliore che si possa fare per passare inosservati, ma quel giorno esserlo era impossibile. Ero la sposa, non potevo non farmi notare.
Presi la mano di Jimmy e sorrisi un’ultima volta a mio padre, che sembrava sul punto di esplodere. Sarei potuta rimanere a guardare gli occhi blu di Jimmy in eterno, ma fui costretta a girarmi e a guardare il prete.
“Oggi siamo qui riuniti per celebrare l’unione fra James Owen Sullivan e Taylor Katherine Connor. Saltiamo l’introduzione e la storia?” Soggiunse poi sottovoce il prete. Risi.
“Sì, per favore.”
“Bene. Abbiamo gli anelli?” Elle poggiò il cuscinetto con gli anelli sul tavolo che fungeva da altare. Jimmy prese la mia fede e me la mise all’anulare mentre ripeteva le parole del prete.
“Io, James Owen Sullivan, prendo te, Taylor, come mia legittima sposa per amarti e onorarti finché morte non ci separi.”
Rischiavo una crisi isterica.
Presi la fede e la misi al dito di Jimmy. “Io, Taylor Katherine Connor, prendo te, James, come mio legittimo sposo per amarti e onorarti finché morte non ci separi.”
“Se c’è qualcuno che è contro quest’unione, che parli ora o taccia per sempre.” Mi voltai con un sopracciglio alzato e sentii una risata aleggiare fra gli invitati.
“Bene, se è così, allora vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la…”
Niente, non aveva neanche finito di parlare che Jimmy mi aveva presa, tirata su da terra e baciata. A differenza di come dicono tutti, dopo quel bacio non mi sentivo per niente strana o diversa… a parte che ora ero la fottuta signora Sullivan e cazzo, ero felice come una Pasqua. Tutti gli invitati si strinsero intorno a noi intenti a congratularsi e a tirarci il riso; cercai di ripararmi col bouquet, senza successo. Ci spostammo nella sala all’interno della villa dove c’era una schiera di camerieri pronti a servirci. Ci sedemmo a tavola e cominciammo subito a parlare; quel testa di cazzo di fotografo aveva iniziato a farci foto a tradimento, cosa che io odiavo da morire, dato che uscivo sempre male. Mi voltai e guardai Jimmy: lo avevo costretto a farsi la barba - dato che se l’era fatta crescere in modo indecente -, il sorriso era sempre radioso e faceva anche un po’ strano vedere una fede al suo dito. Abbassai lo sguardo e vidi il mio anello brillare delicatamente. La mia attenzione fu reclamata da Katie e Kelly, le sorelle di Jimmy, che volevano una foto con ‘loro cognata’.
“La faccio a patto che non mi chiamiate più vostra cognata! Mi fate sentire vecchia.”
“Ma se sembri caduta nella fontana della giovinezza!” Sbottò Katie. Risi e le spettinai i capelli piastrati alla perfezione.
“Non diciamo minchiate. Sono semplicemente una ventiseienne appena sposata, su.” Dio, che strano. Facemmo la foto e poi andai dai vari invitati. Notai Matt un po’ meno vivace del solito. Mi avvicinai a lui e gli misi un braccio intorno alle spalle.
“Non si sta divertendo, signor Sanders? La vedo triste.” Lui si voltò e mi sorrise.
“Nulla di cui debba preoccuparsi, signora Sullivan. Torni pure a divertirsi.” Sorrisi e tornai al mio posto, dato che era arrivato il primo piatto: risotto allo zafferano, uno dei miei piatti preferiti da sempre (sottolineiamo che il menù era interamente a base di piatti italiani).
In men che non si dica eravamo passati al caffè; contro ogni mia protesta, Elle aveva insistito per mettere la torta alla fine della serata, quando ci sarebbe stata anche la ‘sorpresa’. Non avevo la minima idea di cosa si trattasse e, sinceramente, non mi interessava nemmeno.
Ci alzammo dal tavolo che si erano fatte quasi le sei del pomeriggio. Nel giardino della villa era stata allestita una pista da ballo enorme, proprio vicino alla piscina; avrei volentieri spinto le ragazze in acqua, ma sarei stata troppo crudele. Ballammo e cantammo come matti fino a tarda sera, quando Jimmy, con in mano la bottiglia dello spumante, prese il microfono e attirò l’attenzione di tutti.
“Attenzione, prego.” A quelle due parole, si alzò una risata fra i presenti. Se la rise pure Jimmy. “Non farò nessun discorso o cazzi del genere; propongo - e farete tutti, perché vi obbligo - un brindisi a quello spettacolo di ragazza che da oggi posso fieramente definire mia moglie.” Lo vidi alzare la bottiglia verso di me con un sorriso che avrebbe sciolto la calotta polare.
Rischiai di far cadere il bicchiere con lo spumante a terra per quanto ero felice.
“A Taylor!” Urlarono tutti gli invitati facendomi arrossire.
“E un’ultima cosa!” Jimmy reclamò ancora l’attenzione di tutti. “Oggi è il 30 luglio e alla mezzanotte mancano…” Guardò l’orologio. “…esattamente zero minuti, e adesso è il 31, come non detto. Il che significa che oggi è il compleanno di uno degli invitati.” I Sevenfold si buttarono addosso a Matt, attirando l’attenzione degli altri che non sapevano chi fosse il festeggiato. Due camerieri spinsero una torta enorme con sopra ventinove candeline. Dopo la canzoncina idiota, Matt soffiò e spense le candeline facendo scoppiare tutti in un applauso. Lo abbracciai e mi lasciai tirare su da terra ancora una volta. Poco dopo uscì fuori anche la torta mia e di Jimmy: non era nulla di particolare, una torta a quattro piani con su scritto ‘Just Married’ e decorazioni nere su glassa bianca; il fotografo mi beccò proprio mentre rubavo una chiave di violino di zucchero. Erano quasi le tre del mattino quando iniziarono i fuochi d’artificio, attirando ancora una volta l’attenzione di tutti. Fu un’esibizione fantastica, che mi godetti fra le braccia di Jimmy; beh, in realtà non feci molto caso ai fuochi, passai tutto il tempo a fissare mio marito, il quale era completamente rapito dall’esibizione, sembrando un bambino la mattina di Natale. All’alba del trentuno luglio, io e Jimmy lasciammo gli invitati e partimmo per la luna di miele, diretti ai Caraibi.
Sarebbe stato il miglior viaggio di nozze di sempre, me lo sentivo.
 
“River! Hai preso tu le mie bacchette?” Sbraitò Jimmy per la millesima volta mentre girava senza maglia nel backstage alla ricerca di un paio di drumsticks. La ragazza seduta sopra l’amplificatore sbuffò.
“No, papà, non ho preso io le tue bacchette.” Fece con tono esasperato. Risi.
“Jim, sono sulla cassa delle chitarre.” Intervenni per evitare che mio marito iniziasse a urlare come suo solito
“Porc…” Le prese e raggiunse gli altri, che si stavano preparando per il primo concerto del tour per il loro ultimo album: Matt continuava a scaldare la voce, Johnny scherzava con Zacky, Brian provava dei riff e Jimmy bacchettava addosso al muro. Mi voltai e guardai mia figlia, così incredibilmente somigliante al padre: aveva i capelli corti e neri, gli occhi azzurri e del padre e le mie labbra, a detta degli altri; quanto al carattere, aveva la mia testardaggine e l’infantilismo del papà. Risi: riguardo ai gusti musicali, era cresciuta a pane e heavy metal, proprio come me e sua zia.
“Ragazzi, dovete andare.” Annunciò Valary controllando il suo telefono. River saltò giù dall’amplificatore sul quale era seduta e andò a dare un bacio a Jimmy.
“Spacca i culi, pa’.”
“Come sempre.” Rispose lui dandole una pacca sul sedere. Uscirono sul palco e sentimmo la folla urlare come indemoniata.
Nonostante avesse sedici anni, il che fa pensare che stia attraversando un’età problematica, River era piuttosto gentile e tranquilla, anche se a volte ti faceva venir voglia di prenderla a schiaffi e legarla a un tavolo; sapete, aveva anche una bella lingua lunga. Incrociai le braccia al petto e guardai Jimmy fare l’intro per Burn it down; amavo quando facevano le canzoni un po’ vecchie. Mi voltai e vidi mia figlia accanto a me: River Addison Sullivan.
“È solo la seconda canzone ed è già sudato come un maiale.” Feci ridendo.
“Suona la batteria, mamma. Che ti aspettavi?”
“Era una constatazione, miss So-tutto-io.” Dissi sfottendola. Lei mi spinse.
“Smettila.” Disse fra le risate mentre le mettevo un braccio intorno alle spalle. Sentii arrivare qualcuno. Mi voltai e vidi una ragazza molto bella e alta come me, capelli castani lunghi fino alla vita, naso all’insù e occhi color cioccolato.
“Ciao Alexandra. Che succede?”
“Nulla, Owen dorme come un ghiro.” Disse indicando con un cenno della testa il backstage. Rimase a guardare il concerto con noi finché non venne Owen.
“Owen, come hai fatto a uscire dalla culla?” Lui si strofinò gli occhi e sbadigliò.
“Ho scavalcato…” Rispose il piccolo Sanders. Che paraculo, proprio come il padre, pensai sorridendo. Alex prese in braccio il piccolo e lo riportò nel backstage.
Ebbene sì, Alexandra aveva sedici anni, come River, solo che lei era nata a marzo, River a ottobre; questo significa, come vi starete chiedendo, che Elle era incinta già il giorno del mio matrimonio. Quando me lo disse per poco non morii. In fondo, Elle era quella che non voleva avere figli perché pensava che non sarebbe stata una buona madre; invece era stata la prima ad avere una figlia.
Il concerto durò quasi tre ore, più del normale, i ragazzi erano esausti ma soddisfatti. Erano nati per quel lavoro. Quando furono tutti spariti nel backstage, mi fermai a guardare Jimmy attaccato alla sua birra.
“A che pensi?” Chiese vedendo che non accennavo a distogliere lo sguardo da lui.
Sorrisi e mi avvicinai, lasciandomi mettere un braccio intorno alla vita. “Che non sarei potuta essere più fortunata di così.”
Ed era vero.


 
Fine.


***

Bene, eccoci qui. E' arrivato il momento di concludere questa storia.
Beh, che dire? Solo un'enorme GRAZIE a tutti quelli che hanno seguito e recensito regolarmente questa storia, coloro che l'hanno messa fra i preferiti/seguite/da ricordare/nonmericordopiù.
Grazie ancora per i mille complimenti che mi avete fatto, giuro, ho pianto seriamente leggendo alcune recensioni. 
C'è scritto anche nel mio profilo, ma comunque potete seguirmi su twitter cliccando qui, potrei (se mi ricordo lol) scrivere se sono al lavoro con una nuova ff (cosa che in realtà è già in corso lolol); non metto il link di un profilo facebook come autrice, ma sarebbe inutile perché non ci entrerei mai :'D
Basta divagare. Se avete domande, richieste, chiarimenti da chiedere (?) non esitate a scrivermi privatamente, sapete benissimo che non mangio nessuno, anzi, mi farebbe piacere se lo faceste :)
Grazie ancora, di cuore. 
Vi adoro <3
Alla prossima,
Ilaria.


The Reverend will neverend. 
 
   
 
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