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Autore: Vitani    20/04/2008    2 recensioni
Questa è una storia d'amore, di odio, di una carriera musicale ed artistica, di una maturazione, di come gli incontri detti "del destino" possono cambiare la vita. È la storia di due ragazzi in particolare: Mana, un chitarrista, e Gackt, un cantante. Entrambi passionali, entrambi sognatori.
"Simile ad una fiaba è questa storia, dove una dama e un cavalier rincorrono l’amore con solerzia, pronti in nome di esso a dare tutto. Si leggeranno lacrime, amore, risate e fremiti di gelosia, d’angoscia e di paura. Saranno tormentosi i nostri canti, piene di gioia le risate, e se malinconia occuperà il cuore, ci basterà cantare una canzone."
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Gackt, Mana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Mad Tea Party -

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INTERMEZZO

 

 

 

 

Io so che lorsignori son tediati ormai da un sì lungo favellar. Vedo invero il pubblico alzarsi e chiacchierar, io spero attorno all’opera, ma poiché l’ora s’appressa in cui l’atto cambierà, io voglio offrirvi, com’è bene che sia, un intermezzo degno d’ogni lode.

Giunta a un quarto è la commedia, s’entrerà presto nel vivo, ma prima che all’intrigo, or cederò l’armi alla risata.

Ecco a voi, con reverenza, il mio racconto.

 

 

 

 

 

 

 

BIANCANEVE E I SETTE… NANI

 

***

 

 

 

 

 

 

DRAMATIS PERSONAE

 

 

* Biancaneve – Mana (Satou Manabu)

* La Matrigna (Okabe Satoru)

* I Sette Nani (guest star: Seth from Moi Dix Mois)

* Il Principe (Satou Manabu)

* Lo Specchio – Oscar (Kamijo Yuuji)

 

…e tutti gli altri.

 

 

 

 

 

 

 

 

La nostra storia inizia col cadere dell’inverno, venendo giù dal cielo con la neve e soffice come il cotone in pieno boccio.

C’era una volta una splendida regina che in silenzio cuciva e cuciva seduta accanto alla finestra del castello. Proprio mentre osservava il volteggiare dei candidi fiocchi di neve, un ago la punse e tre gocce di sangue caddero a terra, spiccando nella neve come boccioli di rose rosse.

« Oh, come sarebbe bello avere una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come il legno d’ebano della finestra! »

Poco tempo dopo diede alla luce una figliola (?) bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l’ebano, e la chiamò Mana. Aveva pensato a Biancaneve, ma era leggermente troppo lungo. Alla bambina (?) comunque quel nome non piaceva, e come ringraziamento lanciò alla sua mamma una maledizione dall’effetto istantaneo che ne provocò la morte a nemmeno un giorno dal parto.

Passò un anno e il re si risposò, con una moglie estremamente bella – pur se un po’ mascolina in verità e con le labbra esageratamente grosse – e col brutto vizio di guardarsi sempre e ad ogni ora del giorno nel suo specchio incantato. E c’era un motivo, se non poteva farne a meno!

Per dir le cose come stavano, il nome dello specchio era Oscar: al suo interno girovagava infatti un bel ragazzo (?) dai principeschi boccoli biondi e l’aria da attore consumato. E la regina novella, diciamoci la verità, rimirava lui più che se stessa.

Ogni scusa era buona per importunare la splendida entità che dimorava nello specchio, perfino quando la domanda da fargli era ogni singolo giorno la medesima.

« Specchietto, specchietto, favella: del regno chi è la più bella? »

E allora il baldo giovine alzava lo sguardo, magari sollevando al tempo stesso un bel bicchiere di vino rosso, e la osservava senza cogliere il luccichio malevolo degli occhi color nocciola della un po’ troppo mascolina donna – così come lei non coglieva la rassegnazione dell’unico occhio azzurro che vedeva. Perché Oscar voleva mostrare il suo bellissimo profilo mentre si ravviava i lunghissimi boccoli biondi, e mentre lo faceva prese fiato e sputò la solita invariabile risposta che soddisfaceva sempre quella mucca di donna.

« Nel regno, maestà, tu sei quella. »

Non che ci credesse realmente, e lo dimostrava l’accuratezza con cui stava spennando un povero giglio che il suo specchio rifletteva poco lontano. Oscar aveva ben altro a cui pensare che soddisfare la vanità di una regina che da vantarsi aveva proprio poco. In verità era palesemente attento a che i suoi boccoli non si rovinassero… il freddo dell’inverno gli provocava le doppie punte.

La regina… comunque era felice, perché sapeva che il suo splendido baldo ed oltremodo affezionato (?) Specchio Oscar diceva la verità.

Tuttavia, un tarlo rodeva la sua mente da vecchia carriola rischiando di far precipitare i topini che faticosamente la tiravano giù lungo un baratro oscuro.

Passava il tempo, e la giovane Biancanev… pardon, la giovane principessa Mana cresceva sempre più e diveniva incommensurabilmente bella, come e più del più bel fiore del regno. A sette anni il suo splendore ricordava quello della gelida luna, e i suoi capelli d’ebano rilucevano del guizzo dell’argento.

Non le restava quindi che l’ultima risorsa: interpellare di nuovo il caro Oscar.

« Specchietto? »

Nessuna risposta, solo un ricciolo biondo che veniva ravviato coscienziosamente dall’altra parte dello specchio.

« Specchietto? »

La voce alquanto profonda e vagamente in falsetto della regina venne bellamente ignorata da parte del grazioso giovinetto che dimorava dall’altra parte del vetro, il quale pareva tutto affaccendato a scrutare nessuno sapeva cosa oltre il riflesso di una finestra della torre.

« Oscar? »

Buttò su un occhietto azzurro lui, mentre con indolenza sollevava la testa e schioccava le labbra.

« Sì? »

« Ho bisogno che tu mi dica una cosa, mio servo. »

Nel silenzio di quelle parole rumoreggiò un crack simile a un tuono. S’era crepato un angolo dello specchio. Quanto, quanto profondamente avrebbe desiderato Oscar poterle dire quel che realmente pensava di lei!

« In confronto alla cara e leggiadra principessa Mana, maestà, mi dispiace rendervi noto che siete una racchia. Scorfano. Balena. »

E si mise a fischiettare, volteggiando per la stanza e canticchiando con leggiadria “Non più andrai farfallone amoroso, notte e giorno d’intorno girando…”. Almeno finché non gli cedettero le gambe e non precipitò a terra, sconvolto da un tremore forzato che sembrava quello di un terremoto. Allora gli occhi li alzò tutti e due e si trovò davanti una regina in atteggiamento da wrestler professionista che stringeva due pugni grossi come meloni ed emetteva un fumo verdastro dalle orecchie. Gli cascò un ricciolo sugli occhi.

Col passare dei giorni e delle notti gli vennero pure le occhiaie, perché quella non ne voleva proprio sapere di dormire e passava ogni sacrosanta ora di ogni sacrosanta giornata a cicaleggiare su e giù di qua e di là con passo marziale per una stanza che a momenti avrebbe avuto il solco dei suoi piedi sulla pietra del pavimento. E non lo faceva dormire! No no, doveva parlare! Come uccidere quella, come uccidere quell’altra, come far fuori quel capolavoro di squisita bellezza che era la sua figliastra! Ci aveva perso la ragione, e Oscar poteva solo pensar con rammarico alla sua quiete perduta.

Finché una notte non le venne un’idea, ululò un “CI SONO!” e crollò addormentata come una pera cotta.

L’indomani mattina Oscar poté privilegiatamente assistere a un’interessante conversazione che ebbe luogo proprio nelle stanze della regina. Aveva chiamato un cacciatore lercio e zozzo che faceva ribrezzo al suo gusto raffinato, ma si limitò a sistemarsi i guanti bianchi e ad aguzzare ogni tanto l’orecchio.

« Ascolta, cacciatore. Devo affidarti un incarico. Io quella bambina non la voglio vedere mai più, deve sparire, sparire, sparire, eclissarsi, autodistruggersi. Tu devi ammazzarla e portarmi qui il fegato e i polmoni come prova della sua morte. »

Oscar arricciò un labbro. Qual crudele e febbrile disgusto per il suo animo candido! Quella donnaccia era una strega, a voler privare il mondo di cotanta beatitudine per l’occhio!

Il cacciatore obbedì e condusse la bimba (?) – vestita con un adorabile abitino bianco tutto pizzetti merletti e nastrini – lontano lontano, nel bosco.

Ma quando estrasse un coltellaccio poco affilato per farla fuori, la bimbetta (?) dai capelli neri iniziò a piangere e strillare: « Non mi uccida, la prego caro cacciatore non mi uccida! Fuggirò via nella foresta e non mi farò vedere mai più, ma per favore mi lasci andare! »

Era troppo bella, e quelle lacrime di puro dolore avrebbero impietosito un sasso.

« Vai pure, povera piccina… »

Lei non se lo fece ripetere e schizzò via come un razzo sgambettando su di un paio di zeppe mignon e tirandosi su le sottane con rapidità consumata. Corse corse e corse mandando a quel paese il cacciatore che intanto le stava sicuramente augurando la morte per mano di qualche schifosa bestiaccia feroce.

Proprio il cacciatore intanto stava tranquillamente sgozzando un cinghialetto che passava di lì per caso, e di cui portò polmoni e fegato alla cara regina che se ne stava contenta e fregata a sorseggiare un tè verde alla menta, ben certa che il suo piano malefico non avrebbe avuto interruzioni.

Certamente, polmoni e fegato di cinghiale le sarebbero stati più salutari che non un boccone di carne umana…

Ora, la dolce principessa Mana girovagava tutta sola per il bosco spaventoso, guardandosi attorno con la circospezione di un giovane lupo e ringhiando sommessamente a ogni rumore sospetto che udiva… fosse stato anche solo quello prodotto dalle sue zeppe chilometriche sopra i rami secchi.

Le venne in mente una sola cosa da fare: correre.

Ma si sarebbe rovinata il vestito, oh che dilemma!

Già lo vedeva il tulle disintegrarsi fra le spine di rovi, fra le fauci di bestie affamate che desideravano solo nutrirsi della sua carne e portarle via tutto ciò che possedeva! Oh, come avrebbe fatto senza la sua bellezza? Come sarebbe vissuta? Non lo poteva immaginare.

Però infine guardò la luna e i suoi occhi neri scintillarono.

Era quasi un oltraggio alla sua innata pudicizia, ma c’era poco da fare.

Si tolse il gonnellino di tulle e se lo issò su una piccola spalla, mostrando un paio di mutandoni rigonfi con uno strano logo che finiva in Moitié stampato sulle chiappe in bella vista. Glieli aveva regalati la nonna di Cappuccetto Rosso.

Prese un respiro, poi due, poi tre.

Sbuffò.

E corse.

Si schiantò giù da un dirupo.

Rotolò lungo la china di una montagna.

Fece un girotondo in mezzo ai rovi.

…ma al momento di precipitare fra le mani di un nugolo di fans vogliosi e pronti a tutto, la cara Bianca… Mana attuò la sua tecnica segreta: afferrò la gonna di tulle e se la allargò sopra la testa, paracadutandosi sopra centinaia di mani affamate che non desideravano altro che spogliarlo di ogni brandello di stoffa che aveva indosso – specie i mutandoni della Nonna – e allungò una zampetta armata di zeppona, che atterrò con millimetrica precisione sopra ogni testa inchiodandone due al terreno a ogni passo. Sarebbero rinate sotto forma di zombie e ci avrebbe giocato ai videogiochi al grido di “ammazziamoli tuttiiii!”.

Superata la Palude Melma Umana, la tenera (?) principessa (?) rise allegramente e si spazzolò via il sudiciume dalla pelle candida come la neve.

E di nuovo schizzò via sulle gambette mentre una folata di vento le drizzava la gonna di tulle che si era rimessa, lasciando in bella mostra tutto quello che ci stava sotto.

Scostando le ultime frasche s’imbatté in una radura, e in mezzo alla radura stava una casetta.

Era così graziosa e piccina picciò che pareva la casetta di marzapane di Hansel e Gretel, ma nessuno l’aveva avvisata di aver sbagliato fiaba e così si convinse di essere in errore.

Aprì la porticina, che cigolò un poco, e si trovò in un antro buio.

Non c’erano luci?

Si domandò se ci fosse qualcuno, ma a giudicare dal silenzio pareva proprio di no.

Cercò a tastoni qualsiasi cosa potesse anche solo vagamente illuminarla sul posto in cui era finita, ma alla fine ci rinunciò.

Come mise piede all’interno, una strana musica salì dal niente e la avvolse. Una potente voce maschile cantava, e parve al suo orecchio raffinato di distinguere in mezzo ai cupi arabeschi gotici delle note una potente voce maschile cantare un ritornello che suonava tanto come “D – I – X – DIX”. Doveva essere finita a casa del capo di una setta satanica.

Come ipnotizzata la principessina ripeté quelle parole, e d’improvviso una luce rossa riempì l’intero ambiente.

Davanti a lei c’era un carrello della spesa. Piiiiccolo piccolo. Così piccolo che non ci arrivava neanche se si chinava. Provò a spostarlo con un piede e quello si mosse, schiantandosi contro una parete e facendo cadere da una mensola una pila di sette riviste raffiguranti in copertina sette maschioni molto nude look.

La povera piccola arrossì pudicamente.

Il crollo delle riviste provocò in ogni caso anche il crollo di quel che stava sopra, ovvero di una strana catasta di aggeggi che aveva visto prima soltanto nella stanza delle torture del castello: frustini, catene e qualcosa che somigliava vagamente a un cappuccio da boia.

Decise che forse era meglio cambiare stanza.

Oh, qui c’era una cucina, una piccola deliziosa cucina che apparentemente non aveva nulla di anormale, con una piccola tavola rettangolare apparecchiata per sette.

Lei aveva tanta fame e tanta sete, così piluccò un po’ d’acqua e di cibo da ogni piattino e bicchierino.

C’erano delle verdure, le più buone e saporite verdure che avesse mai assaporato in vita sua.

Fu quasi convinta che fossero ravanelli. Ma non le erano mai piaciuti i ravanelli.

Dopo essersi rifocillata e risistemata le sottane, la principessa s’appressò ad un’altra camera.

Aprendola si trovò ancora davanti una luce tenue ma molto rossa e quello che pareva essere una sorta di immenso lettone matrimoniale a dodici piazze più baldacchino coperto da una strana e lugubre coperta nera con pizzi e merletti.

Era incredibilmente moscio a salirci su.

Bianc… Mana si trovò a sprofondar giù di un mezzo metro, ma la cosa la divertì tanto che cominciò a ridere e saltellare come una bambina quale in effetti era finché non si addormentò, candida candida come il giorno in cui era venuta al mondo.

Le parve giusto di sentire uno squittio e un sibilo prima che nella sua mente entrasse il buio.

Qualche ora dopo, e il sole era già calato da un bel po’, tornarono i padroni di casa.

Erano i sette nani, che scavavano i minerali dai monti. O no?

In verità erano sette persone tutte uguali coi capelli rossi e neri sparati verso l’alto e qualche treccina rosso acceso che sbucava giù lungo i fianchi. Erano anche belli, bassi ma dalle splendide proporzioni e con un viso angelico dagli occhi azzurri e uno bendato.

E coltivavano verdure in un orticello vicino alla casetta.

Entrarono in casa con passo marziale da pantere, belli come il sole, e i sardonici e sensualissimi ghignetti parevano proclamare al mondo “Siamo i Sette Seth”.

Accendendo le luci – rosse – s’accorsero però che qualcosa non andava.

C’erano delle cose che decisamente non erano come le avevano lasciate.

Le riviste per esempio… e tutti i gioiellini che erano imbarcati lì sopra. Qualcuno aveva necessariamente spostato il tutto… ma chi?

« Non io. »

« Non io. »

« Non io. »

« Non io. »

« Non io. »

« Non io », ripeterono sei dei Seth.

Il settimo Seth comunque pensò bene di intrufolarsi a controllare in camera da letto, e come sospettava ci trovò addormentata sopra la bella principessa Mana, sprofondata amorevolmente nel materasso.

Subito chiamò gli altri, che accorsero zampettando sopra zeppe chilometriche e in più che mai allegri completini neri in pvc.

« Che bella bambina! »

Erano tutti e sette così felici che nessuno fece obiezioni a lasciare il lettone a lei, pure se avevano solo quello. Semplicemente si ritirarono tutti e sette in un angolo, con l’ultimo Seth che dormì un’ora a turno sopra agli altri nani.

Al mattino, Mana si svegliò. Il suo viso venne inondato dai raggi del sole nascente, e con fatica aprì tutti e due gli occhi neri e si sollevò a sedere riuscendo a far sporgere la testa oltre il materasso e oltre i multipli strati di tulle del suo vestitino bianco.

Non scorse niente di strano a prima vista, ma d’improvviso udì un rumore, come di qualcosa che strisciava contro uno dei suoi piedini dalle calzette di pizzo candido.

Abbassando lo sguardo, si dipinse sul suo volto amabile una smorfia una smorfia d’orrore che avrebbe rivaleggiato con quella del quadro d’un ben noto pittore a nome Munch.

C’era infatti accanto a lei sul letto un enorme pitone albino che a giudicare dalla pancia aveva pure appena mangiato e pareva ben disposto ad addormentarsi sulle sue gambe come un cucciolotto coccoloso.

Ecco dunque cos’era stato il sibilo che aveva sentito prima di addormentarsi, non se l’era sognato!

Pur di non guardare girò la testa, e con suo enorme stupore si trovò davanti a un ammasso di carne e pvc che sembrava umano solo vagamente.

Non ebbe tempo di domandarsi cosa diavolo fosse quella schiera di gambette e mani che vedeva.

Strillò.

Forte.

Un acuto che finì per tramutarsi in uno strano ruggito da death voice, che fece tremare i vetri, svegliare il pitone, squittire i molti topi che popolavano la casettina, crollare uno sopra l’altro tutti e sette i Seth – che si svegliarono dopo aver rischiato di finire strozzati dai loro stessi capelli.

Sette occhi azzurri si allargarono – perché uno era bendato –, sette bocche si spalancarono e sette teste si inclinarono.

« E tu chi sei? »

Sette voci lo domandarono all’unisono.

« Mi… mi chiamo Mana. »

« E che ci fai qui? »

Ella raccontò che la sua matrigna voleva farla uccidere, ma il cacciatore le aveva lasciato salva la vita e poi aveva corso tutto il giorno finché aveva trovato la casina.

« E voi chi siete? » chiese infine.

« Siamo i Sette Seth. »

Stessi occhi, stessa voce, stessi vestiti, uno accanto all’altro come dei soldatini.

« Sette gemelli? »

« No, sette cloni. »

Ignorarono la sua faccia stupidamente stupita giudicandola potentemente sciocca.

« Comunque se vuoi curare la casa, cucinare, lavare e dar da mangiare a Rossa, puoi rimanere qui e non ti mancherà nulla. »

« Chi è Rossa? »

Sette cenni del capo indicarono il grosso pitone ancora appollaiato nei paraggi.

« E cosa mangia? »

« I sorci che trovi in cantina. »

La questione non allettava particolarmente la povera principessa, che diciamocelo non amava particolarmente i sorci, ma se doveva scegliere tra l’essere ammazzata e l’ammazzare un topo preferiva la seconda opzione di buon grado.

« Vi ringrazio… resto qui. »

Cominciò quindi la sua nuova vita da casalinga acchiappatopi, ogni tanto le toccava pure spazzare il pavimento con Rossa attorcigliata addosso in modalità pseudo-strangolamento e alla fine le faceva pure male la schiena, e fu più di una volta costretta a sorvolare sugli strani aggeggi che dissotterrava da sotto i tappeti e che i nani sembravano gradire particolarmente.

Loro se ne andavano a coltivare le loro verdure e la lasciavano tutto il giorno da sola.

La mattina, prima di partire, le ricordavano di non lasciar entrare nessuno e di stare attenta alla matrigna che sicuramente non ci avrebbe messo molto a scoprire dove stava nascosta.

Proprio la cara vecchia e mascolina matrigna era comunque bella e affaccendata a spazzolarsi i capelli castani, più che soddisfatta dopo aver mangiato quelli che credeva essere gli organi della sua mai troppo amata splendida figliastra Mana.

Era di nuovo lei la più meravigliosa bellezza del regno, e solo questo contava.

Non era più nemmeno il caso di interpellare Oscar, o forse…

« Oscaruccioooo? Avanti, parla: chi è la più bella del regno? »

“Oscaruccio” avrebbe tanto desiderato il pensionamento. Per la verità, pure se non avesse saputo che la principessa Mana, luce dei suoi candidi occhioni azzurri, era ancora viva… be’ avrebbe detto a quella specie di travestito che era viva solo per farle dispetto. Purtroppo però la maledizione che vincolava il caro Oscar allo specchio lo obbligava pure a dire solo la verità…

« Regina, sei tu qui la più bella. Ma al di là dei sette monti, nella casa dei Sette Seth, Mana lo è più di te. »

La regina inorridì.

Sapeva che lo specchio non mentiva mai, così capì che il cacciatore l’aveva ingannata e che la principessa era ancora viva. E allora pensò di nuovo a come fare per ucciderla, perché dire che stava crepando d’invidia era un puro eufemismo.

Pensa e ripensa, con grande orrore di Oscar che temette di perderci la vista, gli venne in mente di travestirsi da vecchia commerciante. Si truccò, almeno in quello era brava, si coprì di stracci e prese alcuni tra i suoi abiti più pregiati e le stoffe più preziose, e si mise di buona lena in cammino.

Superò faticosamente i sette monti e giunse nei pressi della casetta dei sette nani.

La osservò, senza notare nulla di strano all’esterno, ma sulle sue labbra fin troppo carnose si dipinse un ghigno malefico. La fanciullina non avrebbe resistito alla sua merce…

Bussò alla porta tirandoci un pugno fin troppo forte che a momenti la buttò giù, ma non si tratteneva, non si tratteneva!

« Roba bella! Chi compra? Chi compra! »

La principessa Mana s’affacciò dalla finestra: « Che cos’avete da vendere? »

« Tanti begli abiti e accessori! Roba bella! »

Tirò fuori un bel bustino nero e damascato, palesemente di fattura pregiatissima. Alla giovane principessa s’illuminarono gli occhi, neri come l’ebano, e un sorriso percorse le sue labbra rosse. Pensò che quella vecchia poteva pure farla entrare, alla fine ci avrebbe messo poco a stenderla tirandole una scarpona zeppata in testa…

Aprì la porta e comprò il bel bustino che la commerciante le aveva mostrato.

« Bambina, vieni qui che ti aiuto ad allacciarlo! »

Lei, brava povera piccola ingenua, ci cascò.

Si mise davanti alla corpulenta vecchia mercante, lasciando che cominciasse a stringere i lacci.

« Ahahahahah! »

La vecchia tirò.

Strinse quel laccio con tutta la dannata forza che le sue braccia possedevano, ridendo come una bastarda e con gli occhi iniettati di sangue.

Biancan… Mana sbiancò, roteò gli occhi, crollò a terra.

Morta?

« Ormai non sei più la più bella, voglio vedere i vermi divorarti! Ahahahahah! »

Quando si fece sera, i Sette Seth ritornarono camminando come al solito baldanzosi sulle chilometriche zeppe. Nel trovare la porta aperta corsero all’interno temendo di essere stati derubati, poi agghiacciarono nel vedere la loro cara principessa lì svenuta.

La sollevarono, poi videro il bustino, e allora lo tagliarono e lei parve riprendere a respirare leggermente, e le sue guance si colorirono un poco.

I sette cloni si fecero raccontare l’accaduto, poi le dissero: « La vecchia non era altri che la regina. Stai in guardia e se non ci siamo anche noi non fare entrare nessuno. »

La piccola principessa fece segno di avere capito.

La regina, comunque, dopo essere tornata al suo castello non perse tempo e andò ad interrogare il caro Oscaruccio, certa di ottenere stavolta la risposta che desiderava.

« Specchietto, specchietto, favella! Del regno chi è la più bella? »

Il caro Oscaruccio emise un sospiro rassegnato e smise di ripassarsi il rossetto quel tanto che bastava per sillabare attentamente la solita minestrina riscaldata: « Regina, qui la più bella sei tu, ma al di là dei sette monti, nella casa dei sette nani, Mana lo è molto di più. »

Nell’udir quelle parole non riuscì a trattenere un singhiozzo, s’accasciò malamente su una sedia e lì rimase, paralizzata dal terrore che quella bambina fosse immortale. Ma no, non poteva esserlo. Evidentemente i Sette Seth erano arrivati in tempo per salvarla. Ah, ma l’avrebbe rovinata! Eccome se l’avrebbe rovinata!

Non ci mise molto a ricordare un piccolo particolare… la principessa era in una casa di uomini, e certamente avrebbe desiderato un bell’oggettino femminile, qualcosa di grazioso con cui pettinare le sue lunghe e belle chiome nere…

Prese quindi un bel pettinino d’argento, uno dei suoi, e stette una notte intera a preparare una venefica miscela in cui lo lasciò due giorni ad intingere.

Infine grazie al suo camaleontico trasformismo riuscì a prendere le sembianze di un’altra vecchia commerciante. Nessuno sarebbe stato tanto ingenuo da cascarci due volte. Nessuno tranne la sua amatissima adoratissima veneratissima figliastra.

E così, la scena si ripeté: la regina travestita superò i sette monti e innumerevoli colline e raggiunse la casetta dei Sette Seth.

« Roba bella! Roba bella! » gridò davanti alla porta.

Be’, non aveva mai brillato in originalità.

La principessa s’affacciò sentendo quelle urla che avevano del forsennato: « Mi dispiace, non posso far entrare nessuno! »

« Ma puoi guardare! »

La vecchia strega tirò su il pettinino d’argento avvelenato, che scintillò nel sole.

Un gingillino talmente incantevole che gli occhi neri di Mana s’illuminarono appena lo videro.

« Aspettate, vi apro! Quello voglio comperarlo! »

E molto stupidamente lasciò entrare la matrigna.

« Ora voglio acconciarti per bene i capelli. »

Altrettanto stupidamente la lasciò fare. La travestita… le prese una ciocca di capelli fra le mani, crepando nel mentre d’invidia perché quelle chiome avrebbe voluto averle lei, la sistemò e la fissò sulla testa della giovane col pettinino. Al che, il veleno agì immediatamente. La povera fanciulla boccheggiò e cadde giù come un sacco nel suo abitino bianco, priva di sensi.

« Uahahahahahahahahah! »

La risata maligna e infinita della regina avrebbe svegliato un orso in letargo provocando una valanga.

« Meravigliosa quanto candida fanciullina, per te è finita! »

E se ne andò, dalla gioia camminando sulle punte come una ballerina in tutù.

Per fortuna della candida fanciullina e per sfortuna della regina travestita, era sera e i Sette Seth sarebbero tornati di lì a poco.

Arrivarono infatti dopo un po’, e se la videro ancora distesa a terra come morta. Poiché erano sette e non erano scemi, compresero subito che c’era dietro lo zampino della malvagia matrigna.

Dopo aver cercato in tutti i posti noti ed ignoti, dopo aver appurato che la principessa Mana era in realtà un principesso, dopo aver pensato a come sfruttare quell’inattesa scoperta, dopo aver deciso che il problema non era nei suoi attributi mancanti o presenti, s’accorsero finalmente del pettinino avvelenato. Lo tolsero, e subito il principesso incriminato riprese colore.

Quando fu rinvenuto/a, lasciarono che narrasse loro l’accaduto e l’ammonirono di nuovo a non lasciar entrare nessuno per nessuna ragione. Pensarono pure che l’unica fosse mettere quella creatura in catene ad una sedia, almeno non avrebbe fatto danni… ma scartarono l’idea nell’osservare il visetto angelico della creaturina in questione. Non era un uccellino da tenere in gabbia quello…

E al solito, per la terza volta la scenetta si ripeté.

La regina tornò al castello e la prima cosa che fece, prima ancora di togliersi le scarpe, fu mettersi davanti al povero Oscar e fargli la solita, trita e ritrita domanda.

« Oscar, avanti dimmi: chi è la più bella del regno? »

Solo che al posto di Oscar stavolta c’era un mangianastri, perché il boccoluto impostore se n’era andato in vacanza in chissà che angolo del mondo che veniva riflesso nello specchio, e aveva lasciato solo un biglietto con scritto che chiedeva la liquidazione.

« La più bella qui sei tu, ma alla casa dei Sette Seth Mana lo è molto di più. »

Un brivido percorse l’ampia schiena della regina, che tremò ancora per la collera.

« Oscar! Dove te ne sei andato? »

Ma Oscar proprio non c’era più. Ebbene, come al solito se la sarebbe cavata da sola.

In silenzio, badando bene di non esser vista da nessuno, scese giù per una scala a chiocciola fino a un sotterraneo conosciuto soltanto da lei.

« Quella ragazza deve morire, dovessi rimetterci la vita pure io! »

In quel sotterraneo teneva tutti i suoi libri di stregoneria e tutta la sua immensa collezione di veleni. Ne prese uno particolarmente potente e ne versò poche gocce in una mela che aveva portato con sé. Subito, la metà avvelenata divenne di un bel rosso rubino che avrebbe confuso anche gli occhi di un corvo. E per finire… un travestimento che l’avrebbe resa veramente irriconoscibile!

« Ahahahahahah! »

Prese un libro da uno scaffale, scorse le pagine e preparò un intruglio che trangugiò tutto di un fiato.

Il suo corpo venne avvolto da una luce dorata.

Quando infine ne uscì, dopo minuti di inenarrabili e sguaiate risate, aveva l’aspetto del fortunatamente assente specchio Oscar che se l’avesse vista si sarebbe frantumato in direttissima.

Felicissima, volteggiò un paio di volte piroettando in quel nuovo corpo e indossò un cappotto nero con lamine d’oro puro, muovendo la testa appositamente per far ondeggiare i serpeggianti boccoli biondi.

E così andò, fluttuando pure lei su un paio di zeppe alte un chilometro, con indosso un cappellaccio che aveva dissotterrato da un armadio.

Quando arrivò alla casa dei sette nani la trovò esattamente come l’aveva lasciata l’ultima volta.

Bussò, Mana s’affacciò alla finestra e quando “lo” vide arrossì.

« Non posso lasciare entrare nessuno, i Sette Seth me l’hanno proibito! »

« Ma dolce damigella, sono solo un ignaro viandante! »

Un ignaro viandante vestito in quel modo?

« Avrei da domandarvi un’indicazione. »

La matrigna sputò la prima idiozia che le venne in mente, cercando quanto più possibile di mantenere un’espressione serena, compassata e solo un poco vagamente snob.

Le chiese in che direzione stava il castello, e dopo aver appurato che doveva tornare nella direzione da cui era venuta, finalmente si presentò la sua occasione.

Tirò fuori la bella mela e la mostrò alla principessa con gli occhi azzurri che luccicavano d’emozione.

« Per ringraziarti della tua gentilezza voglio offrirti questa mela. »

Caso volle che la principessa Mana fosse una gran golosa di mele, cosa che ovviamente la regina sapeva benissimo.

Per cui non si sorprese quando le iridi nere della fanciullina s’allargarono con curiosità.

« Mi… mi dispiace, non posso accettare nulla. »

Ah, ma la voce della piccolina aveva tremato!

« Oh, suvvia! Non è avvelenata! Guarda, ne mangio io metà! »

Sbrigativamente tagliò la mela in due e inghiottì un morso dalla metà bianca, porgendo intanto alla principessa quella color rubino.

A quel punto, Mana non aveva decisamente più motivi per rifiutare l’invito di quel baldo giovane.

Prese la metà rossa e diede un morso.

E morì.

« Ahahahahahah! »

Echeggiò ancora una volta la spumeggiante risata della donna travestita, che posò gli occhi di Oscar sul cadavere con gaudio supremo.

« Bianca come la neve, nera come l’ebano e rossa come il sangue! Non ti salverà più nessuno ormai! »

Prima che l’incantesimo scadesse tornò al castello, dove riprese le sue nerborute sembianze originarie e se ne andò davanti allo specchio.

Dove Oscar era tornato e aveva la bocca spalancata e gli occhi larghi e la fissava come un idiota pietrificato.

« Oscar, Oscar, caro Oscar… dimmi, chi è la più bella del regno? »

Il pietrificato provò a muovere la bocca.

Ci provò con tutte le forze che aveva.

Ma l’unico rantolo schifato che riuscì ad emettere fu un “tuuuu…” con lo stesso vigore di un telefono che squilla a vuoto.

E finalmente, l’invidia che aveva bruciato il cuore della regina trovò pace e fine.

Questo perché lo specchio Oscar, con scatto felino ed abile mossa, le aveva indicato di girarsi e s’era staccato dal muro di scatto cascandole addosso ed accoppandola come sacrosantamente meritava.

Intanto i Sette Seth erano ritornati alla loro dimora, e avevano trovato ancora l’incantevole creatura priva di conoscenza. Avrebbero dovuto esserci abituati, ma stavolta pareva più morta del solito.

La palparono da cima a fondo ma non trovarono niente che non andasse.

Cavolo, era morta davvero.

Brevemente si domandarono a vicenda come fare a seppellirla, poi ad uno ad uno venne a tutti e sette l’illuminazione.

Entrarono in casa e ne uscirono con un’enorme bara nera foderata di velluto rosso utilizzata precedentemente per dio solo sa cosa, le diedero una spolverata e ci misero dentro la povera sventurata principessa.

Ci scrissero sopra, a chiare lettere, il nome MANA e lasciarono la bara in una radura, rimanendo giorno e notte a vegliarla insieme agli animaletti del bosco, a qualche scimmia di mare e al pitone Rossa.

Caso volle che molto tempo dopo passò di lì un principe.

Un ragazzo non troppo mascolino, anzi bello più di una donna, con gli occhi azzurri e i capelli neri e un po’ lunghi scartati sulle spalle, col portamento fiero e regale di un re, vestito completamente di nero, con una lunga giacca, un fiocco bianco annodato al collo ed eleganti guanti candidi.

« Sono il principe Mana », disse ai Seth « Come mai leggo il mio nome su quella bara nera? »

« Perché lì dentro giace la principessa Mana, crudelmente uccisa col veleno dalla sua matrigna. »

Impietosito dalla storia, l’aitante principe Mana scese da cavallo e scoperchiò la bara, desideroso di vedere in volto la sua omonima.

Meraviglia delle meraviglie, era identica a lui ed ancora bellissima!

« Ascoltate, cari nani! Vogliate donarmi questa bara, così che io possa onorare in eterno questa splendida dama! »

I Sette Seth si misero in fila uno accanto all’altro e lo guardarono con l’unico occhio visibile e ghignando.

« Perché dovremmo? »

Facevano un po’ paura, seducenti com’erano.

« Oh, ve ne prego! »

Allora ci pensarono, si chiusero in cerchio e tennero concilio. C’erano cose che quel principe poteva fare per loro… perché no, anche con loro magari…

Gli fecero segno di chinarsi e gli sussurrarono all’orecchio le loro condizioni.

Quello li guardò un’altra mezza volta e acconsentì, senza manco dar la parvenza di averci pensato. E chi ci avrebbe mai pensato?

Concluse le trattative, il principe Mana ordinò ai servi che erano con lui di prendere la bara in spalla.

Lui avrebbe pernottato alla casetta dei nani.

Mentre i servi trasportavano la bara, però, uno di loro inciampò su una radice.

Crollò a terra trascinandosi dietro pure l’altro.

La bara prese il volo.

Si scoperchiò.

E ne uscì Mana, pesantemente abbigliata con un completino di pvc nero che poteva appartenere solo ai Seth e che infatti le andava inguinale. Un paio di calze di pizzo nero e due stivalotti alti fin sopra al ginocchio completavano l’opera, mentre i lunghi capelli neri erano stati aggiustati in codine ai lati della testa, da cui partiva qualche miliardo di treccine.

La principessa, il principesso o quel che era si guardò intorno con sguardo glaciale, ancheggiando sensualissimamente mentre incedeva come una spogliarellista consumata.

« Certo che quella mela faceva proprio schifo! »

Fu il solo commento che fece.

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

Orsù, ved’io che lorsignori applaudono! Avete dunque gradito l’ingenua mia novella? Oh, vogliate perdonarmi s’io non sono un genio a raccontar certe romanze. E sì, certamente mi vedrete in volto un giorno!

Ma dopo il lieto intermezzo, è giunta dunque l’ora di tornar a raccontar dei nostri eroi, e di come il loro incontro mise in moto la ruota del destino.

Ordunque ci incontreremo ancora, al suon delle campane dell’inizio dell’atto secondo del Tè dei Matti.

 

 

V.

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A. Uh… che dire, questo è stato un capitolo di mezzo sclero e delirio, è il mio primo tentativo di scrivere una parodia o quel che è, io spero tanto che anche se non vi è piaciuto almeno non vi abbia fatto manco proprio schifo… devo ancora capire come se ne scrive una!

Per l’ultima scena, vi invito a tenere presente il live di Bara No Seido. La ritroverete tale e quale!

Ci rivediamo, comunque, nel secondo atto di Mad Tea Party. L’atto del divertimento!!

 

Vitani

 

   
 
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