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Autore: Yoan Seiyryu    03/11/2013    6 recensioni
[ Mad Beauty - Red Hook ]
Le vite di Jefferson e di Killian Jones si incontreranno su una strada difficile, entrambi pedine del Signore Oscuro e della Regina Cattiva. Impareranno a conoscere se stessi e a compiere le scelte giuste, vivendo secondo la loro volontà. Jefferson avrà occasione di incontrare Belle al Castello Oscuro, la quale gli insegnerà a vedere più chiaramente in se stesso. Killian verrà salvato da Red Hood nella Foresta Incantata dopo esser stato ingannato dal suo nuovo nemico. Le vicende continueranno a Storybrooke in cui i personaggi riusciranno a trovare se stessi e a compiere il passo che li porterà sulla scelta più giusta da fare.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Belle, Jefferson/Cappellaio Matto, Killian Jones/Capitan Uncino, Ruby/Cappuccetto Rosso
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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II 
 

Just a name



 



Non aveva più pensato alla giovane principessa rinchiusa nelle segrete del Castello del Signore Oscuro.

Bugiardo, ci hai pensato eccome.

 O meglio, di tanto in tanto le orecchie fischiavano al ricordo delle sue urla, ma le ricacciava via immediatamente. Quegli occhi azzurri non se ne erano andati del tutto, le venature delle iridi così simili alle onde di un mare in tempesta gli avevano lasciato un’ottima impressione. Doveva possedere un carattere forte e di certo si trattava di una sognatrice, lo aveva letto nel suo sguardo rattristato.
Ma non era per rivederla che stava facendo ritorno al Castello di Tremotino con il suo nuovo bottino, non erano trascorsi che pochi giorni e già vi si ripresentava. Ultimamente era diventato piuttosto bravo a trovare oggetti magici utili agli esperimenti del Signore Oscuro, anche se non si crucciava per il fatto che non conoscesse le sue reali intenzioni. Quando sopraggiunse al Castello si diresse immediatamente nella sala in cui si incontrava sempre con lui per parlare di affari, ma anche quella volta si ritrovò da solo. La prima impressione che ebbe in quell’istante fu di aver sbagliato strada ed esser arrivato in un posto diverso da quello che conosceva lui. Guardandosi attorno non poté evitare di notare che tutto sembrava cambiato, persino le tende rosse e pesanti erano state scostate per lasciar entrare la luce. Da quando il sole batteva su quell’ala del Castello?
Ciò che più lo stupì fu il non trovare nemmeno uno strato di polvere sul lungo tavolo di legno a cui si avvicinò per poterlo studiare. Socchiuse appena gli occhi e poi vi passò un dito da angolo ad angolo, constatando  l’impeccabile pulizia.
“Qualcuno ha deciso di fare le pulizie di primavera” disse a se stesso.
Ora sembrava il Palazzo di un grande re e non più una camera oscura e grottesca. Avvertì dietro di lui rumori di alcuni passi concitati, non potevano che appartenere ad una donna, troppo piccoli e insicuri.
Quando si voltò fu piacevolmente sorpreso nel ritrovarsi davanti la giovane principessa dagli occhi azzurri, questa volta non indossava l’abito oro della scorsa volta, la tipologia era decisamente diversa ma le donava molto.
“Oggi non ci deliziate con le vostre urla?” la domanda dal tono sarcastico non piacque affatto a Belle che arrestò il passo sulla soglia della porta.
“Come potete vedere non sono più rinchiusa in una cella stretta e buia, quindi non ho bisogno di chiedere aiuto a chi preferisce dormire, anziché dare una mano ad una fanciulla indifesa”.

Le donne reagiscono sempre allo stesso modo quando vengono punzecchiate, per questo sono divertenti.

“Allora non avete dimenticato il nostro primo incontro, me ne compiaccio. In più ci avete riflettuto sopra, quindi ho fatto parte dei vostri pensieri a lungo” sorrise mestamente, tenendosi a distanza per evitare un eventuale rovescio sulla guancia. Meglio prevenire che curare.
Belle schiuse lievemente le labbra, stupita di quell’affermazione che lasciava intravedere una eccessiva sicurezza.
“Non ho mai soffermato alcun pensiero su di voi” ribatté mostrando poca certezza in ciò che stava dicendo.
“Il vostro tono di insofferenza vi tradisce, indica il fatto che avete rimuginato su ciò che ho fatto e deve avervi anche infastidito molto” sogghignò con soddisfazione Jefferson.
Le diede le spalle e si indirizzò verso il tavolo per potersi sedere sul bordo e abbandonare gli stivali sporchi di fango sulla sedia che aveva davanti.
Belle sgranò gli occhi, prima in imbarazzo per le parole che le venivano rivolte, poi per ciò che fu costretta a dire.
“Vi prego: fate attenzione, ho appena finito di pulire!”.
L’esclamazione fu accompagnata da una mossa perentoria in cui avvicinandosi gli sventolò davanti al viso uno strofinaccio, di modo che potesse spostarsi di lì. Ma Jefferson, imperterrito, vi rimase e la guardò a lungo in quegli occhi che lo ipnotizzavano. La ragazza fu costretta a spostare lei stesse le gambe di lui dalla sedia per lasciarla libera.
Perché si comportava in quel modo così irritante? Sospirò inquieta, gli amici di Tremotino erano davvero strani e la cosa in realtà non la stupiva affatto.
“Immagino che questa sia la vostra nuova professione: prima eravate uno spirito urlante della casa, ora una perfetta cameriera” la canzonò senza avere il minimo riguardo verso i suoi sentimenti e soprattutto non si dispiacque per averle dato un lavoro aggiuntivo.
Belle si chinò per poter ripulire il fango dalla sedia, rimanere calma in una situazione simile iniziava a diventare quasi impossibile.
“E la vostra è quella di torturare qualunque persona vi capiti di fronte?” ovviamente si riferiva al sarcasmo che trapelava da ogni frase pronunciata dalle sue labbra.
Non desiderava entrare in alcuna discussione in proposito ma vi fu quasi costretta. Il suo animo era pacifico, se scosso però era in grado di far uscire forza e coraggio. Quello che le aveva permesso di scendere a patti con il Signore Oscuro e salvare il suo regno dagli Orchi.
“Certo che no: soltanto voi” le labbra di Jefferson si tirarono in un sorriso, era piacevole stuzzicarla e assistere al cambiamento che i suoi occhi producevano.
Quando Belle finì di ripulire la sedia, si alzò in piedi e lo fissò con sguardo gelido. Avrebbe continuato a rispondergli, se solo non avesse preferito evitare di cadere così in basso, trascinata da sentimenti negativi che non le appartenevano.
“Se siete qui per Tremotino temo che non sia la giornata adatta, probabilmente non tornerà prima di domani mattina. O chissà, tra qualche giorno” gli comunicò nella speranza di vederlo andare via.
Di tutti i clienti di cui il Signore Oscuro si serviva, Jefferson era quello che meno sopportava. Pur avendolo visto una volta sola e quella del momento, non riusciva proprio a farselo piacere.
Lui in tutta risposta si stiracchiò, allungando le braccia verso l’alto e scrocchiando il collo per sentirsi più libero. Non era la prima volta che gli capitava di aspettare per così tanto tempo, inoltre la sua abitazione era decisamente lontana per poter fare avanti e indietro.
“Molto bene, allora per questa notte rimarrò qui” così dicendo scivolò giù dal tavolo per poi dirigersi verso la poltrona, gettare il cappello sul bracciolo e sedersi abbandonandovi il peso.
Belle avvampò quando udì quelle parole, si sentiva improvvisamente a disagio all’idea di dover trascorrere tutto quel tempo in sua compagnia. Non che fosse stata costretta, ma di certo lui avrebbe insistito nel molestarla con la sua sola presenza.
Purtroppo non aveva alcun diritto di mandarlo via, visto che quella non era la sua casa. Abituarsi a vivere in un luogo così tetro sarebbe stato difficile, ma non si sarebbe persa d’animo e avrebbe trasformato quella casa in un posto confortevole.
Decise in ogni caso di riappacificarsi con l’ospite e cercare un punto d’incontro per quella convivenza, seppur di breve tempo.
“Tremotino mi ha rivelato che siete stato voi ad insistere perché uscissi dalle segrete” si strinse nelle spalle mentre andava ad accomodarsi sulla poltrona accanto alla sua “immagino che debba ringraziarvi”.
Non era compiaciuta per quel particolare, ma non poteva rifiutargli parole gentili.
Jefferson abbandonò la nuca sullo schienale della poltrona e iniziò a soffiare verso l’alto, prima di decidersi e rispondere.
“C’è una cosa che mi sfugge sempre riguardo le persone comuni: perché usano le parole sbagliate?” lasciò creare una smorfia sulle labbra per poi passare le mani tra i capelli e scompigliarli “dire grazie non è un dovere, è qualcosa che scaturisce da una riconoscenza sincera. Non mi ringraziate se vi sentite costretta” le rivolse un mezzo sorriso.
Belle rimase perplessa per qualche istante, interdetta da ciò che le aveva detto. Era proprio strano sentirsi dire cose simili, essendo un’amante dei libri come lo era lei e l’uso corretto delle parole era qualcosa che conosceva decisamente bene.
“Ne deduco che vi piaccia giocare con il linguaggio” gli disse fingendo di non aver colto direttamente il messaggio.
Jefferson scrollò le spalle e si alzò in piedi per poter coprire la distanza tra loro. Se non poteva dormire almeno avrebbe conversato con lei che iniziava a diventare sempre più interessante.

L’ordinario è ben più sconvolgente dello straordinario, siamo così abituati a credere che la bellezza sia fuori dagli schemi che finiamo per perdere tutte le meraviglie che si trovano nel quotidiano.

“Ritengo che abbia una qualche importanza, decisamente” sussurrò mentre cercava di sprofondare nel suo sguardo per potervi navigare all’interno e arrivare a sfiorare frammenti della sua anima.
Ma Belle non lasciò trapelare nulla di sé, mascherandosi immediatamente quando si accorse di quella incessante ricerca.
“Prima che me ne dimentichi, il vostro nome è Belle? Si dovrebbe sempre chiamare qualcuno con il nome che gli spetta” si chinò appena su di lei quando si appoggiò sul bracciolo della poltrona.
“Un nome è soltanto un nome [1], Jefferson” rispose per dimostrargli il fatto che anche lei si era informata.
Lui fu decisamente soddisfatto e finì per sorridere con gusto.
“Allora mi avete pensato davvero” le sfiorò la fronte con l’indice della mano per poterla spingere verso lo schienale e farla rilassare, era così tesa che sembrava un fascio di nervi. “In ogni caso ciò che avete appena detto è una cosa sciocca, se io vi chiamassi in un altro modo questo vi procurerebbe un certo fastidio, noi siamo come ci chiamiamo. Siete d’accordo, Lacey?”
“Io non sono Lac…” la ragazza si ritrovò piuttosto contrariata nel rendersi conto di esser caduta nel suo gioco, tant’è che finì per premere le unghie sulla gonna dell’abito, cercando di trattenere l’irritazione sempre più crescente.
Jefferson scoppiò in una risata decisamente divertita, così fresca e leggera che per un momento Belle ne fu completamente soggiogata. Era incredibile, un attimo prima quell’uomo si mostrava come il più fastidioso mai conosciuto ed un attimo dopo l’aveva intrappolata.
Non aggiunse nulla per torturarla ulteriormente e dunque si alzò in piedi per togliere il soprabito e andare a sistemarlo sull’appendiabiti, all’interno della grande tasca vi era ciò che aveva recuperato per Tremotino.
Poi si ritirò verso il caminetto alla ricerca di un po’ di calore, allungò le mani verso il fuoco e rimase in silenzio per qualche istante. Belle tornò a respirare e sciolse la tensione, forse sarebbe riuscita a rilassarsi.
Jefferson spostò di lato lo sguardo e si avvide di un bastone animato posizionato proprio lì accanto, decorato in modo assolutamente egregio. Ne aveva sempre desiderato uno e quello gli piaceva in modo particolare.
Lo afferrò per poterlo studiare, sfilò l’arma che vi era all’interno e vi si specchiò, incontrando i suoi occhi illuminati dalla fioca luce del fuoco.
“Credo proprio che lo terrò” sussurrò prima di appoggiarlo a terra.
“Non vi dovreste appropriare di ciò che non è vostro, Tremotino potrebbe non gradire” le consigliò tornando ad alzarsi in piedi, aveva ancora molto da fare e non poteva permettersi il lusso di rilassarsi. Alcune stanze non erano state completate.
Jefferson si voltò verso di lei iniziando a far roteare il bastone da una parte all’altra, maneggiandolo come se sapesse esattamente che cosa farne.
“Con tutte le armi magiche che gli procuro, può benissimo fare a meno di questa” sogghignò prima di fermarsi e battere un colpo a terra con il bastone.
In quel momento il pavimento iniziò a tremare fino a far ricadere Belle sulla poltrona. Ora sapeva esattamente a cosa gli sarebbe servito.
 
 
 
 
**




 
 
Lo troverò. Lo troverò eccome il Cappellaio e gli conficcherò l’uncino nel petto.

Non era riuscito a pensare ad altro da quando la ragazza che si era presa cura di lui gli aveva rivelato quel particolare. Essere ingannato in quel modo, come aveva potuto abbassare la guardia?
Rimanere disteso sul giaciglio così a lungo iniziava a dargli fastidio, soprattutto per il fatto di dover pensare sempre alla medesima difficoltà. Trovare Jefferson, farlo fuori e poi occuparsi del Signore Oscuro. Ma da dove avrebbe potuto cominciare? Cercare l’uno voleva mettersi sulla buona strada per arrivare dall’altro. Peccato che non avesse idea di dove si trovasse la dimora di Tremotino e quella parte della Foresta Incantata gli era sconosciuta. Se solo avesse avuto una mappa, sarebbe riuscito a cavarsela piuttosto in fretta. La febbre non era del tutto passata e a volte intravedeva ancora qualche allucinazione, la testa gli bruciava ed era costretto a ricercare il sonno per trovare un po’ di quiete.
La ragazza dal mantello rosso non si era fatta vedere per tutta la mattinata e la solitudine iniziava a pesare. Per fortuna però, quel desiderio si realizzò e quando lo stomaco iniziò a richiedere di esser soddisfatto, la vide entrare nella capanna conducendo con sé due lepri bianche dall’aria decisamente deliziosa.
“Però, oltre che prenderti cura degli altri, sai anche cacciare?” le domandò mentre staccava la schiena dal giaciglio per poi passarsi la lingua sulle labbra, stuzzicandola.
Red inarcò un sopracciglio, osservando le prede che teneva tra le mani.
“Noto con piacere che ti senti meglio, visto che hai la forza di pensare a battute così sciocche” si fece avanti per sedersi su uno sgabello di legno.
Quello era il piccolo rifugio che aveva creato con Snow White ma che avrebbe abbandonato presto o tardi, per far ritorno verso casa quando ne avrebbe avuta l’occasione. Ancora non se la sentiva di affrontare sua nonna dopo l’incontro che aveva fatto con i Figli della Luna.
“Rilassati, dolcezza, con l’aria corrucciata sei deliziosa ma quando sorridi sei decisamente più bella” l’insistenza faceva parte del suo carattere e non mancò di farglielo notare.
“Se la smettessi di rivolgerti a me come se fossi una recente conquista, sorriderei di più” non si lasciò convincere nemmeno quella volta. “Hai ancora qualche allucinazione?”.
Hook si inumidì le labbra secche mentre si metteva a sedere, chiudendosi lentamente la camicia, aveva bisogno di bere.
“Ogni tanto ne ho qualcuna ma riesco a governarle piuttosto bene. Mi piace quando qualcuno si preoccupa per me” affermò cercando di sollevarsi e dirigersi verso il basso tavolino di legno al centro della capanna.
Red sospirò profondamente, sperava di riuscire a mantenere la calma. Da molto tempo aveva timore di rapportarsi con gli altri, era decisamente difficile accettare la propria natura ed essere certa di non procurare più alcun dolore.
“Oh, non dirmi che il grande Capitan Hook sente il bisogno di ricevere affetto?” lo schernì divertita mentre preparava il pranzo con cura, così come sua nonna le aveva insegnato a fare.
“Ogni tanto ho qualche pretesa, ecco” appoggiò un gomito sul tavolo in modo poco elegante, la spossatezza non lo rendeva capace di rimanere lucido e comportarsi da gentiluomo come sapeva fare bene quando lo desiderava.
Detestava quel malessere e detestava ancora di più il fatto che fosse stato causato da uno stolto di cui si era fidato. Guardò Red di sottecchi, osservandone ogni movenza. Era leggera, serafica, solare. Per un attimo credé davvero di avere davanti un’allucinazione, invece era decisamente reale e la cosa non gli dispiaceva affatto. Da tanto tempo non incontrava una donna simile e gli occhi volevano la loro parte.
Il pranzo fu pronto e sistemato sul basso tavolino, Red si sedette comodamente dall’altra parte, iniziando a mangiare in tutta tranquillità.
“Svelami un mistero: per quale motivo vivi in questo posto?” le domandò per spezzare il silenzio e fare un po’ di conversazione.
Red sollevò gli occhi per poterlo guardare e scrollò le spalle.
“Tornare a casa implicherebbe una sicurezza che al momento non possiedo. E’ meglio che lasci passare un po’ di tempo, ho bisogno di capire cosa voglio esattamente” rivelò nonostante avesse preferito non parlare di sé.
“Problemi con la nonna informata sui funghi avvelenati?” era curioso, non poteva esimersi dal porle altre domande.
Lei sorrise a mezza bocca e lui ne fu assolutamente soddisfatto.
“In realtà i problemi sono tutti miei, ma devo dire che anche quello potrebbe essere un motivo del mio allontanamento” continuava a lasciar scoprire il meno possibile, in fondo non poteva dire al mondo di essere un lupo mannaro.
Killian si perse qualche istante a gustare il sapore della carne, nonostante fosse alterato dagli effetti ancora prolungati dei funghi ma poi decise di prendere un’altra strada. Sollevò appena l’uncino perché lei potesse vederlo ed iniziò.
“Non volevi saperne nulla a riguardo, ma in realtà sei curiosa di conoscere” appoggiò di nuovo il braccio sul tavolo e si versò dell’acqua nel boccale di legno “e’ stato un Coccodrillo a mozzarmi la mano, me l’ha portata via così come ha fatto con la donna che amavo. Ed indovina? Sono tornato qui per lui”.
Red deglutì a vuoto, non le aveva narrato alcun particolare della storia eppure l’idea di un’immagine così cruenta le fece ricordare il momento in cui si era svegliata dallo stato di lupo e aveva trovato Peter esanime, immerso nella coltre di neve bagnata del suo stesso sangue.
“Anche io ho perso la persona che amavo, è stata brutalmente uccisa, quindi abbiamo una cosa che ci accomuna”.
Killian sgranò gli occhi nell’udire quella rivelazione, una ragazza così giovane doveva portare un peso simile sulle spalle? La vita era davvero ingiusta.
“Allora non sei andata via dalla tua casa perché la cucina di tua nonna non ti soddisfaceva, stai cercando il tuo Coccodrillo?” sorrise all’idea di vedere sul suo volto i segni  del desiderio di una lotta vendicativa.
Red deglutì a forza e dovette coprire il rossore sulle guance trangugiando un intero boccale d’acqua per riprendersi da quell’affermazione.
Peccato che fosse ella stessa  il suo Coccodrillo, autodistruggersi non sarebbe stata una grande idea.
“Esatto” mentì spudoratamente e Killian se ne rese conto, ma preferì non intervenire su quel punto in particolare, voleva capire fin dove si sarebbe spinta “sai già come compiere la tua vendetta?”.
Forse non avrebbe dovuto incitarlo allo spargimento di sangue, ma lui era Capitan Hook ed era rinomato proprio per tutte le sue malefatte. Come poteva convincerlo a ritirarsi verso qualcosa che non conosceva affatto? E soprattutto non ne aveva alcun diritto. Lei non era la sua coscienza, non era il Grillo Parlante. Doveva rimanerne fuori il più possibile.
“Ancora no, ma sono venuto qui per scoprirlo” mandò giù un sorso d’acqua e rimase insoddisfatto “non hai del rum, del sidro, qualcosa che sia diverso da questo?” sollevò il boccale.
Red non fece in tempo a rispondere che non aveva nulla di simile quando sul viso di lui comparve una smorfia inorridita e gli occhi divennero vitrei.
“Hook, cosa ti sta capitando?” gli domandò con preoccupazione.
Lui si alzò in piedi in fretta, troppo, tant’è che ricadde malamente sullo sgabello.

Acqua, acqua che lo sommerge fino a raggiungergli tutte le membra che diventano gelide, mentre la fronte e gli occhi iniziano a bruciare. Assalito da una corrente inarrestabile che gli provoca mancanza d’aria, tanto da condurre una mano alla gola.

Torna in te, quello che vedi non è reale. Guardami, non c’è nulla per cui tu debba preoccuparti.

Era di nuovo la voce del fiume? Lo stava salvando di nuovo poiché in quel momento le acque si ritirarono, lasciandolo libero di muoversi. I battiti del cuore rallentarono e la stretta al petto diminuì considerevolmente. Gli occhi azzurri ripresero coscienza di sé e poco a poco incontrarono le iridi di Red che si era alzata in piedi per poterlo aiutare.
“Cosa è accaduto?” le domandò prima di affondare il viso bruciante tra le mani, non riusciva a capacitarsene.  Un solo momento prima si era ritrovato immerso nell’acqua gelida ed ora non ve ne era più.
“E’ stata un’allucinazione, non sei ancora del tutto guarito. Temo che il tuo amico ti abbia somministrato ben più di qualche fungo allucinogeno, con la cura che ti ho dato saresti dovuto già tornare in forma ma la guarigione è lenta. Non rimane che aumentare la dose” gli spiegò mentre si allontanava da lui, tranquillizzata dal fatto che si fosse ripreso abbastanza in fretta.
Aveva letto la paura nei suoi occhi.
Killian batté vigorosamente un pugno sul tavolo, era furibondo e la rabbia iniziò ad ombrargli il viso che si contrasse in una smorfia di frustrazione. Detestava perdere così tanto tempo, soprattutto quando era di nuovo vicino al Coccodrillo e poteva agire per farlo fuori una volta per tutte.
Jefferson si era messo di mezzo, attentando alla sua vita, sempre di più cresceva dentro di lui un senso di vendetta maggiore. Perché la sua vita era così annebbiata da quei sentimenti?
“Vado a procurarmi ciò che serve per farti stare meglio. Ti prego di rimanere calmo, se dovessi avere un’altra allucinazione, chiudi gli occhi e non muoverti” gli disse Red mentre andava a recuperare il mantello rosso che ripose in fretta sulle spalle.
Killian si inumidì le labbra, aprendo lentamente il pugno per stendere la mano sul tavolo.
“Red…” sussurrò, come se si fosse ripreso da quei pensieri “per te sono uno sconosciuto e ciò che si dice di me non equivale certo ad una presentazione onorevole. Perché fai tutto questo, perché cerchi di aiutarmi?”.
La ragazza inclinò appena la testa, ricordando di come Snow White fosse rimasta accanto a lei nonostante l’avesse vista agire come un vero e proprio mostro. Lasciò spuntare un sorriso tiepido sulle labbra, afferrando anche un cestino dove conservare le erbe da raccogliere.
“Perché no? Non posso giudicare un uomo dal proprio passato” così facendo lo salutò con la promessa che sarebbe tornata presto e uscì dalla capanna.
Killian rimase quasi senza fiato, non aveva mai incontrato nessuno che avesse dentro di sé un animo così buono ed incline alla speranza. O forse si trattava soltanto di ingenuità? No, doveva esservi qualcosa di più. La sofferenza di quella ragazza era tangibile e i suoi occhi la esprimevano tutta, ma non si era persa d’animo. Una volta o l’altra sarebbe riuscito a smascherare tutto ciò che nascondeva dentro di sé.








Note: 

[1] Citazione rimaneggiata da Romeo e Giulietta. 



// Nda: 

Salve mie care lettrici! Ed ecco qui il secondo capitolo della storia. Comunico che l'aggiornamento avverrà una volta ogni due settimane, tra domenica e lunedì, in alternanza con l'altra long 'You found me'. 
Poichè mi è stato chiesto dirò direttamente qui che il triangolo Rumpel/Belle/Jefferson non sarà presente, per il semplice fatto che vorrei inserirlo in un'altra storia dove ho già in mente come strutturarlo. 
Grazie a tutte coloro che stanno seguendo la storia, alla prossima!
 
   
 
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