47. Un
lontanissimo 12 ottobre
A volte
capita di ascoltare per caso le conversazioni che gli altri fanno accanto a
voi. Magari momentaneamente vi divertite anche a carpire storie o intrighi di
vite sconosciute. Se invece la conversazione verte su argomenti di attualità,
può incuriosire l’idea di conoscere l’opinione della gente. Perché gli altri,
quando se ne ignora l’identità, diventano automaticamente la "gente".
Alcuni cominciano anche ad immaginare la
vita di quella gente, oltre le parole di quel momento.
Poi arriva l’autobus o si paga il conto o
arriva il vostro turno della fila in banca e quei discorsi svaniscono nel
nulla, come anche la vostra curiosità.
Se si potesse scegliere un discorso da
ascoltare tra quelli di gente comune, non quelli a porte chiuse sui segreti di
stato, quale sceglieremmo? Quale quello potenzialmente più invitante? Diciamo
di non voler invadere eccessivamente la privacy, quindi non ci metteremo a
tavola con nessuno. Anche perché sarebbe fin troppo facile. Diciamo che si
debba scegliere tra le persone che camminano in strada.
Prima si dovrebbe scegliere un luogo, poi
una zona specifica e quindi concentrarsi dove si vede più gente.
Roma. Magari il centro di Roma, in mezzo
alla settimana, perché nel week-end ci sono tante persone che passeggiano in
compagnia, ma spesso si fermano semplicemente a guardare le vetrine, poi
entrano, fanno i loro acquisti… niente da sentire.
Quanti sono al telefono… Quello lì col giubbino grigio mantiene un tono di voce alto, urla senza
essere arrabbiato. È di quelli che vogliono far sentire gli affari propri agli
altri. Chissà cosa faranno mai poi… Non è interessante.
I due in giacca e cravatta davanti al bar?
No, parleranno sicuramente di problemi al lavoro. Noiosissimo.
I due ragazzini in tuta… forse forse… no, sono ancora troppo piccoli, ci sono le mamme
davanti.
Oh! Ecco... Trovato... Laggiù,
dall'ingresso della biblioteca, stanno uscendo due ragazzi abbondantemente
sopra i vent'anni.
Uhm… ridono… E dopo una giornata in
biblioteca cosa si può fare se non ridere? Jeans, scarpe da ginnastica, zaino e
borsa. Ci saranno i computer dentro. Un ragazzo e una ragazza. Non hanno l’aria
della coppietta. Avranno una conversazione eterogenea, non prettamente
femminile, né esclusivamente maschile… Forse ho trovato ciò che cercavo…
«… Il problema è che non ne posso più di
questo pc. Alla fine bisogna formattarlo troppo
spesso... Io non ho voglia di imparare a farlo e quindi ogni volta devo
portarlo al centro di assistenza. Se non fosse che dovrei ricominciare da capo
e dimenticare quelle quattro cose che so, inizierei a pensare che forse, in
cambio di un rene, potrei comprarmi un portatile Apple.» disse la ragazza,
sistemandosi meglio la lunga tracolla.
«Eh… Emma, ci ho pensato spesso anche io…
In biblioteca ci sono parecchi che ce l’hanno e devo ammettere che li guardo
con invidia…» commentò sospirando il ragazzo, mentre insieme si avvicinavano
alla fermata dell’autobus.
«Be’, oddio,
invidia no… Però mi piacerebbe averne uno… Ma tu sei abbastanza esteta dal
volerlo anche solo perché è molto bello… Mi sbaglio, Pietro?» insinuò
ironicamente Emma, con un sorriso stanco sulle labbra.
«Sì, in effetti sono abbastanza fissato
dal farmelo piacere solo per quello…» borbottò pensieroso Pietro.
Emma rise di quell’atteggiamento
sincero «…Che poi, a quest’ora e con una giornata del
genere sulle spalle… Accidenti, l’autobus!!» iniziò all’improvviso a correre
verso la fermata «Ci vediamo domani qui, alla solita ora?» gli gridò correndo
«Scusa, ma se non prendo questo ci farò mattina ad aspettare il prossimo!!»
Pietro alzò il braccio per salutarla
bonariamente e annuì per risposta, senza minimamente stupirsi. E così Emma salì
sull’ autobus trafelata e poi, da dietro i vetri delle porte, si sbracciò per
salutarlo ancora mentre l’autobus si allontanava.
Con calma si avvicinò ad uno dei posti
liberi a sedere e si accasciò sul sedile, srotolò le cuffiette del suo mp3 e
allontanò dalla mente tutto ciò che l’aveva accompagnata in quella giornata di
lavoro, incantandosi a guardare attraverso il finestrino le luci di quel tardo
pomeriggio della metà di ottobre.
E iniziò a pensare ad altro…
Una bella doccia… Cosa c’è in frigo? Ah
sì… Poi telefono a Viola… Chissà se hanno caricato on-line la seconda puntata subbata di Death Note… Chissà
in quale puntata lo faranno comparire… Chissà che voce gli avranno dato… Forse Misao ha finito col convegno e magari già può darmi
l’anteprima… Saranno stati fedeli al manga…? Magari non lo fossero stati!
Magari non lo facessero morire!
***
Ed è proprio a
questo punto che iniziai a pensare che forse potevo divertirmi…
Eh eh eh…
Cos’era questo?
Questo era
semplicemente l’incipit di una storia qualunque, che aveva il suo principio in
un banale giovedì 12 ottobre. Questo era l’inizio di qualcosa che avrei
raccontato, come avevo sempre fatto, osservando i fatti e narrandoli poi.
Quel giorno, come
sempre, avevo quindi deciso di osservare il vostro mondo alla ricerca di una
storia comune da seguire, che fosse abbastanza decente o che avesse comunque il
potenziale di esserlo.
E naturalmente non
c’erano limiti a ciò che avrei potuto osservare. Vi ricordo che posso viaggiare
in tutte le dimensioni esistenti. Posso raggiungere tutti i mondi possibili.
Posso guardarli dal vivo e vi assicuro che sono tutti reali, tutti veri, tutti
tangibili. Posso andare nel passato. Posso leggere nelle menti di ogni essere
umano e posso coglierne l’immaginazione, le fantasie e i sogni.
Se l’essere umano
a cui ho deciso di dedicarmi ha una vita sufficientemente interessante già nel
vostro mondo, mi limito a seguire quella e il racconto che ne esce una volta
terminato di osservare è una storia realistica, di attualità, in genere
socialmente “impegnata” e magari anche di un certo spessore culturale.
Se invece nella
vita “vera” di quell’essere umano non trovo nulla di
interessante, mi faccio un giretto nella sua testa alla ricerca di una qualche
fantasia intrigante o magari solo di uno spunto. E a partire da quello, posso
individuare la dimensione di quel suo sogno o di quel suo desiderio e quindi mi
sposto in essa, vedo cosa vi accade, la seguo e poi la racconto. E in questo
caso la storia che ne viene fuori può rivelare una vasta gamma di generi e
approcci, del tutto imprevedibili: dal sovrannaturale alla favola, dal
romantico all’azione, dal drammatico all’onirico, e così via…
Non so fare altro
che questo.
Non faccio altro
da millenni.
E tutti voi mi
conoscete benissimo. Tutti voi avete avuto a che fare con me centinaia di
volte, se non migliaia, a seconda della vostra età e della diversa voracità
nella lettura.
A volte mi avrete
scorto appena, nascosto dietro un protagonista che narrava in prima persona
tutta la vicenda, e la mia voce si sarà confusa con la sua; in alcuni casi
invece mi avrete individuato come una voce fuori campo ben distinta dalla
storia che stavate leggendo, una voce che alla fine avrete magari scoperto
essere appartenente ad uno dei personaggi di sfondo che mai avreste pensato si
sarebbe preso la briga di raccontare tutto; altre volte ancora mi avrete appena
percepito dietro le righe della narrazione onnisciente del libro che stavate
leggendo, nel quale non era importante l’identità di colui che raccontava, né
aveva valore il fatto stesso che esistesse un’identità del narratore.
Il Narratore.
Qualcuno mi ha
chiamato Cantastorie, qualcun altro Trovatore, altri ancora mi hanno appellato
come Bardo o, ancora più indietro nel tempo, sono stato chiamato Aedo.
Qualunque di
questi nomi preferiate o qualunque altro ne troviate, io rimango sempre lo
stesso.
Io sono Colui che
racconta.
Perché sono Colui
che Vede, anche oltre.
Lo sapevate che
l’antico termine greco “Aedo” deriva dal verbo “aeidéin”, che in quella lingua
sepolta significa “cantare” nel senso di “narrare”?
“Cantami”, o Diva, del Pelìde
Achille
l'ira funesta, che infiniti lutti
addusse agli Achei… eccetera eccetera…
Lo sapevate che
proprio questo verbo “aeidéin”,
che significa “cantare - narrare”, fu generato, linguisticamente
parlando, dalla forma passata del verbo “vedere”, cioè “avere visto”? E lo
sapevate che, nella stessa lingua, questa forma passata del verbo vedere si
traduce semplicemente nel verbo “sapere”?
“Avere visto”,
quindi “sapere”, quindi “raccontare”…
Be’,
barbose ed elementari nozioni storico-linguistiche a parte, io non faccio altro
che questo: ho visto, quindi so, quindi racconto.
L’ho sempre fatto,
fin dalla notte dei tempi.
Ho Visto le
vicende di leggende e miti. Le ho viste nelle menti delle popolazioni che le
avevano create per giustificare eventi più grandi di loro, da quelle menti mi
sono spostato e quindi ho Visto e assistito a quegli avvenimenti da vicino,
nella dimensione in cui quelle fantasie sono reali, vere. E le ho raccontate.
E ogni volta
Vedevo migliaia di mondi diversi, in cui accadevano le cose più normali e
quelle più incredibili.
Il mio Vedere è
diverso dal vostro. Io Vedo oltre. Non a caso l’antica figura dell’Aedo è
cieca, cieca secondo i vostri standard di occhi e vista, ma in grado di Vedere
oltre e di tradurre in modo comprensibile al mondo ciò che solo lui può
osservare.
Il Narratore
dunque può Vedere le centinaia di miliardi di dimensioni parallele esistenti.
Come ho già detto,
ogni sogno, desiderio o immagine della mente umana dà vita a una dimensione
parallela reale, che voi non riuscite a toccare fisicamente, ma che potete al
massimo conoscere. Potete però conoscere solo una piccola parte di tutti i
mondi esistenti, solo quella minima percentuale che il Narratore ha ritenuto
sufficientemente valida da essere raccontata. E quindi voi, sotto la guida di
Colui che racconta, potete scorgere solo quella manciata di dimensioni che si
sono tramutate in storie, sottoforma di libri, fumetti, film, quadri o quant’altro…
Quindi io chi
sono?
Come vi ho detto
ormai altre volte, non sono nulla di più di ciò che sembro: sono il Narratore.
Punto.
Siete delusi?
Vi aspettavate
qualche rocambolesca soluzione fantascientifica?
Magari si sarebbe
potuto scoprire che ero un vampiro alieno con poteri psichici e con la pelle
violacea, un vampiro che voleva sfruttare il potenziale di Elle per i suoi
comodi e, perché no, che voleva il sangue della povera Emma per rinascere a
nuova vita e diventare più potente (perché il sangue di un essere umano che ha
viaggiato in un’altra dimensione è indubbiamente più magico di qualunque
altro…). Sì, sì, magari vi aspettavate una cosa del genere…
Eh eh eh!
Ma insomma, vi ho
imbottito la testa con questa storia delle dimensioni parallele, dei libri, del
leggere, del viaggiare attraverso la lettura… Non è che forse avreste dovuto
aspettarvi una risposta del genere?
Se qualcosa non vi
quadra, tornate pure indietro, andate a rileggere se volete: vi accorgerete che
non vi ho mai detto nulla di diverso e, se per caso sono stato un po’
misterioso e ambiguo a riguardo, be’, ormai mi
conoscete e dovreste sapere che mi piace prendermi un po’ gioco di voi e delle
vostre prodigiose fantasie, che peraltro sono il mio pane quotidiano e non si
può mai sapere dove possano portare… Hai visto mai che mi venga voglia di
infilarmi nella vostra testa, di sbirciare un po’ meglio una qualche vostra
bella storiella mentale, che non decida di spostarmi nel mondo in cui quella
esiste e che non opti di Vedermela per bene e raccontarla a tutti…?
Eh eh eh…
Tuttavia, tra
tutto ciò che ho detto, non sarei onesto se cercassi di non porre l’accento su
un’ovvia conclusione, che tuttavia potrebbe passare sottogamba: siete voi che
siete capaci di Creare tali dimensioni grazie alla vostra mente, soltanto voi.
E questo vostro
potere è veramente immenso…
Smisuratamente
superiore al mio.
Be’,
in quel giovedì 12 ottobre del 2006, mentre Emma usciva dalla biblioteca, io
stavo cercando un protagonista in mezzo alla folla. Ero un po’ annoiato.
Capirete bene che dopo una vita passata a Vedere e raccontare si possa anche
esserlo.
Comunque, non
avevo voglia di storie pesanti di vita vissuta né di fiabe per bambini. Quindi
la mia attenzione era rivolta a soggetti che spaziavano dall’età adolescente a
quella medio-adulta. Così, mi ritrovai a dare
un’occhiata alla vostra Emma e, guarda un po’, vidi che nei suoi pensieri aveva
largo spazio un controverso personaggio dei fumetti: il vostro adorato
detective del secolo. Così, andai a dare un’occhiata veloce al mondo di lui,
quello di Death Note, tanto per rinfrescarmi la memoria
in merito. Poi tornai indietro, al
mondo di Emma e cioè al vostro, e sbirciai se tra le fantasie della ragazza
c’era qualcosa di interessante a riguardo. E scovai vaghe immagini di se stessa
nell’auto di Elle o alla Wammy’s House e altre labili
fantasticherie di questo tipo… Insomma, la sua immaginazione ancora infantile e
viva le aveva permesso di “viaggiare” e di “avvicinarsi” a lui in qualche modo,
ma la sua razionalità, la sua logica e la sua vita adulta iper
impegnata le avevano impedito di creare rocambolesche e inverosimili storie e
quindi il tutto si riduceva a vaghe immagini sbiadite, anche piuttosto
scontate, come è naturale che avvenga in questi casi. I sogni spesso sono
banali, sono clichè. Motivo per cui sono molti quelli che non li esternano,
quelli che non vogliono sembrare “stupidi” nell’avere sogni del genere. Come se
la mancanza di originalità fosse necessariamente sinonimo di stupidità o
inferiorità… bah…
Emma però sarebbe
potuta diventare un “personaggio” valido… Aveva ottime potenzialità!
Insomma, in
termini narrativi, sarebbe stato uno spreco lasciarla andare!
E fu a quel punto
che qualcosa stuzzicò la mia curiosità…
Emma sembrava
intelligente, accurata, attenta e nello stesso tempo bambina.
E così decisi di
fare una cosa che non avrei dovuto fare, discostandomi sensibilmente dalla
consueta attività del Narratore.
Anche io volli
provare l’ebbrezza di Creare qualcosa, anche se a modo mio e senza quell’immenso potere di cui siete dotati voi.
Stufo di osservare
le dimensioni delle vostre fantasie, mi dissi: e se io, invece di limitarmi a sbirciare le vicende
della dimensione scaturita dalla “banale” immaginazione di Emma, adesso
prendessi proprio lei, proprio Emma, quella del vostro mondo, e la
scaraventassi dall’altra parte, cioè nella dimensione di Death Note? Insomma, se inserissi un intruso “vero”?
E quindi mi
decisi: presi la Emma “reale”, quella che aveva letto il manga Death Note, e la piazzai in quella dimensione
che lei aveva tanto amato. Per farlo mi dovetti andare a cercare il mondo
dell’anime, che era posticipato rispetto al fumetto e correva, cronologicamente
parlando, parallelo alla vita reale di Emma, cioè il 2006. Se non avessi fatto
questo, la poverina si sarebbe trovata all’improvviso tre anni indietro e state
certi che lo scoprire di essere nel 2003 anziché nel 2006 l’avrebbe mandata al
manicomio molto più di quanto l’abbia fatto il rendersi conto che la Apple aveva ormai
un altro nome…
E comunque, così
facendo, Creai una terza dimensione, l’ibrido di cui tante volte vi ho parlato:
lo stesso arrivo di Emma in quel mondo infatti cambiò istantaneamente le carte
in tavola, presuppose l’esistenza di molte altre cose che nella dimensione
originaria di Death Note non erano state descritte, ma che
avrebbero potuto tranquillamente esserci, come ad esempio la città di Roma, la
famiglia di Emma, i suoi amici e in generale tutto ciò che faceva parte di lei.
Solo che questo “tutto”, essendo nato lì, apparteneva a quel mondo e seguiva
naturalmente le sue regole e le sue realtà contingenti, come He, la I bite e quant’altro. Regole che invece Emma, estranea, non poteva
conoscere.
Insomma, per una
volta e per gioco, sono stato io e non voi a favorire la nascita di una
dimensione alternativa che, una volta Creata, ha proseguito a vivere
autonomamente. Si trattava di una dimensione che aveva un’intrusa, della
dimensione ibrida “Emma - anime di Death Note”, come
credo di avervela appellata svariate volte ormai.
Quanto alla storia
originale, essa resta lì dov’è e non è cambiata di una virgola naturalmente,
perché appartiene ad una dimensione già scritta, che non può essere toccata, ma
solo conosciuta, quindi state tranquilli: lì Elle è morto e sepolto, come Light
Yagami del resto.
E la Emma del
vostro mondo? È sparita? Se io l’ho presa e portata da un’altra parte lei deve
essere per forza sparita dalla sua dimensione, giusto?
No, lei è ancora
lì, ignara, perché sono stato molto attento e ho agito con cognizione di causa.
Dopo aver deciso
quello che volevo fare, in quel giovedì 12 ottobre, tornai indietro nel tempo
di un paio di settimane. È superfluo ribadire che anche il passato sia una
dimensione in cui posso tranquillamente spaziare e che posso liberamente
osservare come fosse il presente. Anche il passato è un mondo parallelo che,
come tutti gli altri, segue un suo percorso: a ogni azione corrisponde una
reazione, punto. All’interno di una stessa dimensione nulla può modificare il
presente scaturito da quel preciso passato, che dunque è immobile e non
modificabile. Si può intervenire e cambiare ciò che è già avvenuto solo ed
esclusivamente creando un’altra dimensione. Vi farò un esempio: nel vostro
mondo, il soggetto X si trova a dover scegliere tra l’opzione a o b
e tra queste predilige la a; gli
effetti di questa decisione si sviluppano e il soggetto X ha un determinato
presente a, un corso della vita
dettato da questa univoca scelta passata. Non c’è modo di cambiare le cose: la
dimensione del soggetto X comprende la scelta a, egli avrà un presente a. Si può però creare la dimensione parallela alternativa,
attraverso la fantasia: il soggetto X effettua la scelta b che fa scaturire un’altra dimensione, la b, in cui le cose andranno diversamente. Ci sono quindi due
dimensioni del presente: quella determinata dalla scelta a e quella determinata dall’opzione b, ma nessuna delle due è inficiata da ciò che succede nell’altra,
perché ognuna è a sé a partire dal momento della scelta tra a e b,
che è dunque un bivio da cui si biforcano due strade distinte che non si
toccheranno mai. Il nostro caso è leggermente diverso, ma segue le stesse
dinamiche: il soggetto X naturalmente è Emma, solo che non è stata lei ad
immaginare una sua possibile scelta diversa, ma sono stato io a creare il
bivio. Come dicevo, sono tornato indietro di un paio di settimane in quella
stessa dimensione e ho preso quella Emma lì, quella del passato, e l’ho portata
da un’altra parte, creando da quel momento in poi la biforcazione. In questo
modo, il suo presente a, quello
“reale”, è rimasto intatto e la Emma che vi vive non si è proprio spostata.
Quindi ho buttato
la Emma di due settimane prima nella dimensione dell’anime Death Note, causando la nascita del mondo b.
L’incipit di
questa storia, quello che avete letto all’inizio di tutto, quel giovedì 12
ottobre, era dunque il presente b,
quello della dimensione ibrida da me creata e quello che si è poi evoluto in
questa storia. La pagina che avete letto qualche riga sopra è invece l’incipit
della storia mai raccontata del presente a,
quello della vostra dimensione, in cui la Apple è rimasta la Apple.
Io ho iniziato a
narrarvi tutto solo a partire proprio da quel giorno di ottobre perché a
partire da quel momento lei ha iniziato a dare molto più peso a ciò che le
stava accadendo e perché a partire da allora è iniziata la prima ed unica
storia che io abbia contribuito a Creare. Così ho deciso di raccontarla per
gradi, di godermela, di vivere la suspance e
l’incognita del comportamento di una persona catapultata veramente in un altro
mondo.
Ho deciso di
raccontarla ignorando il futuro e l’epilogo della vicenda stessa che stavo
osservando.
È stato un
esperimento.
Come ho fatto a
raccontare le cose giuste al momento giusto? Com’è possibile che un semplice
spettatore in tempo reale - perché in fondo quello sono stato - sapesse
riconoscere gli avvenimenti giusti da narrare se neanche lui era a conoscenza
della fine?
Ma io posso
leggere nelle menti e carpire quindi verità molto più corrette.
Ma, soprattutto,
io sono il Narratore, ho un’esperienza millenaria. Volete che non sia in grado
di rendermi conto di cosa potrà essere importante e di cosa non lo sarà? Volete
che non sappia riconoscere gli eventi determinanti al primo sguardo?
Su su, basta con le spiegazioni contorte, che vi fornisco solo
perché voi, come amanti di Death Note, do per
scontato siate avvezzi ai ragionamenti cervellotici.
Se non avete
capito, pazienza, posso accettarlo: in fondo siete solo esseri umani…
Comunque, dove ero
rimasto?
Ah sì, Elle si
strofinava svogliatamente un polpaccio con il piede e, con le dita ancora
unticce del burro dei biscotti che aveva spazzolato, stava dicendo ad Emma che
in fondo la questione della dimensione parallela non poteva essere più di tanto
sviscerata e che quindi era inutile ragionarci troppo sopra, senza contare che
aveva incredibilmente intuito come il tutto fosse scaturito dalla mia noia… Eh eh eh…
Emma rimase zitta qualche
secondo di fronte alle spiegazioni e alla tranquillità con cui Ryuzaki parlava di ciò che le era capitato e poi gli disse
«…Sì, naturalmente ha senso… Però mi riesce difficile essere serafica quanto
te… Suppongo che per parecchio tempo ancora le domande senza risposta mi
assilleranno più del dovuto… Però, sì…
ho ripreso a sognare perché ormai sono infognata con tutta me stessa in questa
dimensione… E non c’è pericolo che io possa tornare nell’altra… Ma se quel
Qualcuno che ha voluto giocare decidesse di farlo di nuovo?» gli chiese ancora
un po’ preoccupata.
«Uhm…» mugugnò Elle smettendo di
grattarsi il polpaccio «Sì, è una remota possibilità, ma si tratterebbe
comunque di un’altra interferenza: il nostro sconosciuto e annoiato Qualcuno,
ammesso che esista, dovrebbe creare un’altra dimensione ancora e ho la
sensazione che non ne abbia voglia… E comunque, a questo punto, tanto vale
chiedersi anche se domani ti cadrà una tegola in testa.»
A Emma venne da ridere.
Ryuzaki aveva
un potere: riusciva a smontare le sue ansie e i suoi dubbi in modo così
semplice che lei non se ne rendeva nemmeno conto; la logica di Elle e
soprattutto la sua tranquillità disincantata erano tremendamente contagiose,
perlomeno su alcune questioni. Stare vicina a lui era molto difficile e poteva
essere irritante ed estenuante, ma nello stesso tempo era fonte di una certa
serenità, perché la sicurezza del prossimo, se questo prossimo è vicino e se si
è recettivi, può rendere tranquilli: una persona oggettivamente in grado di
calmare, di tranquillizzare e di smontare le ansie inconcludenti altrui, senza
sforzo o magari solo in virtù della natura di un solido carattere senza paure o
velleità, può diventare un porto sicuro e ambito per molti.
E così, con poche parole e in
tutta calma, Elle aveva liquidato la questione che aveva ossessionato Emma per
più di un anno.
E fu così che Elle aiutò Emma,
anche se diversamente da come lei aveva sempre sperato e immaginato. Infatti,
al di là del caso Kira e dell’intento di salvare il
detective, la ragazza aveva sempre saputo che solo lui sarebbe potuto venire a
capo della questione che l’aveva interessata. E se anche quel suo venirne a
capo era stato diverso da quanto lei si era aspettata, la risposta che Ryuzaki aveva dato era comunque risultata risolutiva, anche
se imprevedibile.
A quel punto Elle sembrò
ricordarsi della mano unticcia e quindi iniziò a leccarsi il polpastrello del
pollice «Comunque, tegole in testa a parte, ti faccio notare che con le domande
sul tuo salto dimensionale hai deviato nuovamente dall’argomento che stavamo
affrontando. E siamo a quota due da stamattina… Io però non l’ho dimenticato,
quindi, a proposito delle lettrici di Death Note del tuo
vecchio mondo, c’è un’altra questione da definire.» passò rumorosamente a
leccare l’indice «…Quante di quelle lettrici di Death Note, dopo essere eventualmente riuscite a salvarmi, sarebbero
qui, in questa stanza, adesso?»
Emma, invece di essere contenta
per quest’ultima affermazione, riprese a infognarsi.
Riprese a rimuginare sempre di più a quel discorso che l’aveva ossessionata da
quando tutta quella storia era iniziata.
E quindi solo a quel punto
sbottò «Ryuzaki, io ho barato!» e si alzò dal divano,
trovandosi davanti a lui, in piedi, in quella sala deserta e silenziosa, mentre
fuori l’imbrunire iniziava a incombere sul parco innevato.
«Ho barato e mi stupisce che
proprio tu non ponga attenzione a questo dettaglio fondamentale! Ma insomma,
che merito posso avere? Parliamoci chiari: a modo tuo, tu mi stai dicendo che
sono qui perché in qualche modo sono riuscita a interessarti, a incuriosirti. E
correggimi se sbaglio. Mi stai dicendo che sono qui perché io, in quanto Emma,
conto in qualche modo per te?» come riuscisse a dire quelle cose con tale
freddezza e autocontrollo, viste le remore avute fino a quel momento, Elle lo
capì poco dopo «Ebbene, io, Emma, non sarei stata niente nei tuoi confronti se
non avessi letto quel maledetto manga! Se qualcosa ti ha interessato di me, è
accaduto solo perché io sapevo e semmai perché sono stata in grado di innescare
nel modo giusto quelle conoscenze. Ma insomma, Ryuzaki,
se io fossi stata semplicemente Emma, se io avessi ignorato la tua identità e
il caso Kira, tu non avresti neppure fatto caso alla
mia inutile esistenza, non avresti mai sollevato lo sguardo e la tua attenzione
su di me!»
Elle le disse candidamente «Butter cookies a parte?»
Emma si irrigidì ancora di più
«Finiscila. Se anche veramente tu non avessi compreso quello che ti ho appena
detto, e ne dubito fortemente, il problema rimarrebbe! L’Elle che conosco io
non avrebbe posto la sua attenzione su nessuna inutile persona se questa non avesse
saputo chi lui era senza aver mai avuto la possibilità di conoscerlo, senza le
conoscenze che io avevo solo grazie a ciò che ho letto. Io non ho alcun merito
personale!»
Gli occhi di Elle si fecero seri
d’un colpo, seri e freddi «Mhm. Dunque il punto è
davvero questo?» mugugnò in modo secco.
Poi la fissò e le disse
duramente «Sì. È ovvio che sia così. Tuttavia il discorso può essere
rovesciato, naturalmente. Ti pregherei di tornare lucida e di analizzare la
questione in modo oggettivo. Sei assolutamente in grado di farlo senza che io
mi debba sgolare con inutili spiegazioni. Perciò, falla finita tu, Emma.»
Lei si bloccò.
Dove aveva sbagliato questa
volta?
«…Sì, il punto è questo, o
perlomeno è uno dei tanti. E temo proprio che tu debba sgolarti per
spiegarmelo. Ti ricordo che non sono come te.» disse lei e poi aggiunse
titubante «…Cosa… cosa vuol dire che il discorso può essere rovesciato…?»
Elle replicò immediatamente,
ovviamente senza sgolarsi, ma mantenendo un tono piatto «Vuol dire
semplicemente che devi guardare la questione da diversi punti di vista,
compreso il mio, senza rimanere fossilizzata solo sul tuo. Se invece lo hai già
fatto, ne devo dedurre che tu sia certa del fatto che quella Emma di cui tu
parli si sarebbe avvicinata a me anche se non avesse letto quel manga. Devo
dedurne che quella Emma si sarebbe comunque seduta sul prato, vicino a quel
tronco e a me. Devo dedurne che mi avrebbe offerto comunque i biscotti.
Insomma, devo dedurne che quella Emma, ignara di Kira
e degli Shinigami, mi avrebbe comunque dato
immediatamente modo di raffrontarmi con lei, senza che nei suoi occhi si
leggesse il consueto e noioso disagio della gente nei mie confronti, se non la
disapprovazione. Ne deduco che sei certa che quella Emma avrebbe intavolato una
conversazione in modo naturale. Ne deduco che sai quindi che quella Emma,
naturalmente e comunque, avrebbe parlato con me senza il disagio che, qualora
invece ci fosse stato, io non mi sarei mai sognato di rompere, né avrei mai
avuto curiosità, interesse o voglia di rompere.»
Emma rimase di sasso.
No… Era certa che quella Emma
non l’avrebbe fatto… Sapeva che quella ipotetica Emma, quella che non aveva la
più pallida idea di cosa fosse Death Note, non
avrebbe mai dato confidenza a quel ragazzo strano e bianco come un cadavere, a
quel ragazzo scheletrico e a piedi nudi, che sembrava un pazzo dissociato dal
mondo, a quel ragazzo appollaiato bizzarramente su un tronco, con due occhiaie
da fare paura e due pupille dilatate da tossicodipendente…
«No, Ryuzaki…
Il tuo sarcasmo è adatto, perché in realtà sai benissimo che non sono certa di
questo… Al contrario… Quella Emma non avrebbe mai fatto tutto quello che ho
invece fatto io… Ma, mi… mi… mi stai dicendo che per te è lo stesso, che se io
non avessi letto Death Note, tu…» disse Emma poco convinta.
«Ti sto dicendo che se tu non
avessi letto quel manga non ti saresti mai avvicinata a me, semplicemente
vedendomi, perché la mia sola presenza ti avrebbe messo a disagio. E quindi,
spostando l’ottica dal mio punto di vista, io non avrei mai avuto alcun motivo
di spingerti a distruggere quel disagio, perché non mi sarebbe importato
assolutamente nulla del fatto che tu l’avessi. Né tanto meno mi sarebbe saltato
in mente di sforzarmi per farmi conoscere e accettare per quello che sono,
perché, come credo tu sappia benissimo, ciò che pensa la gente di me mi lascia
completamente indifferente. Perciò, il fatto che tu abbia letto quel manga ha
facilitato le cose anche a me. E, se devo essere sincero, la cosa non mi dà
fastidio, né mi crea problemi. È solo un dato di fatto e non mi perderei in
ulteriori considerazioni inutili su questo punto. Dubito che il “come” abbia un
valore. I “mezzi” non hanno importanza se osservati in funzione del risultato.»
Un ragionamento impeccabile.
Impeccabile, pratico e basico.
Basico nel senso di semplice e senza i fronzoli paranoici e inutili che si era
fatta Emma.
Lei aveva letto Death Note e questo le aveva permesso di
avvicinarsi ad Elle e di interessarlo e nello stesso tempo le aveva consentito
di rivolgersi a lui con una spontanea naturalezza alla quale lui non era
abituato. Dal canto suo invece, Ryuzaki non aveva
dovuto fare proprio nulla, perché Emma si era precedentemente pappata ben 7
volumi di manga, che le avevano lentamente permesso di adorarlo senza che il
“vero” Elle dovesse fare il minimo sforzo, sforzo che peraltro lui non avrebbe
nemmeno mai fatto, visto il totale disinteresse che in generale nutriva verso
un certo genere di dinamiche e verso le persone in generale.
In parole semplici: non avevano
“rotto il ghiaccio” grazie a loro stessi, ma con l’aiuto di qualcos’altro.
Tutto qui.
Anche lui era partito in
vantaggio, anche lui avrebbe potuto pensare che Emma, senza manga, non si
sarebbe mai avvicinata a lui, esattamente come lei aveva la certezza che Elle
non si sarebbe mai interessato a lei senza Death Note.
Erano alla pari.
Erano partiti col vantaggio
entrambi. Punto.
Dov’era il problema?
Elle, che in questo era molto
più maschio di quanto non avrebbe mai immaginato, non si poneva proprio il
problema del “come”.
E, naturalmente, per lui ciò che
contava erano i fatti.
E in quattro e quattr’otto smontò le paranoie, tutte femminili, di Emma.
Emma che ancora non riusciva a
credere a quello che lui le aveva appena detto.
Ci pensò un po’ su prima di
replicare e poi finalmente disse la sua «Insomma…» tentennò un po’, ma poi si
riprese e assunse un’espressione inaspettatamente divertita «Insomma, il fine
giustifica i mezzi anche in questo campo. Avrei dovuto supporlo che per te
fosse così…»
Il buio del pomeriggio invernale
era calato.
La porta dell’ingresso si
spalancò e il trambusto dei passi di un’orda di ragazzini eccitati e
imbacuccati si riversò nell’atrio.
«Fermi! Asciugate gli stivali!
Cappotti, cappelli e sciarpe sull’attaccapanni!» squillò la voce severa di una
donna di una certa età, che Emma riconobbe per quella della professoressa che
le aveva aperto la porta. Passi disordinati che tornavano indietro e borbottii
e sbuffi vari arrivarono distintamente.
«Ti piace davvero, allora? Lei
ti piace?! Lei??!!» Mello era comparso sulla soglia e
immobile guardava quei due giovani che parlavano in piedi, uno di fronte
all’altra, vicini. E li guardava con un’espressione arrabbiata e sconvolta, con
ancora il cappotto indosso e gli stivali di gomma inzaccherati di terra mista a
neve.
Ryuzaki ruotò
lentamente il capo verso il ragazzino biondo, che rimaneva immobile sulla
soglia «Ovvio. Sono un essere umano anche io, dopotutto.» gli disse con una
semplicità e una tranquillità quasi annoiate, come se quella fosse stata la
domanda più stupida e inutile che avesse mai ricevuto.
Il ragazzino sgranò gli occhi.
«Mello!!»
la voce severa della professoressa giunse dall’atrio e poi la sua figura tozza
sbucò appena sulla porta, alle spalle di lui. La donna prese Mello per il cappuccio del cappotto «Ho detto di levarsi il
cappotto e asciugare e pulire gli stivali prima di entrare! Guarda cos’hai
combinato qui per terra?!» lo tirò indietro e giunse poi solo la sua voce «Fai
quello che ti ho detto e poi fila immediatamente a prendere uno straccio dalla
sala della lavanderia e asciuga questo schifo!! Non sarà certo qualcun altro a
riparare i tuoi danni! Di corsa!!! Tutti gli altri: andate alle docce e
cambiatevi gli abiti.»
Il rumore dei passi sulle scale
e il borbottio bisbigliato tipico del momento successivo ad una lavata di capo
subita da qualcun altro fecero da sottofondo al silenzio che regnava nella sala
dove erano Emma ed Elle.
Gli piaccio…gli
piaccio… gli piaccio…gli piaccio…
Pretende che io sia
in grado di osservare le cose dal suo punto di vista. Ma lui è in grado di
immedesimarsi in me, in quello che mi ha fatto passare? Come può non esserlo?
Come? Come può essere così incapace?
Gli piaccio…
Gli piaccio…
E poi Emma parlò «Ryuzaki, tutto questo discorso a quale considerazione
finale dovrebbe portarci?»
Elle inclinò il capo e rispose
con semplicità «Forse al fatto che una persona, per riuscire ad interessare
Elle sotto un certo punto di vista, doveva arrivare da un altro mondo?»
Lo disse con un’ingenuità
disarmante e con quella consueta ironia, che però stavolta era rivolta verso se
stesso. Elle conosceva se stesso e i suoi limiti e difetti meglio di chiunque
altro…
E ad Emma non poté che venire da
sorridere.
Lui alzò lo sguardo verso l’alto
e si portò il pollice sul labbro «Be’, l’Elle del
manga del tuo mondo, da come lo hai descritto tu nella trama che ho letto, non
avrebbe mai fatto queste considerazioni. Come del resto non le avrei fatte io,
fino all’anno scorso. Ma io mi sono ritrovato in una situazione differente
dalla sua, con una variabile in più, quindi le cose sono andate diversamente su
vari fronti, sempre per la “teoria del caos”. E non ci vedo nulla di strano. È
logico. Azione e reazione. Ma in questo senso capisco anche tutta la tua remora
ad avvicinarti a me in un certo modo: c’era un lato di me che non “conoscevi” e
non eri abituata a vedermi in determinati contesti, come non ero abituato io.
Solo che io, poi, ci sono stato in quei contesti, li ho vissuti. E stranamente,
ogni volta, il tutto risultava a te più assurdo e inverosimile di quanto non
sembrasse a me. Era così perché tu avevi un’immagine di me che non andava
affatto d’accordo con quanto avveniva… E oggi lo hai fatto ancora, di continuo:
stamattina sei fuggita dopo le parole che ti ho detto a proposito del mio
comportamento di quest’estate, e poi hai allontanato
il discorso in altri modi.» si grattò la nuca e riportò gli occhi su di lei
«Forse che ti piace di più l’Elle del manga, Emma, quello per il quale tu non
esisti? La tua presenza in questo mondo continua a stonarti così tanto con la
mia persona, tanto da fuggire?» le chiese in modo disarmante.
E così crollò l’ennesimo immenso
castello costruito da Emma fin dal primo istante in cui si era ritrovata in quel
mondo. Ryuzaki aveva perfettamente centrato anche il
punto di quella situazione.
E lei non sapeva cosa dirgli…
«Come fai…? Come fai ad essere così libero e sicuro? Come riesci a sondare così
bene ogni circostanza? Come fai a capire le persone e le situazioni in questo
modo…?»
Lui sollevò appena le spalle,
con noncuranza «Forse perché ho un’intelligenza superiore al normale.»
Emma si avvicinò a lui,
fissandolo intensamente «È vero! È tutto tremendamente giusto e vero! Ho sempre
avuto paura di scoprirti diverso dall’Elle che avevo conosciuto, dal detective
di carta… Ho sempre avuto il terrore di rimanere delusa… Il problema sono io…
Ho sempre pensato che se fossi stato diverso non mi saresti piaciuto allo
stesso modo…»
Elle le chiese «Ed è successo?»
E a quel punto Emma trattenne il
respiro.
E con un filo di voce gli
rispose «No…»
No, perché quello che aveva
davanti era lui.
No, perché non c’era nulla che
stonasse con lui.
No, perché quella era la sua
voce.
No, perché quelli erano i suoi
occhi, quelli erano i suoi ragionamenti, i suoi modi, le sue sicurezze, le sue
stranezze.
No, perché quello era Elle e non
c’era nulla che non andasse in lui.
Nessuna delusione…
Le andava bene?
Elle le stava indubbiamente
dicendo, a modo suo, che lei contava qualcosa per lui. E nulla stonava con la
sua persona.
Nulla.
E se il suo fosse stato solo un
capriccio passeggero, un’infatuazione fisica, una fisiologica e umana pulsione
sessuale? Del resto, da quel punto di vista lui era come un adolescente
inesperto. Se Elle non fosse stato in grado di amare, al di là delle pulsioni
fisiche, esattamente come Near?
Se, come diceva Watari, lui non aveva minimamente calcolato quanto lei
avrebbe sofferto in seguito alla notizia della sua falsa morte solo per
abitudine, per ignoranza, incapacità di agire diversamente da come aveva sempre
fatto? Quindi solo perché l’aveva considerata alla stregua del resto del mondo
e, in sintesi, solo perché non sapeva cosa significasse amare?
…Lo avrebbe baciato con tutta se
stessa, in quell’istante.
Il cuore aveva iniziato a
batterle violentemente nella gola.
Se solo non l’avessero
ossessionata tutte quelle domande!!
Ryuzaki
assecondò il silenzio di Emma, poi la scrutò con attenzione «Vuoi baciarmi,
vero?» le chiese candidamente.
Emma ingoiò «Sì, vorrei…» e poi
gli disse, con la voce palpitante dall’emozione e dai battiti accelerati del
cuore che le arrivavano in gola e che tradivano la sua voglia di contenersi
«…Hai finalmente capito la causa scatenante?»
«No.» rispose lui secco «L’esperienza
accumulata mi ha solo permesso di capire esattamente quando devo aspettarmelo.
È semplice: lo fai o vorresti farlo ogni volta che lo voglio anche io.»
I battiti del cuore di Emma
esplosero. Quelli non poteva proprio contenerli.
«E… perché… perché non lo starei
facendo adesso…?» la voce le tremava sempre di più.
«Perché hai paura del contatto.
Perché adesso hai paura del contatto. Perché con me l’esperienza ti ha
insegnato a evitarlo, perché il fatto di avermi avvicinato e toccato in passato
ti ha fatto stare molto più male poi. Perché ti ha causato più dolore. Perché
hai costruito una barriera, molto labile, ma pur sempre una barriera.» e poi,
con calma, spostò lo sguardo in basso, e si osservò il bordo della maglia…
Era verissimo tutto, ancora una
volta…
Sei in grado di
immedesimarti allora! Oddio…
Emma seguì la direzione di
quegli occhi profondi e si ritrovò a fissare le dita di Elle che stringevano e
stropicciavano convulsamente il bordo della maglietta candida che indossava.
Le palpebre di Emma si
sgranarono.
E capì.
Finalmente.
Un’esplosione illuminò l’animo
di quella giovane donna.
Ryuzaki aveva
compreso così bene perché anche per lui era così.
Si era osservato le dita che si
stringevano in modo incontrollato attorno alla maglia per farle capire
qualcosa, per farle capire che lui faceva esattamente la stessa cosa. E l’aveva
sempre fatto, nonostante i toni e l’aspetto asettico.
Paura del contatto!
Elle aveva capito così bene
perché per lui era lo stesso! Esattamente come Emma aveva pensato tanto tempo
prima…
Solo che nel caso del detective
la barriera era immensamente più grande e profondamente connaturata al suo Io.
E nella mente di Emma si
presentò l’immagine del gelido Near,
irrimediabilmente perduto nella sua immensa e irreversibile carenza. Rivide la
totale assenza di una qualunque reazione di fronte al bacio che gli aveva
schioccato la bambina.
Polvere…
Ryuzaki non
l’aveva mai fatto.
Nemmeno una volta!
Ryuzaki
sentiva.
Sentiva più degli altri. E anche
per questo non voleva che nessuno lo toccasse…
Perché al contrario della
freddezza che comunicava, in realtà il contatto lo sconvolgeva ormai più di
quanto non accadesse a un qualunque essere umano emotivamente maturo.
Dopo aver passato gran parte
della sua giovane esistenza a costruire un muro che lo difendesse dalla
delusione e dalla sofferenza di ricevere un abbraccio che non sarebbe mai
potuto essere quello di una madre o di un padre, si era volutamente ritrovato
così a digiuno e così privo dell’abitudine di essere anche solo sfiorato, che
il semplice tocco di qualcuno lo sconvolgeva innaturalmente. Le cose nuove o
anche quelle che non si fanno da molto tempo provocano sempre quel brivido in
più…
E ora, qualunque contatto lo
toccava così tanto da portarlo a rabbrividire, sebbene questo sconvolgimento
fosse evidente da piccoli e spesso inosservati gesti. Gesti che lui camuffava
magistralmente, mantenendo una compostezza nella voce e nello sguardo che
ingannava chiunque.
E un torrente impetuoso di
immagini travolse Emma.
La figura tremante di Elle che
stropicciava i jeans, mentre Aizawa lo scrollava,
dopo la drammatica morte di Ukita. E le sue parole, “Aizawa, si calmi… Posso capire quello che sta provando…”
“Posso capire… posso capire…”
Anche l’Elle di carta sentiva…
E poi il ricordo vago delle mani
di lui che si irrigidivano tormentate, le volte in cui lei lo aveva baciato.
E ancora lo stesso gesto, quando
erano in quella stanza, in una tardissima notte estiva…
E così Emma osservò ancora più
intensamente quelle dita lunghe e sottili, che anche in quel momento si
serravano contratte al cotone della maglietta… In quello stesso preciso momento.
Lei non lo stava toccando adesso, ma lui sentiva
lo stesso. Sentiva lo stesso per
quello che le aveva detto. Per quello che le aveva detto a proposito della
paura del contatto…
La terra!
C’era! In lui c’era!
Era solo rimasta rinchiusa e
protetta dal muro che lui aveva alzato, ma lì dietro, nelle buie profondità di quell’animo solo, quella terra esisteva, fertile, perché
nutrita in un’infanzia lontana da chi lo aveva amato come la cosa più
importante al mondo, un figlio…
Ryuzaki era
stato amato.
Proprio perché era stato amato e
aveva sofferto così tanto per la perdita insostituibile di quell’amore,
adesso si difendeva così…
Ecco perché Watari
aveva voluto dire ad Emma tutte quelle cose… Perché lei capisse la fondamentale
differenza tra il ragazzino dai capelli candidi, perduto per sempre, e Ryuzaki…
E nella mente le risuonarono ora
nettamente la voce di lui e le sue parole, tutte quelle affermazioni pacate che
erano seguite ogni volta che lei lo aveva baciato e alle quali Emma non aveva
mai voluto pensare troppo.
“Non mi ha dato fastidio.”
No, quel bacio non gli aveva
dato fastidio. Dopo aver temuto il risultato di quel contatto, esso non lo
aveva fatto soffrire…
“Credo che questa sia una cosa
scorretta e lo è perché non credo di volerla gestire, non credo di poterla
gestire…ora. E temo accadrà di nuovo. Temo avverrà inaspettatamente come è
avvenuto finora.”
No, non poteva gestire quel
cambiamento, quella scoperta, in quel momento… Perché la priorità era, allora,
un’altra…
“Tutto questo è un gioco
pericoloso, Emma. Tutto questo non è mai avvenuto.”
Già. Non era mai avvenuto.
Era così semplice, così
incredibilmente semplice nella sua complessità.
E ancora le rivennero in mente
tutte le volte che era stato lui a cercare un contatto, anche se minimo e
delicatissimo, senza tremore, o anche se strano e sottoforma di bizzarro e
insopportabile test.
La normalità di averla accanto,
l’abitudine ad averla accanto e ad essere sfiorato, avevano di volta in volta
ridotto quello sconvolgimento e quel timore che fino a poco prima avevano
attanagliato Elle di fronte a qualunque comune e innocuo contatto.
Emma sentì l’istinto di
abbracciarlo forte a sé e, a differenza di quanto sarebbe accaduto mesi prima,
non ebbe più alcuna paura nel farlo.
Così, inaspettatamente, gli
gettò le braccia intorno al busto asciutto e si strinse a lui con tutta la
forza che aveva, sentendo di nuovo quel noto profumo di bucato della sua
maglietta bianca di cotone.
E lui, ritrovandosi d’un tratto
col capo di Emma poggiato e appiccicato nell’incavo sotto il suo lungo collo,
sgranò gli occhi.
Ed Emma sentì il grattare dei
polpastrelli e delle unghie mangiucchiate di Elle che strofinavano ora la
ruvida stoffa dei jeans.
E mai come allora si sentì
felice di quel gesto. Percepì violentemente tutto quello che provava nei
confronti di quel “bambino” così solo e incapace di ricevere un abbraccio solo
perché lo aveva sempre allontanato, solo perché erano anni che non ne riceveva
uno, solo perché aveva troppa paura di quello che sarebbe accaduto dopo averlo
ricevuto.
E il “piccolo” Ryuzaki, allora, convulsamente allungò le dita sottili e
afferrò il lembo della felpa azzurra di Emma e lo stritolò.
Lentamente sul volto del giovane
detective comparve quell’espressione ingenua e
infantile, quella di quando mostrava di non essere preparato, di essere fuori
dal mondo, di essere inesperto e tremendamente semplice di fronte ad alcune
dinamiche del mondo…
E con quell’espressione,
adagio e delicatamente, appoggiò appena il mento sul capo di Emma, che era
rannicchiata sotto il suo collo, perché lui era più alto.
Un gesto così tenue e
apparentemente insignificante, eppure così importante e vero.
Le dita di Ryuzaki
gradualmente strinsero il lembo della felpa di lei in modo sempre più solido,
ma sempre meno convulso…
Rimase così, col mento
semplicemente e leggermente poggiato sul capo di lei, in silenzio, mentre
quella giovane ragazza lo stringeva e si azzardava ad abbracciarlo.
Abbracciarlo con tutte le emozioni che aveva in corpo. Abbracciarlo dopo averlo
schiaffeggiato violentemente e con rabbia, dopo aver evitato per tutto il
pomeriggio qualunque argomento riguardasse il loro rapporto, i suoi sentimenti,
dopo aver fuggito ogni pensiero che potesse riguardare quella sfera.
Emma.
Emma era più forte di lui.
Emma vinceva…
Emma, che rimanendo col capo
sprofondato nel cotone profumato di quella maglietta, mentre percepiva tutti i
minimi cambiamenti nel corpo che stringeva, gli disse «… Tu sei più umano di
qualunque altro uomo io abbia conosciuto… è vero, sei gelido, cinico,
inavvicinabile… Ma adesso mi chiedo come io abbia potuto solo lontanamente
pensare, come io abbia potuto essere così stupida e cieca da pensare che tu non
fossi così come ti sento adesso… Io non ero mai riuscita ad abbracciarti… Non
ci ero mai riuscita perché non avevo capito niente… Credevo che non te lo avrei
mai potuto dire!!»
E non gli disse perché lo aveva
pensato, quali erano stati tutti i ragionamenti sul passato di lui che
l’avevano portata a intuire quell’importantissima
verità, quella unica e certa sensazione di solidità. Non glieli avrebbe mai
detti, perché non era nella sua indole e perchè con Elle certe cose potevano
benissimo non dirsi. Perché lui capiva. Perché lui avrebbe capito benissimo.
Perché, a differenza di quanto mostrava al mondo, Elle conosceva benissimo se
stesso, conosceva tutte le proprie stranezze, tutte le proprie bizzarre e
fredde dinamiche di approccio. Sapeva perfettamente il perché era così e il
perché era diventato così. Semplicemente si accettava. Non poteva essere
diverso.
Ed Emma lo aveva capito. Lo
aveva capito benissimo.
E adesso glielo aveva detto.
E solo allora, Ryuzaki parlò, con quel tono calmo e pacato, che sempre
risultava sensuale, qualunque cosa dicesse «Come sempre, le tue reazioni sono
alquanto controverse. E come sempre non mi è chiara la causa scatenante…»
Emma sorrise appena, senza che
lui potesse vederle il volto sprofondato sulla sua spalla. Sorrise perché
sapeva benissimo che non era così, perché quella era una bugia, perché Elle
rimaneva un bugiardo: perché sapeva benissimo che era stato proprio lui la
causa scatenante, che era stato proprio lui a voler provocare quella sua
reazione, era stato lui a testarla ancora una volta, era stato lui che aveva
voluto vedere quanto lei potesse capire. Era stato il semplice sguardo di Ryuzaki alle proprie mani tormentate che l’aveva portata a
capire… Elle aveva ascoltato la conversazione tra Emma e Watari
riguardo Near. E così aveva fatto e detto ciò che
sperava avrebbe permesso ad Emma di comprendere tutto, ciò che sperava avrebbe
risvegliato la vera indole di Emma e l’avrebbe portata a vincere. A vincere su
di lui…
E Ryuzaki
proseguì, continuando a rimanere col mento poggiato sul capo di lei «Ma pare
che alcuni tasselli tu li abbia ricomposti. Pare che quel qualcosa che non “conoscevi”
di me e che non potevi sapere, be’, pare che quel
qualcosa tu adesso lo conosca.»
Ed Emma ricompose nella sua
mente anche tutte le volte che lui aveva ambiguamente constatato che,
nonostante tutte le sue “conoscenze”, esisteva qualcosa di lui che Emma non
conosceva…
«…Conoscere…?» chiese
flebilmente lei.
Poi delicatamente mosse il capo
e lui percependolo la assecondò, sollevando appena il mento, così Emma poté
alzare la testa e guardarlo negli occhi «… No, non “conoscere”… Forse, solo
“intuire”… Ma non conoscerò mai fino in fondo… »
«Mhm.»
mugugnò lui come incuriosito.
Poi la osservò con espressione
ironica e vagamente provocatoria «Pensi forse di volerne sapere di più?»
Lei sorrise, rivedendo
l’impassibilità e il cinismo che facevano meravigliosamente parte di quel
giovane uomo, ma che, se non l’avevano mai allontanata e anzi l’avevano
attratta, di certo l’avevano sempre inibita. Ma non più, non in quel momento. I
modi fermi e distaccati di quel giovane erano veri, reali, spontanei,
terribilmente affascinanti, ma quello stesso giovane uomo le stava stringendo
il lembo della felpa. E le due cose non cozzavano tra di loro. Al contrario… Erano
vere entrambe.
E così, continuando a cingerlo
con le braccia, morbidamente e in modo disinvolto, Emma rispose, guardandolo
negli occhi «… No, Ryuzaki…
Anzi, forse intuire mi piace ancora di più di conoscere. Intuire va oltre la
conoscenza… O perlomeno, in determinati campi, va oltre…»
Sì.
Emma vinceva.
Emma su quello vinceva.
Lui aveva posto una domanda per
metterla alla prova.
Ma lei aveva vinto, un’altra
volta.
E non lo sapeva.
«Mhm.»
mugugnò di nuovo lui, che invece era pienamente cosciente del fatto che lei
avesse vinto, che avesse superato un’altra volta il test.
Emma lentamente fece scivolare
le braccia dal busto di lui e giunta in fondo gli afferrò tra le dita il bordo
della maglietta e in quel gesto che sempre l’aveva avvicinata a lui, fece un
breve passo indietro e lo guardò decisa.
«Mi hai voluta qui, adesso. Mi hai
fatto delle cose orribili, ma mi hai voluta qui. Se questo è vero, se è vero
tutto quello che hai cercato di dirmi oggi, devi sapere una cosa: io non
accetto mezze misure da te. Pretendo dalla tua intelligenza che tu ti renda
conto, anche solo razionalmente, di ciò che mi hai fatto solo perché non sei
abituato a preoccuparti delle conseguenze delle tue azioni sul prossimo, solo
perché te ne sei sempre e soltanto fregato del prossimo e di quello che la
gente potesse pensare o soffrire.
E te ne sei fregato anche se sei
perfettamente in grado di capire nel profondo cosa la gente provi.
Ma io non sono la gente.
Continua a fare come ti pare col
resto del mondo, continua a non considerare le opinioni che le persone hanno su
di te né le loro reazioni, perché questa è una delle tante assurde cose che mi
piacciono di te.
Ma io non sono le persone.
E non fare i tuoi conti con
quanto accaduto in quest’ultimo anno, con la Emma che
hai conosciuto: io avevo costruito il mio piano per salvarti e quindi avevo
accettato di essere usata e trattata come tu tratti la gente, ma mi sono
comportata così soltanto perché sapevo che questo era l’unico modo, che tu non
avresti potuto fare altro, perché sapevo che, come il resto del mondo, non
avrei mai contato nulla nella tua vita solitaria. L’ho fatto perché allora ero
convinta di essere la gente. Ero
convinta che per te potesse esistere solo la gente.
Non è così? Mi vuoi? Soltanto
me, proprio me, Emma?
E allora deve sempre interessarti cosa io possa pensare di te. Deve sempre importarti cosa io possa
fare a te. Deve sempre essere anche affar tuo il come io possa reagire a una qualunque tua
azione nei miei confronti.
Mi vuoi?
Allora io non sono come il resto
del mondo e non puoi trattarmi come se lo fossi, solo per disattenzione,
abitudine e ignoranza. Io non accetto ignoranza da te. È l’unica incapacità che
non potrò mai accettare, perché è l’unica vera incapacità alla quale si può
porre rimedio.
E bada bene, non ti disprezzerò
mai né recriminerò mai per il tuo cinismo e la tua narcisistica fredda
sicurezza, al contrario. Ti voglio così.
Ma devi imparare a gestire la fondamentale distinzione che c’è tra me e
tutto il resto del mondo. Distinzione che non sei capace di gestire, per
ignoranza, ma che tu stesso hai operato, altrimenti io non sarei qui.
Io sono Emma. Io non sono il
resto del mondo.»
Continuando a tenersi l’uno con
l’altra per il bordo delle maglie, Elle le disse con un tono calmo e leggero
«Trovo sempre più irragionevole il fatto che tu ti ritenga priva di sicurezza.
E trovo che tu sia sempre più presuntuosa: mi stai dicendo che sei unica.»
«Perché lo sono.» rispose
lapidaria lei.
Perché quell’uomo
di granito che aveva sempre accusato ogni colpo, quel giovane detective per il
quale tagliarsi era stato impossibile, quel giovane ragazzo che non conosceva
paura ed era sempre rimasto di ghiaccio, quell’uomo
ora sapeva che se lei se ne fosse andata, lo avrebbe lasciato ferito.
Elle sorrise appena, soddisfatto
e vagamente divertito «Ad ogni modo, imparare
qualcosa non è un problema. Non lo è mai stato. È ciò che so fare meglio.»
Fuori ricominciarono a cadere
leggeri i fiocchi di neve, nell’oscurità di quel pomeriggio di dicembre che si
trasformava in sera.
All’interno i vetri delle finestre
si appannarono appena ai bordi, mentre il fuoco crepitava nel camino.
E quel 12 di ottobre, trascorso da poco più di un anno, adesso sembrava perduto in un passato troppo lontano.
Io credo di
potermi fermare qui.
Credo che il resto
sia noioso.
Se nelle storie
non c’è mai il resoconto del “dopo”, ci
sarà un motivo.
Come faranno?
Come vivranno?
Io so soltanto che
entrambi, imparando qualcosa di nuovo, rimarranno ciò che sono, perché sono
perfetti così. So che nessuno dei due abbandonerà mai il proprio appassionante
lavoro, che anzi entrambi, nel rispetto della loro indole, si arricchiranno
l’uno dell’attività dell’altro, l’uno della vita dell’altro.
E Watari?
E i genitori di
Emma che lo davano per morto?
Be’,
come risolveranno queste cose sono affari loro, sono problemi di vita che
onestamente non mi interessano. Dopo tutto questo tempo a stare dietro a loro
ho un gran voglia di cambiare aria, genere, soggetti, dimensione.
L’esperimento è
finito, in lieto fine per giunta (be’, tralasciando
il dettaglio degli svariati morti ammazzati…).
Io mi sposterò da
qualche altra parte e voi mi rincontrerete presto, molto presto. Magari anche
fra pochi minuti, quando aprirete il vostro libro da comodino. Magari non vi
sembrerò io, magari il mio linguaggio sarà superiore a quello di questa storia,
come anche le tematiche, magari vi sembrerò più serio e attendibile, magari non
parlerò con voi e fingerò di non riconoscervi.
Ma io sono lì,
sempre. Sono sempre lo stesso e sempre continuerò a fare ciò che ho sempre
fatto.
A volte ciò che vi
racconterò potrà piacervi e coinvolgervi fino alle lacrime.
Altre volte
invece, no.
A volte vi
sembrerò bravissimo, altre volte mediocre.
A volte vi
mancherò tremendamente e vi sembrerà di aver perso una persona cara dopo aver
finito di leggere l’ultima riga del vostro libro.
Ma sempre, ogni
volta, mi lascerete con la speranza che ci sarà un’altra volta.
Perché non c’è
limite alle dimensioni che la vostra creatività è in grado di plasmare. Non c’è
limite a ciò che io posso Vedere. E ci sarà sempre una storia che vi
coinvolgerà.
Perciò,
salutandovi in attesa di rivedervi a breve, mi dileguo da questa dimensione
ibrida, nella quale il sole continuerà a sorgere e tramontare, giorno dopo
giorno, nella quale gli eventi continueranno a scorrere, le persone a nascere e
morire, nella quale i vostri due protagonisti continueranno a vivere e a esistere.
Avete ancora
qualche dubbio in proposito?
C’è un mondo in
cui esiste Elle.
C’è un mondo in
cui esistete voi.
C’è un mondo in
cui esistono Emma ed Elle insieme.
Sì. Loro due, da
qualche parte, esistono.
Io li ho Visti.
Io lo so.
Fine
È molto difficile per me scrivere queste note, perché
so che sono le ultime che scrivo.
È stata dura anche decidermi a postare il capitolo,
e non solo per la mia ormai nota mancanza di tempo. È stata dura perché pubblicare
questo capitolo significa chiudere qualcosa e, per quanto io possa sentirmi
felice di essere riuscita a completare questa lunga storia, mettere la parola
fine è tremendamente triste. E per questo ho deciso anche di cambiare il colore
delle note, così non mi viene la nostalgia, perché l’ultima volta che ho
scritto col verde non sapevo che fosse l’ultima (ooook…sono
contorta, sì, lo so… :D)
Non credo che possiate sapere quanto questa
storia sia stata importante per me. Forse a qualcuno di voi l’ho scritto nelle
risposte alle recensioni, ma qui non l’ho mai detto in modo chiaro: io non
avevo mai scritto nulla prima di questa fan-fiction e non avevo la più pallida
idea di cosa significasse scrivere, di quanto questa meravigliosa dimensione
potesse darmi, di quanto io potessi sentirmi a mio agio in essa,
indipendentemente dai risultati. Non lo sapevo, ma con tutta probabilità lo
intuivo, perché l’idea della dimensione parallela è stata la prima cosa che
pensai.
Ora che sapete ogni cosa (e spero che più o meno
sia tutto chiaro…) posso quindi dirvi che questa storia nacque come omaggio a
Elle, che avevo amato, perché volevo continuare a sapere di lui, perché volevo
continuare a vederlo. Ma soprattutto nacque perché volevo salvarlo.
Volevo un Elle vivo.
Volevo anche una cosa banalissima: una donna
adatta a lui (e questa impresa è stata tutta in salita… +_+).
Volevo almeno cercare di rivivere ogni momento
di Death Note, ma con una trama diversamente
intrecciata.
Volevo una storia che si adattasse a queste esigenze
poco originali e ai miei comunissimi sogni.
E così ho scritto semplicemente quello che avrei
voluto leggere (i gusti sono gusti ^_-).
Ho scoperto un modo nuovo di viaggiare in un’altra
dimensione, un modo più potente e travolgente: scrivere.
Perché per me scrivere qualcosa è stato come
leggere un libro appassionante. Anzi, è stato incredibilmente più irresistibile.
Quindi, questa storia non è nata solo come il
mio omaggio a Elle, ma anche come il mio personale e modestissimo omaggio alla
Lettura e alla Scrittura, con tutte le miriadi di dimensioni che queste ultime
contribuiscono a creare e nelle quali noi possiamo viaggiare.
Vorrei avere la sicurezza del nostro Narratore,
la sua spavalderia, ma non ce l’ho.
E a questo proposito vorrei dire qualcosa:
alcune di voi mi hanno chiesto se il personaggio di Emma fossi io, be’, come ho risposto allora, posso dire che vorrei tanto
essere al suo posto ^_-
Scherzi a parte, in Emma ci sono alcuni lati del
mio carattere, ma solo alcuni. Sono convinta che ciascuno di noi sia timido,
estroverso, socievole, orso, freddo, sensibile, presuntuoso, insicuro,
avventato, pauroso… Credo che in ognuno di noi ci sia un po’ di tutte queste
contrastanti caratteristiche. La differenza è nelle percentuali, per dirla in “ellese”. Perciò, il timido sarà certamente timido al 99%,
ma nella parte più profonda del suo io egli conosce la sicurezza (quel
micragnoso 1% rimanente), o perlomeno è in grado di figurarsela. Quindi in Emma
ci sono anche caratteristiche che io possiedo, ma le percentuali sono differenti,
profondamente differenti, col risultato che io e lei siamo diverse, veramente molto
diverse…
Quindi, forse, se proprio dovessi trovare il mio
vero alter-ego, lo troverei nel Narratore, proprio perché
lui dice tutto quello che io non direi mai, ma che forse vorrei avere la
sicurezza di dire, chissà ;D
Ooook, la faccio finita con le
confessioni (ma nessuno di voi ha ancora alzato gli occhi al cielo con la bolla
al naso???)
Io non so se quest’ultimo
capitolo e in generale la fine di questa storia siano stati di vostro
gradimento, so soltanto che ero e sono molto preoccupata e che non avrei saputo
fare meglio di così…
So anche che dovrei staccarmi da questa tastiera
e finirla qui, ma sono già nostalgica…
E sono nostalgica di voi.
Voi che mi avete accompagnato per così tanto
tempo.
Voi che mi avete seguito, voi che mi avete preferito, voi che mi avete dato così tanta fiducia da eleggermi addirittura a vostro autore preferito, voi che mi avete semplicemente letto, silenziosamente. Voi che siete arrivati fin qui, adesso. Voi che state leggendo ora queste parole, quando magari questa storia sarà stata pubblicata e conclusa da tempo e l'avrete scovata chissà come in mezzo al mucchio di storie vecchie e dimenticate del sito... Spero tanto che questo accada...
Voi che mi avete incoraggiata, attesa, incitata.
Voi che mi avete aiutato tantissimo!!
Con i vostri consigli, le vostre critiche o approvazioni,
le vostre considerazioni mi avete fatto vedere tante cose che io non vedevo. E io
piano piano mi correggevo, imparavo, mi arricchivo.
Se non ci foste stati tutti voi io non avrei mai
finito questa storia, che probabilmente sarebbe rimasta ferma al capitolo 9,
persa in una cartella dimenticata dell’hard disk del mio computer.
Mi mancherà Elle, mi mancherà Emma, mi mancherà
il Narratore, mi mancherete voi e anche l’ansia di rispondere ai vostri
commenti!!!
Sono egoista nel dirlo, ma il fatto di avere
ancora in sospeso tante recensioni a cui rispondere mi dà ancora un po’ di
tempo per continuare a tenermi in contatto con voi.
Non so se scriverò ancora su Death
Note, forse per ora mi butterò in qualche altra dimensione, ma di certo non
dimenticherò mai Elle, grazie al quale ho iniziato a scrivere e grazie al quale
non ho alcuna intenzione di smettere (e siete autorizzati a dirmi un sonoro “ ‘sti cazzi” :D)
Credo di dover smettere davvero…
Vi ringrazio davvero tutti, singolarmente, con
tutto il mio cuore!
Eru