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Autore: tortuga1    05/11/2013    1 recensioni
Gli uomini e le donne sono spesso lontani pur vivendo vicini, così tanto da avere difficoltà ad incontrarsi. Pensando a questo mi è venuta l'idea di SPLIT, una storia ambientata in un futuro possibile, nella quale uomini e donne sono stati separati per un esperimento che aveva il fine di salvare l'umanità dall'estinzione. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto, e alla fine del viaggio uomini e donne non si sono più incontrati...
La storia comincia così, nella comunità di sole donne che ha colonizzato come previsto il pianeta Terra Due, e da secoli ormai ripete un rituale di clonazione.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIII.

 
Paula ascolta accigliata i fischi e i rantoli nel petto ossuto di Anna. Questa non ci voleva, una bronchite in piena regola, che potrebbe diventare polmonite malgrado la rarità di germi pericolosi su Terra due. Le somministra antibiotici e un sedativo della tosse, ora non c’è da fare altro che aspettare. Si siede accanto alla stufa, mentre la malata si agita inquieta nel letto, mandando ogni tanto un gemito che fa sobbalzare Giulia.

Dai, Giulia, non fare così. Non è poi così grave…

Non sopporto di vederla soffrire! Ogni volta che si lamenta sento una fitta al cuore!

Calmati. Anna non è in pericolo, ce la farà benissimo.

Allora perché non te ne sei andata? Ero sicura che stesse per…

No, scema, cos’hai capito... Sono io che ho bisogno di stare con qualcuno. Ti dispiace?

No! – gli occhi di Giulia s’illuminano, anche se il viso rimane serio. – sono felice se resti… lo sai che mi piace stare con te.

Lo… so, siamo amiche, no?

Certo. Molto amiche. – Giulia si avvicina un po’, fino ad avvertire il calore di Paula, le piace così tanto…

Però… – Paula si scosta dal fianco di Giulia, non capisce perché ma si sente infastidita. Si alza dal divanetto e fa qualche passo per la stanza. – volevo dirti che poi ho trovato la password. Era un codice semplicissimo, e noi che ci siamo accanite con la matematica superiore…

Ah sì? – Giulia si tira su vivacemente – e cosa c’era nella scheda? Vuoi dirmelo, vero?

Niente, c’era. Dopo un sacco di giri e rigiri, è tornata la maledetta donna nuda. Era uno scherzo, uno scherzo di cattivo gusto. Che rabbia.

Dici la verità? – Giulia la guarda attentamente, una cosa che Paula non sa fare è dire le bugie, è frustrata e scontenta, ma non ha detto tutto quello che sa.

Certo… certo che sì. – ecco, è sicuro che nasconde qualcosa. – mi ha fatto… rabbia. Maledetto Hanssen.

Ce l’hai davvero con uno che è morto settecento anni fa… com’è possibile? Il tuo dottore non c’è più, resta solo la sua interessantissima scheda. Qualche volta me la presti? Solo per… darci un’altra occhiata.

Qualche volta. Ma non oggi. Scusa, io vado. Se succede qualcosa chiamami, però credo che Anna dormirà e domani starà meglio.

Grazie, Paula. Non mi dai un bacio prima di andare?

Tieni. – la bacia rapidamente sulla guancia e si avvolge nel mantello. – buona notte.

Cammina sulla neve soffice affondando fino alle caviglie. Seguendo la pista delle luci arriva alla grotta e alla paratia, entra nel tepore della nave. Si sente inquieta e infelice, le pesa più di tutto la consapevolezza che la speranza di rompere il cerchio magico dei gesti già fatti è stata solo un’illusione, un piccolo giro imprevisto intorno ad un sasso insignificante, ma la corrente del fiume è sempre la stessa. Apre la porta segreta e si siede al terminale esterno della sezione d’isolamento. Che sta facendo, lui? Cede alla tentazione di spiarlo, se lo merita, negli ultimi tempi è sarcastico e antipatico, l’ultima volta sembrava quasi che si prendesse gioco di lei. Preme i tasti ma lo schermo rimane nero. Un guasto? È un bel guaio, non può certo chiamare la squadra di manutenzione. Dà qualche colpetto allo schermo, ma senza risultato. Allora si decide e suona il campanello. Passa un tempo molto lungo, poi arriva il consenso. Strano, ora la telecamera funziona. Eccolo, il solito ambiente, e Sebastian seduto sorridente davanti allo schermo. Sospira di sollievo, pensando ad un problema di contatti elettrici che per fortuna si è risolto da solo.

Buona sera, come stai?

Molto bene, e tu?

Anch’io…

Bene, i tuoi… tentacoli hanno sempre la temperatura normale? Duecento gradi?

Sì… perché me lo chiedi tutte le volte?

Beh, volevo essere cortese. E il cianuro che respiri è di tuo gusto? Sa di mandorle come piace a te? Ah, scusa, dimenticavo che le mandorle per voi sono peggio dell’arsenico.

Mandorle? Come… come sai delle mandorle? Si tratta di un albero estinto, cresceva sulla Terra molti secoli fa.

Ne sei sicura?

Perché mi parli… al femminile?

Sono sicuro che sei una femmina. O mi sbaglio? Anzi, ora che ci siamo, dimmi le differenze che ci sono fra i vostri sessi. Avete… i tentacoli di un altro colore? O forse le femmine sono come i ragni terrestri, e si mangiano il maschio dopo l’accoppiamento?

Dici cose incomprensibili e sei poco educato. Queste… sono informazioni riservate.

Ah. Scusa, sono stato indiscreto. Però sei una femmina, vero? L’ho capito perché sei gentile, anche l’altra doveva essere femmina.

E va bene, te lo dico. Sono… femmina. Noi siamo uguali ai maschi, la differenza è solo… – Paula sente di arrossire ed è contenta di non essere vista. – … nel fatto che noi deponiamo ovoidi, e i maschi li fecondano penetrandoli con i loro…

Basta, non dire altro, è troppo intimo! Me lo immagino con che cosa li penetrano! E gli ovoidi diventano di colpo sodi, no?

Che… che vuoi dire… – Paula ride silenziosamente cercando di non farlo capire. Oggi il colloquio con il prigioniero ha preso una piega completamente diversa dal solito, però le piace, la stuzzica. E poi, cos’ha da temere?

Niente, solo una battuta da essere a bassa temperatura. Da noi se tocchi un uovo con un… coso rovente si cuoce di colpo.

Le tue battute non sono divertenti.

Devi compatirmi, io non vedo mai nessuno e parlo solo con te. Non c’è molta varietà.

Che vuoi dire! Che non ti basto io, che vorresti parlare con qualcun altro?

No. Con nessun’altra. Mi piace davvero parlare con te. – sorride e lei lo imita. – hai un bel sorriso.

Cos’hai detto? Come fai a…

A vederti? Sullo schermo. Esattamente come tu vedi me. – Paula balza in piedi e fa un paio di passi indietro, cercando di mettersi fuori dalla portata della telecamera. – no, non fare così. Potevo non dirtelo, invece mi è sembrato giusto avvertirti.

Di cosa… di…

Che ti vedo, che so che sei umana.

Da… quanto lo sai?

Eh, da un bel po’ di tempo. Sei buona e gentile con me. Ti sono molto grato.

Davvero… credevo che mi avresti odiata, se l’avessi saputo.

E perché? Perché mi tieni qui dentro? Perché non mi dici chi sei per davvero? Perché non mi dici lo scopo della mia esistenza? Non ti odio per questo. Tu non lo sai, lo scopo della mia esistenza.

E tu… tu invece lo sai?

Sì. Ora lo so.

Il piano di Sebastian coinvolge solo Steve e Antonio, gli altri quarantotto membri dell’equipaggio non sanno niente. Steve non ha voluto sentire ragioni, si è sempre opposto a mettere a parte del piano altri membri dell’equipaggio, smontando con argomenti convincenti tutte le proposte del capitano e del medico. Habel no, perché è subentrato ad uno che è morto proprio al momento giusto per fargli spazio, quasi di sicuro lo hanno fatto fuori apposta, e poi si è comportato troppe volte in modo sospetto. Francisco no, perché negli ultimi tempi c’erano moltissimi kamikaze ispanici, ed è sciocco e imprudente raccontare tutto proprio ad un nemico potenziale. E così di seguito. Antonio e Sebastian non hanno insistito più di tanto, anche perché Steve merita considerazione, in fondo è stato proprio lui a scoprire il complotto. E anche adesso, mentre sa che sta andando incontro alla morte, ostenta un atteggiamento allegro e spavaldo. Sebastian invece è pallido e taciturno, e Antonio ha dipinto sul viso cupo i colori di guerra, come gli ha insegnato suo nonno a memoria degli antenati. Nel locale di decompressione indossano ancora una volta le tute spaziali però non escono subito, ma invece si avviano per il corridoio a spirale che li porterà alle cellule staminali. Devono prelevare i contenitori, uscire dal portello di servizio più vicino e portarli alla sezione delle donne, dove penetreranno attraverso l’unica apertura che permette un accesso dall’esterno, il boccaporto d’emergenza situato a due chilometri di distanza. Nessuno ha mai fatto tanta strada alla superficie di una nave lanciata a ottocentomila chilometri all’ora, con il rischio di essere vaporizzati da un granello di polvere cosmica. Ma Steve ha detto allegramente che le probabilità di impattare con un granello di polvere cosmica sono due virgola sette su cento milioni. Una volta entrati, il problema è trovare il modo di convincere in fretta le donne che si tratta di un’emergenza. Sebastian ha sempre trovato questo il punto debole del piano, comparire all’improvviso nella sezione delle donne e dire “salve, siamo qui perché abbiamo un problema”. Ma Steve ha ricordato che sono tutti sessantenni, molto al disopra degli scherzi da college, e la sola vista dei contenitori delle cellule farà capire alle donne che si tratta di una cosa seria. Antonio non ha fatto commenti, limitandosi a chiudere il casco con uno scatto secco. E così i tre si avviano per il corridoio, respirando rumorosamente nelle tute.

Allora, andiamo e lasciamo le nostre cellule, gli schemi genetici e le registrazioni di addestramento. Le hai, Steve?

Sì, stai tranquillo. – batte una mano guantata sulla grossa bisaccia che porta a tracolla. Sono al sicuro, cinquantuno fottuti dischi. Pesano come il piombo.

Sei sempre il solito scansafatiche. Allora i contenitori delle cellule che porteremo noi?

Non peseranno niente, la sezione delle cellule staminali è a gravità zero.

Questo stronzo ha sempre la risposta pronta. Che ne dici, Antonio?

Che so poche parolacce in navajo, questa sarebbe l’occasione buona per dirle tutte.

Perché, qualcosa ti puzza?

A parte i piedi…

Vaffanculo, Steve, di tutto puoi parlare tranne che di piedi che puzzano, cazzo! Allora, Antonio, qualcosa non va?

Te lo dico fra sei ore quando saremo di ritorno. Sai che ti dico? Ne ho le palle piene, di tornare e farmi ammazzare come un coniglio da quello stronzo.

È inevitabile, capisci? Se si accorge che abbiamo portato via le cellule, fa finta di niente e prende di mira le donne alla prossima occasione propizia. Lui o il suo doppio, fa lo stesso, basta che ci riesca prima che inizi la colonizzazione. Dobbiamo tornare e rappresentare la nostra parte. Il tuo doppio saprà quello che hai fatto, glielo hai detto, no?

Sì, gliel’ho detto. Spero che capisca.

Capirà, non temere. E niente di te andrà perduto.

Non sarà la stessa cosa che trasmettergli la mia esperienza personalmente.

Sarà meglio di niente. Fidati. E poi chissà, riusciremo a bloccare quello stronzo in tempo, allora potremo tornare alla procedura originaria. Forse avrai il tuo marmocchio da allevare.

Forse. Cazzo, quant’è lungo questo corridoio!

Tremiladuecento metri, non uno di più. Ti sembra molto perché sei appesantito dalla tuta. Però man mano che saliamo diventiamo più leggeri.

Già. A proposito, ragazzi, quando avete fatto sesso l’ultima volta?

Che razza di domande…

E dai, tu grosso indiano devi avere grosso pisello. A cosa pensi quando…

Stai zitto o ti sfondo il casco con un pugno!

Scusa… volevo solo fare conversazione, mi sento nervoso.

E sfido io, ne hai tutti i motivi. Però smettila di stuzzicare Antonio. Sfogati con me.

Con te non c’è sugo… Ci pensate, stiamo per vedere una donna vera dopo… trentatré anni. Chissà che impressione faremo, su di loro…

Credo che non ci troveranno molto valenti. Ti sei guardato ultimamente allo specchio?

Che c’entra, un uomo è sempre un uomo. Loro sì che saranno delle vecchie in menopausa da anni con la topa rinsecchita…Pazienza, mi starebbe bene anche una vecchia topa, piuttosto della vecchia mano rugosa.

Steve, fai schifo. La tua è un’idea fissa.

Già, fissa. – Steve tace e camminano ansimando per altri venti minuti. È sempre lui a parlare per primo. – Mi sento più leggero. Stiamo arrivando?

Quasi, un altro paio di giri. Fra poco dovremo attivare gli elettromagneti sugli stivali.

Ricevuto, capo.

Allora, siamo intesi. Cerchiamo di perdere meno tempo possibile, la nostra autonomia con le cellule staccate dal supporto è di un paio d’ore al massimo. Ce ne vorrà una buona per fare il tragitto.

Va bene. Quando arriviamo, chi parla?

Se non ci cacciano prima a calci, parlo io.

Non credi che tocchi al capitano?

No, Seb, lascia parlare lui. Ci tiene tanto, e poi ha una chiacchiera che convincerebbe anche il Grande spirito.

Bene. Io ho qualcosa da dire alla mia collega, andrò subito a cercare il medico di bordo.

Segreti professionali, eh?

Già, segreti professionali. – gli stivali non fanno più presa, la gravità è vicina allo zero. Azionano gli elettromagneti e cominciano ad arrancare faticosamente.

Cazzo, camminare così è molto peggio, sembra di essere invischiati nella carta moschicida!

Coraggio, non siamo qui per divertirci. Toglietevi il guanto destro. – Sebastian dà l’esempio imitato dagli altri. – Ora entriamo nel locale. – Uno dopo l’altro appoggiano la mano nuda sulla piastra di identificazione e digitano il proprio codice personale. Al terzo accesso una pesante porta blindata scorre nella paratia.

Buono questo sistema, non si può entrare se non si è in tre. E se uno di noi fosse il cattivo kamikaze e si facesse esplodere adesso?

Non combinerebbe niente, i contenitori sono corazzati e protetti dal mio codice d’accesso. Solo io posso aprirli, o in caso d’incidente chi succede a me.

Che fortuna. Così saranno sempre al sicuro.

Eh già. Tieni, Antonio – gli passa il grande contenitore, e si accorge che Antonio fatica a fermarlo.

Attento, Sebastian. Ricordati che il contenitore non ha peso, ma conserva l’inerzia. Non fare movimenti bruschi.

Grazie, Antonio. Me ne ricorderò. – afferra il grosso contenitore e lo estrae dall’alloggiamento, attento a non tirare troppo. I duecento chili di metallo lo sbilanciano ugualmente, per poco non perde l’equilibrio.

Te lo dicevo io. Ora trasportiamoli lentamente, il portello è a cento metri.

 
Flavia oggi suona Bach, facile in confronto ai romantici, però a lei piace di più. La gratifica la logica matematica delle composizioni che hanno l’equilibrio e la grazia di un progetto ben riuscito, anche nella scrittura. Sorride eseguendo perfettamente un passaggio che fino all’anno scorso la faceva inciampare. Le dita vanno al posto giusto senza bisogno di pensarci, e il limpido pianoforte disegna una cupola di note bella e perfetta e inevitabile come la volta di una costruzione fantastica. Si sente felice…

Brava. Hai fatto molti progressi.

Sì… – Flavia solleva le mani dalla tastiera e si stira. Le piace la mano bruna di Emily sulla sua spalla. – mi sembra ancora così strano.

Cosa, suonare le Variazioni come Glenn Gould?

Chi… era Glenn Gould? Non me ne hai parlato mai.

Non ti ho ancora insegnato tutto. Ci sono certe… cose che non hai visto o ascoltato. – inserisce nel computer un disco ottico e compare l’immagine in bianco e nero di un’antica sala d’incisione, con grossi microfoni e un pianoforte a coda senza coperchio. Flavia guarda avidamente, non ha mai visto niente di simile. Arriva un… essere con i capelli corti e ricci, il viso scavato e sofferente, il petto piatto peloso coperto in parte da una camicia bianca con le maniche rimboccate che esce un po’ dai pantaloni. Si avvicina con passo dinoccolato, si siede al pianoforte e attacca le Variazioni. La qualità della registrazione è cattiva, piena di fruscii, ma Flavia si accorge che è la versione migliore che conosce, la più dolce precisa appassionata rigorosa, e poi scopre che l’artista mentre suona canta a voce spiegata senza accorgersene. La sua voce ha un timbro basso e dolce, canta solo per sé, suona solo per sé.

È… fantastica. È lei Glenn Gould? Quant’è brutta e pelosa…

Non è una lei, è un uomo.

Come, uno di quei… mostri con cui abbiamo fatto la guerra?

Sì, uno di loro. Devo dirti una cosa: gli uomini non erano mostri. Flavia ed Emily prima di lei, e tutte le altre hanno conservato questo disco. Lo avevamo alla partenza, è un documento storico vecchio più di mille anni. Le nuove direttive hanno imposto di cancellare ogni loro traccia, ma…

Le nuove direttive? Non mi avevi parlato nemmeno di questo.

C’è stata dopo la guerra. Ci aspettava un periodo molto duro e molto lungo, dovevamo contare solo sulle nostre forze perché loro… erano tutti morti.

Chi, loro?

Loro, gli uomini! Però Emily non ha voluto dimenticarli, lo sai che anche Bach, Mozart, Scarlatti e Chopin erano uomini?

No… non me l’avevi mai detto.

Non volevo che ne parlassi con le altre. I primi tempi le misure di sicurezza erano rigide, Miko, quella di allora, teneva il fucile carico e molte di noi sono state punite per aver contravvenuto alle direttive. Però alla fine, al momento del primo impianto dopo la guerra, anche le più ribelli erano state domate. Domate è la parola giusta, c’era una camera blindata completamente buia, e l’Emily di allora c’è rimasta per sei giorni interi, prima di convincersi che doveva ubbidire. Hanno giurato tutte, però io so che un piccolo gruppo non ha rispettato il giuramento. Emily era fra queste, anche se non sapeva com’era stata la guerra. Lei non c’era…

Cosa vuol dire che non c’era…

La guerra è durata pochissimo, poche ore.

Com’è possibile… mi sembra una cosa assurda. Io invece penso che con il tempo le informazioni si sono confuse.

No, te lo assicuro. Tutte le altre informazioni non sono confuse, il nostro sistema di trasmissione della conoscenza funziona benissimo. La guerra di cui tutte parlano sottovoce è durata pochissimo, e molte di noi non erano presenti. Poi sono arrivate le direttive.

Che altro sai degli… uomini?

Sono i maschi della nostra specie. Sono… indispensabili per la varietà genetica. La clonazione con le cellule staminali che noi utilizziamo da settecento anni è una soluzione temporanea, sarebbe dovuta servire solo durante il viaggio. La clonazione esclude la variabilità. Io queste cose le ho studiate, un po’ per curiosità, un po’ perché ci vuole molta matematica per capirle bene, e a noi la matematica piace.

Che vuol dire variabilità? A che serve?

Serve ad adattarsi all’ambiente. Vale per tutti gli esseri viventi. Pensa ad una pianta, che mentre si riproduce cambia un po’ le sue caratteristiche, e produce tanti semi tutti diversi. Le piante figlie saranno più o meno capaci di sopravvivere, e saranno favorite quelle che meglio si adattano all’ambiente. Faranno altri semi e piante figlie, le altre saranno più deboli e moriranno.

È… complicato.

Già, e lo sto esprimendo con le parole più semplici che posso. Vedrai quando lo studierai più seriamente, l’idea di farlo ti verrà fra una... decina d’anni.

Ma… che c’entrano gli uomini con le piante?

Quando si riproducono, uomini e donne mischiano i loro geni, producendo combinazioni che non c’erano nei genitori. Perché tutte noi siamo state scelte? Perché eravamo il massimo della mescolanza, figlie di unioni interrazziali. È una garanzia in più per sopravvivere in un nuovo ambiente.

Ancora non capisco.

Pensaci. Le nostre linee possono vivere all’infinito, ma non ci sarà mai varietà. Saremo sempre uguali. Ci ammaleremo sempre delle stesse malattie, dopo lo stesso numero di anni, che dico, di giorni. Penseremo sempre nello stesso modo. Saremo poche. Capisci perché servivano gli uomini?

Un… po’. Mi sembra tutto confuso e difficile.

Stai tranquilla. Avrai tempo per pensarci, ma purtroppo non serve a niente, gli uomini non ci sono più. E anche la nostra specie è destinata ad estinguersi.

Hai detto che vivremo per sempre.

Sì, migliaia di cicli, ma alla fine, che succederà quando le cellule staminali finiranno? O se si perderà una linea? E poi un’altra? Capisci, sarà un declino lento, durerà molto tempo, ma alla fine io vedo il niente. Non ci credo più nelle favole. Però ho un compito, devo raccontartene una, esattamente come ha fatto Flavia con me.

Allora racconta.

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A causa di un errore materiale non era stato inserito il cap. 5. Mi scuso con chi è arrivato fino a questo punto e probabilmente è rimasto deluso dalla discontinuità del testo. Buona lettura!
 
  
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