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Autore: Strong Haze    07/11/2013    4 recensioni
Cosa sarebbe successo se Jimmy Sullivan avesse incontrato una perfetta sconosciuta dal passato ignoto in un luogo malinconico e terribile, dove si combatte contro la morte, dove si mette a dura prova la forza di volontà?
[..Grace pensò che tutto sommato erano simili.
In qualche modo, seppur strano, condividevano qualcosa.
Un passato oscuro, un presente complicato, un futuro troppo distante.
Jimmy era la sua proiezione.
Dentro di lui vedeva se stessa, le sue domande, i suoi problemi.
Aveva qualcosa in più, però.
Una parte oscura, nascosta.
Un muro che celava qualcosa che non poteva uscire fuori.
Lei l’avrebbe aiutato, sentiva di doverlo fare... ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I fell apart, but got back up again.


Non c’è modo di prevedere l’evento che ti cambierà la vita.
Come non si può prevedere l’evento che finalmente la scuoterà, la tirerà fuori dall’oblio nella quale è caduta.
Non si può prevedere il luogo, l’ora, il modo.
Si può solo aspettare, aspettare, aspettare.
Jimmy aspettava.
Le note di Mozart invadevano la stanza, penetravano nei mobili, passavano attraverso ai muri, scendevano lungo le pareti.
Tenevano Grace in vita.
La musica era la ragione per la quale Grace era ancora lì, Jimmy lo sapeva.
Per quel motivo aveva insistito più che poteva ed aveva ottenuto un piccolo stereo a batterie con delle musicassette dell’era preistorica di musica classica.
Ivy e Francie, inspiegabilmente, erano riuscite a far breccia nel cuore duro di Arianne e passavano molto tempo accanto a lei in religioso silenzio, mentre lei disegnava.
Il carboncino nero le macchiava le mani e le braccia fino ai gomiti e una striscia di colore le attraversava la guancia sinistra, dandole l’aria di un’artista vissuta.
Non staccava gli occhi dal foglio anche per due ore, poi strappava il foglio lungo la linea tratteggiata, lo osservava attentamente, scuoteva la testa e lo riponeva dentro ad una cartellina giallo canarino.
Ed andava avanti così, ora per ora, giorno per giorno.
Jimmy, dal canto suo, cominciava ad annoiarsi: il mondo sembrava essersi coalizzato contro di lui.
Cosa poteva aver fatto di così orribile per meritarsi di essere classificato come asociale senza nessun bisogno di amicizie?
Continuava a domandarselo senza trovare risposte.
Scriveva canzoni sempre uguali dalla mattina alla sera tamburellando sul comodino di fianco al letto di Grace canticchiando motivi senza senso.
Aveva passato due giorni a parlare al telefono con la segretaria della clinica cercando dettagli sulla cartella clinica della quale era stata destinata la dose di Grace.
Per questioni di privacy più del nome non avevano voluto fornirgli, doveva fare affidamento sulla memoria e sul tanto tempo passato ad osservare le persone lungo il suo soggiorno.
Valerie.
Valerie era il suo nome.
< Valerie Valerie Valerie > si era ripetuto in testa migliaia di volte.
Ne aveva trovate due, due pazienti con quel nome particolare che erano, per un motivo o per un altro, rimaste nella sua mente.
C’era la Valerie bionda.
Anche chiamata “l’angelo”, era una ragazza che tutto sembrava fuorché normale... o mortale.
Due occhi grandissimi e blu perennemente rivolti verso l’alto ed i capelli biondi lunghi fino al bacino le davano davvero l’aria di un angelo.
Non parlava mai, nessuno sapeva che suono avesse la sua voce.
Probabilmente per questo ne erano tutti follemente attratti.
Un anno prima, Adrian, secondo piano, era riuscito a convincere tutti che gli aveva parlato.
Era scomparso nel nulla.
Nessuno era più riuscito a trovarlo.
Nelle sue condizioni non era nemmeno in grado di camminare, figuriamoci correre e scappare via.
Nessuno aveva dato apertamente la colpa a lei, la paura era fin troppa, ma, nel profondo, tutti sapevano che in tutta quella faccenda non era completamente innocente.
La seconda Valerie che ricordava era l’opposto, almeno fisicamente.
Aveva i capelli neri e gli occhi tanto scuri che se li guardavi potevi rimanerci incatenato dentro.
Erano un pozzo, un pozzo di duecento metri pieno di segreti.
Aveva avuto un’infanzia difficile, aveva la morte negli occhi.
Se si parlava di morte le si tingevano gli occhi di rosso e stringeva tanto le nocche da farle diventare bianche.
Passava le giornate ad incidere i rami degli alberi; nessuno aveva voglia di parlarci, era così vuota da far paura.
Gli aveva parlato una sola volta.
Era il giorno di Natale ed aveva deciso di rubare le scorte di pandori per poter far entrare i suoi amici clandestinamente e distrarre, almeno momentaneamente, il personale di servizio.
Mentre trasportava la varia merce nello sgabuzzino delle pulizie aveva trovato lei, Valerie, intenta a cercare qualcosa in mezzo al disordine che regnava sovrano in quel loculo due metri per due.
< Cosa cerchi? > aveva domandato, curioso come al suo solito.
< Non sono cazzi tuoi > aveva risposto lei, senza nemmeno guardarlo.
Vista la reazione tutt’altro che amichevole, Jimmy decise di ignorarla e continuò a trasferire i dolci dal carrello ad una mensola.
< Ah, ma tu sei Sullivan – urlò la ragazza dopo un po’ – quello del terzo piano… Tu sei famoso. >
< Non sapevo >
< Ho i miei dubbi a proposito. Comunque, sono Valerie. Scusa per prima ma quando non trovo le cose che nascondo qui mi innervosisco >
< Figurati. Panettone? > propose lui, tirando fuori dall’involucro di plastica il dolce tondo.
La ragazza annuì e, tra un sorriso e l’altro, il pomeriggio passò.
Dopo quel giorno, rifletté Jimmy, non l’aveva più vista.
Aveva pensato l’avessero trasferita.
Doveva essere lei, per forza.
E doveva trovarla, aiutarla.
Sarebbe stato da egoisti sapere a cosa stava andando incontro e passare oltre come se nulla fosse.
Nella sua breve “gita” al quinto piano, Grace l’aveva sicuramente conosciuta.
Come al solito, pensò, era tutto in mano sua.
Doveva aspettare lei, ancora una volta.
Si trovò a fissare fuori dalla finestra desiderando di scappare senza fermarsi mai.
Sarebbe andato lontano, in Australia magari, avrebbe fatto la terapia con l’elettroshock ed avrebbe dimenticato tutto.
Meglio una vita da menomato mentale.
L’idea, sebbene crudele, sembrava quasi attuabile.
La domanda era solo una: avrebbe davvero voluto perdere tutto?
A distrarlo fu il lungo bip dell’elettroencefalogramma di Grace che stava cambiando ritmo.
Il bip diventò sempre più rumoroso, fino a far accendere una spia verde in basso a destra.
Cosa stava succedendo?
 
* * * *
 
Le ore successive scomparvero dalla mente di Jimmy, tutto si fuse in una grande nube di nebbia.
Il vocio assordante, le scosse, le botte, un misto di sensazioni ed emozioni troppo forti.
Tutto si sbriciolò davanti ai suoi occhi stanchi, tutto si fece in miliardi di piccoli pezzi.
Come a rallentatore chiuse gli occhi e li riaprì, in quella che era sembrata una frazione di secondo.
Il nero e la confusione erano, però, sparite; al suo posto c’era la luce soffusa di sempre, il tepore di sempre, il materasso di sempre.
Il materasso di sempre?
Con un scatto troppo veloce, Jimmy si mise seduto sul letto di una stanza vuota e sterile dell’ospedale, tanto veloce da farsi venire un capogiro che lo costrinse a sdraiarsi nuovamente.
Ripreso il contatto con la realtà ed esaminato il contenuto della stanza, si diresse a passi incerti verso la porta.
Cercando nella tasca dei pantaloni che aveva ancora – fortunatamente – addosso, trovò il telefono e compose in tutta fretta il numero di Matt.
< Pronto? >
< Matt >
< Sala otto, secondo piano, corri >
< Ma… >
< Jimmy, corri. >
Cosa diamine stava succedendo?
Si decise a correre con i muscoli ancora intorpiditi dal sonno e la mente che vagava ovunque in cerca di una risposta ai miliardi di domande che gli affollavano il cervello.
Salendo e scendendo rampe di scale a ripetizione, fino a doversi fermare per riprendere fiato, finalmente trovò la tanto desiderata stanza numero otto.
Entrò correndo, come aveva fatto fino a pochi secondi prima.
Trattenne la porta con un braccio, mentre cercava di capire cosa c’era di così importante lì dentro.
Vide Johnny, Zacky, Brian e Matt girarsi nella stessa frazione di secondo con l’espressione più confusa, felice e ansiosa della storia.
Tutti e quattro, nemmeno fossero automi, si spostarono e fecero posto ad una quinta figura.
Era piccola, minuta, quasi trasparente.
Avvolta in una coperta di lana spessa verde bottiglia, gli dava le spalle e guardava attraverso il vetro della finestra.
Un lembo della coperta scivolò dalla spalla della creatura, rivelando un angolo di pelle bianco come l’avorio.
Quella pelle.
Jimmy s’illuminò di una strana luce.
In una frazione di secondo la consapevolezza di chi aveva davanti lo investì come un treno in corsa, lasciandolo frastornato ed incapace di muoversi.
Grace.
Era davvero lei?
Lei, Grace, quella vera, quella sveglia, la ragazza che amava?
Lei?
Si avvicinò facendo un passo alla volta, lentamente, nemmeno dovesse andare verso il patibolo.
I suoi amici abbandonarono la stanza come fantasmi, senza farsi notare minimamente.
Ma, d’altra parte, non avrebbe mai potuto dare peso a nulla se quello che aveva davanti sembrava il migliore dei suoi sogni finalmente diventato realtà.
Andò vicino alla sedia che ospitava la ragazza e ci girò intorno, fino ad arrivarle di fronte.
Abbassò lo sguardo e la vide, con gli occhi rivolti verso le mani, piccole ed ossute, che si stringevano convulsamente l’una con l’altra.
< Grace > sussurrò a mezza voce.
Lei alzò lo sguardo e, in un secondo, i loro occhi si incatenarono insieme.
Dire cosa ci fosse in quegli occhi era impossibile; dolore, angoscia, paura, terrore.
Grace era spaesata, Jimmy per un attimo si chiese se sapesse dove si trovava.
< Jimmy – sussurrò lei – abbassati >
Di scatto, lui, s’abbassò.
Le lacrime invasero gli occhi di Grace, liberandosi lungo le guance ed andando a finire sulle labbra violacee.
Jimmy si mosse di un millimetro, cercando di capire cos’era meglio fare.
Avrebbe dovuto abbracciarla, baciarla, accarezzarla o semplicemente rimanere così come stava?
Si sporse verso di lei e con un dito le tolse le lacrime dal viso, l’unica azione che, in quel momento, gli era sembrata sensata.
< Mi dispiace Grace, mi dispiace così tanto >
E gli dispiaceva davvero, così tanto che una frase così scontata non bastava per giustificare tutte le colpe che aveva nei suoi confronti.
Odiava se stesso per essere entrato nella sua vita quando era più debole, per non essere stato abbastanza per salvarla sin dall’inizio, per essersi permesso di avvicinarla ed addirittura di pensare che insieme sarebbero potuti andare avanti.
Si odiava per aver permesso che le facessero del male, per aver permesso che la distruggessero e cancellassero tutto ciò che di buono era rimasto nella sua mente.
Si odiava perché Grace era il prodotto del suo amore più incondizionato.
E vedere che un sentimento tanto buono avesse dato risultati così tremendi era straziante.
< Abbracciami  > soffiò lei, impercettibilmente.
Lui, che non aspettava altro, la avvolse intorno alle sue braccia e la strinse forte, tanto da farsi male.
Sentire il suo corpo, seppur fragile come una foglia, a contatto con il suo era una sensazione indescrivibile.
Il suo calore lo aveva fatto sentire, per la prima volta dopo tanto tempo, a casa.
Perché casa non era un luogo, era ovunque fosse lei.
 
* * * *
 
Le sue braccia le avvolgevano la vita, il suo fiato caldo sul collo le ricordava talmente tante cose che, per trattenerle tutte, doveva chiudere gli occhi.
La testa le pulsava tremendamente, quasi stesse per scoppiare, le gambe e le braccia avevano perso sensibilità da troppo tempo.
Si sentiva straniera all’interno del suo stesso corpo, come se quella che stava abbracciando Jimmy in quel momento non era lei.
Era solo un corpo vuoto messo lì, arrotolato dentro quella coperta troppo spessa, per dare una speranza ad un ragazzo.
Le lacrime le uscirono da sole, senza che lei potesse decidere se fermarle o sfogarsi.
Si trovò a singhiozzare sulla spalla di Jimmy, cercando di attirarlo sempre di più a lei.
E si avvicinavano sempre di più, eliminando la distanza che li aveva tenuti divisi troppo tempo.
Allontanandosi, vide il viso del ragazzo di fronte a lei rigato dalle lacrime.
Gli occhi blu, lucidi e chiari come il cielo sereno, la guardavano tanto intensamente che si sentì bruciare.
Accarezzò con le dita – che non sapeva più di avere – il contorno del viso di Jimmy.
Ogni particolare era come se lo ricordava; era perfettamente lui.
Si soffermò sulla bocca, rossa e rovinata dal freddo.
La sfiorò con il pollice, facendolo sorridere.
Cercò di alzarsi, poggiando le braccia sul bordo della sedia e facendo leva.
Non servì.
Jimmy, intuendo cosa voleva fare, la tirò su per i fianchi, sedendosi sulla poltrona subito dopo.
Lei, già stanca, si sedette sopra di lui e si arrotolò la coperta intorno.
Sospirò debolmente, delusa di non poter muovere un passo.
Appoggiò la testa sulla sua spalla destra, respirando a pieni polmoni quel profumo che tanto le piaceva.
Se gliel’avessero chiesto non avrebbe nemmeno saputo dire di cosa sapeva, Jimmy.
Sapeva di lui, ecco.
Ed era così bello sentirlo di nuovo che quasi piangeva.
Guardando poco più in alto, lo osservò.
Stava guardando fuori, sorridendo come un bambino.
Ed intanto la stringeva, come faceva suo padre quando era ancora piccola.
Perdendosi negli alberi e nel calore di Jimmy, Grace, per la prima volta, sorrise.





T's corner.

Oddio, potrei mettermi a piangere.
Sono più di sei mesi (facciamo quasi un anno) che non aggiorno questa storia.
Potrei darvi tutte le motivazioni del mondo: il calo di voglia, il blocco, i problemi..
Ecco, sono giunta alla conclusione che non so nemmeno io perché l'ho abbandonata.
Però qualche giorno fa, dopo aver ricevuto dei messaggi qua, su twitter e su facebook 
dove varie persone mi chiedevano che fine avesse fatto questa storia mi sono detta che dovevo finirla.
Una cosa cominciata va finita, sempre.
E' stato un anno difficile, che mi ha cambiata moltissimo; 
ve lo dico perché probabilmente anche il modo di scrivere è cambiato. (lo schifo as always)
Persone sono entrate nella mia vita, altre se ne sono andate, alcune sono sia entrate sia uscite.
Alcune mi hanno svuotata un po', tanto che le uniche cose che riuscivo a scrivere erano tremendamente macabre.
In questi mesi ho anche scritto un epilogo per questa storia, anche se non è finita.
Rileggendolo ora mi faccio paura.
Ok, basta.
Ringrazio dal profondo del mio piccolo cuore nero tutti quelli che non hanno mai perso fiducia in me in questo periodo;
ringrazio chi ha continuato a chiedermi di questa storia e si è preoccupato per me; ringrazio quelli che mi sono stati accanto.
Grazie, sono qua solo per voi.

 Per quanto riguarda la storia, ho deciso di fare il grande passo e far svegliare Grace.
A questo punto deciderò se allargare la trama o finire.
Non so chi di voi si ricorda delle gemelle (Ivy e Francie) ma il prossimo capitolo avrà parecchio a che fare con loro.
Ogni mio personaggio ha un suo "corrispondente" nella realtà e si da il caso che una delle due sia uscita completamente  dalla mia vita.
Di conseguenza non mi sento in grado di continuare a scrivere su di lei.
Perdonatemi per l'aggiunta (a questo punto inutile) dei personaggi.

Un bacio ed alla prossima,
T.
   
 
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