Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JoiningJoice    15/11/2013    5 recensioni
Venezia, 1577. Un orfano di nome Jean guarda il corpo del suo migliore amico bruciare tra decine di altri corpi, mutilati e deformati dagli effetti della Morte Nera.
Venezia, 1582. Mentre la città ormai guarita si prepara a festeggiare il Carnevale, Jean viene avvicinato da un misterioso ragazzo dalla maschera nera. Qualcosa di grande sta per succedere, qualcosa per cui Venezia non è neanche lontanamente preparata...
Davanti agli occhi di Jean si formò l'immagine delle pire che avevano illuminato a giorno il sestiere anche nelle ore più buie della notte, fino a qualche settimana prima. La cenere cadeva ancora, più lenta e rada in quel momento, ma cadeva. Fu assalito da un pensiero improvviso, malato.
(Stiamo respirando cadaveri.)
Genere: Angst, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Vita e Morte a Venezia



'SI FOTTA QUELLA LURIDA CAGNA DI TUA MADRE, JAEGER!'


Jean sfondò la porta della casa di Antonio con un calcio e vi fece irruzione dentro, maledicendo a gesti il mondo. Connie lo seguì a ruota.

Sasha, un attimo prima seduta al tavolo nella stanza, notando il sangue che colava sul volto del compagno saltò in piedi agitata e si fiondò ad afferrare delle pezze.

'Che diavolo è successo?'

Jean sbattè il pugno sul tavolo in legno, i denti stretti. 'Quel figlio di una pezzente di Eren Jaeger mi ha di nuovo fatto fare la figura dello scemo. E davanti alla Principessa, poi!'


La Principessa era il soprannome che i ragazzi del sestiere di Dorsoduro avevano appioppato a Mikasa, la figliastra del dottor Jaeger; un soprannome contorto, dato che di principesco Mikasa aveva solo l'aspetto esotico. La ragazzina si era dimostrata subito un osso duro, una gran lottatrice e il timore di tutti i bulletti delle calle.

'Sai benissimo di non avere nessuna possibilità contro Eren, Jean.', mormorò Sasha, appoggiando una pezza bagnata contro al taglio sul sopracciglio di Jean e tamponando.

'Sì, beh, grazie per il supporto.', Jean tolse la pezza dalle mani di Sasha, nervoso.

Sasha gli gettò un'occhiata infastidita, poi si rivolse a Connie. 'Cosa si sono detti, questa volta?'

'Eravamo in Campo della Carità.', spiegò Connie. 'Jean, io e i ragazzi. Jean stava raccontando di quella volta che ha fatto che ha fatto cadere Eren nel Canal Grande...'

'Intendi quella volta in cui Eren se l'è tirato dietro?'

'Quella volta in cui c'è caduto solo lui.', sottolineò Jean stizzito.

'...e Eren e la Principessa sono usciti dalla stamperia di Mastro Arlert, insieme al nipote dello stesso.', continuò Connie. 'I più piccoli del gruppo hanno cominciato a ridacchiare nella loro direzione. Eren si è infastidito e ha attaccato verbalmente Jean. Lui ha risposto, sono andati avanti così per un po' fino a quando Eren non ha chiesto a Jean se fosse così fissato con Mikasa da essersi tagliato il cazzo per somigliarle di più.'

Sasha strabuzzò gli occhi, rivolgendosi a Jean. 'E tu che hai risposto?'

'Che poteva andare a farsi fottere.'

'Al che lui ha replicato...'

'Che forse mi sarebbe piaciuto avere l'onore.', concluse Jean. 'A quel punto qualcuno ha tirato fuori una fionda e hanno cominciato a volare i sassi.'


Nella stanza calò il silenzio. Sasha e Connie si scambiarono uno sguardo allarmato.

Erano cresciuti insieme a Jean; insieme a lui e agli altri orfani, ai ladri e agli stranieri del sestiere di Dorsoduro. Insieme erano sopravvissuti agli arresti, agli inseguimenti delle guardie della città, ad un'epidemia che era stata fatale per molte delle persone con le quali erano cresciuti. Entrambi rispettavano Jean, e non erano gli unici; ma le voci circolavano, e se erano arrivate addirittura alle orecchie del figlio di un rispettabile dottore, circolavano molto rapidamente...

'Lascia perdere quell'idiota, Jean.', mormorò Sasha, riprendendo delicatamente la pezza dalle mani di Jean. Il sangue non voleva smettere di scorrere dal taglio. 'Penso sarà il caso di cauterizzarla.'

Connie si alzò. 'Vado a prendere la polvere da sparo.'

Mentre Connie usciva dalla stanza, Sasha si rilassò sulla sedia. Il silenzio era sceso su di loro, imbarazzante e traditore; Jean si ritrovò a parlare senza nemmeno pensarci.


'Subito dopo sono arrivate le guardie. Mi sono distratto, e un sasso lanciato da uno di quei maledetti succhiacazzi che stanno dalla parte di Jaeger mi ha colpito.'

'Non Eren stesso.'

'Non lui.'

'Va bene. C'era il Francese?'

Jean annuì, rabbrividendo. 'Il Francese' era il soprannome del Caporale Rivaille. Rivaille era un uomo che si era fatto strada tra grado per grado a forza di vittorie contro i malviventi della città; nonostante la statura modesta e l'aspetto tranquillo, non esitava a far ricorso alla violenza.


'Siamo scappati subito, sparpagliandoci.', ammise Jean. 'Non credo che Eren e i suoi abbiano fatto lo stesso, e se c'è una soddisfazione che posso trarre da tutto questo è l'idea di Eren Jaeger che viene preso a calci in faccia dal caporale. Quello non si farebbe scrupoli a picchiare la figlia del Doge, se la beccasse a rubare un pezzo di pane da un bancale.'

'Ce la vedi, la figlia del Doge che ruba un pezzo di pane?'

Sasha e Jean scoppiarono a ridere, mentre Connie rientrava nella stanza.

Erano passati cinque anni dalla fine dell'epidemia.

Il Carnevale era alle porte.


*


'Cosa stai facendo, ragazzo?!'


Tre giorni dopo l'incidente, Jean stava sfiorandosi la cicatrice sulla tempia con un dito, bighellonando per il mercato in cerca di prede facili quando l'urlo lo portò a voltarsi, così come gran parte della gente che si aggirava tra i bancali. Inizialmente preoccupato che la guardia si fosse rivolto a lui, si rilassò quando vide che l'uomo aveva inveito contro un ragazzino il cui volto era nascosto da un cappuccio, che sembrava aver prelevato senza permesso un tocco di pane da una bancarella.


'Io...ah...ho fame.', mormorò il ragazzino con voce sottile.


Jean trattenne una risatina. Se il ragazzo stava facendo da diversivo per un amico tagliaborse, quella era davvero un'idea rischiosa. Poi però notò che nei paraggi non c'era nessuno che somigliasse a un complice, e aggrottò la fronte. Possibile che si fosse fatto beccare così facilmente, e per una pagnotta soltanto?


'Mi prendi in giro?'


La gente, abituata a quel genere di scena, aveva smesso di osservare. Il borsello della guardia dondolava invitante. Jean si avvicinò, sfilando un taglierino dalla cinta dei pantaloni; con un gesto leggero, esperto, fece cadere il portamonete nella propria mano. Si allontanò con calma, senza farsi notare, ma un urlo lo fece girare d'istinto.


'BRUTTO PICCOLO SORCIO, ORA TI FACCIO VEDERE IO!'


La guardia aveva estratto lo spadino. Jean sentì qualcosa di molto simile al senso di colpa formarsi dentro di lui; il ragazzo sembrava un novellino, e lui stesso da piccolo aveva rischiato spesso di prenderle dalle guardie. In quel caso, quasi sempre qualcuno interveniva a salvarlo.

(Marco, solitamente)

Corse, scivolando tra la guardia e il ragazzo e afferrando la mano di quest'ultimo.


'Seguimi, mammoletta!', urlò al ragazzino, che non se lo fece ripetere.


Corsero lontano dalle guardie, slittando tra calle e calletti, fino a che la guardia non fu abbastanza lontana. Quando si fermarono ansimavano entrambi. Jean iniziò a ridere; la cicatrice sul sopracciglio gli pulsava, l'intero corpo era ricoperto di sudore, avvolto nell'adrenalina. Il ragazzo, invece, era piegato in due dalla fatica. Jean prese il borsello appena rubato e lo aprì.


'Sai una cosa, ragazzino?', sorrise, estraendo dalla saccoccia un paio di monete. 'Sei un maldestro, ma queste te le sei proprio meritate. Se ti interessa imparare qualche trucco, chiedi di Jean Kirschtein. Ci vediam...'


Jean si interruppe bruscamente. Al tintinnare delle monete, il ragazzo aveva alzato di scatto la testa; il cappuccio era scivolato giù, rivelando una zazzera di capelli biondi. Ma le sorprese non finivano lì: la persona che Jean aveva continuato a credere un ragazzino per tutto quel tempo aveva il volto più dolce, femminile e indiscutibilmente bello su cui Jean avesse mai posato gli occhi, anche più bello di quello della Principessa.

'Vi ringrazio!', esplose la ragazza, afferrando le monete. Sorrise, e il suo sorriso raccontava di brezza marina e campi di fiori illuminati dal sole. La sua voce non suonava più come quella di un ragazzino, ora: era la voce di un angelo.

'Pre...go...', mormorò Jean, confuso nel profondo.

In quel momento, la ragazza si accorse di non avere più il volto nascosto; sobbalzò nervosa e si affrettò a coprirsi nuovamente il volto, lasciando in bella vista solo due grandi occhi azzurri. Si avvicinò a Jean.


'Devo scappare, ora: mi cercano! Vi prego, se qualche guardia dovesse fermarvi e chiedervi di una ragazza bionda, non dite di avermi vista!', supplicò. Alzò le monete verso Jean. 'Ve ne sarò eternamente grata...Jean. Siete il mio salvatore. Ecco, non posso vendere questo per ricavarvi dei soldi, ma posso darlo a voi in segno di riconoscenza. Verrò a cercarvi.', gli occhi si socchiusero: stava sorridendo. 'Forse potreste davvero insegnarmi qualche trucco del mestiere.'

Pose nelle mani di Jean qualcosa che si era tolta dal dito e scappò via, prima ancora che lui avesse la possibilità di fermarla. Nel vicolo c'era un silenzio innaturale; i rumori della città arrivavano attenuati, soffusi. Ad un tratto, Jean si sentì osservato. Guardò dietro di sé, ma non c'era nessuno. Gli sembrò di scorgere un'ombra sui tetti. Alzò lo sguardo, ma non c'era nulla.

(A pensarci bene, l'idea era abbastanza ridicola)

(E quella ragazzina dev'essere qualche pazza scappata da un manicomio)

Jean abbassò lo sguardo sulla propria mano. La ragazza vi aveva lasciato un anello, su cui sembrava essere inciso qualcosa. Jean alzò l'anello verso gli occhi per osservarlo meglio.

Effettivamente sull'anello c'era un'incisione, anzi, più di una; la scritta “Aeterna florida virtus” e uno stemma ritraente un ponte dorato in campo azzurro.

Lo stemma dell'attuale Doge.

Quando Jean abbassò l'anello e si voltò nella direzione verso la quale era scappata la ragazza, scoprì che a dieci centimetri dal suo naso era fermo un uomo. Indossava un lungo mantello scuro e in volto aveva una maschera di un nero più nero della notte stessa.


'Ciao, Jean.', sussurrò.


'AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGH!'





________________________________________________________

E mentre voi leggete questo, io inizio il capitolo 5 *faccina malefica*
Ragazzi, che dire. Siete...siete meravigliosi. Non mi aspettavo tanto feedback positivo, tante views...un grazie a cuore aperto a tutti coloro che hanno recensito, seguito, preferito, ricordato. VI VOGLIO BENE!
Riguardo al capitolo, invece...ehi, ora sì che potete parlarne. C'è un po' di gente il cui ruolo qui è a malapena abbozzato, e nonostante mi fossi detta che non avrei inserito tutti i personaggi, la storia si prospetta lunghina e cercherò di inserire tutti; per ora vi dico con sicurezza che tutti i membri della 104th Squad hanno un ruolo fisso chiave nella storia, e questo dovrebbe far pensare che... (evito gli spoiler ghghgh)
Facciamo un gioco: se recensite, ditemi chi credete fosse il personaggio che Jean ha avuto l'impressione di vedere sul tetto.
Io vi aspetto al prossimo, atteso, rompicuore capitolo, che posterò non prima di mercoledì 20 novembre! (。◕‿◕。)
E poi ci rivediamo dopo il cinquantesimo di Doctor Who! WHHOOOO-OOOO-OOOOOH! (momento di sclero random) ALLA PROSSIMA!



Perchè riesco ad aggiornare solo a notte fonda, urgh...
   
 
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