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Autore: FALLEN99    06/11/2013    3 recensioni
Fino a che punto può spingersi la passione prima di diventare oscura?
Questo Amalia Jones, appena trasferitasi dalla splendente California in un paesino ai piedi di Dublino, ancora non lo sa. Appena però incontra gli occhi funesti di Alek Bás inizia ad averne una vaga idea. La passione ti strappa la ragione e ti getta nella pazzia, ed Amalia lo sperimenterà a caro prezzo.
“Come un ago sulla bilancia, il tuo potere è in grado di favorire la luce o le tenebre. Sta solo a te decidere. Se sceglierai il bene, potrai salvare il mondo. In caso contrario, distruggerlo”
**
– Riesci sempre a metterti nei guai.– le sussurrò all’orecchio.
– Ti sbagli– gli rispose Amalia, diventando concorrente nella tacita sfida dei loro sguardi
- Cosa te lo fa credere?
-Perchè sei tu che mi metti nei guai. Tu, TU sei i miei guai
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Uno



L’uomo incappucciato sollevò fulmineo un braccio verso di lei. La lunga manica scura rivelò una mano ossuta e lattiginosa, il cui dito indice si alzò, come a condannarla.
– Sei tu la prescelta, Amalia Jones. – disse una voce metallica e fredda, che sembrò provenire dall’enorme cappuccio che celava il volto dell’uomo.
Amalia, impaurita, indietreggiò, il sudore gelido che le scivolava come una lama sulla schiena.
Sentiva dentro di sé un terrore così nero da corrodere ogni parte di lei e ridurla in stato di trance.
Ma non avrebbe ceduto a quel terrore. Doveva resistere.
Si morse la lingua con vigore e sollevò la testa, lanciando uno sguardo all’uomo che aveva davanti.
–No, ti sbagli.– disse, il tono vacillante.
Dal cappuccio dell’uomo sembrò emergere la luce sinistra di un sorriso.
– Credimi, se c’è una cosa che i Veggenti non fanno, quella è sbagliare.
Detto questo l’uomo avanzò improvvisamente verso di lei, non dandole il tempo di ritrarsi. Le sfiorò con una mano il viso, facendola trasalire.
I suoi occhi dardeggiarono, illuminati da una luce che agli occhi di Amalia apparve scarlatta come sangue.
– So che sei tu. Lo sento. – riprese lo sconosciuto, muovendole una carezza sulla guancia.
Un brivido freddo come l’acciaio si dipanò dentro Amalia da dove la pelle dell’uomo la toccava, gelandole il sangue nelle vene.
Avrebbe voluto urlare, ma una forza arcana le serrava la bocca in una stretta da cui le era impossibile sottrarsi.
Poi un fulmine improvviso s’infranse al suolo poco distante da loro, eclissando con il suo bagliore ogni cosa.
Amalia si svegliò di soprassalto, la confusione che le ottundeva la testa. Il suo petto si muoveva al ritmo di un respiro affannoso e spaventato.
La ragazza si tirò a sedere, gli occhi sgranati, come se l’uomo incappucciato fosse ancora lì davanti a lei, pronto a toccarla di nuovo.
Rabbrividì, mentre i dettagli dell’incubo si facevano sempre più sfocati, lasciandole libera la mente.
Restò in quella posizione; i denti serrati e il corpo rigido, per minuti che le parvero infiniti.
– Tesoro, tutto bene? – la voce di una donna irruppe con dolcezza nella stanza, carezzandole le orecchie.
Amalia sobbalzò quando la mano della madre le sfiorò il braccio. Era fredda come quella di un cadavere.
Si sottrasse a quel tocco, incrociando gli occhi preoccupati della madre.
– Un altro incubo?– le chiese gentile la donna, lo sguardo comprensivo.
Annuì, e la madre si sedette nella sedia in vimini accanto al suo letto.
– Vuoi che ti porti un bicchiere d’acqua?
– Sì– la voce di Amalia era ridotta ad un flebile sussurro.
Eureka si alzò e uscì dalla stanza per poi rientrarvi con un mano un bicchiere colmo fino all’orlo d’acqua, in cui la luce della luna dipingeva scaglie argentate.
Amalia bevve avidamente il liquido, non lasciandone nemmeno una goccia.
Mentre la figlia beveva, Eureka continuava a far scattare lo sguardo da una parte all’altra della stanza, come ad esaminarne ogni angolo, paurosa che lì si potesse annidare un mostro famelico.
– Grazie, mamma. – Amalia le porse il bicchiere vuoto, ed Eureka, senza mai incontrare i suoi occhi, lo afferrò, appoggiandolo sul comodino.
Amalia rimase inquietata da quell’ambiguo atteggiamento della madre, che, dal suo metro e ottanta ed avvolta nella sua candida camicia da notte, sembrava un fantasma.
– Ora dormi, tesoro, o domattina sarai troppo stanca.
 Cullata dalla sua voce, Amalia si addormentò, mentre le labbra della madre le baciavano delicate la fronte.
 
La lingua bavosa di un cane le leccò la mano destra, che ciondolava fuori dal letto.
Amalia si riscosse al contatto con il suo cane, Cracker, che continuava imperterrito a imbrattarle di saliva la mano.
 – Buon giorno, cucciolotto – disse Amalia incontrando gli occhi di Cracker, che la fissavano guizzanti e gioiosi del suo risveglio.
Amalia sorrise all’animale. Quel beagle aveva la capacità di metterla di buon umore, anche appena alzata dopo una notte infestata da incubi terribili.
Gli mosse una carezza sul pelo lucido, che lui ricambiò acciambellandosi ai piedi del letto.
– Quanto vorrei stare a casa con te a coccolarti, ma sappiamo entrambi che è una cosa impossibile – brontolò, più a se stessa che a Cracker.
Poi, con violenza, la sveglia esplose in un trillo insopportabile che fece venire ad Amalia un’immensa voglia di schiacciarsi il cuscino sulla testa.
Con una ruga di fastidio che le segnava la fronte, si tirò a sedere. Cracker abbaiò alla sveglia, la coda dritta come un palo.
Il rumore della voce del cane e quello della sveglia si mischiarono in un suono irritante che riempì tutta la casa.
Amalia, gli occhi ridotti a due fessure, lanciò uno sguardo truce alle due fonti.
Cracker recepì il messaggio e, intimorito, uscì dalla stanza, mentre la sveglia veniva bruscamente spenta dalla mano della ragazza, che la schiacciò contro il muro.
– Tesoro, è pronta la colazione! – la voce di Maxus, il padre, le giunse alle orecchie come un timido richiamo.
Attirata dall’inebriante odore di pancake che sentiva dipanarsi nell’aria, Amalia scese dal letto e si diresse, infilate le pantofole, in cucina, dove il padre la stava aspettando.
– Ben alzata, principessa. – l’uomo le schiccò un dolce bacio sulle fronte, a cui Amalia reagì con una smorfia imbronciata. Odiava quando il padre la trattava come una bambina nonostante avesse ben diciassette anni.
Ogni volta glielo diceva, ma il padre sembrava non sentirla.
Così si era rassegnata, e come tutte le altre volte, si rassegnò anche quella.
Prese posto sulla sedia di legno disposta davanti al tavolo, che troneggiava al centro della cucina.
Inconsapevolmente, fece correre lo sguardo sull’arredamento. I muri bianchi delimitavano una stanza non molto grande, in cui il verde faceva da padrone indiscusso. Gli utensili, il piano cottura, il tappeto, ogni cosa al di fuori dei muri era verde.
Come se non bastasse quello che c’è fuori…si disse Amalia, stringendo le labbra. Sembrava che in Irlanda ogni cosa dovesse essere di quel colore, come se quell’isola fosse stata scolpita in uno smeraldo.
Non che non le piacesse, ma quando qualcosa era troppo, lo ammetteva senza troppi giri di parole.
La sua attenzione fu attirata dalla pila di pancake che il padre le stava posizionando davanti.
Affamata, ne afferrò uno, portandolo in un gesto automatico alla bocca.
 – A quanto pare la tua voracità non è cambiata
La frase del padre la lasciò sbigottita per qualche istante.
– E con questo cosa vorresti dire? – chiese, stranita.
Maxus si portò alle sue spalle, facendo aderire le sue labbra all’orecchio di Amalia.
– Che i luoghi cambiano, le persone, no.
Il boccone le andò di traverso. Si alzò senza pensare dalla sedia e si erse in piedi, inchiodando il padre con uno sguardo.
– Non credere che dicendo queste frasi poetiche cambierò idea su questo trasloco.  Io qui non ci voglio stare. Punto. – affermò, prima di dirigersi nella sua stanza, lasciandosi dietro un Maxus deluso.
Sbuffando, si chiuse la porta alle spalle. Si diresse rapida verso l’armadio, aprendolo con uno scatto.
Cominciò a provare un vestito dopo l’altro, senza mai fermarsi. Era la cosa che faceva sempre quando era arrabbiata, la aiutava a rilassarsi, e per quanto fosse strana, Amalia non ne poteva fare a meno. Sarebbe esplosa. Quando finalmente trovò un completo che le piaceva, fermò la sua follia. Guardò la sua immagine riflessa allo specchio, quella di una ragazza magra e discretamente alta. I capelli, ricci e neri, le cadevano disordinatamente sulle spalle, mentre gli occhi, chiari come diamanti, sembravano stanchi e appesantiti.
– Amalia, tesoro, ricordati che le scuole qui impongono di mettere la divisa! – la voce di sua madre la fece imbestialire ancora di più.
Con una furia inaudita, si spogliò di nuovo, gettando i vestiti sopra il letto.
–  E dove sarebbe questa divisa?! – domandò Amalia, stringendo i pugni.
La porta della sua stanza si aprì, e, in risposta, una divisa stirata e profumata venne posata sul pavimento.
Amalia l’afferrò e la indossò, sentendosi un’idiota per non averci pensato.
Decidono anche come mi devo vestire? Fantastico!
Da quando si era trasferita in Irlanda, quasi una settimana prima, ogni cosa era andata storta. Ed anche il primo giorno in quella nuova scuola lo sarebbe stato, se lo sentiva.
Raccolse i ricci in una coda di cavallo e, reprimendo i pensieri, prese la borsa a tracolla che giaceva accanto al comodino.
Se la portò alla spalla e uscì dalla sua stanza, dirigendosi verso  l’ingresso della casa.
– Io vado!  – gridò ai genitori.
Eureka, prima che la figlia potesse varcare la porta di casa, le fu davanti. L’abbracciò con dolcezza, confortando Amalia con il suo profumo.
– Vedrai che andrà tutto bene.
Amalia la strinse di più.
– Lo so che è difficile ricominciare, soprattutto perché questo trasloco te l’abbiamo imposto. Papà vuole solo che tu lo accetti, i suoi continui tentativi sono solo per il tuo bene.
Al sentire quelle parole, Amalia si sottrasse a quell’abbraccio.
– Il suo, di bene. Ci siamo trasferiti solo per il suo stupido lavoro!
A quelle urla, Cracker accorse. Amalia lo accarezzò e senza degnare la madre di un saluto, uscì di casa, buttandosi nell’aria gelida dell’autunno, che le punse la pelle come uno spillo.
Prese a camminare, nera di rabbia, in direzione della fermata dall’autobus, che si intravedeva pochi metri più avanti.
Mentre osservava silenziosa il verde che la circondava, Amalia si trovò a pensare che forse era stata un po’ esagerata  con i suoi genitori.
Sapeva che anche per loro era stato difficile abbandonare la California, e si stava comportando da egoista facendo pesare loro questa decisione più di quanto già non succedesse.
Decise così che si sarebbe scusata, una cosa che non rientrava nel suo stile, ma che quella volta era disposta a fare.
Il rumore di un motore vibrò fino a lei, ridestandola dalla trance in cui i suoi pensieri l’avevano gettata.
Con gli occhi sgranati, si accorse che l’autobus stava partendo senza di lei.
Cominciò a correre  seguendo la vettura gialla, mentre l’ansia di perderlo si faceva sempre più intensa.  
Aumentò la velocità della sua corsa, le gambe che si muovevano veloci sull’asfalto.
Il paesaggio le sfilava accanto troppo rapido perché potesse vederne i particolari, ma Amalia sapeva che non avrebbe visto altro se non quell’interminabile verde.
La coda ondeggiava sulla sua testa, mentre il bus si allontanava sempre più, scomparendo dietro la collina senza di lei.
Pestò i piedi a terra quando realizzò di averlo definitamente perso. Lo sapevo!
Piegò le gambe e si sostenne con le mani sulle ginocchia, recuperando il fiato che quella corsa disperata le aveva strappato dalla gola.
Quella mattina le cose non sembravano voler girare per il verso giusto nemmeno a costringerle.
Spaesata, si accorse di non avere la minima idea di dove fosse la scuola.
Si guardò attorno, scoprendo che il posto in cui si trovava le risultava sconosciuto. Aveva corso talmente tanto che la sua casa era scomparsa alla sua vista.
Come fare ora, che si era persa?
Lanciò uno sguardo alle sue spalle, considerando l’opzione di tornare a casa ripercorrendo la strada, ma la scartò subito dopo.
L’improvviso rombo di un motore dietro di lei la fece sobbalzare.
Si voltò di scatto,  incontrando con lo sguardo una moto nera fiammante, ferma sul ciglio della strada.
Il guidatore, avvolto in una tuta di pelle, sembrava fissarla. E quando si tolse il casco, ne ebbe la conferma.
Due occhi verdi come le chiome degli alberi che li circondavano si posarono su quelli Amalia, e una scossa di energia la trapassò da parte a parte.
Il paesaggio attorno a lei cominciò a scomparire, oscurato dalla potenza di quello sguardo, che sembrava far convergere ogni cosa a sé. Amalia compresa.
Una forza sconosciuta la teneva ferma a fissarlo, impedendole di opporsi alla sua intensità di fuoco.
Il ragazzo mosse la testa, facendo ondeggiare la sua zazzera biondo cenere al vento, che, inspiegabilmente, aveva iniziato a soffiare con vigore, sibilando fra la fronde.
Aveva un viso bellissimo. Labbra carnose si allungavano sotto un naso sottile, contornato da alti zigomi.
Amalia rimase senza fiato quando gli occhi del ragazzo  perforarono nuovamente i suoi. Un brivido gelido come la notte le vibrò sopra e dentro la pelle.
Si strinse della giacchetta della divisa, in cerca di calore. Ma nessun calore arrivò a visitarla, come se il ragazzo avesse fatto calare su di lei un freddo impenetrabile.
Inquietata, indietreggiò, distogliendo lo sguardo.
–  Vuoi stare lì impalata o vuoi un passaggio? – la bocca scarlatta del ragazzo si mosse, ed una voce suadente le giunse alle orecchie.
Risvegliata bruscamente dalla trance in cui era caduta fissandolo, Amalia si riscosse.
– Come scusa?
– Ti ho chiesto se vuoi un passaggio, ragazzina.
Amalia strinse i pugni. – Non sono una ragazzina
Il ragazzo sorrise, scrutandole le forme. – Lo so bene.
Amalia arrossì, cercando di nasconderlo.
– Allora, lo vuoi il passaggio o no?
– A dire il vero non parlo con gli estranei. – ribatté, gelida.
 Il ragazzo le si avvicinò, un bagliore malizioso negli occhi. – Io sì. E per tua fortuna sto proprio andando a scuola. Quindi –  le rivolse uno sguardo di fuoco – prendere o lasciare.
Amalia, combattuta, si morse la lingua; il dubbio che la torturava.
Trasse un lungo respiro. Il ragazzo, seppur in modo molto ambiguo, le stava offrendo la possibilità di riparare alla sua sfortuna, ed Amalia si disse che valeva la pena rischiare di essere rapita, piuttosto che sorbirsi una ramanzina del padre
– Accetto – disse infine, non sapendo a cosa andava incontro.
 

 
   
 
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