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Autore: tortuga1    14/11/2013    1 recensioni
Gli uomini e le donne sono spesso lontani pur vivendo vicini, così tanto da avere difficoltà ad incontrarsi. Pensando a questo mi è venuta l'idea di SPLIT, una storia ambientata in un futuro possibile, nella quale uomini e donne sono stati separati per un esperimento che aveva il fine di salvare l'umanità dall'estinzione. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto, e alla fine del viaggio uomini e donne non si sono più incontrati...
La storia comincia così, nella comunità di sole donne che ha colonizzato come previsto il pianeta Terra Due, e da secoli ormai ripete un rituale di clonazione.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XI.

 

Elizabeth ha ormai pochi minuti di vita. L’ossigeno nel suo sangue scende sempre di più, Ester guarda con apprensione il monitor, fra poco si scompenserà. Ha parlato per un’ora di seguito, dettando le nuove direttive, e poi è caduta esausta in un torpore simile alla morte. Ester non ha detto niente per non addolorarla ma le sembrano un delirio, queste direttive. Cancellare la memoria degli uomini, tanto ora non c’è più nessuna possibilità di rifare la specie umana. Abolire il ricordo dell’amore e della maternità. Cancellare la storia, le piccole e le grandi cose della civiltà, distruggere persino i videogiochi che sono inutili e fanno perdere tempo, insieme alla letteratura, al cinema e al teatro. Proibire tutte le arti tranne la musica strumentale. Ripetere l’impianto all’infinito, mantenendo in vita per sempre una piccola colonia destinata al nulla. Proibire l’addestramento virtuale, che assurdità, basta un incidente e l’intera memoria di una linea andrà perduta. Per l’affetto che prova verso Eli l’ha assecondata come si fa con i pazzi, però cancellerà subito la registrazione, appena prenderà il comando della missione ormai fallita. L’assassino ha detto la verità: le cellule staminali nella sezione degli uomini sono scomparse dagli alloggiamenti, con i loro contenitori che hanno un’autonomia di poche ore. Non sono più al loro posto sulla nave, forse li hanno dispersi nello spazio. E tutto l’equipaggio è distrutto, un’esplosione ha decompresso improvvisamente l’intera sezione degli alloggi, ci sono quarantasette morti sorpresi nel sonno. E due cadaveri, ricuciti nelle tute e pronti per essere abbandonati nello spazio, fanno quarantanove. Ne mancano due, che fine hanno fatto? La cosa certa è che non ci stanno da nessuna parte, la squadra comandata da Miko ha esplorato ogni angolo abitabile della nave, anche l’immensa serra piena di piante di tutte le latitudini, che ora toccherà a loro mantenere in vita.

Miko è appena tornata dopo cinque ore di missione, ha ancora addosso la tuta spaziale che porta con grazia come se non pesasse niente.

- Ester, per favore. – Ester si avvicina alla moribonda, che ormai si esprime con un lievissimo sussurro. – lasciami sola con Miko.

- Va bene, ma tu…

- Non preoccuparti, mi bastano solo pochi minuti.

- Va bene, Eli. – esce e chiude la porta.

- Ora dimmi, sono davvero morti? Sei sicura? Hai visto i corpi?

- Sì. Li ho visti e li ho contati. Ne mancano due, forse sono finiti fuori mentre venivano qui.

- Già. Forse è andata così. Dammi la mano, Miko.

- Eccola. – Eli stringe la piccola mano e se la posa sul petto.

- Ora devi promettere. Tu farai rispettare le nuove direttive, che sono in questo disco. Tu le difenderai contro tutte, se sarà necessario, e saprai come convincerle che si deve fare così.

- Contro tutte? Non comanderà Ester, dopo di te?

- No, ho deciso di no. Ester non è abbastanza… matura per quello che è successo. Lei credeva nella missione.

- Io pure ci credo!

- E io pure. – accentua la stretta della mano, ma la voce è sempre più debole – ma noi ci crediamo nel modo giusto. Sai cosa significa?

- Spiegamelo tu, Eli. Io mi fido di te.

- E io di te, sei il mio ufficiale migliore. Il modo giusto è questo: non discutere le direttive. Io voglio cancellare il ricordo degli uomini, perché non ci serve a nulla sapere che ci sono stati, quando non potranno servirci più.

- Perché credi che sia importante fare così?

- Perché le nostre… le vostre linee dovranno affrontare da sole molte difficoltà, e non dovranno distrarsi con la speranza o con il rimpianto. È finita, la missione come la pensavano gli umani è fallita. Non ci sarà una nuova umanità come volevano loro. Però ci saremo noi.

- Sì. Capisco cosa vuoi dire, Eli. Le nostre linee.

- E alle… nuove voi non dovrete raccontare tutto, solo quello che dicono le direttive. Tutte le tracce degli uomini saranno cancellate dai nostri computer, lo farai tu insieme alle tue aiutanti più fedeli.

- La mia squadra è pronta a fare qualsiasi cosa per te, Eli.

- Cancellerete tutte le memorie incompatibili con le direttive e la nostra storia comincerà da oggi. Oggi noi abbiamo vinto la guerra.

- La… guerra?

- Sì, gli uomini volevano distruggerci, erano crudeli e malvagi, ma siamo state noi a disfarci di loro.

- Ma… lo sai che non è vero, Eli… ad ucciderli tutti sono stati i nemici, forse i nemici erano proprio quei due…

- Zitta e non discutere! Ricordati che la cosa più importante è obbedire. E in cambio avrai il potere. Sarai tu a comandare, d’ora in poi. Usa tutti i mezzi che conosci per difendere le direttive, le ho pensate per darvi la vita eterna… – la stretta della mano si allenta, lo sguardo di Eli lascia il viso di Miko e si perde in alto.

- Eli! – Eli non risponde, Miko si precipita alla porta urlando, ma quando Ester arriva di corsa, può solo constatare che la comandante Elizabeth Gide ha cessato di vivere.

 

Helga e Marzia si vestono in silenzio, le tute ormai logore, gli stivali di feltro e i mantelli argentei. Helga solleva una tavola del pavimento e tira fuori due fucili a canne mozze, ne porge uno a Marzia.

- Finalmente meniamo un po’ le mani. Mi mancava.

- Tu non mi hai detto tutto. Anche questo è successo, eh?

- Quel bel tipo di Miko dice che è una legge di natura.

- Io mi rompo le palle, possibile che non c’è mai niente di nuovo?

- Lei dice che no. Io… e quelle prima ci abbiamo creduto. Anche tu devi crederci, a lei e a Sarah.

- Sarah è fredda come un coniglio morto. Mi fa paura certe volte.

- E hai ragione ad aver paura. Lei non è come noi, lei è… superiore.

- Mah! A me non pare, basta darci una botta in testa e cade come tutte le altre.

- Sì, e tu allora fai la prova, a prenderla alle spalle.

- Tu… ci hai provato?

- Non te lo dico, lo sfizio te lo devi passare tu. Devi ubbidire a lei, capito? Te l’ho insegnato quando avevi il moccio al naso, ti ricordi?

- Mi ricordo, mi ricordo! Che palle.

- Carica il fucile.

- Sei sicura? Non credi che non ne vale la pena, basta solo puntarlo…

- Non mi fare incazzare! Lei ha detto fucili carichi e saranno carichi. Gli ordini non si discutono. – camminano nella neve ancora alta, ci vorranno almeno quaranta giorni prima del disgelo. Bussano alla porta della terza casa, aspettano con pazienza sui gradini di legno. Sono ormai le due di notte, quelle due certamente dormono. Finalmente si accende una luce tenue e la porta si apre.

- Che succede? – Rina, avvolta nel mantello, guarda sorpresa le due sagome coperte dai cappucci, poi sorride allegra. – siete voi! Entrate, Francesca sarà contenta di vedervi.

- Ne sei sicura, bambina? – Helga entra scuotendo via la neve dal mantello. – noi portiamo la tempesta.

- Mi piace la tempesta. – Rina aiuta Marzia a togliere il mantello e le accarezza il collo. Solo allora vede i fucili e il suo sorriso si attenua. – cos’è successo?

- Miko ci vuole. Sveglia Francesca.

- Non c’è bisogno. Ho sentito tutto. – Francesca indossa in fretta la tuta ed esce dalla camera da letto. – serve anche l’artiglieria?

- Sì, Miko ha detto che è una cosa seria.

- E va bene. – stancamente torna in camera da letto, e torna poco dopo con due fucili. – li ho caricati.

- Bene. Te la senti di uscire?

- Ma certo, che credi, che sono una vecchia come te? – le molla un pugno in una spalla e se ne becca un altro come risposta. – cosa dobbiamo fare?

-Prevenire. Andiamo a prendere quella carogna di Emily e quella piccola puttana di Flavia.

- Mi piace l’idea. Erano secoli che non gli davamo una strigliata.

- Sì, una bella strigliata come ai vecchi tempi.

Paula cerca di pensare in fretta, è sola nella camera da letto, seduta sul pavimento di assi. Miko non l’ha slegata, anzi l’ha sospesa ad un gancio del muro per impedirle di sdraiarsi. Ormai è tormentata dai crampi e deve reprimere i gemiti che sicuramente farebbero piacere a quelle due. Non sa fino a quando potrà resistere senza urlare, però è decisa a svenire dal dolore piuttosto che parlare. Loro leggono dentro di lei, capiscono che sta nascondendo qualcosa, però non sospettano quanto sia grossa la cosa che nasconde. Un uomo, un uomo vivo. Cosa ne farebbero, se lo scoprissero? Paula non riesce a indovinarlo, sa che in fondo loro non sono delle assassine, l’avrebbero certamente liberata se non fosse stato per il maledetto disco. E dire che lei non lo voleva nemmeno. Però poi alla fine era curiosa di vedere questa famosa commedia. Una storia di morte e di… amore. L’amore, quella cosa astratta che lei non ha mai saputo cos’è, perché nemmeno Ester lo sapeva. Dalla scena che ha visto dal pavimento della cucina sembrava la solita guerra che si fanno gli uomini, prima s’insultavano e poi cercavano d’infilzarsi con le spade, e a questo punto quella carogna di Miko aveva fermato il disco.

Cosa farà Sebastian, non vedendo più nessuno? Per quanto potrà sopravvivere senza il cibo che lei gli passa attraverso il dispenser? L’alloggio deve avere razioni concentrate d’emergenza, e l’acqua dei rubinetti si può bere. Diciamo una settimana, dieci giorni. E poi? Morirà di fame, una morte orribile e mentre morirà la maledirà, penserà che è stata lei ad abbandonarlo, a tradirlo. Ben gli sta, carogna, lei è qui per colpa sua.

Piange silenziosamente, sapendo che non potrà asciugare le lacrime e quelle due si accorgeranno anche di questo. Ma che importa, crederanno che è per il dolore e per la rabbia, e si congratuleranno con sé stesse per quanto sono state efficienti. Carogne, anzi peggio che carogne, macchine disumane al servizio di… cosa?

Stringe i denti per non gridare dal dolore e pensa in fretta. Perché mai Ester, che le ha raccontato tutto e le ha trasmesso anche la ribellione, perché non l’ha messa in guardia, perché non le ha raccontato delle umiliazioni e delle torture? Forse perché sperava che il fatto nuovo, Sebastian, potesse cambiare il corso immutabile delle linee che ripetono i gesti e i pensieri. Sì, forse per questo. E invece no, eccola qui a soffrire come Ester in passato, alla faccia di tutti i fatti nuovi. Sente un trambusto nella stanza accanto, e poi la voce di Flavia.

- Lasciatela stare! Perché l’avete legata così stretta, non può far male a nessuno… – la voce si spegne in un gemito, Paula capisce cos’è successo, un tocco leggero, quasi gentile, di Miko o di Sarah.

- Miko, ragiona, stai sbagliando tutto. – Emily cerca di mantenere la calma. – non c’è motivo di fare così, lasciaci andare e non te ne vorremo.

- Cazzate! – c’è anche Helga, allora le cose si mettono davvero male. Helga è ottusa come un pezzo di legno. – stai zitta se non t’interroghiamo!

- Helga, Francesca, noi siamo amiche, ci conosciamo da bambine… – anche la voce di Emily s’interrompe bruscamente e si sente solo il suo respiro affannoso.

- Portale insieme all’altra. Nella stanza da letto.

- Le hai perquisite?

- Sì, non hanno niente addosso.

- Ehi, tu, hai visite! – Marzia apre la porta con un calcio e spinge dentro Emily e Flavia. Anche loro sono legate, nello stesso modo doloroso. Miko rapidamente le sistema a lato di Paula, assicurate allo stesso gancio.

- Cos’è successo, Paula…

- Avrete tempo per raccontarvi le vostre storie! Un sacco di tempo! Stiamo preparando la camera buia. – la voce di Rina è allegra, come se parlasse di una torta di mele. Chiude la porta facendola sbattere, le tre prigioniere rimangono nella camera spoglia, rischiarata solo dalla striscia di luce che filtra sotto la porta. Emily cerca di muoversi e singhiozza.

- Le mani… non mi sento più le mani.

- Stai calma, Emily. Non succederà niente alle tue mani, capito? Questi sono metodi… scientifici. Lo fanno per farci soffrire, ma sono sicura che non vogliono… ucciderci. E nemmeno farci un danno permanente.

- E allora cosa diavolo vogliono? Lo sai tu? Sei stata tu a fare qualcosa di sbagliato, come quella pazza di Ester? Lo sai cos’ha passato un’altra Emily per colpa sua?

- No… – Paula cerca di raddrizzare la schiena, impossibile. – Ester non mi ha detto niente, io nemmeno me lo aspettavo questo trattamento. Invece è già successo, vero?

- Sì. E siamo state sempre noi a pagare.

- Perché noi? – Flavia appoggia le spalle alla parete di legno, ma questo non le dà sollievo. – non me l’hai detto, Emily. Perché è toccato a noi?

- Perché siamo state noi ad opporci, alle maledette direttive. Le altre ci stavano seguendo, e allora sono intervenute quelle stronze della sicurezza.

 

Sebastian si sveglia al suono leggero del cicalino del computer. Si è concesso un’ora di sonno che è passata in un attimo. Si stropiccia gli occhi e manda giù a fatica la saliva. Ha la gola asciutta e gli fanno male le ossa. Avrebbe bisogno di dormire ventiquattr’ore di seguito, lo sa, però è impossibile. Troppe le cose da scoprire, da imparare. L’addestramento imposto dal vecchio ossuto che gli ha parlato dallo schermo è complesso, deve assorbire una quantità enorme d’informazioni. Anche dedicando le intere giornate a questo, come sta facendo ultimamente, rimangono abissi di ignoranza impossibili da colmare. Per fortuna il vecchio, lui lo sa che è l’altro sé stesso, è la prima cosa che gli ha detto, ha preparato una tabella di priorità, e lui la segue ciecamente, senza chiedersi perché. Un’intera sezione del piano d’addestramento è dedicata alle tecniche di combattimento corpo a corpo, una cosa di cui lui nemmeno immaginava l’esistenza. E invece eccole, con i movimenti analizzati nei minimi dettagli, e i programmi per simularli alle macchine, e verificarne l’efficacia. Priorità assoluta. E poi il segreto rivelato, quello che nessuno deve ancora sapere perché non è sicuro se è sopravvissuto qualcuno dei nemici. Qualcuna, in questo caso. Anche questo, con tutto quello che comporta, priorità assoluta. Stranamente il vecchio ha lasciato poco spazio alla medicina, forse sapeva già che questo l’avrebbe fatto la sua collega. Il vecchio ne parla bene, anche se confessa di non conoscerla, di non averla mai incontrata e di non sapere nemmeno com’è fatta. Però è la donna destinata a lui, quella con la massima complementarità genetica, e cioè differisce da lui in modo più marcato. Li hanno selezionati tutti così, a coppie, perché fosse naturale che si riconoscessero e si scegliessero, una volta insieme. Il vecchio ha detto che avevano impiegato secoli a sviluppare queste tecniche di analisi genetica, e gli equipaggi erano il risultato di un lavoro su larghissima scala. Già, gli equipaggi e…

L’ora di ginnastica è tutta incentrata sul combattimento, simulato da un casco per la realtà virtuale che Sebastian ha trovato al terzo tentativo in uno dei possibili compartimenti nascosti che gli ha indicato il vecchio. Funziona collegato ad una macchina interattiva che gli imprigiona tutto il corpo. È faticoso e incomprensibile, ma lui non discute gli ordini del vecchio, non ha mai avuto il minimo dubbio sulla sua sincerità, piuttosto, mentre progrediva nel suo addestramento, ha avuto le conferme che tutto quello che ha detto è vero, e così anche il ruolo pauroso che forse dovrà recitare non è una fantasia ma una possibilità maledettamente reale.

Attivando le telecamere della nave ha potuto guardare fuori, l’inverno buio e le ombre delle donne che si aggirano per il villaggio, e la guardiana armata che non lascia mai l’ingresso. Sono due, quasi uguali, che si danno il cambio. Certo, ancora coesistono una vecchia e una giovane, ma la vecchia sembra senza età. Sebastian si chiede il perché di tante misure di sicurezza, in una comunità piccola e pacifica, senza alcun pericolo esterno. Nessun animale nocivo, nessun essere alieno, perché tutto, flora e fauna, è stato seminato selettivamente su un pianeta ancora vergine. Quasi tutto quello che ha detto il vecchio corrisponde alla realtà, certo ci sono discrepanze, per esempio lo stato di arretratezza della comunità, che ha avuto ormai tre generazioni a terra, e tutto il tempo per migliorare lo stile di vita. Invece niente, nessun progresso rispetto alle condizioni originarie del primo insediamento. Questo non è dovuto solo alla mancanza delle macchine pesanti, il motivo dev’essere un altro, legato alle persone. Ha ascoltato le conversazioni nei pressi della nave, ma non ha ricavato alcun elemento di giudizio. Anche le due coppie che lavorano nella nave oltre a Paula, le due esperte di computer e i due ingegneri, non dicono mai nulla di importante. Dalle loro parole si avverte solo una profonda disillusione, e frustrazione per dover ripetere all’infinito gli stessi gesti, gli stessi pensieri. E invece avrebbero potuto, anche senza gli uomini, costruire una comunità molto più varia e vivace, quella che si aspettava di trovare il vecchio.

Si stacca dalla macchina, sfinito e con i muscoli doloranti. Non sa quanto servirebbe questo addestramento virtuale in un combattimento vero. Comunque, se il vecchio ci tiene tanto, bisogna obbedire. Sotto la doccia pensa che a quest’ora Paula si sta preparando per venire alla nave. Appena arrivata tira fuori da un armadio una serie di tre pasti standard e la mette nel dispenser. Non si fa sentire, e non sa che lui la vede perfettamente. Poi torna nella sua sezione, studia e consulta i suoi testi, e molto dopo va a trovarlo. Sebastian si asciuga con una spugna logora e indossa la tuta. Se dovesse uscire all’aperto ci sarebbero problemi, non ha scarpe adatte e non sa dove trovare un mantello. Dovrà dire a Paula che fra poco ci dovrà pensare. Come fare a dirglielo senza spaventarla, crede che la porta sia chiusa dall’esterno, e non sa che lui ha accesso a tutti i sistemi della navetta. Eppure dovrà trovare il modo di dirglielo, il momento di agire si avvicina.

Guarda un po’ stupito il monitor, di solito a quest’ora Paula è già arrivata e si sta affaccendando nella sua sezione. Invece non c’è nessuno, la porta del reparto d’isolamento è chiusa, impenetrabile perché solo lei può accedere ai locali. Le luci basse, nessuna macchina in funzione. Guarda fuori, non nevica e c’è una schiarita nel cielo coperto di nuvole bianche. Gli alberi coperti di neve sono bellissimi. Nemmeno la guardiana è ancora arrivata, nessuna orma lungo il viottolo che porta alla grotta. Veramente strano. Va al dispenser del cibo, sperando che Paula sia venuta prima, mentre lui dormiva. No, non è venuta, per la prima volta il dispenser è vuoto. Peccato, un caffè ci voleva. Per prendere la razione dovrebbe aprire la porta, e Paula se ne accorgerebbe. Decide di fare a meno del caffè e aspettare ancora. Beve un po’ d’acqua demineralizzata del rubinetto, poi riprende il programma d’addestramento.

 

Giulia corre lungo il viottolo deserto, la neve alta è intatta. È strano, a quest’ora. Anna sta ancora male, ha passato una notte molto agitata con la febbre alta e ora si è assopita, però respira male e si lamenta nel sonno. Verso le otto Giulia si è decisa di andare a cercare Paula, da ieri non si è fatta vedere, e certamente bisogna dirle che Anna non è migliorata. Però nessuno risponde alla porta di Paula e il camino non fa fumo. E ora niente orme lungo il viottolo, qui da stanotte non c’è passata nessuna. Che sia successo qualcosa a Paula? Lo stomaco di Giulia si stringe, che disgrazia se Paula… però cosa potrebbe essere successo? Un incidente in laboratorio? Mai nessuna ne ha parlato prima, di questa possibilità. Si è perduta nella tormenta? Ma no, non c’era tempesta di neve, stanotte cadeva lenta e pesante ma ci si vedeva benissimo. E allora? Entra inquieta nella grotta e compone il codice di accesso. La nave è in ordine come sempre, nessuna anomalia. Però la sezione medica è al buio, come quando Paula non c’è. Bussa alla porta, sapendo che sta facendo un gesto inutile. Naturalmente nessuno risponde.

  
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