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Autore: tortuga1    10/11/2013    1 recensioni
Gli uomini e le donne sono spesso lontani pur vivendo vicini, così tanto da avere difficoltà ad incontrarsi. Pensando a questo mi è venuta l'idea di SPLIT, una storia ambientata in un futuro possibile, nella quale uomini e donne sono stati separati per un esperimento che aveva il fine di salvare l'umanità dall'estinzione. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto, e alla fine del viaggio uomini e donne non si sono più incontrati...
La storia comincia così, nella comunità di sole donne che ha colonizzato come previsto il pianeta Terra Due, e da secoli ormai ripete un rituale di clonazione.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IX.

 

Paula cambia posizione, la sedia imbottita è molto comoda ma si sente la schiena intorpidita. Da troppo tempo sta incollata qui, cercando di capire. Se n’è andata, diciamo che è scappata via, ma non se la sente di tornare a casa, nell’ambiente rassicurante odoroso di fumo. Meglio il laboratorio che in confronto le era sembrato freddo e alieno, ma almeno non la distrae. Cosa diavolo è successo? Prima aveva il controllo assoluto su Sebastian e poteva consolarsi pensando che c’era tempo per decidere cosa farne, giorni mesi o forse la sua vita intera, e poi si sarebbe trattato soltanto di fare sparire un vecchio corpo alieno. Ora invece è tutto più difficile. Lui l’ha vista, sa che è umana, sa… che altro sa? Non ha provato ad interrogarlo, sente in lui troppa… sicurezza. Eppure non dovrebbe sentirsi così sicuro, l’ha solo vista, non è certo neanche che abbia ascoltato la sua voce vera. Ma sì, certamente se ha scoperto il sistema per attivare la telecamera esterna avrà attivato anche i microfoni. Si passa la mano fra i capelli, che tiene lunghi e lisci, legati con un nastro. Con rabbia si accorge che la sua pettinatura somiglia maledettamente a quella della donna nuda, quella che tutte le volte che inserisce la scheda le mostra la lingua come per prenderla in giro. Deciso, domani li taglierà cortissimi, come quelli di Marzia. Si guarda riflessa nello schermo del computer spento, il viso allungato un po’ irregolare, gli occhi obliqui per merito del nonno cinese, il naso aguzzo e la bocca un po’ grande, con i denti bianchi e sani. Non aveva mai fatto caso al suo viso, non si era mai chiesta se fosse o no un bel viso. Era il suo e basta, e ultimamente sapeva come sarebbe diventato da vecchio, quel viso. Scarno e pallido, con la pelle liscia e sottilissime rughe intorno agli occhi. Si alza di scatto e va nel locale accanto, dove c’è il terminale esterno della sezione d’isolamento. Appena si avvicina lo schermo s’illumina e compare Sebastian con la sua razione davanti, che sta mangiando di gusto. Depone le posate e sorride.

- Finalmente ti sei decisa. A cosa pensavi?

- Non mi fare perdere la pazienza! Non mi piacciono queste domande stupide!

- Sei rimasta più di un’ora, di là. E ti guardavi allo specchio.

- Non è vero! Io… – si accorge con dispetto di arrossire e mette una mano davanti all’obiettivo della telecamera.

- Non fare così. Io comunque posso vederti lo stesso. Ci sono altre quattro telecamere nascoste in questo locale.

- Come lo sai? Io non lo sapevo…

- Perché… è una storia lunga. Ti prometto che te lo dirò. Prima però facciamo le presentazioni. Chi sono io lo sai benissimo, non è vero? Hai pure controllato la mia identità. Ma tu chi sei?

- Non te lo dico.

- Potrei provare ad indovinare. Vediamo, dato che io sto nei locali di isolamento medico, sospetto che devi essere la mia collega. Ho indovinato?

- Sì… credo che sia inutile negarlo.

- Ed è stata la tua… doppia a seminare le mie cellule. Finalmente vi siete decise.

- La mia… doppia! Come hai fatto a sapere queste cose! Dimmi come, rispondi subito, o io…

- Piano, piano! La tua doppia era buona e gentile, e così sono sicuro che anche tu lo sei. Non mi aspetto niente di male da te.

- E qui ti sbagli! Ho pensato anche di toglierti l’ossigeno, poi ho cambiato idea.

- Lo vedi che alla fine non mi hai fatto niente di male! Hai cambiato idea e te ne sono grato.

- Mi prendi in giro! Maledizione! – Paula si alza di scatto e volta le spalle allo schermo, inutile, sa che il bastardo la vede lo stesso. Si gira infuriata e reprime l’impulso di fare a pezzi lo schermo. Anche questo è inutile, lui è dentro al sicuro. Però potrebbe lasciarlo davvero a morire di fame e poi a marcire…

- Per favore, calmati. Lo sapevo che non l’avresti presa bene ma mi sembrava… ingiusto non avvertirti che riuscivo a vederti. Preferivi che ti spiassi di nascosto?

- Maledetta serpe! Non ti credo! Tu, tu…

- Dai, per favore. Senti, noi due dobbiamo lavorare insieme. Un po’ come quando la tua doppia… a proposito, come vi chiamate?

- Non t’interessa! Ora chiuderò il reparto e farò finta che non esisti! Poi quando sarai morto ti taglierò a pezzi e…

- Come sei feroce… – Sebastian resta imperturbabile, la carogna, invece dovrebbe farsela sotto, non capisce che lei può davvero mantenere la minaccia? – io voglio sapere solo come ti chiami, perché sei così ostinata?

- E… va bene. – si sente disarmata dalla sua tranquillità. E poi lui è dentro e non può uscire, questo è sicuro. Distende i lineamenti ma non sorride, non gli sorriderà mai più. – Io sono Paula, lei era Ester. Ester Merkel.

- Era… – il suo viso si contrae, sembra davvero dispiaciuto. – lo sapevo, lo sentivo che non c’era più… cosa le è successo?

- Che t’importa di lei! – Paula lo guarda stupita e arrabbiata. Ha l'aria sincera e non le sembra possibile. Di sicuro mente spudoratamente... Si siede sull’orlo della poltroncina e mantiene il viso immobile e la voce neutra. – Una leucemia cronica. Niente da fare, e me lo ha tenuto nascosto fino all’ultimo, praticamente pochi mesi prima di morire. E anche te, ti ha tenuto nascosto. Ho avuto le due notizie insieme, che c’eri tu e che lei doveva morire.

- Io... le volevo bene. – Sebastian parla piano, con la voce soffocata – Senza sapere chi fosse, e senza nemmeno... essere sicuro che fosse un essere umano. Passava molto tempo con me, specialmente quando ero bambino, mi parlava di continuo e mi faceva coraggio. È stata capace di farmi sentire la sua presenza, il suo affetto anche senza toccarmi mai... Sono quello che sono grazie a lei, e lo capisci quanto è stata innaturale la mia vita... se ci penso, era premurosa come dovrebbe essere una… mamma. – una lacrima scende lungo la sua guancia e lui l’asciuga in fretta.

- Una… mamma! Chi ti ha detto questa parola? Io fino a poco tempo fa non l’avevo mai sentita…

- Perché mi prendi in giro? Non ci credo, che non lo sapevi cos’è una mamma. È…

- Lo so, lo so! Quando le… donne avevano… figli. Sembra che si affezionassero molto fra loro. Me l’ha detto Ester. Mi ha detto che fra me e lei era successo qualcosa di simile, perché lei mi aveva allevata, mi aveva trasmesso le conoscenze fondamentali quando ero piccolissima, sai, il linguaggio, i segnali del corpo… ma perché ti dico queste cose, tu non puoi capire, tu sei un uomo.

- Invece lo capisco… Anzi, credo di capirlo. Dev’essere per davvero una cosa speciale che non si può raccontare. A me non è capitato, io il mio doppio non l’ho conosciuto di persona e lo rimpiango. Sono sicuro che era un bel tipo.

- Sì, davvero un bel tipo! Lui e la sua scheda maledetta che non serve a niente!

- Che dici, ti sbagli. In quella scheda c’è molto di più di quello che sembra.

- E tu come lo sai, io non ti ho detto niente della scheda…

- Già, tu volevi leggerla senza il suo… il mio permesso. Per questo mi hai preso il sangue fresco, e poi quando il sistema di sicurezza ti ha minacciata di cancellare tutto (era solo una minaccia, le informazioni sono troppo importanti per essere cancellabili) hai pensato di barare.

- Non è vero!

- Ah no? Allora perché mai ho dovuto eseguire la sequenza di validazione? Se ricordi, io prima non sapevo nemmeno cosa fosse, una piastra di identificazione.

- Perché…

- Non mentire, si capisce dalla faccia. La scheda ha registrato tutti i tentativi di accesso. Non preoccuparti, io non mi sono offeso con te per quello che hai fatto. Hai fatto la cosa che ti sembrava giusta. Quelle informazioni erano per Sebastian Henssen cioè io, però a parte alcune istruzioni personali non c’è niente di segreto. Guarda, eccole. – preme un tasto del suo terminale e sullo schermo di Paula compare una lista interminabile di file, ciascuno collegato a quantità sterminate di informazioni. Paula sgrana gli occhi, poi prova ad aprirne uno. La sua espressione stupita fa sorridere Sebastian.

- Hai scelto bene. La storia dell’umanità, ci vorrebbero mesi per leggerne un pezzetto. Io ci ho rinunciato, mi sono contentato di un riassunto rapido.

- Come… com’è possibile…

- Quella scheda non è quello che sembra. Sebastian, il mio doppio, ci ha messo tutto quello che c’era nel computer centrale della nave, e anche di più. Per me sì che è una novità.

- Anche per me… – mentre parla Paula apre a caso i file, filmati, testi scientifici, e anche enormi sezioni di “narrativa, teatro e cinema”, ordinate per epoche, generi e provenienza geografica. Febbrilmente le scorre, centinaia di migliaia di titoli, ci vorrebbero settimane solo per leggerli. Chiude gli occhi pensando alla voce decisa di Ester, un po’ rauca per l’irritazione alla gola che negli ultimi tempi non la lasciava più – Allora era vero… il teatro c’era per davvero.

- Cosa vuoi dire, tu queste informazioni non le hai? Non ci sono nel tuo computer?

- No! Nei nostri computer non c’è niente di tutto questo. Solo testi tecnici e basta. La storia dell’umanità è riassunta nelle direttive con un centinaio di parole. Gli uomini erano i nostri nemici, e dopo la guerra sono stati distrutti tutti. Ester negli ultimi mesi ha cominciato a farmi un racconto diverso, però mi sembrava una favola, non c’era niente di plausibile in quello che mi diceva.

- Cosa ti raccontava Ester?

- Del pianeta Terra. Di una guerra catastrofica, ma non era fra uomini e donne, anche se i nostri… nemici tenevano le donne in soggezione. Che cosa assurda, da non crederci…

- Non capisco… senti… Paula, ti chiami così, vero?

- Sì, mi chiamo così.

- Dobbiamo aiutarci a vicenda. Sembra impossibile, ma tu… e credo l’intero gruppo delle donne, non conoscete una quantità enorme d’informazioni importanti. Perché sono state cancellate dai vostri computer?

- Ester diceva che è stata Eli, la comandante della missione. Era rimasta ferita, e prima di morire ha dettato le nuove direttive. E mentre Ester era prigioniera…

- Prigioniera? Che vuoi dire?

- La prima Ester. Non so molto altro, mi ha solo detto che lei era chiusa in una stanza buia, e quando l’hanno fatta uscire le memorie dei computer erano state cancellate. Hanno conservato solo le informazioni tecniche.

- Tutto cancellato, che strano… non capisco perché l’hanno fatto. Mi sembra una cosa assurda.

- Cosa sai del… teatro? Ester ci teneva tanto.

- Ho avuto pochissimo tempo per capire. Mi sembra che il teatro sia una forma di espressione non finalizzata all’utilità, come la medicina o l’ingegneria, ma solo al… divertimento.

- Vuoi dire che è una specie di gioco?

- No, qualcosa di più. Sto cercando di capirlo ma ci vuole tempo, molto tempo. Secondo me ha a che fare più che con il gioco… con l’arte. Come la pittura e la scultura. E la musica.

- L’arte ci interessa poco, tanto non serve a niente. Lo dicono le direttive… però conosciamo la musica, ce l’hanno fatta studiare.

- E ti piace?

- Sì, un po’… alcune di noi sono bravissime, io non ho mai tempo per queste cose.

- Questa sera farai una cosa per me.

- Cosa dovrei fare?

- Guarda uno di questi filmati.

- È come quello della… donna nuda? Fanno schifo! Roba adatta a voi uomini, è disgustosa!

- Ma no, voglio farti vedere una cosa che ho trovato una notte che non riuscivo a dormire. Per ora dormo pochissimo.

- Lo avevo capito dalla tua faccia… perché non dormi?

- Studio. Sto studiando quello che c’era nella scheda. Appena il sistema di sicurezza ha accertato che ero io, che ero vivo, cosciente e senza costrizioni…

- Maledizione! – Paula picchia un pugno sul piano della mensola metallica e fa schizzare in aria la tastiera senza fili. L’afferra al volo, appena in tempo.

- Che tipo irascibile sei! – Sebastian si appoggia allo schienale e la guarda divertito. È accesa in viso e gli occhi mandano lampi. – Mi ha scaricato nel terminale tutto il contenuto della scheda. Le informazioni erano per Sebastian, ma io le sto condividendo con te. Non devi sentirti frustrata.

- E va bene! Grazie per la condivisione! – lo prenderebbe a calci se lo avesse a tiro. A pugni e a calci fino a farlo sanguinare. Che strana idea, non ha mai avuto fantasie di questo tipo. Però può tenerlo chiuso per sempre, questo lo farà di sicuro.

- Sei furiosa. Calmati… voglio farti vedere questa commedia. È molto antica. Credo che abbia più di duemila anni. Dai, copia il file su un disco e guardala a casa. Ce l’hai una casa, vero? Non mostrarla a nessuna, però. È una storia di morte e d’amore. – la schermata di prima è sostituita dalle coordinate di un file abbastanza grande, una decina di giga.

- E se non mi piace?

- Te ne proporrò un’altra. Gli antichi ci sapevano fare con le storie, sai… ho guardato pochissime opere, non c’è abbastanza tempo, ma ho l’impressione che le cose migliori le hanno fatte gli antichi. Poi c’è stata troppa… ovvietà.

- Cosa vuoi dire? Che intendi per ovvietà?

- Hai presente la donna nuda, quella che ti tira fuori la lingua quando cerchi di leggere la scheda? A proposito, lo fa apposta ma non è colpa mia, è stato Sebastian quello vecchio. Aveva sessant’anni quando l’ha programmata. Ecco, la donna nuda è ovvietà.

 

Il portello esterno si apre senza difficoltà. I tre sono sudati e sfiniti, la passeggiata di due chilometri è stata più lunga e faticosa del previsto. Antonio guarda con apprensione l’indicatore dell’ossigeno, stando a quanto dice hanno superato di settantadue minuti la metà dell’autonomia. Significa che o fanno rifornimento nella sezione delle donne, o non riusciranno a tornare. Ma forse al ritorno saranno meno impacciati, Steve dalla grossa bisaccia dei dischi, e gli altri due dai grandi contenitori delle cellule. È il suo ultimo pensiero. Non sente l’esplosione alle sue spalle, ma quando la scarica di pallettoni lo attraversa da parte a parte vede una nuvola di sangue vaporizzarsi intorno a lui. Niente altro, nemmeno il tempo di provare dolore o paura, la decompressione è immediata e non si accorge di essere già morto. Sebastian ha una rapida visione di Antonio grande e rigido nella tuta laccata di rosso. Seguito da una scia di vapore si allontana nel buio insieme al contenitore delle cellule che ruota lentamente e ogni tanto gli colpisce una gamba inerte. Goffamente Sebastian si gira e il grosso contenitore gli sfugge di mano, urtando il fucile che Steve si sta preparando ad usare ancora. Il colpo parte e la scarica prende in pieno il cilindro, facendolo urtare bruscamente contro il metallo dello scafo e scivolare via rotolando senza rumore. Maledizione, troppo presto, perché ha agito così presto! Bastava che li uccidesse dentro, e tutto si sarebbe aggiustato. Così anche il suo piano alternativo è fallito. Sebastian guarda con rabbia Steve che si sta preparando a sparare di nuovo. Questa volta non sbaglierà. Però non spara, si gira anche lui e fa fuoco verso qualcosa che sta alle sue spalle. Sebastian non lo distingue bene, abbagliato dal sole ancora brillante, sembra un altro membro dell’equipaggio, la tuta bianca è identica alla sua. Approfitta della distrazione di Steve per superare una nervatura dello scafo alta un paio di metri, e un’altra ancora, e poi si appiattisce nell’ombra. Non sente niente, solo l’ansimare di Steve negli auricolari della radio, poi la voce di Habel.

- Sei impazzito? Perché spari? Butta via quel fucile, ti tengo sotto mira.

- E perché dovrei farlo? Qui non sei l’ufficiale della sicurezza, non più.

- Dove sono gli altri? Rispondi!

- Ti ho detto che puoi andare a farla in culo, pezzo di merda.

- Non hai il tempo di ricaricare e io sparo meglio di te. Se fai un movimento ti faccio a pezzi. Arrenditi che è meglio.

- Ah! Il grande eroe ha parlato! E va bene, lo lascio, vedi?

- E ora vieni verso di me lentamente. Più vicino, pezzo di merda. Ma… ma che cazz… – la voce di Habel s’interrompe bruscamente con una scarica, ora c’è solo il respiro affannoso di Steve.

- Non ti aspettavi che ne avevo due, di fucili, brutto coglione. Seb! Dove cazzo sei! Non ho tempo di cercarti, fottiti là fuori! Io vado a finire il lavoro. – Sebastian non parla e trattiene il respiro. L’indicatore dell’ossigeno dice che ha meno di mezz’ora. – Seb! Devo dirti una cosa. Che a quest’ora lì dentro sono tutti morti. Che ho cancellato tutti i loro fottuti schemi. Che sei solo. – Sebastian si morde la lingua per non insultarlo, è questo che vuole, la carogna, una parola per localizzarlo. – Allora io vado. Vado a farle fuori tutte quante. Ho qui un’altra bomba.

Sebastian rimane immobile e aspetta, il respiro è sempre lì, poi all’improvviso non si sente più. È entrato nel compartimento di decompressione e ha chiuso il portello. Pensa disperatamente, deve esserci qualcosa da fare. Supera più in fretta che può le nervature e raggiunge il portello, è chiuso ma forse non è bloccato. Febbrilmente aziona il dispositivo manuale, ecco si apre. Dà una manata al tasto rosso che aziona il segnale d’emergenza della tuta e si precipita nella camera di decompressione, assordato dalla sequenza di messaggi trasmessi a tutto volume in tutte le frequenze audio. Non prova stupore quando urta contro la canna del fucile, la sente premuta contro il petto. Lo aspettava dentro, la carogna. Non c’è scampo a questa distanza, la rosa di pallettoni lo colpirebbe comunque e lui è impacciato dalla tuta. Steve non spara, sembra non avere fretta, passa un tempo che a Sebastian sembra interminabile ma forse dura solo un paio di secondi. Il tempo di guardare dentro la bisaccia vuota al fianco di Steve, grazie a Dio era un bluff, non ce l’ha un’altra bomba. Respira profondamente e afferra con forza la canna del fucile, la solleva all’altezza del viso. Vede accentuarsi il sogghigno di Steve dietro la visiera del casco, e poi una fiammata candida.

 

Ester Merkel si toglie i guanti e li butta con rabbia in un cestino. Inutile, dannatamente inutile. Eli è stata colpita ai polmoni e uno di quei maledetti pallettoni le si è conficcato nel cuore. È viva e cosciente, ma lo sarà per poco. L’intervento d’urgenza è servito solo a ritardare la fine di qualche ora. Perché sono impazziti così, cosa li ha spinti a venire per ucciderle… lei non ha visto niente, erano le quattro standard del mattino e dormiva come quasi tutte. Poi l’allarme, quel messaggio che ha gracchiato in tutti gli altoparlanti e proveniva da una tuta spaziale in avaria. Diceva che c’era un attacco nemico al portello di emergenza, ripeteva che c’era pericolo. Quando era arrivata era già tutto finito.

- Ce la farà? – Miko è sporca di sangue non suo. È riuscita a colpire uno degli invasori ma non ha potuto evitare che Eli si prendesse in pieno il colpo destinato a lei. E poi lui ha continuato a sparare nascosto dietro una paratia, gridando che erano venuti per ucciderle tutte. Mentre la sua voce diventava più debole e stava per perdere conoscenza, ha gridato ancora che la missione era finita, tutte le cellule distrutte, e tutti gli uomini morti.

- No. Ha poche ore, se riesco a mantenerla stabile. E… loro?

- Quei porci sono morti. Uno era già steso, con la faccia distrutta. L’altro l’ho colpito io. Si stava dissanguando e fino all’ultimo ha continuato a sparare. Poi con l’ultimo colpo si è ammazzato da sé.

- Vorrei vedere i corpi. Fammeli portare in infermeria.

- E perché vuoi fare una cosa tanto inutile? Buttiamoli fuori bordo.

- No, prima devo esaminarli. Potrebbero essere contaminati, intossicati o malati, e la loro malattia potrebbe contagiare noi.

- Ho capito. Li avrai fra dieci minuti. – Miko si allontana rapidamente con il suo passo leggero. Una graziosa macchina da guerra, sembra ancora una ragazza malgrado i suoi sessant’anni. Ester torna dentro e guarda con rabbia la sagoma di Eli, coperta da un lenzuolo macchiato di sangue. La macchina cuore-polmone le ossigena ancora il sangue, malgrado lo sconquasso nel suo petto. Ma per quanto basterà? Apre gli occhi e muove le labbra, la voce è solo un sussurro ma lo sguardo è limpido.

- Ora rimarrete in cinquanta.

- No, impianterò anche le tue cellule. Saremo cinquantuno come prima.

- Non farlo. Lei sarebbe inutile, non addestrata.

- Userò il tuo schema d’addestramento. Sarà uguale a te, sarà te.

- No! Non puoi, il mio… schema non c’è mai stato.

- Come, non l’hai preparato…

- No! Non ci credo, nell’addestramento virtuale. E voglio… che siano distrutti anche i vostri.

- Che dici, sei pazza… – Ester s’interrompe bruscamente e distoglie lo sguardo. Eli sta morendo e lei la maltratta. – scusa, non volevo…

- Lascia stare. Dimmi chi erano, perché lo hanno fatto…

- Non lo so. Forse sono malati, forse qualcosa li ha intossicati fino a farli impazzire. Devo fare subito l’autopsia a tutti e due. Tu riposa e stai calma.

- Fai presto, non ho molto tempo.

- Come sei pessimista. Non hai fiducia nella medicina.

Si gira in fretta per nascondere le lacrime e passa nel locale accanto, dove i corpi sono adagiati su due barelle. Uno dei due è irriconoscibile, è stato colpito in pieno viso. Aveva il casco indossato, dev’essere successo nella camera di decompressione. L’altro è un nero con gli occhi a mandorla, il volto deformato da un ghigno che sembra di trionfo. È ferito all’addome e ha il petto devastato dal suo ultimo colpo a bruciapelo, ha perso moltissimo sangue. Ester taglia le tute con un bisturi laser e le apre sul davanti. I corpi nudi sono magri e muscolosi, si capisce che facevano esercizio fisico. Esamina con cura l’interno dei corpi con il sistema d’imaging e poi con gesti rapidi penetra nel cranio, nel torace e nell’addome del nero, facendo prelievi dei liquidi e dei tessuti attraverso piccole brecce esangui. Poi passa all’altro, quello senza faccia. Anche la mano destra è stata dilaniata dall’esplosione. Ha una sutura recente sul torace, con i punti ancora attaccati. Sembra un intervento per l’inserimento di un pacemaker sotto la pelle, cose da libri di storia della medicina, cose che non si fanno più. Con il bisturi taglia i punti e apre la ferita. Che strano. Si è inserito sotto la pelle un involucro di silicone. Lo prende delicatamente e lo mette da parte, poi completa l’autopsia.

  
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