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Autore: afep    08/11/2013    4 recensioni
Skyrim, terra di neve e ghiacci, di fieri guerrieri e bardi, teatro dello scontro tra Alduin ed il Dovahkiin e del ritorno dei draghi nei cieli di Tamriel.
Eppure non sono i draghi, il peggior problema di quelle lande, perché Skyrim è scossa sin dalle fondamenta da una guerra civile, un terribile conflitto che scuote gli equilibri di un popolo, distrugge le famiglie e nutre la terra con il sangue dei vinti.
Un conflitto destinato a far cantare le lame degli uomini in battaglia, ed il cui esito designerà il trionfo o l'inevitabile caduta dello Jarl ribelle.
---- sospesa ----
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ulfric Manto della Tempesta
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Era passato molto tempo dall’ultima volta che avevo consumato una cena degna di questo nome.
Seduta alla destra di mio marito, che presiedeva il banchetto da uno scranno posto a capotavola, gustavo minuscoli bocconi del saporito arrosto di cervo, cercando di tanto in tanto di lanciargli un’occhiata.
Ero estremamente curiosa sul suo conto. Il suo viso dai lineamenti duri e fieri mi era totalmente sconosciuto, così come l’espressione dei suoi occhi ed il suono della sua voce.
L’uomo che mi aveva sposata era un individuo alto, con le spalle ampie ed il fisico solido e robusto tipico dei guerrieri; il suo volto severo, dalla larga mascella squadrata, sarebbe anche potuto risultare gradevole se non fosse stato per il suo grosso naso aquilino, che sembrava essere stato rotto più volte, e per due vecchie cicatrici che gli sfregiavano la guancia sinistra, e che si estendevano dallo zigomo fin quasi alle labbra imbronciate e circondate da una corta barba bionda.
Quando parlava lo faceva in tono fermo e deciso, ricordandomi il modo in cui Moran impartiva ordini alla mia scorta, anche se per tutta la sera non mi rivolse più di una manciata di parole. Pareva fingere che io non fossi presente, e prestò molta più attenzione ai cinque segugi che gironzolavano attorno al tavolo, mangiando dalle mani dei commensali, che a me.
Durante quella prima cena imparai i nomi dei tre uomini che avevo visto in sua compagnia al mio arrivo. Il più anziano rispondeva al nome di Galmar Pugno Roccioso, un uomo così imponente da sembrare una sorta di gigante, più prestante di molti giovanotti che mi era capitato di vedere e con piccoli occhi chiari, acuti e sardonici, che continuavano a dardeggiare nella mia direzione; era il braccio destro di mio marito e, da quanto capii, il suo più vecchio e fidato amico.
L’uomo giovane, con una folta capigliatura bruna che gli circondava il viso dai tratti decisi, si chiamava Yrsarald, e come scoprii in seguito era uno dei migliori condottieri al servizio del mio sposo.  Il terzo individuo, Jorleif, era invece il Sovrintendente del palazzo, e continuò per tutta la sera ad infilarsi pezzi di cibo sotto i folti baffi bruni che gli scendevano fino al mento.
Era strano essere lì, tra tanti uomini sconosciuti, senza la rassicurante presenza di Mirala; la mia cara balia stava probabilmente cenando nell’ala riservata alla servitù, insieme alla mia scorta.
“Ti piace l’arrosto?”
Presa alla sprovvista da quella domanda sollevai lo sguardo, incontrando gli occhi duri e freddi di mio marito.
“Si, Signore.” Risposi, incapace di dire altro. Galmar, seduto di fronte a me alla sinistra del mio consorte, soffocò una risatina nel pugno.
“Non c’è che dire, Ulfric. La tua sposa è la quintessenza della cortesia.” Disse, con un tono di scherno così evidente che mi chiesi se per caso non mi stesse insultando. “Forse dovresti prendere esempio da lei.”
“Chiudi quella fogna, Galmar.” La voce di mio marito era severa e brusca, e rispecchiava perfettamente la sua persona.
“Ah, qualcuno è nervoso, stasera. Spero che tu domattina sia un po’ più rilassato.” Ribatté Galmar in tono allusivo battendogli una mano sulla spalla, ed io arrossii violentemente.
Con mia grande sorpresa, mio marito non rispose. Si limitò a fulminare il suo secondo con lo sguardo e tornò a dedicarsi al proprio pasto.
Stringendo i denti abbassai il capo, imbarazzata e confusa.
Mentre l’arrosto si raffreddava nel mio piatto, pensai alla corte di Daggerfall, dove ero cresciuta in mezzo alla grazia e all’armonia. Pensai ai cieli azzurri, ai giardini pieni di fiori ed alla mia famiglia, esiliata ma sempre fiera.
Confrontai i miei ricordi con quanto avevo visto di Windhelm, e sentii gli occhi inumidirsi.
Ma dove ero capitata?
 
 

******


“Questa è la mia stanza. Laggiù puoi mettere le tue cose.” Ulfric Manto della Tempesta indicò un punto della propria camera da letto, quindi si voltò a studiare la giovane sconosciuta.
Lirael De Braose si guardava intorno intimidita, torcendosi le mani giunte in grembo.
“Io dormo da questo lato del letto.” Le comunicò con fermezza, e senza aspettare una risposta le voltò le spalle e cominciò a togliersi la cappa di pelle d’orso che portava indosso. “Dietro di te dovrebbe esserci un paravento, se vuoi cambiarti.”
Alle proprie spalle udì il fruscio delle gonne della ragazza ed il tonfo leggero delle sue sottili scarpine di raso, e represse uno sbuffo di impazienza quando, con la coda dell’occhio, la vide avvicinarsi al camino per scaldarsi un po’ prima di rifugiarsi dietro al paravento di legno. Quella ragazzina avrebbe imparato presto che gli abiti e le calzature che aveva portato da High Rock erano inadeguate al clima di Windhelm.
Grugnendo per l’irritazione, Ulfric si sfilò la veste, i calzoni e la casacca con gesti secchi e bruschi, che tradivano il suo disappunto. Quello non era un buon momento per accogliere una donna a corte; sulla sua città spiravano venti bellicosi, ed ogni giorno alle porte del Palazzo dei Re si presentavano uomini e donne che desideravano unirsi alle sue truppe. I guerrieri accorrevano sempre a frotte quando credevano che ci sarebbe stato da arricchirsi, e mettersi al servizio di uno Jarl, un sovrano, era uno dei metodi più sicuri per fare fortuna.
Con quei cupi pensieri che gli vorticavano nella mente, Ulfric gettò i propri vestiti su una panca con noncuranza, calciò lontano i lunghi mutandoni di lana e si infilò sotto le coperte. Ci avrebbe pensato una delle serve a sistemare il tutto, la mattina seguente.
Dovette aspettare diversi minuti prima che Lirael facesse la sua comparsa da dietro il paravento, cercando di tenere chiusi con le braccia i lembi di una lunga vestaglia bianca. La ragazza era visibilmente nervosa, ed Ulfric trattenne a stento un moto di impazienza. Era stata una giornata lunga e stancante, e tutto quello che desiderava era fare ciò che doveva con la sua nuova moglie ed andare a dormire.
Ma la ragazza sembrava voler ritardare quel momento il più possibile.
Scostò le coperte con una lentezza esasperante, e si sedette sul materasso dandogli le spalle. Lo Jarl osservò la folta chioma che le scendeva fin alla vita, increspata dalle leggere onde create dalle trecce. Alla luce del fuoco che ardeva nel camino, quei lunghissimi capelli che richiamavano i colori di un bosco autunnale sembravano animarsi, mandando caldi riflessi dorati.
Con estrema cautela, la ragazza sollevò un lembo delle pesanti coltri che ricoprivano il letto; quindi, cercando di tenere chiusa la vestaglia, raccolse le gambe e le infilò sotto le lenzuola, sdraiandosi rigidamente al suo fianco.
Con un grugnito di frustrazione, Ulfric si passò una mano sul viso. Chiaramente sua moglie non aveva mai giaciuto con nessun uomo, prima di allora. Gli sarebbe toccato fare tutto da solo.
Voltandosi verso di lei osservò ancora una volta il suo viso, un pallido ovale che conservava vaghe tracce delle rotondità dell’adolescenza. Aveva avuto donne decisamente più belle, dame in grado di infiammargli i lombi con un solo sguardo, dai corpi più procaci ed invitanti; ma aveva anche avuto bisogno del denaro e delle terre che sua moglie portava in dote, ed ora che lei lo aveva raggiunto, non poteva più evitare di consumare quel loro disgraziato matrimonio.
La sentì trattenere il respiro quando le scostò i lembi della vestaglia che le coprivano il petto, ma la ignorò. Voleva vedere quello che la necessità lo aveva costretto ad accettare anni prima.
“Rilassati.” Le ordinò bruscamente, sentendola irrigidirsi al suo tocco. “Non ti farò male.”
Le sue parole parvero allarmarla ancora di più, ma Lirael non fiatò, né in quel momento, né quando le aprì completamente le vesti, né quando si unì a lei. Per tutto il tempo la giovane rimase in silenzio, stringendo tra i pugni i lembi del lenzuolo e fissando l’alto soffitto di pietra sopra le loro teste.
Quando ebbe finito, Ulfric si staccò dal suo corpo e lasciò che la ragazza si sistemasse le coltri di pelliccia tutt’intorno, per coprirsi il più possibile.
Mentre si rigirava, Lirael tirò la coperta lasciandolo esposto all’aria gelida della stanza, ma lo Jarl preferì non farglielo notare. Aveva tutta la vita per insegnarle cosa gli piaceva o meno, e per quella sera lui era troppo stanco, e lei troppo scossa per affrontare la questione.
Ci sarebbe stato il tempo per ogni cosa, pensò, mentre si voltava dandole le spalle.
Ci sarebbe stato il tempo per ogni cosa.
Persino per abituarsi all’idea che, da quella sera, aveva una moglie.
 
 
 
 
 
 

 

 
Chiedo scusa per i nomi arzigogolati degli uomini incontrati da Lirael durante la sua prima cena a Windhelm, ma purtroppo non sono stata io a sceglierli, ma la Bethesda.
Giuro giurissimo che, non appena Lirael si sarà abituata alla vita di corte, le sue interminabili descrizioni si ridurranno a qualcosa di più umano. Fino ad allora dovrete sorbirvi le sue tiritere (più nel prossimo capitolo che in questo, a dire la verità, ma anche qui non scherza).
Ringrazio tantissimo Ulvinne per avermi suggerito il titolo, visto che ero completamente nel pallone (grazie dear ^^).
 
  
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