Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: ryuzaki eru    08/11/2013    19 recensioni
(Nel cap. 1 scheda in stile "Death Note 13 How to read")
Un lento crescere di strani ed apparentemente trascurabili eventi. Una ragazza comune, preda di una situazione incomprensibile. L’apparente iniziale assenza di tutto ciò che riguarda il mondo di Death Note, così come voi lo conoscete. Ma tutto quell’incredibile mondo c’è! Kira, Tokyo, il quaderno. Ed Elle arriverà… Perché volevo continuare a vederlo parlare, muoversi, ragionare.
Elle era in piedi sul marciapiede e con gli occhi spenti la osservava, mentre strusciava svogliatamente il dorso del piede su un polpaccio...
«Ciao, Ryuzaki…» tentennò Emma «Allora…sai dove vivo… Ed io non te l’ho mai detto! Quindi…»
«Quindi?» le chiese lui vagamente irriverente.
«Quindi immagino tu sappia altro... Il punto è da quanto tempo sai!»
Elle smise di grattarsi il polpaccio e portò il piede a terra «No. Il punto è che da ora la smetterai di giocare da sola a questa partita.» la gelò.
La voce le arrivò dritta alla testa, come una tagliola affilata.
Il suo sguardo impassibile e freddo la trapassò.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Another world'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Alcuni dei personaggi che appariranno non mi appartengono, ma sono proprietà di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

47

47. Un lontanissimo 12 ottobre

 

A volte capita di ascoltare per caso le conversazioni che gli altri fanno accanto a voi. Magari momentaneamente vi divertite anche a carpire storie o intrighi di vite sconosciute. Se invece la conversazione verte su argomenti di attualità, può incuriosire l’idea di conoscere l’opinione della gente. Perché gli altri, quando se ne ignora l’identità, diventano automaticamente la "gente".

Alcuni cominciano anche ad immaginare la vita di quella gente, oltre le parole di quel momento.

Poi arriva l’autobus o si paga il conto o arriva il vostro turno della fila in banca e quei discorsi svaniscono nel nulla, come anche la vostra curiosità.

Se si potesse scegliere un discorso da ascoltare tra quelli di gente comune, non quelli a porte chiuse sui segreti di stato, quale sceglieremmo? Quale quello potenzialmente più invitante? Diciamo di non voler invadere eccessivamente la privacy, quindi non ci metteremo a tavola con nessuno. Anche perché sarebbe fin troppo facile. Diciamo che si debba scegliere tra le persone che camminano in strada.

Prima si dovrebbe scegliere un luogo, poi una zona specifica e quindi concentrarsi dove si vede più gente.

Roma. Magari il centro di Roma, in mezzo alla settimana, perché nel week-end ci sono tante persone che passeggiano in compagnia, ma spesso si fermano semplicemente a guardare le vetrine, poi entrano, fanno i loro acquisti… niente da sentire.

Quanti sono al telefono… Quello lì col giubbino grigio mantiene un tono di voce alto, urla senza essere arrabbiato. È di quelli che vogliono far sentire gli affari propri agli altri. Chissà cosa faranno mai poi… Non è interessante.

I due in giacca e cravatta davanti al bar? No, parleranno sicuramente di problemi al lavoro. Noiosissimo.

I due ragazzini in tuta… forse forse… no, sono ancora troppo piccoli, ci sono le mamme davanti.

Oh! Ecco... Trovato... Laggiù, dall'ingresso della biblioteca, stanno uscendo due ragazzi abbondantemente sopra i vent'anni.

Uhm… ridono… E dopo una giornata in biblioteca cosa si può fare se non ridere? Jeans, scarpe da ginnastica, zaino e borsa. Ci saranno i computer dentro. Un ragazzo e una ragazza. Non hanno l’aria della coppietta. Avranno una conversazione eterogenea, non prettamente femminile, né esclusivamente maschile… Forse ho trovato ciò che cercavo…

 

«… Il problema è che non ne posso più di questo pc. Alla fine bisogna formattarlo troppo spesso... Io non ho voglia di imparare a farlo e quindi ogni volta devo portarlo al centro di assistenza. Se non fosse che dovrei ricominciare da capo e dimenticare quelle quattro cose che so, inizierei a pensare che forse, in cambio di un rene, potrei comprarmi un portatile Apple.» disse la ragazza, sistemandosi meglio la lunga tracolla.

«Eh… Emma, ci ho pensato spesso anche io… In biblioteca ci sono parecchi che ce l’hanno e devo ammettere che li guardo con invidia…» commentò sospirando il ragazzo, mentre insieme si avvicinavano alla fermata dell’autobus.

«Be’, oddio, invidia no… Però mi piacerebbe averne uno… Ma tu sei abbastanza esteta dal volerlo anche solo perché è molto bello… Mi sbaglio, Pietro?» insinuò ironicamente Emma, con un sorriso stanco sulle labbra.

«Sì, in effetti sono abbastanza fissato dal farmelo piacere solo per quello…» borbottò pensieroso Pietro.

Emma rise di quell’atteggiamento sincero «…Che poi, a quest’ora e con una giornata del genere sulle spalle… Accidenti, l’autobus!!» iniziò all’improvviso a correre verso la fermata «Ci vediamo domani qui, alla solita ora?» gli gridò correndo «Scusa, ma se non prendo questo ci farò mattina ad aspettare il prossimo!!»

Pietro alzò il braccio per salutarla bonariamente e annuì per risposta, senza minimamente stupirsi. E così Emma salì sull’ autobus trafelata e poi, da dietro i vetri delle porte, si sbracciò per salutarlo ancora mentre l’autobus si allontanava.

Con calma si avvicinò ad uno dei posti liberi a sedere e si accasciò sul sedile, srotolò le cuffiette del suo mp3 e allontanò dalla mente tutto ciò che l’aveva accompagnata in quella giornata di lavoro, incantandosi a guardare attraverso il finestrino le luci di quel tardo pomeriggio della metà di ottobre.

E iniziò a pensare ad altro…

Una bella doccia… Cosa c’è in frigo? Ah sì… Poi telefono a Viola… Chissà se hanno caricato on-line la seconda puntata subbata di Death Note… Chissà in quale puntata lo faranno comparire… Chissà che voce gli avranno dato… Forse Misao ha finito col convegno e magari già può darmi l’anteprima… Saranno stati fedeli al manga…? Magari non lo fossero stati! Magari non lo facessero morire!

 

 

***

 

 

Ed è proprio a questo punto che iniziai a pensare che forse potevo divertirmi…

Eh eh eh

Cos’era questo?

Questo era semplicemente l’incipit di una storia qualunque, che aveva il suo principio in un banale giovedì 12 ottobre. Questo era l’inizio di qualcosa che avrei raccontato, come avevo sempre fatto, osservando i fatti e narrandoli poi.

Quel giorno, come sempre, avevo quindi deciso di osservare il vostro mondo alla ricerca di una storia comune da seguire, che fosse abbastanza decente o che avesse comunque il potenziale di esserlo.

E naturalmente non c’erano limiti a ciò che avrei potuto osservare. Vi ricordo che posso viaggiare in tutte le dimensioni esistenti. Posso raggiungere tutti i mondi possibili. Posso guardarli dal vivo e vi assicuro che sono tutti reali, tutti veri, tutti tangibili. Posso andare nel passato. Posso leggere nelle menti di ogni essere umano e posso coglierne l’immaginazione, le fantasie e i sogni.

Se l’essere umano a cui ho deciso di dedicarmi ha una vita sufficientemente interessante già nel vostro mondo, mi limito a seguire quella e il racconto che ne esce una volta terminato di osservare è una storia realistica, di attualità, in genere socialmente “impegnata” e magari anche di un certo spessore culturale.

Se invece nella vita “vera” di quell’essere umano non trovo nulla di interessante, mi faccio un giretto nella sua testa alla ricerca di una qualche fantasia intrigante o magari solo di uno spunto. E a partire da quello, posso individuare la dimensione di quel suo sogno o di quel suo desiderio e quindi mi sposto in essa, vedo cosa vi accade, la seguo e poi la racconto. E in questo caso la storia che ne viene fuori può rivelare una vasta gamma di generi e approcci, del tutto imprevedibili: dal sovrannaturale alla favola, dal romantico all’azione, dal drammatico all’onirico, e così via…

Non so fare altro che questo.

Non faccio altro da millenni.

E tutti voi mi conoscete benissimo. Tutti voi avete avuto a che fare con me centinaia di volte, se non migliaia, a seconda della vostra età e della diversa voracità nella lettura.

A volte mi avrete scorto appena, nascosto dietro un protagonista che narrava in prima persona tutta la vicenda, e la mia voce si sarà confusa con la sua; in alcuni casi invece mi avrete individuato come una voce fuori campo ben distinta dalla storia che stavate leggendo, una voce che alla fine avrete magari scoperto essere appartenente ad uno dei personaggi di sfondo che mai avreste pensato si sarebbe preso la briga di raccontare tutto; altre volte ancora mi avrete appena percepito dietro le righe della narrazione onnisciente del libro che stavate leggendo, nel quale non era importante l’identità di colui che raccontava, né aveva valore il fatto stesso che esistesse un’identità del narratore.

Il Narratore.

Qualcuno mi ha chiamato Cantastorie, qualcun altro Trovatore, altri ancora mi hanno appellato come Bardo o, ancora più indietro nel tempo, sono stato chiamato Aedo.

Qualunque di questi nomi preferiate o qualunque altro ne troviate, io rimango sempre lo stesso.

Io sono Colui che racconta.

Perché sono Colui che Vede, anche oltre.

Lo sapevate che l’antico termine greco “Aedo” deriva dal verbo “aeidéin”, che in quella lingua sepolta significa “cantare” nel senso di “narrare”?

“Cantami”, o Diva, del Pelìde Achille

l'ira funesta, che infiniti lutti

addusse agli Achei… eccetera eccetera

Lo sapevate che proprio questo verbo “aeidéin”, che significa “cantare - narrare”, fu generato, linguisticamente parlando, dalla forma passata del verbo “vedere”, cioè “avere visto”? E lo sapevate che, nella stessa lingua, questa forma passata del verbo vedere si traduce semplicemente nel verbo “sapere”?

“Avere visto”, quindi “sapere”, quindi “raccontare”…

Be’, barbose ed elementari nozioni storico-linguistiche a parte, io non faccio altro che questo: ho visto, quindi so, quindi racconto.

L’ho sempre fatto, fin dalla notte dei tempi.

Ho Visto le vicende di leggende e miti. Le ho viste nelle menti delle popolazioni che le avevano create per giustificare eventi più grandi di loro, da quelle menti mi sono spostato e quindi ho Visto e assistito a quegli avvenimenti da vicino, nella dimensione in cui quelle fantasie sono reali, vere. E le ho raccontate.

E ogni volta Vedevo migliaia di mondi diversi, in cui accadevano le cose più normali e quelle più incredibili.

Il mio Vedere è diverso dal vostro. Io Vedo oltre. Non a caso l’antica figura dell’Aedo è cieca, cieca secondo i vostri standard di occhi e vista, ma in grado di Vedere oltre e di tradurre in modo comprensibile al mondo ciò che solo lui può osservare.

Il Narratore dunque può Vedere le centinaia di miliardi di dimensioni parallele esistenti.

Come ho già detto, ogni sogno, desiderio o immagine della mente umana dà vita a una dimensione parallela reale, che voi non riuscite a toccare fisicamente, ma che potete al massimo conoscere. Potete però conoscere solo una piccola parte di tutti i mondi esistenti, solo quella minima percentuale che il Narratore ha ritenuto sufficientemente valida da essere raccontata. E quindi voi, sotto la guida di Colui che racconta, potete scorgere solo quella manciata di dimensioni che si sono tramutate in storie, sottoforma di libri, fumetti, film, quadri o quant’altro…

Quindi io chi sono?

Come vi ho detto ormai altre volte, non sono nulla di più di ciò che sembro: sono il Narratore. Punto.

Siete delusi?

Vi aspettavate qualche rocambolesca soluzione fantascientifica?

Magari si sarebbe potuto scoprire che ero un vampiro alieno con poteri psichici e con la pelle violacea, un vampiro che voleva sfruttare il potenziale di Elle per i suoi comodi e, perché no, che voleva il sangue della povera Emma per rinascere a nuova vita e diventare più potente (perché il sangue di un essere umano che ha viaggiato in un’altra dimensione è indubbiamente più magico di qualunque altro…). Sì, sì, magari vi aspettavate una cosa del genere…

Eh eh eh!

Ma insomma, vi ho imbottito la testa con questa storia delle dimensioni parallele, dei libri, del leggere, del viaggiare attraverso la lettura… Non è che forse avreste dovuto aspettarvi una risposta del genere?

Se qualcosa non vi quadra, tornate pure indietro, andate a rileggere se volete: vi accorgerete che non vi ho mai detto nulla di diverso e, se per caso sono stato un po’ misterioso e ambiguo a riguardo, be’, ormai mi conoscete e dovreste sapere che mi piace prendermi un po’ gioco di voi e delle vostre prodigiose fantasie, che peraltro sono il mio pane quotidiano e non si può mai sapere dove possano portare… Hai visto mai che mi venga voglia di infilarmi nella vostra testa, di sbirciare un po’ meglio una qualche vostra bella storiella mentale, che non decida di spostarmi nel mondo in cui quella esiste e che non opti di Vedermela per bene e raccontarla a tutti…?

Eh eh eh

Tuttavia, tra tutto ciò che ho detto, non sarei onesto se cercassi di non porre l’accento su un’ovvia conclusione, che tuttavia potrebbe passare sottogamba: siete voi che siete capaci di Creare tali dimensioni grazie alla vostra mente, soltanto voi.

E questo vostro potere è veramente immenso…

Smisuratamente superiore al mio.

Be’, in quel giovedì 12 ottobre del 2006, mentre Emma usciva dalla biblioteca, io stavo cercando un protagonista in mezzo alla folla. Ero un po’ annoiato. Capirete bene che dopo una vita passata a Vedere e raccontare si possa anche esserlo.

Comunque, non avevo voglia di storie pesanti di vita vissuta né di fiabe per bambini. Quindi la mia attenzione era rivolta a soggetti che spaziavano dall’età adolescente a quella medio-adulta. Così, mi ritrovai a dare un’occhiata alla vostra Emma e, guarda un po’, vidi che nei suoi pensieri aveva largo spazio un controverso personaggio dei fumetti: il vostro adorato detective del secolo. Così, andai a dare un’occhiata veloce al mondo di lui, quello di Death Note, tanto per rinfrescarmi la memoria in merito. Poi tornai indietro, al mondo di Emma e cioè al vostro, e sbirciai se tra le fantasie della ragazza c’era qualcosa di interessante a riguardo. E scovai vaghe immagini di se stessa nell’auto di Elle o alla Wammy’s House e altre labili fantasticherie di questo tipo… Insomma, la sua immaginazione ancora infantile e viva le aveva permesso di “viaggiare” e di “avvicinarsi” a lui in qualche modo, ma la sua razionalità, la sua logica e la sua vita adulta iper impegnata le avevano impedito di creare rocambolesche e inverosimili storie e quindi il tutto si riduceva a vaghe immagini sbiadite, anche piuttosto scontate, come è naturale che avvenga in questi casi. I sogni spesso sono banali, sono clichè. Motivo per cui sono molti quelli che non li esternano, quelli che non vogliono sembrare “stupidi” nell’avere sogni del genere. Come se la mancanza di originalità fosse necessariamente sinonimo di stupidità o inferiorità… bah…

Emma però sarebbe potuta diventare un “personaggio” valido… Aveva ottime potenzialità!

Insomma, in termini narrativi, sarebbe stato uno spreco lasciarla andare!

E fu a quel punto che qualcosa stuzzicò la mia curiosità…

Emma sembrava intelligente, accurata, attenta e nello stesso tempo bambina.

E così decisi di fare una cosa che non avrei dovuto fare, discostandomi sensibilmente dalla consueta attività del Narratore.

Anche io volli provare l’ebbrezza di Creare qualcosa, anche se a modo mio e senza quell’immenso potere di cui siete dotati voi.

Stufo di osservare le dimensioni delle vostre fantasie, mi dissi: e se io,  invece di limitarmi a sbirciare le vicende della dimensione scaturita dalla “banale” immaginazione di Emma, adesso prendessi proprio lei, proprio Emma, quella del vostro mondo, e la scaraventassi dall’altra parte, cioè nella dimensione di Death Note? Insomma, se inserissi un intruso “vero”?

E quindi mi decisi: presi la Emma “reale”, quella che aveva letto il manga Death Note, e la piazzai in quella dimensione che lei aveva tanto amato. Per farlo mi dovetti andare a cercare il mondo dell’anime, che era posticipato rispetto al fumetto e correva, cronologicamente parlando, parallelo alla vita reale di Emma, cioè il 2006. Se non avessi fatto questo, la poverina si sarebbe trovata all’improvviso tre anni indietro e state certi che lo scoprire di essere nel 2003 anziché nel 2006 l’avrebbe mandata al manicomio molto più di quanto l’abbia fatto il rendersi conto che la Apple aveva ormai un altro nome…

E comunque, così facendo, Creai una terza dimensione, l’ibrido di cui tante volte vi ho parlato: lo stesso arrivo di Emma in quel mondo infatti cambiò istantaneamente le carte in tavola, presuppose l’esistenza di molte altre cose che nella dimensione originaria di Death Note non erano state descritte, ma che avrebbero potuto tranquillamente esserci, come ad esempio la città di Roma, la famiglia di Emma, i suoi amici e in generale tutto ciò che faceva parte di lei. Solo che questo “tutto”, essendo nato lì, apparteneva a quel mondo e seguiva naturalmente le sue regole e le sue realtà contingenti, come He, la I bite e quant’altro. Regole che invece Emma, estranea, non poteva conoscere.

Insomma, per una volta e per gioco, sono stato io e non voi a favorire la nascita di una dimensione alternativa che, una volta Creata, ha proseguito a vivere autonomamente. Si trattava di una dimensione che aveva un’intrusa, della dimensione ibrida “Emma - anime di Death Note”, come credo di avervela appellata svariate volte ormai.

Quanto alla storia originale, essa resta lì dov’è e non è cambiata di una virgola naturalmente, perché appartiene ad una dimensione già scritta, che non può essere toccata, ma solo conosciuta, quindi state tranquilli: lì Elle è morto e sepolto, come Light Yagami del resto.

E la Emma del vostro mondo? È sparita? Se io l’ho presa e portata da un’altra parte lei deve essere per forza sparita dalla sua dimensione, giusto?

No, lei è ancora lì, ignara, perché sono stato molto attento e ho agito con cognizione di causa.

Dopo aver deciso quello che volevo fare, in quel giovedì 12 ottobre, tornai indietro nel tempo di un paio di settimane. È superfluo ribadire che anche il passato sia una dimensione in cui posso tranquillamente spaziare e che posso liberamente osservare come fosse il presente. Anche il passato è un mondo parallelo che, come tutti gli altri, segue un suo percorso: a ogni azione corrisponde una reazione, punto. All’interno di una stessa dimensione nulla può modificare il presente scaturito da quel preciso passato, che dunque è immobile e non modificabile. Si può intervenire e cambiare ciò che è già avvenuto solo ed esclusivamente creando un’altra dimensione. Vi farò un esempio: nel vostro mondo, il soggetto X si trova a dover scegliere tra l’opzione a o b e tra queste predilige la a; gli effetti di questa decisione si sviluppano e il soggetto X ha un determinato presente a, un corso della vita dettato da questa univoca scelta passata. Non c’è modo di cambiare le cose: la dimensione del soggetto X comprende la scelta a, egli avrà un presente a. Si può però creare la dimensione parallela alternativa, attraverso la fantasia: il soggetto X effettua la scelta b che fa scaturire un’altra dimensione, la b, in cui le cose andranno diversamente. Ci sono quindi due dimensioni del presente: quella determinata dalla scelta a e quella determinata dall’opzione b, ma nessuna delle due è inficiata da ciò che succede nell’altra, perché ognuna è a sé a partire dal momento della scelta tra a e b, che è dunque un bivio da cui si biforcano due strade distinte che non si toccheranno mai. Il nostro caso è leggermente diverso, ma segue le stesse dinamiche: il soggetto X naturalmente è Emma, solo che non è stata lei ad immaginare una sua possibile scelta diversa, ma sono stato io a creare il bivio. Come dicevo, sono tornato indietro di un paio di settimane in quella stessa dimensione e ho preso quella Emma lì, quella del passato, e l’ho portata da un’altra parte, creando da quel momento in poi la biforcazione. In questo modo, il suo presente a, quello “reale”, è rimasto intatto e la Emma che vi vive non si è proprio spostata.

Quindi ho buttato la Emma di due settimane prima nella dimensione dell’anime Death Note, causando la nascita del mondo b.

L’incipit di questa storia, quello che avete letto all’inizio di tutto, quel giovedì 12 ottobre, era dunque il presente b, quello della dimensione ibrida da me creata e quello che si è poi evoluto in questa storia. La pagina che avete letto qualche riga sopra è invece l’incipit della storia mai raccontata del presente a, quello della vostra dimensione, in cui la Apple è rimasta la Apple.

Io ho iniziato a narrarvi tutto solo a partire proprio da quel giorno di ottobre perché a partire da quel momento lei ha iniziato a dare molto più peso a ciò che le stava accadendo e perché a partire da allora è iniziata la prima ed unica storia che io abbia contribuito a Creare. Così ho deciso di raccontarla per gradi, di godermela, di vivere la suspance e l’incognita del comportamento di una persona catapultata veramente in un altro mondo.

Ho deciso di raccontarla ignorando il futuro e l’epilogo della vicenda stessa che stavo osservando.

È stato un esperimento.

Come ho fatto a raccontare le cose giuste al momento giusto? Com’è possibile che un semplice spettatore in tempo reale - perché in fondo quello sono stato - sapesse riconoscere gli avvenimenti giusti da narrare se neanche lui era a conoscenza della fine?

Ma io posso leggere nelle menti e carpire quindi verità molto più corrette.

Ma, soprattutto, io sono il Narratore, ho un’esperienza millenaria. Volete che non sia in grado di rendermi conto di cosa potrà essere importante e di cosa non lo sarà? Volete che non sappia riconoscere gli eventi determinanti al primo sguardo?

Su su, basta con le spiegazioni contorte, che vi fornisco solo perché voi, come amanti di Death Note, do per scontato siate avvezzi ai ragionamenti cervellotici.

Se non avete capito, pazienza, posso accettarlo: in fondo siete solo esseri umani…

Comunque, dove ero rimasto?

Ah sì, Elle si strofinava svogliatamente un polpaccio con il piede e, con le dita ancora unticce del burro dei biscotti che aveva spazzolato, stava dicendo ad Emma che in fondo la questione della dimensione parallela non poteva essere più di tanto sviscerata e che quindi era inutile ragionarci troppo sopra, senza contare che aveva incredibilmente intuito come il tutto fosse scaturito dalla mia noia… Eh eh eh

 

Emma rimase zitta qualche secondo di fronte alle spiegazioni e alla tranquillità con cui Ryuzaki parlava di ciò che le era capitato e poi gli disse «…Sì, naturalmente ha senso… Però mi riesce difficile essere serafica quanto te… Suppongo che per parecchio tempo ancora le domande senza risposta mi assilleranno più del dovuto…  Però, sì… ho ripreso a sognare perché ormai sono infognata con tutta me stessa in questa dimensione… E non c’è pericolo che io possa tornare nell’altra… Ma se quel Qualcuno che ha voluto giocare decidesse di farlo di nuovo?» gli chiese ancora un po’ preoccupata.

«Uhm…» mugugnò Elle smettendo di grattarsi il polpaccio «Sì, è una remota possibilità, ma si tratterebbe comunque di un’altra interferenza: il nostro sconosciuto e annoiato Qualcuno, ammesso che esista, dovrebbe creare un’altra dimensione ancora e ho la sensazione che non ne abbia voglia… E comunque, a questo punto, tanto vale chiedersi anche se domani ti cadrà una tegola in testa.»

A Emma venne da ridere.

Ryuzaki aveva un potere: riusciva a smontare le sue ansie e i suoi dubbi in modo così semplice che lei non se ne rendeva nemmeno conto; la logica di Elle e soprattutto la sua tranquillità disincantata erano tremendamente contagiose, perlomeno su alcune questioni. Stare vicina a lui era molto difficile e poteva essere irritante ed estenuante, ma nello stesso tempo era fonte di una certa serenità, perché la sicurezza del prossimo, se questo prossimo è vicino e se si è recettivi, può rendere tranquilli: una persona oggettivamente in grado di calmare, di tranquillizzare e di smontare le ansie inconcludenti altrui, senza sforzo o magari solo in virtù della natura di un solido carattere senza paure o velleità, può diventare un porto sicuro e ambito per molti.

E così, con poche parole e in tutta calma, Elle aveva liquidato la questione che aveva ossessionato Emma per più di un anno.

E fu così che Elle aiutò Emma, anche se diversamente da come lei aveva sempre sperato e immaginato. Infatti, al di là del caso Kira e dell’intento di salvare il detective, la ragazza aveva sempre saputo che solo lui sarebbe potuto venire a capo della questione che l’aveva interessata. E se anche quel suo venirne a capo era stato diverso da quanto lei si era aspettata, la risposta che Ryuzaki aveva dato era comunque risultata risolutiva, anche se imprevedibile.

A quel punto Elle sembrò ricordarsi della mano unticcia e quindi iniziò a leccarsi il polpastrello del pollice «Comunque, tegole in testa a parte, ti faccio notare che con le domande sul tuo salto dimensionale hai deviato nuovamente dall’argomento che stavamo affrontando. E siamo a quota due da stamattina… Io però non l’ho dimenticato, quindi, a proposito delle lettrici di Death Note del tuo vecchio mondo, c’è un’altra questione da definire.» passò rumorosamente a leccare l’indice «…Quante di quelle lettrici di Death Note, dopo essere eventualmente riuscite a salvarmi, sarebbero qui, in questa stanza, adesso?»

Emma, invece di essere contenta per quest’ultima affermazione, riprese a infognarsi. Riprese a rimuginare sempre di più a quel discorso che l’aveva ossessionata da quando tutta quella storia era iniziata.

E quindi solo a quel punto sbottò «Ryuzaki, io ho barato!» e si alzò dal divano, trovandosi davanti a lui, in piedi, in quella sala deserta e silenziosa, mentre fuori l’imbrunire iniziava a incombere sul parco innevato.

«Ho barato e mi stupisce che proprio tu non ponga attenzione a questo dettaglio fondamentale! Ma insomma, che merito posso avere? Parliamoci chiari: a modo tuo, tu mi stai dicendo che sono qui perché in qualche modo sono riuscita a interessarti, a incuriosirti. E correggimi se sbaglio. Mi stai dicendo che sono qui perché io, in quanto Emma, conto in qualche modo per te?» come riuscisse a dire quelle cose con tale freddezza e autocontrollo, viste le remore avute fino a quel momento, Elle lo capì poco dopo «Ebbene, io, Emma, non sarei stata niente nei tuoi confronti se non avessi letto quel maledetto manga! Se qualcosa ti ha interessato di me, è accaduto solo perché io sapevo e semmai perché sono stata in grado di innescare nel modo giusto quelle conoscenze. Ma insomma, Ryuzaki, se io fossi stata semplicemente Emma, se io avessi ignorato la tua identità e il caso Kira, tu non avresti neppure fatto caso alla mia inutile esistenza, non avresti mai sollevato lo sguardo e la tua attenzione su di me!»

Elle le disse candidamente «Butter cookies a parte?»

Emma si irrigidì ancora di più «Finiscila. Se anche veramente tu non avessi compreso quello che ti ho appena detto, e ne dubito fortemente, il problema rimarrebbe! L’Elle che conosco io non avrebbe posto la sua attenzione su nessuna inutile persona se questa non avesse saputo chi lui era senza aver mai avuto la possibilità di conoscerlo, senza le conoscenze che io avevo solo grazie a ciò che ho letto. Io non ho alcun merito personale!»

Gli occhi di Elle si fecero seri d’un colpo, seri e freddi «Mhm. Dunque il punto è davvero questo?» mugugnò in modo secco.

Poi la fissò e le disse duramente «Sì. È ovvio che sia così. Tuttavia il discorso può essere rovesciato, naturalmente. Ti pregherei di tornare lucida e di analizzare la questione in modo oggettivo. Sei assolutamente in grado di farlo senza che io mi debba sgolare con inutili spiegazioni. Perciò, falla finita tu, Emma.»

Lei si bloccò.

Dove aveva sbagliato questa volta?

«…Sì, il punto è questo, o perlomeno è uno dei tanti. E temo proprio che tu debba sgolarti per spiegarmelo. Ti ricordo che non sono come te.» disse lei e poi aggiunse titubante «…Cosa… cosa vuol dire che il discorso può essere rovesciato…?»

Elle replicò immediatamente, ovviamente senza sgolarsi, ma mantenendo un tono piatto «Vuol dire semplicemente che devi guardare la questione da diversi punti di vista, compreso il mio, senza rimanere fossilizzata solo sul tuo. Se invece lo hai già fatto, ne devo dedurre che tu sia certa del fatto che quella Emma di cui tu parli si sarebbe avvicinata a me anche se non avesse letto quel manga. Devo dedurne che quella Emma si sarebbe comunque seduta sul prato, vicino a quel tronco e a me. Devo dedurne che mi avrebbe offerto comunque i biscotti. Insomma, devo dedurne che quella Emma, ignara di Kira e degli Shinigami, mi avrebbe comunque dato immediatamente modo di raffrontarmi con lei, senza che nei suoi occhi si leggesse il consueto e noioso disagio della gente nei mie confronti, se non la disapprovazione. Ne deduco che sei certa che quella Emma avrebbe intavolato una conversazione in modo naturale. Ne deduco che sai quindi che quella Emma, naturalmente e comunque, avrebbe parlato con me senza il disagio che, qualora invece ci fosse stato, io non mi sarei mai sognato di rompere, né avrei mai avuto curiosità, interesse o voglia di rompere.»

Emma rimase di sasso.

No… Era certa che quella Emma non l’avrebbe fatto… Sapeva che quella ipotetica Emma, quella che non aveva la più pallida idea di cosa fosse Death Note, non avrebbe mai dato confidenza a quel ragazzo strano e bianco come un cadavere, a quel ragazzo scheletrico e a piedi nudi, che sembrava un pazzo dissociato dal mondo, a quel ragazzo appollaiato bizzarramente su un tronco, con due occhiaie da fare paura e due pupille dilatate da tossicodipendente…

«No, Ryuzaki… Il tuo sarcasmo è adatto, perché in realtà sai benissimo che non sono certa di questo… Al contrario… Quella Emma non avrebbe mai fatto tutto quello che ho invece fatto io… Ma, mi… mi… mi stai dicendo che per te è lo stesso, che se io non avessi letto Death Note, tu…» disse Emma poco convinta.

«Ti sto dicendo che se tu non avessi letto quel manga non ti saresti mai avvicinata a me, semplicemente vedendomi, perché la mia sola presenza ti avrebbe messo a disagio. E quindi, spostando l’ottica dal mio punto di vista, io non avrei mai avuto alcun motivo di spingerti a distruggere quel disagio, perché non mi sarebbe importato assolutamente nulla del fatto che tu l’avessi. Né tanto meno mi sarebbe saltato in mente di sforzarmi per farmi conoscere e accettare per quello che sono, perché, come credo tu sappia benissimo, ciò che pensa la gente di me mi lascia completamente indifferente. Perciò, il fatto che tu abbia letto quel manga ha facilitato le cose anche a me. E, se devo essere sincero, la cosa non mi dà fastidio, né mi crea problemi. È solo un dato di fatto e non mi perderei in ulteriori considerazioni inutili su questo punto. Dubito che il “come” abbia un valore. I “mezzi” non hanno importanza se osservati in funzione del risultato.»

Un ragionamento impeccabile.

Impeccabile, pratico e basico. Basico nel senso di semplice e senza i fronzoli paranoici e inutili che si era fatta Emma.

Lei aveva letto Death Note e questo le aveva permesso di avvicinarsi ad Elle e di interessarlo e nello stesso tempo le aveva consentito di rivolgersi a lui con una spontanea naturalezza alla quale lui non era abituato. Dal canto suo invece, Ryuzaki non aveva dovuto fare proprio nulla, perché Emma si era precedentemente pappata ben 7 volumi di manga, che le avevano lentamente permesso di adorarlo senza che il “vero” Elle dovesse fare il minimo sforzo, sforzo che peraltro lui non avrebbe nemmeno mai fatto, visto il totale disinteresse che in generale nutriva verso un certo genere di dinamiche e verso le persone in generale.

In parole semplici: non avevano “rotto il ghiaccio” grazie a loro stessi, ma con l’aiuto di qualcos’altro. Tutto qui.

Anche lui era partito in vantaggio, anche lui avrebbe potuto pensare che Emma, senza manga, non si sarebbe mai avvicinata a lui, esattamente come lei aveva la certezza che Elle non si sarebbe mai interessato a lei senza Death Note.

Erano alla pari.

Erano partiti col vantaggio entrambi. Punto.

Dov’era il problema?

Elle, che in questo era molto più maschio di quanto non avrebbe mai immaginato, non si poneva proprio il problema del “come”.

E, naturalmente, per lui ciò che contava erano i fatti.

E in quattro e quattr’otto smontò le paranoie, tutte femminili, di Emma.

Emma che ancora non riusciva a credere a quello che lui le aveva appena detto.

Ci pensò un po’ su prima di replicare e poi finalmente disse la sua «Insomma…» tentennò un po’, ma poi si riprese e assunse un’espressione inaspettatamente divertita «Insomma, il fine giustifica i mezzi anche in questo campo. Avrei dovuto supporlo che per te fosse così…»

Il buio del pomeriggio invernale era calato.

La porta dell’ingresso si spalancò e il trambusto dei passi di un’orda di ragazzini eccitati e imbacuccati si riversò nell’atrio.

«Fermi! Asciugate gli stivali! Cappotti, cappelli e sciarpe sull’attaccapanni!» squillò la voce severa di una donna di una certa età, che Emma riconobbe per quella della professoressa che le aveva aperto la porta. Passi disordinati che tornavano indietro e borbottii e sbuffi vari arrivarono distintamente.

«Ti piace davvero, allora? Lei ti piace?! Lei??!!» Mello era comparso sulla soglia e immobile guardava quei due giovani che parlavano in piedi, uno di fronte all’altra, vicini. E li guardava con un’espressione arrabbiata e sconvolta, con ancora il cappotto indosso e gli stivali di gomma inzaccherati di terra mista a neve.

Ryuzaki ruotò lentamente il capo verso il ragazzino biondo, che rimaneva immobile sulla soglia «Ovvio. Sono un essere umano anche io, dopotutto.» gli disse con una semplicità e una tranquillità quasi annoiate, come se quella fosse stata la domanda più stupida e inutile che avesse mai ricevuto.

Il ragazzino sgranò gli occhi.

«Mello!!» la voce severa della professoressa giunse dall’atrio e poi la sua figura tozza sbucò appena sulla porta, alle spalle di lui. La donna prese Mello per il cappuccio del cappotto «Ho detto di levarsi il cappotto e asciugare e pulire gli stivali prima di entrare! Guarda cos’hai combinato qui per terra?!» lo tirò indietro e giunse poi solo la sua voce «Fai quello che ti ho detto e poi fila immediatamente a prendere uno straccio dalla sala della lavanderia e asciuga questo schifo!! Non sarà certo qualcun altro a riparare i tuoi danni! Di corsa!!! Tutti gli altri: andate alle docce e cambiatevi gli abiti.»

Il rumore dei passi sulle scale e il borbottio bisbigliato tipico del momento successivo ad una lavata di capo subita da qualcun altro fecero da sottofondo al silenzio che regnava nella sala dove erano Emma ed Elle.

Gli piaccio…gli piaccio… gli piaccio…gli piaccio…

Pretende che io sia in grado di osservare le cose dal suo punto di vista. Ma lui è in grado di immedesimarsi in me, in quello che mi ha fatto passare? Come può non esserlo? Come? Come può essere così incapace?

Gli piaccio…

Gli piaccio…

E poi Emma parlò «Ryuzaki, tutto questo discorso a quale considerazione finale dovrebbe portarci?»

Elle inclinò il capo e rispose con semplicità «Forse al fatto che una persona, per riuscire ad interessare Elle sotto un certo punto di vista, doveva arrivare da un altro mondo?»

Lo disse con un’ingenuità disarmante e con quella consueta ironia, che però stavolta era rivolta verso se stesso. Elle conosceva se stesso e i suoi limiti e difetti meglio di chiunque altro…

E ad Emma non poté che venire da sorridere.

Lui alzò lo sguardo verso l’alto e si portò il pollice sul labbro «Be’, l’Elle del manga del tuo mondo, da come lo hai descritto tu nella trama che ho letto, non avrebbe mai fatto queste considerazioni. Come del resto non le avrei fatte io, fino all’anno scorso. Ma io mi sono ritrovato in una situazione differente dalla sua, con una variabile in più, quindi le cose sono andate diversamente su vari fronti, sempre per la “teoria del caos”. E non ci vedo nulla di strano. È logico. Azione e reazione. Ma in questo senso capisco anche tutta la tua remora ad avvicinarti a me in un certo modo: c’era un lato di me che non “conoscevi” e non eri abituata a vedermi in determinati contesti, come non ero abituato io. Solo che io, poi, ci sono stato in quei contesti, li ho vissuti. E stranamente, ogni volta, il tutto risultava a te più assurdo e inverosimile di quanto non sembrasse a me. Era così perché tu avevi un’immagine di me che non andava affatto d’accordo con quanto avveniva… E oggi lo hai fatto ancora, di continuo: stamattina sei fuggita dopo le parole che ti ho detto a proposito del mio comportamento di quest’estate, e poi hai allontanato il discorso in altri modi.» si grattò la nuca e riportò gli occhi su di lei «Forse che ti piace di più l’Elle del manga, Emma, quello per il quale tu non esisti? La tua presenza in questo mondo continua a stonarti così tanto con la mia persona, tanto da fuggire?» le chiese in modo disarmante.

E così crollò l’ennesimo immenso castello costruito da Emma fin dal primo istante in cui si era ritrovata in quel mondo. Ryuzaki aveva perfettamente centrato anche il punto di quella situazione.

E lei non sapeva cosa dirgli… «Come fai…? Come fai ad essere così libero e sicuro? Come riesci a sondare così bene ogni circostanza? Come fai a capire le persone e le situazioni in questo modo…?»

Lui sollevò appena le spalle, con noncuranza «Forse perché ho un’intelligenza superiore al normale.»

Emma si avvicinò a lui, fissandolo intensamente «È vero! È tutto tremendamente giusto e vero! Ho sempre avuto paura di scoprirti diverso dall’Elle che avevo conosciuto, dal detective di carta… Ho sempre avuto il terrore di rimanere delusa… Il problema sono io… Ho sempre pensato che se fossi stato diverso non mi saresti piaciuto allo stesso modo…»

Elle le chiese «Ed è successo?»

E a quel punto Emma trattenne il respiro.

E con un filo di voce gli rispose «No…»

No, perché quello che aveva davanti era lui.

No, perché non c’era nulla che stonasse con lui.

No, perché quella era la sua voce.

No, perché quelli erano i suoi occhi, quelli erano i suoi ragionamenti, i suoi modi, le sue sicurezze, le sue stranezze.

No, perché quello era Elle e non c’era nulla che non andasse in lui.

Nessuna delusione…

Le andava bene?

Elle le stava indubbiamente dicendo, a modo suo, che lei contava qualcosa per lui. E nulla stonava con la sua persona.

Nulla.

E se il suo fosse stato solo un capriccio passeggero, un’infatuazione fisica, una fisiologica e umana pulsione sessuale? Del resto, da quel punto di vista lui era come un adolescente inesperto. Se Elle non fosse stato in grado di amare, al di là delle pulsioni fisiche, esattamente come Near?

Se, come diceva Watari, lui non aveva minimamente calcolato quanto lei avrebbe sofferto in seguito alla notizia della sua falsa morte solo per abitudine, per ignoranza, incapacità di agire diversamente da come aveva sempre fatto? Quindi solo perché l’aveva considerata alla stregua del resto del mondo e, in sintesi, solo perché non sapeva cosa significasse amare?

…Lo avrebbe baciato con tutta se stessa, in quell’istante.

Il cuore aveva iniziato a batterle violentemente nella gola.

Se solo non l’avessero ossessionata tutte quelle domande!!

Ryuzaki assecondò il silenzio di Emma, poi la scrutò con attenzione «Vuoi baciarmi, vero?» le chiese candidamente.

Emma ingoiò «Sì, vorrei…» e poi gli disse, con la voce palpitante dall’emozione e dai battiti accelerati del cuore che le arrivavano in gola e che tradivano la sua voglia di contenersi «…Hai finalmente capito la causa scatenante?»

«No.» rispose lui secco «L’esperienza accumulata mi ha solo permesso di capire esattamente quando devo aspettarmelo. È semplice: lo fai o vorresti farlo ogni volta che lo voglio anche io.»

I battiti del cuore di Emma esplosero. Quelli non poteva proprio contenerli.

«E… perché… perché non lo starei facendo adesso…?» la voce le tremava sempre di più.

«Perché hai paura del contatto. Perché adesso hai paura del contatto. Perché con me l’esperienza ti ha insegnato a evitarlo, perché il fatto di avermi avvicinato e toccato in passato ti ha fatto stare molto più male poi. Perché ti ha causato più dolore. Perché hai costruito una barriera, molto labile, ma pur sempre una barriera.» e poi, con calma, spostò lo sguardo in basso, e si osservò il bordo della maglia…

Era verissimo tutto, ancora una volta…

Sei in grado di immedesimarti allora! Oddio…

Emma seguì la direzione di quegli occhi profondi e si ritrovò a fissare le dita di Elle che stringevano e stropicciavano convulsamente il bordo della maglietta candida che indossava.

Le palpebre di Emma si sgranarono.

E capì.

Finalmente.

Un’esplosione illuminò l’animo di quella giovane donna.

Ryuzaki aveva compreso così bene perché anche per lui era così.

Si era osservato le dita che si stringevano in modo incontrollato attorno alla maglia per farle capire qualcosa, per farle capire che lui faceva esattamente la stessa cosa. E l’aveva sempre fatto, nonostante i toni e l’aspetto asettico.

Paura del contatto!

Elle aveva capito così bene perché per lui era lo stesso! Esattamente come Emma aveva pensato tanto tempo prima…

Solo che nel caso del detective la barriera era immensamente più grande e profondamente connaturata al suo Io.

E nella mente di Emma si presentò l’immagine del gelido Near, irrimediabilmente perduto nella sua immensa e irreversibile carenza. Rivide la totale assenza di una qualunque reazione di fronte al bacio che gli aveva schioccato la bambina.

Polvere…

Ryuzaki non l’aveva mai fatto.

Nemmeno una volta!

Ryuzaki sentiva.

Sentiva più degli altri. E anche per questo non voleva che nessuno lo toccasse…

Perché al contrario della freddezza che comunicava, in realtà il contatto lo sconvolgeva ormai più di quanto non accadesse a un qualunque essere umano emotivamente maturo.

Dopo aver passato gran parte della sua giovane esistenza a costruire un muro che lo difendesse dalla delusione e dalla sofferenza di ricevere un abbraccio che non sarebbe mai potuto essere quello di una madre o di un padre, si era volutamente ritrovato così a digiuno e così privo dell’abitudine di essere anche solo sfiorato, che il semplice tocco di qualcuno lo sconvolgeva innaturalmente. Le cose nuove o anche quelle che non si fanno da molto tempo provocano sempre quel brivido in più…

E ora, qualunque contatto lo toccava così tanto da portarlo a rabbrividire, sebbene questo sconvolgimento fosse evidente da piccoli e spesso inosservati gesti. Gesti che lui camuffava magistralmente, mantenendo una compostezza nella voce e nello sguardo che ingannava chiunque.

E un torrente impetuoso di immagini travolse Emma.

La figura tremante di Elle che stropicciava i jeans, mentre Aizawa lo scrollava, dopo la drammatica morte di Ukita. E le sue parole, “Aizawa, si calmi… Posso capire quello che sta provando…”

“Posso capire… posso capire…”

Anche l’Elle di carta sentiva…

E poi il ricordo vago delle mani di lui che si irrigidivano tormentate, le volte in cui lei lo aveva baciato.

E ancora lo stesso gesto, quando erano in quella stanza, in una tardissima notte estiva…

E così Emma osservò ancora più intensamente quelle dita lunghe e sottili, che anche in quel momento si serravano contratte al cotone della maglietta… In quello stesso preciso momento. Lei non lo stava toccando adesso, ma lui sentiva lo stesso. Sentiva lo stesso per quello che le aveva detto. Per quello che le aveva detto a proposito della paura del contatto…

La terra!

C’era! In lui c’era!

Era solo rimasta rinchiusa e protetta dal muro che lui aveva alzato, ma lì dietro, nelle buie profondità di quell’animo solo, quella terra esisteva, fertile, perché nutrita in un’infanzia lontana da chi lo aveva amato come la cosa più importante al mondo, un figlio…

Ryuzaki era stato amato.

Proprio perché era stato amato e aveva sofferto così tanto per la perdita insostituibile di quell’amore, adesso si difendeva così…

Ecco perché Watari aveva voluto dire ad Emma tutte quelle cose… Perché lei capisse la fondamentale differenza tra il ragazzino dai capelli candidi, perduto per sempre, e Ryuzaki

E nella mente le risuonarono ora nettamente la voce di lui e le sue parole, tutte quelle affermazioni pacate che erano seguite ogni volta che lei lo aveva baciato e alle quali Emma non aveva mai voluto pensare troppo.

“Non mi ha dato fastidio.”

No, quel bacio non gli aveva dato fastidio. Dopo aver temuto il risultato di quel contatto, esso non lo aveva fatto soffrire…

“Credo che questa sia una cosa scorretta e lo è perché non credo di volerla gestire, non credo di poterla gestire…ora. E temo accadrà di nuovo. Temo avverrà inaspettatamente come è avvenuto finora.”

No, non poteva gestire quel cambiamento, quella scoperta, in quel momento… Perché la priorità era, allora, un’altra…

“Tutto questo è un gioco pericoloso, Emma. Tutto questo non è mai avvenuto.”

Già. Non era mai avvenuto.

Era così semplice, così incredibilmente semplice nella sua complessità.

E ancora le rivennero in mente tutte le volte che era stato lui a cercare un contatto, anche se minimo e delicatissimo, senza tremore, o anche se strano e sottoforma di bizzarro e insopportabile test.

La normalità di averla accanto, l’abitudine ad averla accanto e ad essere sfiorato, avevano di volta in volta ridotto quello sconvolgimento e quel timore che fino a poco prima avevano attanagliato Elle di fronte a qualunque comune e innocuo contatto.

Emma sentì l’istinto di abbracciarlo forte a sé e, a differenza di quanto sarebbe accaduto mesi prima, non ebbe più alcuna paura nel farlo.

Così, inaspettatamente, gli gettò le braccia intorno al busto asciutto e si strinse a lui con tutta la forza che aveva, sentendo di nuovo quel noto profumo di bucato della sua maglietta bianca di cotone.

E lui, ritrovandosi d’un tratto col capo di Emma poggiato e appiccicato nell’incavo sotto il suo lungo collo, sgranò gli occhi.

Ed Emma sentì il grattare dei polpastrelli e delle unghie mangiucchiate di Elle che strofinavano ora la ruvida stoffa dei jeans.

E mai come allora si sentì felice di quel gesto. Percepì violentemente tutto quello che provava nei confronti di quel “bambino” così solo e incapace di ricevere un abbraccio solo perché lo aveva sempre allontanato, solo perché erano anni che non ne riceveva uno, solo perché aveva troppa paura di quello che sarebbe accaduto dopo averlo ricevuto.

E il “piccolo” Ryuzaki, allora, convulsamente allungò le dita sottili e afferrò il lembo della felpa azzurra di Emma e lo stritolò.

Lentamente sul volto del giovane detective comparve quell’espressione ingenua e infantile, quella di quando mostrava di non essere preparato, di essere fuori dal mondo, di essere inesperto e tremendamente semplice di fronte ad alcune dinamiche del mondo…

E con quell’espressione, adagio e delicatamente, appoggiò appena il mento sul capo di Emma, che era rannicchiata sotto il suo collo, perché lui era più alto.

Un gesto così tenue e apparentemente insignificante, eppure così importante e vero.

Le dita di Ryuzaki gradualmente strinsero il lembo della felpa di lei in modo sempre più solido, ma sempre meno convulso…

Rimase così, col mento semplicemente e leggermente poggiato sul capo di lei, in silenzio, mentre quella giovane ragazza lo stringeva e si azzardava ad abbracciarlo. Abbracciarlo con tutte le emozioni che aveva in corpo. Abbracciarlo dopo averlo schiaffeggiato violentemente e con rabbia, dopo aver evitato per tutto il pomeriggio qualunque argomento riguardasse il loro rapporto, i suoi sentimenti, dopo aver fuggito ogni pensiero che potesse riguardare quella sfera.

Emma.

Emma era più forte di lui.

Emma vinceva…

Emma, che rimanendo col capo sprofondato nel cotone profumato di quella maglietta, mentre percepiva tutti i minimi cambiamenti nel corpo che stringeva, gli disse «… Tu sei più umano di qualunque altro uomo io abbia conosciuto… è vero, sei gelido, cinico, inavvicinabile… Ma adesso mi chiedo come io abbia potuto solo lontanamente pensare, come io abbia potuto essere così stupida e cieca da pensare che tu non fossi così come ti sento adesso… Io non ero mai riuscita ad abbracciarti… Non ci ero mai riuscita perché non avevo capito niente… Credevo che non te lo avrei mai potuto dire!!»

E non gli disse perché lo aveva pensato, quali erano stati tutti i ragionamenti sul passato di lui che l’avevano portata a intuire quell’importantissima verità, quella unica e certa sensazione di solidità. Non glieli avrebbe mai detti, perché non era nella sua indole e perchè con Elle certe cose potevano benissimo non dirsi. Perché lui capiva. Perché lui avrebbe capito benissimo. Perché, a differenza di quanto mostrava al mondo, Elle conosceva benissimo se stesso, conosceva tutte le proprie stranezze, tutte le proprie bizzarre e fredde dinamiche di approccio. Sapeva perfettamente il perché era così e il perché era diventato così. Semplicemente si accettava. Non poteva essere diverso.

Ed Emma lo aveva capito. Lo aveva capito benissimo.

E adesso glielo aveva detto.

E solo allora, Ryuzaki parlò, con quel tono calmo e pacato, che sempre risultava sensuale, qualunque cosa dicesse «Come sempre, le tue reazioni sono alquanto controverse. E come sempre non mi è chiara la causa scatenante…»

Emma sorrise appena, senza che lui potesse vederle il volto sprofondato sulla sua spalla. Sorrise perché sapeva benissimo che non era così, perché quella era una bugia, perché Elle rimaneva un bugiardo: perché sapeva benissimo che era stato proprio lui la causa scatenante, che era stato proprio lui a voler provocare quella sua reazione, era stato lui a testarla ancora una volta, era stato lui che aveva voluto vedere quanto lei potesse capire. Era stato il semplice sguardo di Ryuzaki alle proprie mani tormentate che l’aveva portata a capire… Elle aveva ascoltato la conversazione tra Emma e Watari riguardo Near. E così aveva fatto e detto ciò che sperava avrebbe permesso ad Emma di comprendere tutto, ciò che sperava avrebbe risvegliato la vera indole di Emma e l’avrebbe portata a vincere. A vincere su di lui…

E Ryuzaki proseguì, continuando a rimanere col mento poggiato sul capo di lei «Ma pare che alcuni tasselli tu li abbia ricomposti. Pare che quel qualcosa che non “conoscevi” di me e che non potevi sapere, be’, pare che quel qualcosa tu adesso lo conosca.»

Ed Emma ricompose nella sua mente anche tutte le volte che lui aveva ambiguamente constatato che, nonostante tutte le sue “conoscenze”, esisteva qualcosa di lui che Emma non conosceva…

«…Conoscere…?» chiese flebilmente lei.

Poi delicatamente mosse il capo e lui percependolo la assecondò, sollevando appena il mento, così Emma poté alzare la testa e guardarlo negli occhi «… No, non “conoscere”… Forse, solo “intuire”… Ma non conoscerò mai fino in fondo… »

«Mhm.» mugugnò lui come incuriosito.

Poi la osservò con espressione ironica e vagamente provocatoria «Pensi forse di volerne sapere di più?»

Lei sorrise, rivedendo l’impassibilità e il cinismo che facevano meravigliosamente parte di quel giovane uomo, ma che, se non l’avevano mai allontanata e anzi l’avevano attratta, di certo l’avevano sempre inibita. Ma non più, non in quel momento. I modi fermi e distaccati di quel giovane erano veri, reali, spontanei, terribilmente affascinanti, ma quello stesso giovane uomo le stava stringendo il lembo della felpa. E le due cose non cozzavano tra di loro. Al contrario… Erano vere entrambe.

E così, continuando a cingerlo con le braccia, morbidamente e in modo disinvolto, Emma rispose, guardandolo negli occhi  «… No, Ryuzaki… Anzi, forse intuire mi piace ancora di più di conoscere. Intuire va oltre la conoscenza… O perlomeno, in determinati campi, va oltre…»

Sì.

Emma vinceva.

Emma su quello vinceva.

Lui aveva posto una domanda per metterla alla prova.

Ma lei aveva vinto, un’altra volta.

E non lo sapeva.

«Mhm.» mugugnò di nuovo lui, che invece era pienamente cosciente del fatto che lei avesse vinto, che avesse superato un’altra volta il test.

Emma lentamente fece scivolare le braccia dal busto di lui e giunta in fondo gli afferrò tra le dita il bordo della maglietta e in quel gesto che sempre l’aveva avvicinata a lui, fece un breve passo indietro e lo guardò decisa.

«Mi hai voluta qui, adesso. Mi hai fatto delle cose orribili, ma mi hai voluta qui. Se questo è vero, se è vero tutto quello che hai cercato di dirmi oggi, devi sapere una cosa: io non accetto mezze misure da te. Pretendo dalla tua intelligenza che tu ti renda conto, anche solo razionalmente, di ciò che mi hai fatto solo perché non sei abituato a preoccuparti delle conseguenze delle tue azioni sul prossimo, solo perché te ne sei sempre e soltanto fregato del prossimo e di quello che la gente potesse pensare o soffrire.

E te ne sei fregato anche se sei perfettamente in grado di capire nel profondo cosa la gente provi.

Ma io non sono la gente.

Continua a fare come ti pare col resto del mondo, continua a non considerare le opinioni che le persone hanno su di te né le loro reazioni, perché questa è una delle tante assurde cose che mi piacciono di te.

Ma io non sono le persone.

E non fare i tuoi conti con quanto accaduto in quest’ultimo anno, con la Emma che hai conosciuto: io avevo costruito il mio piano per salvarti e quindi avevo accettato di essere usata e trattata come tu tratti la gente, ma mi sono comportata così soltanto perché sapevo che questo era l’unico modo, che tu non avresti potuto fare altro, perché sapevo che, come il resto del mondo, non avrei mai contato nulla nella tua vita solitaria. L’ho fatto perché allora ero convinta di essere la gente. Ero convinta che per te potesse esistere solo la gente.

Non è così? Mi vuoi? Soltanto me, proprio me, Emma?

E allora deve sempre interessarti cosa io possa pensare di te. Deve sempre importarti cosa io possa fare a te. Deve sempre essere anche affar tuo il come io possa reagire a una qualunque tua azione nei miei confronti.

Mi vuoi?

Allora io non sono come il resto del mondo e non puoi trattarmi come se lo fossi, solo per disattenzione, abitudine e ignoranza. Io non accetto ignoranza da te. È l’unica incapacità che non potrò mai accettare, perché è l’unica vera incapacità alla quale si può porre rimedio.

E bada bene, non ti disprezzerò mai né recriminerò mai per il tuo cinismo e la tua narcisistica fredda sicurezza, al contrario. Ti voglio così.

Ma devi imparare a gestire la fondamentale distinzione che c’è tra me e tutto il resto del mondo. Distinzione che non sei capace di gestire, per ignoranza, ma che tu stesso hai operato, altrimenti io non sarei qui.

Io sono Emma. Io non sono il resto del mondo.»

Continuando a tenersi l’uno con l’altra per il bordo delle maglie, Elle le disse con un tono calmo e leggero «Trovo sempre più irragionevole il fatto che tu ti ritenga priva di sicurezza. E trovo che tu sia sempre più presuntuosa: mi stai dicendo che sei unica.»

«Perché lo sono.» rispose lapidaria lei.

Perché quell’uomo di granito che aveva sempre accusato ogni colpo, quel giovane detective per il quale tagliarsi era stato impossibile, quel giovane ragazzo che non conosceva paura ed era sempre rimasto di ghiaccio, quell’uomo ora sapeva che se lei se ne fosse andata, lo avrebbe lasciato ferito.

Elle sorrise appena, soddisfatto e vagamente divertito «Ad ogni modo, imparare qualcosa non è un problema. Non lo è mai stato. È ciò che so fare meglio.»

Fuori ricominciarono a cadere leggeri i fiocchi di neve, nell’oscurità di quel pomeriggio di dicembre che si trasformava in sera.

All’interno i vetri delle finestre si appannarono appena ai bordi, mentre il fuoco crepitava nel camino.

E quel 12 di ottobre, trascorso da poco più di un anno, adesso sembrava perduto in un passato troppo lontano.

 

Io credo di potermi fermare qui.

Credo che il resto sia noioso.

Se nelle storie non c’è mai il resoconto del “dopo”,  ci sarà un motivo.

Come faranno?

Come vivranno?

Io so soltanto che entrambi, imparando qualcosa di nuovo, rimarranno ciò che sono, perché sono perfetti così. So che nessuno dei due abbandonerà mai il proprio appassionante lavoro, che anzi entrambi, nel rispetto della loro indole, si arricchiranno l’uno dell’attività dell’altro, l’uno della vita dell’altro.

E Watari?

E i genitori di Emma che lo davano per morto?

Be’, come risolveranno queste cose sono affari loro, sono problemi di vita che onestamente non mi interessano. Dopo tutto questo tempo a stare dietro a loro ho un gran voglia di cambiare aria, genere, soggetti, dimensione.

L’esperimento è finito, in lieto fine per giunta (be’, tralasciando il dettaglio degli svariati morti ammazzati…).

Io mi sposterò da qualche altra parte e voi mi rincontrerete presto, molto presto. Magari anche fra pochi minuti, quando aprirete il vostro libro da comodino. Magari non vi sembrerò io, magari il mio linguaggio sarà superiore a quello di questa storia, come anche le tematiche, magari vi sembrerò più serio e attendibile, magari non parlerò con voi e fingerò di non riconoscervi.

Ma io sono lì, sempre. Sono sempre lo stesso e sempre continuerò a fare ciò che ho sempre fatto.

A volte ciò che vi racconterò potrà piacervi e coinvolgervi fino alle lacrime.

Altre volte invece, no.

A volte vi sembrerò bravissimo, altre volte mediocre.

A volte vi mancherò tremendamente e vi sembrerà di aver perso una persona cara dopo aver finito di leggere l’ultima riga del vostro libro.

Ma sempre, ogni volta, mi lascerete con la speranza che ci sarà un’altra volta.

Perché non c’è limite alle dimensioni che la vostra creatività è in grado di plasmare. Non c’è limite a ciò che io posso Vedere. E ci sarà sempre una storia che vi coinvolgerà.

Perciò, salutandovi in attesa di rivedervi a breve, mi dileguo da questa dimensione ibrida, nella quale il sole continuerà a sorgere e tramontare, giorno dopo giorno, nella quale gli eventi continueranno a scorrere, le persone a nascere e morire, nella quale i vostri due protagonisti continueranno a vivere e a esistere.

Avete ancora qualche dubbio in proposito?

C’è un mondo in cui esiste Elle.

C’è un mondo in cui esistete voi.

C’è un mondo in cui esistono Emma ed Elle insieme.

Sì. Loro due, da qualche parte, esistono.

Io li ho Visti.

Io lo so.

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

È molto difficile per me scrivere queste note, perché so che sono le ultime che scrivo.

È stata dura anche decidermi a postare il capitolo, e non solo per la mia ormai nota mancanza di tempo. È stata dura perché pubblicare questo capitolo significa chiudere qualcosa e, per quanto io possa sentirmi felice di essere riuscita a completare questa lunga storia, mettere la parola fine è tremendamente triste. E per questo ho deciso anche di cambiare il colore delle note, così non mi viene la nostalgia, perché l’ultima volta che ho scritto col verde non sapevo che fosse l’ultima (ooook…sono contorta, sì, lo so… :D)

Non credo che possiate sapere quanto questa storia sia stata importante per me. Forse a qualcuno di voi l’ho scritto nelle risposte alle recensioni, ma qui non l’ho mai detto in modo chiaro: io non avevo mai scritto nulla prima di questa fan-fiction e non avevo la più pallida idea di cosa significasse scrivere, di quanto questa meravigliosa dimensione potesse darmi, di quanto io potessi sentirmi a mio agio in essa, indipendentemente dai risultati. Non lo sapevo, ma con tutta probabilità lo intuivo, perché l’idea della dimensione parallela è stata la prima cosa che pensai.

Ora che sapete ogni cosa (e spero che più o meno sia tutto chiaro…) posso quindi dirvi che questa storia nacque come omaggio a Elle, che avevo amato, perché volevo continuare a sapere di lui, perché volevo continuare a vederlo. Ma soprattutto nacque perché volevo salvarlo.

Volevo un Elle vivo.

Volevo anche una cosa banalissima: una donna adatta a lui (e questa impresa è stata tutta in salita… +_+).

Volevo almeno cercare di rivivere ogni momento di Death Note, ma con una trama diversamente intrecciata.

Volevo una storia che si adattasse a queste esigenze poco originali e ai miei comunissimi sogni.

E così ho scritto semplicemente quello che avrei voluto leggere (i gusti sono gusti ^_-).

Ho scoperto un modo nuovo di viaggiare in un’altra dimensione, un modo più potente e travolgente: scrivere.

Perché per me scrivere qualcosa è stato come leggere un libro appassionante. Anzi, è stato incredibilmente più irresistibile.

Quindi, questa storia non è nata solo come il mio omaggio a Elle, ma anche come il mio personale e modestissimo omaggio alla Lettura e alla Scrittura, con tutte le miriadi di dimensioni che queste ultime contribuiscono a creare e nelle quali noi possiamo viaggiare.

Vorrei avere la sicurezza del nostro Narratore, la sua spavalderia, ma non ce l’ho.

E a questo proposito vorrei dire qualcosa: alcune di voi mi hanno chiesto se il personaggio di Emma fossi io, be’, come ho risposto allora, posso dire che vorrei tanto essere al suo posto ^_-

Scherzi a parte, in Emma ci sono alcuni lati del mio carattere, ma solo alcuni. Sono convinta che ciascuno di noi sia timido, estroverso, socievole, orso, freddo, sensibile, presuntuoso, insicuro, avventato, pauroso… Credo che in ognuno di noi ci sia un po’ di tutte queste contrastanti caratteristiche. La differenza è nelle percentuali, per dirla in “ellese”. Perciò, il timido sarà certamente timido al 99%, ma nella parte più profonda del suo io egli conosce la sicurezza (quel micragnoso 1% rimanente), o perlomeno è in grado di figurarsela. Quindi in Emma ci sono anche caratteristiche che io possiedo, ma le percentuali sono differenti, profondamente differenti, col risultato che io e lei siamo diverse, veramente molto diverse…

Quindi, forse, se proprio dovessi trovare il mio vero alter-ego, lo troverei nel Narratore, proprio perché lui dice tutto quello che io non direi mai, ma che forse vorrei avere la sicurezza di dire, chissà ;D

Ooook, la faccio finita con le confessioni (ma nessuno di voi ha ancora alzato gli occhi al cielo con la bolla al naso???)

Io non so se quest’ultimo capitolo e in generale la fine di questa storia siano stati di vostro gradimento, so soltanto che ero e sono molto preoccupata e che non avrei saputo fare meglio di così…

So anche che dovrei staccarmi da questa tastiera e finirla qui, ma sono già nostalgica…

E sono nostalgica di voi.

Voi che mi avete accompagnato per così tanto tempo.

Voi che mi avete seguito, voi che mi avete preferito, voi che mi avete dato così tanta fiducia da eleggermi addirittura a vostro autore preferito, voi che mi avete semplicemente letto, silenziosamente. Voi che siete arrivati fin qui, adesso. Voi che state leggendo ora queste parole, quando magari questa storia sarà stata pubblicata e conclusa da tempo e l'avrete scovata chissà come in mezzo al mucchio di storie vecchie e dimenticate del sito... Spero tanto che questo accada...

Voi che mi avete incoraggiata, attesa, incitata.

Voi che mi avete aiutato tantissimo!!

Con i vostri consigli, le vostre critiche o approvazioni, le vostre considerazioni mi avete fatto vedere tante cose che io non vedevo. E io piano piano mi correggevo, imparavo, mi arricchivo.

Se non ci foste stati tutti voi io non avrei mai finito questa storia, che probabilmente sarebbe rimasta ferma al capitolo 9, persa in una cartella dimenticata dell’hard disk del mio computer.

Mi mancherà Elle, mi mancherà Emma, mi mancherà il Narratore, mi mancherete voi e anche l’ansia di rispondere ai vostri commenti!!!

Sono egoista nel dirlo, ma il fatto di avere ancora in sospeso tante recensioni a cui rispondere mi dà ancora un po’ di tempo per continuare a tenermi in contatto con voi.

Non so se scriverò ancora su Death Note, forse per ora mi butterò in qualche altra dimensione, ma di certo non dimenticherò mai Elle, grazie al quale ho iniziato a scrivere e grazie al quale non ho alcuna intenzione di smettere (e siete autorizzati a dirmi un sonoro “ ‘sti cazzi” :D)

 

Credo di dover smettere davvero…

Vi ringrazio davvero tutti, singolarmente, con tutto il mio cuore!

 

Eru

 

   
 
Leggi le 19 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: ryuzaki eru