Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: Kourin    08/11/2013    2 recensioni
Un venticello fresco fa frusciare le foglie rosse degli aceri, una si stacca e finisce sull'acqua. Faccio per toglierla, ma tra le increspature vedo qualcosa di strano. E' il volto di un bambino che ha capelli di alghe e occhi di serpente. Mi spavento, poi ricordo che la malattia ha cambiato per sempre il mio aspetto. Non riesco proprio ad abituarmi a vedermi così. A pensarci bene, neanche queste mani che tremano ancora e sanno di erbe medicinali sembrano le mie.
Storia gemella di Tōryanse. Stavolta i protagonisti sono Shin e Naaza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cye Mouri, Sekhmet
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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2. Naotoki




Suiko era cresciuto dai tempi della guerra con Arago, ma aveva conservato un volto da fanciullo. I capelli castani ricadevano all'indietro lasciando scoperta la fronte, su cui fioche pennellate di luce azzurra tracciavano l'ideogramma 'Shin', la Fede. Le sopracciglia erano corrugate come a formare una strozzatura: Naotoki provò a sfiorarle, ma i solchi non scomparvero. Allora rinunciò e reclinò la testa all'indietro, in modo da esporsi anch'egli alla luce lunare. Il leggero tepore che gli irrorava la fronte gli fece capire che anche 'Tei', il cuore di Obbedienza, si stava risvegliando. Produceva un suono lieve, come il tintinnio di un fragile fūrin rimasto appeso in una casa abbandonata in fretta e furia dai proprietari. Era proprio grazie a quel suono che i ricordi lasciati indietro trovavano il coraggio di uscire dal buio: se avessero seguito la corrente, avrebbero potuto finalmente ritrovare una direzione.
Naotoki depose Suiko sul pavimento, sorprendendosi della propria delicatezza. “Quando è stata l'ultima volta che mi sono preso cura di una persona? Lo facevo davvero?” Assalito da una violenta sensazione di déjà-vu, si lasciò cadere accanto a Suiko. Cercò la sua mano, intrecciò quelle dita divenute fredde con le sue. Poi, un po' per volta, iniziò a ricordare.

Sono tornato!” annuncio prima di entrare nel tempio. Riempio la ciotola con l'acqua limpida che ho attinto e la deposito ai piedi di Yakushi. Sembra che il buddha mi voglia dire qualcosa, ma i suoi occhi sporgenti sono chiusi e il suo sorriso è sempre così difficile da capire. Mi inchino per ringraziarlo, poi prendo l'acqua rimasta e vado a preparare le medicine.
Prima di tutto devo far bollire la corteccia del salice, che serve per far passare la febbre ai feriti. Ne sono arrivati molti in questi giorni e tra loro c'è anche il fratello maggiore di mio padre. La lancia del nemico gli ha lacerato una gamba mentre combatteva per i nostri signori, gli Shimazu. Ora non può camminare, ma si riprenderà.
Mentre ravvivo il fuoco penso alla nostra famiglia, che neanche stavolta verrà ricompensata. Nella capitale avremmo già ottenuto terre, servitori e uno stemma da portare in battaglia. So queste cose perché parlo spesso con i marinai che arrivano da Akashi. Mi raccontano della saggezza dello shōgun, dei Kōno che hanno l'onore di servirlo, ma anche della flotta invincibile dei Murakami e della loro alleanza con Motonari Mōri. Ho ascoltato molte volte la storia della conquista di Aki: sarebbe bellissimo se anche noi Yamanouchi potessimo portare lo stemma in una battaglia leggendaria. Se potessi, io sceglierei un serpente d'argento, così i ragazzi del villaggio la smetterebbero di prendermi in giro per il mio aspetto. Mica è colpa mia se i miei occhi sono così e poi la malattia non mi ha fatto diventare pazzo, chiunque mi conosce bene lo può confermare.
A che cosa stai pensando, Naotoki?”
Trasalisco. Il Maestro è in piedi davanti a me, illuminato dai raggi del mattino: non riesco a vedere il suo volto, ma so che mi sta sorridendo.
Non so cosa rispondere, stavo pensando a troppe cose. Quando apro bocca, dice: “Continuo io, tu vai a cambiare le fasciature.”
Il Maestro è il monaco che mi ha guarito. Conosce i trattati sulle piante medicinali conservati nella Capitale e anche i rimedi portati dai barbari dai capelli rossi. Io e la mia famiglia gli dobbiamo molto, è per questo che sono rimasto al tempio ad aiutarlo.
Per fortuna sei arrivato!” esclama mio zio Ichirō quando spalanco le porte dell'infermeria. L'aria tiepida d'autunno sembra avermi seguito, perché tutti mi salutano con un sorriso.
Accanto c'è il vecchio Yōhei, che ha ferite alla testa e alle braccia. “Quando arrivi tu l'odore della malattia sparisce! Naotoki, sei proprio uno strano ragazzino,” dice. “Hai mai pensato di rimanere al tempio? Da quel che si sa, il Maestro non ha discepoli.”
Io non ho dubbi quando rispondo: “Sono un guerriero. Come voi e come mio padre!”
Lo zio però non la prende bene. “Hai solo dieci anni, sei un bambino. Hai tanta voglia di portare addosso l'odore della morte, tu che le sei appena scampato?”
Nella stanza ora tutti tacciono. Mi mordo le labbra e abbasso gli occhi, poi inizio con le medicazioni. Quando passo l'aceto sulla ferita di Ichirō, lui grida: “Piano, fa un male cane! Mi stai uccidendo!”
Allora alzo lo sguardo e sussurro:“Visto che ne sono capace?”
Lo zio mi guarda e ride, poi rido anch'io e infine scoppiano a ridere tutti.
Il fūrin tintinna, un refolo di vento stacca altre foglie dai rami. Forse uno spirito maligno aveva provato ad entrare, ma poi se n'è andato.

Iniziò a sentirsi meglio. I brividi erano cessati, tuttavia Shin si sentiva pesantemente intorpidito. Con un grande sforzo aprì gli occhi, trovandosi ad affrontare la luna. Era abbagliante: per sottrarsi alla sua intensità provò a voltarsi, ma non ci riuscì e, quando ebbe richiuso le palpebre, continuò a vedere immagini che non gli appartenevano. Erano belle, non potevano dirsi incubi: la sabbia calda di una spiaggia su cui crescevano le palme, le ceneri di un vulcano che s'innalzavano nel cielo azzurro, le risate di bambini che giocavano nudi con le onde del mare. Un velo di nubi avvolgeva la partenza di uomini che indossavano armature di fanteria. Quando le loro lance furono scomparse all'orizzonte, tutto divenne nebbia fitta. Shin venne colto dall'improvvisa sensazione di cadere nel vuoto, ma una mano strinse con forza la sua e il panico svanì, dissolvendosi nel mare.

L'acqua mi avvolge in un abbraccio freddo e liberatorio. Con determinazione scendo sempre più in basso finché le mani riescono ad afferrare le alghe che ricoprono il fondale. Le osservo mentre ondeggiano lentamente, mi lascio ipnotizzare dal ritmo scandito dalla corrente. Non ho intenzione di risalire, quaggiù sto bene. L'apnea soffoca i pensieri che mi tormentano, l'acqua salata sostituisce le lacrime che i miei occhi non versano.
Ichirō è morto. È morto anche suo figlio, che ha cercato di difenderlo. Ciò che ho fatto finora è stato inutile, curare le persone non basta per proteggerle. Lascio la presa, risalgo seguendo i raggi del sole. Quando riemergo in superficie, l'aria mi prende alla sprovvista e fatico a ritrovare il ritmo del mio stesso respiro.
In lontananza il Monte Sakura mi osserva impassibile. Io sto ansimando, la mia famiglia vive nell'angoscia, ma dal suo cratere non escono né fumo né cenere. Sarebbe bello se potessi diventare come lui. Sarebbe bello se potessi diventare un samurai.
Torno a riva, mi rivesto senza asciugarmi e corro verso casa. La si riconosce subito, è la più grande in mezzo alle case dei pescatori. Cerco mio padre per comunicargli il mio proposito, ma è riunito con i parenti. Se fossi solo un po' più grande potrei discutere con loro, ma ho tredici anni e sono considerato ancora un bambino. Sospiro, appoggio la schiena su un pilastro di legno e lascio che il sole mi riscaldi.
Le voci degli uomini mi raggiungono accavallandosi l'una sull'altra, come se fossero onde mosse da venti di rabbia e frustrazione.
La prossima volta che attaccheranno Mōri toccherà a noi.”
È questa la ricompensa che abbiamo nel servire gli Shimazu? Morire come cani, senza che nessuno riconosca il valore di una famiglia di guerrieri?”
Possiamo combattere a pagamento, che differenza fa a questo punto?”
Gli Utsunomiya hanno attaccato Iyo e sanno che Mōri non starà a guardare. Stanno arruolando mercenari per la flotta.”
È una buona idea. Non tradiremmo gli Shimazu e avremmo possibilità di vittoria. Sembra che i Murakami stavolta non si schiereranno, la flotta di Mōri sarà dimezzata.”
No! Abbiamo appena combattuto a caro prezzo, non possiamo permetterci di partire di nuovo. Ora dobbiamo occuparci anche delle figlie di Ichirō. Lui non avrebbe voluto che abbandonassimo la famiglia in questo momento.”
Quest'ultima è la voce di Jirō, mio padre. Le sue parole restano nella mia testa, continuano a ripetersi per tutta la sera e, quando scende la notte, non mi lasciano dormire. A pensarci bene, anche se volessi farlo, non ci riuscirei: in troppi sotto questo tetto stanno piangendo. Si dice che io so far stare bene le persone, ma non è vero, o almeno non lo è del tutto. Stasera, ad esempio, non posso fare nulla. Non mi posso nemmeno muovere, perché le mie sorelline si sono aggrappate ai miei vestiti. Non mi resta che guardare la luna di settembre che spunta dal promontorio e rischiara la stanza. È proprio bella. I miei pensieri tornano nella Capitale, dove c'è chi la contempla declamando poesie. Che volto avrà lo shōgun? Anch'egli starà osservando la luna dal porticato del suo palazzo?
Il respiro delle bambine si è fatto profondo, finalmente si sono addormentate. Facendo attenzione a non svegliarle, mi alzo e vado a cercare una spada. So dove è riposta quella di mio padre.
La trovo in mezzo alle lance e agli attrezzi da pesca. Con cautela la sfodero, ne osservo la lama. Non è lucente come quelle delle spade dei samurai. Il fodero è semplice, così come l'impugnatura.
Che cosa stai facendo?” chiede mio padre.
Non mi sorprendo di saperlo alzato, né mi sorprendo della disapprovazione che sento nella sua voce. Rinfodero la lama, allo scatto lascio seguire un lungo silenzio, poi rispondo: “Ho tredici anni, voglio andare a combattere.”
Lui si avvicina e afferma: “Non è ancora il tempo.”
Sei stato tu ad istruirmi nell'uso della spada.”
Non ti ho istruito a rubarla!”
Uno schiaffo raggiunge la mia guancia e mi fa barcollare all'indietro.“Io voglio andare a combattere,” insisto stringendo i pugni.
Mio padre ordina:“Dammi la spada.” Sarà a causa del buio, ma i suoi occhi sono lucidi e non riesco a capire che cosa stia pensando.“Dammela,” ripete. “Il buddha ti ha riportato indietro tre anni fa, non posso permettere che tu vada incontro alla morte ora. Sei troppo giovane, Naotoki.”
Non posso fare altro che restituire la spada, ma non appena le mani di mio padre la serrano in pugno, io inizio ad arretrare verso l'uscita. Raccolgo tutta la mia determinazione e affermo: “Tornerò con una spada da samurai e vestirò un'armatura!”
Inizio a correre verso il porto mentre intorno tutto è silenzio. Il mare, denso e immobile, sembra una macchia d'inchiostro che si spande su quello che avrebbe dovuto essere uno splendido dipinto. Mi accompagnano il battito impazzito del cuore e il respiro in affanno. Perché provo questa sensazione? Non sto scappando, sto correndo incontro alla battaglia!

Un sussulto risvegliò Naotoki. Dal volto di Suiko scendevano delle lacrime. Ne raccolse una e la lasciò scivolare fino sul palmo della mano, dove si trasformò in una perla. “Non ho proprio mai capito niente, delle armature.

Indosso delle protezioni malandate e sono rannicchiato dietro gli scudi pesanti sorretti dai miei compagni. Non sono armati meglio di me né sembrano particolarmente forti, ma forse è un bene, perché stando in mezzo ai deboli avrò la possibilità di mettermi in luce.
Una nube passa sopra le nostre teste, d'istinto guardo il cielo. Presto verrà attraversato dalle frecce, sento già tendersi le corde degli archi. Controllo un'ultima volta la spada che mi accompagnerà nell'assalto.
L'ordine lanciato dal comandante scivola sul mare appena mosso. Resto al mio posto mentre le frecce sibilano tutt'intorno, intercalate dagli spari degli archibugi. Tutto sembra procedere per il meglio, quando un grido lascia tutti sgomenti.
Dalle isole vicine spuntano vele bianche che portano lo stemma dei Murakami. Si muovono più velocemente delle nubi scure che avanzano dalla terraferma. Con esse sento arrivare la paura. Io non ho paura, ma sento il suo odore e la sua voce provenire da chi ho intorno.
Non mi posso tirare indietro. Devo diventare un vero guerriero e scrollare il sangue dell'avversario da questa spada. Al momento dell'abbordaggio scatto in avanti cercando il nemico. Punto un ragazzo che impugna una lancia. Ha i capelli castani stretti da un hachimaki e occhi attraversati da riflessi verdi. Assumo la posizione di guardia, pronto ad attaccare, ma sento che qualcosa non va: quel ragazzo sta piangendo.
Stupido, vuoi morire? Sei un guerriero o no?” chiedo puntandogli la spada alla gola, ma lui non risponde.
Un'esplosione mi fa perdere l'equilibrio, sento le urla degli uomini che si stanno buttando in mare. Mi guardo intorno per cercare quel ragazzo, ma lui non c'è più. Il ponte è una mischia su cui si abbattono colpi d'archibugio. Un soldato estrae la spada dal corpo di un mio compagno e viene verso di me. Le nostre lame si toccano, paro più volte i suoi assalti finché non commette l'errore di scoprirsi. Carico l'affondo finale ma, proprio quando sono certo della vittoria, una lama mi trafigge il fianco. D'istinto cerco chi mi ha colpito, ma ormai è andato avanti così come il mio avversario. Appoggio la mano sulla ferita. Gronda sangue caldo, il mio sangue: è una ferita mortale, non esiste modo di curare una cosa del genere.
Intorno, il mondo si muove freneticamente e mi ignora come se avessi già smesso di esistere. Sto per svenire, riesco a reggermi alla poppa. Il sole è stato quasi ingoiato dalle nubi, ma i suoi raggi sono ancora forti e imprimono una scia argentea sulla superficie del mare.“Un serpente...” rantolo tendendo la mano. Un'onda solleva la nave, facendomi precipitare proprio in quella strada abbagliante. Il sale tocca la ferita, il dolore mi fa perdere definitivamente i sensi e i flutti iniziano a cullare il mio corpo inerte.

Il mio risveglio è accompagnato da una forte sensazione di sete. Si è fatto buio, non riesco a capire quanto tempo sia trascorso. Mi chiedo se io abbia raggiunto il paradiso ma, a ben guardare, il cielo coperto da pesanti nubi non sembra affatto paradisiaco. Lo attraversano continui lampi, che scolpiscono i contorni taglienti delle rocce che mi circondano. Il mare è in burrasca.
Tocco il fianco, sento che la ferita è ancora aperta. Con uno sforzo mi alzo su un gomito e osservo la carne lacerata, come se non appartenesse mio corpo. Qualcosa rende il suo colore vivo, sebbene intorno sia buio. Sembra che il chiarore si origini dalla mia fronte, com'è possibile? Provo a sfiorarla, ma non sento nulla.
Inizia a piovere. Apro la bocca nel tentativo di dare sollievo alla gola riarsa, ma nel contempo avverto l'avanzare delle onde. Se non faccio qualcosa, il mare mi riprenderà via per sempre. Inizio a risalire lungo la spiaggia, a fatica, strisciando: le gambe non rispondono e le gocce di pioggia sembrano volermi inchiodare ai sassi. Ma proprio quando inizia ad assalirmi lo sconforto, tra i sibili di vento percepisco un tintinnio provenire dalle chiome dei pini. Continuo ad arrancare sulle braccia finché il bagliore dei fulmini mi rivela la sagoma di un tempio. Dev'essere abbastanza vecchio: il legno è scuro, il tetto non sembra in buone condizioni. Mi rialzo appoggiandomi al tronco contorto di un albero e, lottando con le fitte di dolore, decido di entrare.
L'interno odora d'incenso. Sull'altare di recente sono state poste delle offerte. Mi avvicino all'acqua e la bevo avidamente sotto gli occhi di Yakushi, poi mi accascio sul pavimento.
La tempesta che si sta scatenando fuori non accenna a placarsi. Le pareti tremano, il tetto sembra doversi scoperchiare da un momento all'altro.
Sei stato tu a salvarmi, vero?” chiedo al buddha, ma mentre cerco la risposta nel suo volto, la violenza di un fulmine lacera ogni cosa.
La testa di Yakushi rotola ai miei piedi; io urlo in preda all'orrore, circondato dalle fiamme che divampano e combattono ferocemente con la pioggia. Una sagoma emerge dalla statua spezzata, come se quest'ultima non fosse stata altro che un involucro.
Si tratta di un'armatura imponente, non ne ho mai viste di simili. È di colore verde brillante, reca una decorazione rossa sull'elmo e possiede ben sei spade: quelle che si incrociano sulla schiena hanno impugnature dorate che terminano in teste di serpente.
Forse chi diceva che ero pazzo aveva ragione, perché nella mia testa ora ci sono rintocchi assordanti che si alternano al suono di tamburi. L'incendio si trasforma in una tempesta di foglie d'acero, i rivoli d'acqua diventano decorazioni per preziosi rotoli di seta. Parte dopo parte, l'armatura si salda al mio corpo.

Riprendo conoscenza al mattino. I miei abiti sono ridotti a brandelli e sono sporchi di sangue, ma sul mio corpo non c'è traccia di ferite.
Tra le dita stringo una sfera bianca. Sulla sua superficie luccica un ideogramma che so leggere: è Tei, l'Obbedienza alla famiglia.

Fu in un azzurro vacuo che Shin si risvegliò, immensamente stanco ed afflitto. Stavolta riuscì ad alzarsi, scoprendo che le dita della sua mano erano intrecciate a quelle di un'altra persona, a loro volta avvolte da un rosario fatto di perle. “Nāza... No, si chiamava Naotoki.” Sembrava che il Generale Demone dormisse: il respiro era appena percettibile e l'ideogramma della virtù gli risplendeva quietamente sulla fronte.
Vivere quel passato gli aveva appesantito il cuore. Era come se il sangue della battaglia gli si fosse rimasto appiccicato addosso. Provò a districarsi, ci riuscì, ma rosario rimase impigliato tra le sue dita.
Cercò la testa del buddha guaritore, non si sorprese quando al suo posto trovò un elmo spezzato. I colori erano sbiaditi, come se fosse rimasto per anni in balia del sole e del mare. Shin lo raccolse.
Perché mai si dovrebbe riforgiare un simile strumento di tristezza?





NOTE

L'ideogramma “Tei” può essere tradotto come “obbedienza agli anziani” ma indica in senso più generale l'armonia familiare e l'amore fraterno.
Il Monte Sakura è il vulcano che sorge di fronte alla città di Kagoshima. È piuttosto attivo e fonte di eruzioni spettacolari che rilasciano sulla città grandi quantità di cenere.
La situazione del Mare Interno nel periodo Muromachi era piuttosto complicata e, da quel (poco) che ne so perfino gli storici faticano a ricostruire le alleanze tra i daimyō nelle battaglie, grandi e piccole, che avvenivano su quelle coste. Incastrare le date con la biografia di Naotoki fornita nelle schede dei libri (sempre “Daijiten” e “Memorials Gekan”) è stato impossibile e così ho finito per gestire il tutto con fantasia.
L'armatura chiamata Yakushi è ispirata all'iconografia buddista del Sud-est asiatico. Laggiù si racconta che quando il buddha stava meditando per raggiungere l'illuminazione fu raggiunto da una forte tempesta, ma che una divinità serpente (nāga) di nome Mucalinda lo protesse. Mucalinda viene raffigurato appunto come un cobra a sei teste alle spalle del buddha.


 
  
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