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Autore: IleWriters    15/11/2013    2 recensioni
Ilenia, all'apparenza una ragazza come tante, ma che nasconde un grande segreto. Solo la sua migliore amica e la sua famiglia conoscono il suo segreto. Lei e tutta la sua famiglia sanno trasformarsi in lupi. Ogni giorno per andare a scuola mette delle lenti a contatto in modo che i suoi occhi dorati non vengano riconosciuti. Ma un giorno qualcuno che non dovrebbe riesce a vedere i suoi veri occhi, e da qui parte la storia di Ilenia.
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Nathaniel, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Guido stringendo forte il volante, talmente forte che mi sono sbiancate le nocche. Il dolore al fianco è sempre più forte e l’odore ferroso del mio sangue sta inondando completamente l’abitacolo. Mi fermo al semaforo rosso e abbasso lo sguardo sul fianco, la maglietta blu con la scritta bianca con dei brillantini "Love" e sotto al contrario "Hate" è lacerata e sporca di sangue all’altezza della ferita “Cacchio, l'avevo comprata ieri sta maglietta!” penso mentre sbuffo, ormai mi convinco che una piccola sosta a casa sia più che necessaria, così metto la freccia per andare a sinistra e quando la luce rossa del semaforo cambia colore diventando verde, svolto a sinistra dirigendomi verso casa.
 
 
Quando arrivo davanti il cancello ricoperto di glicine spoglio, prendo il telecomando nero che tengo nel cruscotto e premo il bottoncino nero lucido inferiore, facendo aprire il cancello che da sul vialetto, entro e parcheggio sul vialetto, dato che la mia sosta a casa sarà breve non vado a parcheggiarla nel parcheggio coperto che abbiamo sul retro. Metto le mani in tasca cercando le chiavi di casa, imprecando quando mi accorgo di non averle portate dietro stamani “Tutte le volte la stessa, identica, storia” sospiro e mi arrampico sull’albero spoglio di susine che abbiamo nel cortile. Quando sono sul ramo che da sulla finestra della mia camera, allungo la mano destra verso i vetri della finestra, mentre con la sinistra mi tengo al ramo dell’albero, quando sono vicina alla finestra, davanti al vetro compare la sagoma di un ragazzo in boxer neri che spalanca la finestra urlando:
 
- “Ilenia!”
 
Lancio un urlo e per poco non perdo l’equilibrio precario sul ramo poco solido del susino. Lancio uno sguardo di fuoco al ragazzo, snudo i canini e ringhio:
 
- “Testa di cazzo! Ti sembrano scherzi da fare?”
- “Io l’ho trovato molto esilarante” – mi guarda divertito
- “Io per niente, stavo per sfracellarmi al suolo, ora razza di imbecille patentato aiutami ad entrare!” – dico mentre allungo una mano verso il ragazzo, ignorando le fitte al fianco
- “Visto che me lo chiedi così… No” – sorride beffardo e fa per richiudere la finestra
- “Ti prego, mio grande Agenor, saresti così gentile da aiutare me, nullità di poco conto, ad entrare in casa?” – dico tenendo i denti stretti e tenendo le braccia tese verso di lui
- “Sai che io aiuto sempre la mia gemellina quando è nei guai” – allunga un braccio muscoloso verso di me, prendendo la mia mano minuta nella sua enorme – “Poi mi spieghi che cavolo ci fai appesa come uno scimpanzé sugli alberi del giardino” – mi tira verso di se, e una volta che mi ha stretta tra le sue braccia muscolose mi tira dentro
 
Una volta dentro mi accascio sul pavimento e poggio la testa al muro, il fianco mi pulsa dal dolore e guardo Agenor, il mio gemello osservarvi con i suoi occhi dorati. Sbuffa con un’angolo della bocca quando una ciocca riccia di capelli rosso rubino gli cade davanti l’occhio, poi all’improvviso arriccia il naso e storce la bocca:
 
- “Dio, Ile, come puzzi” – si porta una mano davanti al naso e starnutisce
- “Grazie eh, vorrei sentirete, se dopo essere entrato in una tana di troll, profumeresti ancora come una rosa” – dico mentre mi alzo in piedi
- “Bhe, profumerei come una rosa cosparsa di letame” – ride – “Ok ora mi dici che cazzo ci facevi nella tana di un clan di troll” – dice con tono aspro
- “Non ho ancora pensieri suicidi, quindi diciamo che ci sono finita per sbaglio, più precisamente mentre stavo rincorrendo un coniglio” – apro l’armadio prendendo un pullover blu cobalto con le spalle basse
- “La solita babbana” – il suo sguardo dorato cade sul mio fianco – “Miseriaccia! Cosa hai combinato?” – ora il suo tono  allarmato
- “Forse, scappando dai troll sono sconfinata nel territorio sorvegliato dai Custodi” – sospiro
- “Sei davvero una cretina Ilenia Kenway!”  - dice mentre si porta il polso alla bocca
 
Poso il maglione sul letto e mi avvicino a Nor, che si procura un taglio sul polso per poi porgermelo. Io gli prendo il braccio con le mani e poso le mie labbra sulla ferita che lui si è inferto, inizio a far scendere il sangue lungo la mia gola, ha un sapore ferroso ma allo stesso tempo è come se fosse miele. Sento il dolore al fianco attenuarsi piano piano. Mentre bevo penso a come abbiamo scoperto questa cosa del sangue curativo.
 
 
 Avevamo sei anni, io mi ero tagliata la mano con un pezzo di vetro di quella che, un tempo, era una pirofila, piangevo disperata e mi mettevo la mano ferita in bocca. Quando a un tratto arriva Nor con un taglio, meno profondo sul mio, sulla stessa mano e più o meno nello stesso punto, lui mi guardò con il suo sguardo dorato, potevo leggervi dentro la sua preoccupazione. Ad un tratto mi porse la mano e mi sorrise:
 
- “Guarda, ora abbiamo lo stesso taglio” – sorrise e mi mise la sua mano ferita vicina alle labbra
- “Non dovevi farti male per me” – dissi lacrimando e sfiorando con le labbra la sua mano, sporcandomele di sangue
 
Lui mi sorrise dolcemente, io mi leccai le labbra sporche del suo sangue, poi tutto d’un tratto, mi avventai sulla ferita di Nor, bevendone il sangue. Sentivo che il dolore alla mia mano si attenuava pian piano. Quando mi staccai lo guardai e scoppiai nuovamente in lacrime, ero disperata e scombussolata dal gesto che avevo fatto. Nor mi accarezzò i capelli con la mano sana e continuava a sorridermi dolcemente:
 
- “Tranquilla sorellina, non è nulla, ora stai bene. Questo è quello che conta” – poi mi abbracciò forte mentre piangevo disperata.
 
Raccontammo questa storia alla mamma, e provammo a guarire la ferita di Nor facendogli bere il suo sangue, ma non successe nulla. Da lì intuimmo che probabilmente questa cosa potevamo farla solamente tra noi due.

 
 
Il che ci rende ancora più uniti e più bisognosi l’uno dell’altro. Anche se lui è il maggiore per soli cinque minuti, quindi lo rende il maggiore tra i due, quando deve chiedermi un’aiuto non esita a farlo. Quando sento che il dolore cessa mi stacco dal polso di mio fratello e lo guardo:
 
- “Grazie, Nor” – dico mentre mi pulisco la bocca con il dorso della mano
- “Non c’è di che” – sorride e si stringe il polso con l’altra mano
- “Sei solo in casa?” – chiedo mentre mi dirigo a chiudere la finestra
- “Se non conto Jeremy che dorme sul divano, si, sono solo come un’orso” – ride
 
La sua risata è qualcosa di stupendo, è roca e decisa, rido a mia volta mentre risistemo le tende davanti la finestra:
 
- “Così il marmocchietto sta dormendo beato eh?” – mi siedo sul letto fissandolo
- “Eh già” – ride mentre io lo fisso insistentemente – “Che c’è?” – domanda piegando la testa di lato
- “Sto aspettando che esca, in modo tale da potermi lavare per avere un minimo di contegno quando arriverò al bar in ritardo scandaloso” – mi alzo dal letto
- “In effetti hai i capelli che sembrano una criniera di leone” – ride
- “Ah ah, spiritoso, ora fuori” – mi dirigo verso il bagno
- “Ai suoi ordini, capo” – dice uscendo dalla stanza
 
Entro nel bagno e poggio i panni puliti sul coperchio celeste tirato giù del water bianco. Mi spoglio gettando la maglietta rosa a terra, ormai è da buttare “Peccato, mi piaceva tanto” poi lancio i jeans nel cesto bianco dei panni sporchi. Prima di entrare nella doccia mi pettino i capelli con la spazzola, facendoli gonfiare il doppio, scuoto leggermente la testa e entro nella doccia.
 
 
Apro l’acqua e mi schiaccio con la schiena contro una parete di mattonelle celesti con venature azzurre quando il getto d’acqua gelata mi investe, sussulto al contatto della mia schiena nuda con le mattonelle fredde del muro “Tanto valeva stare sotto il getto d’acqua” penso mentre mi metto sotto il getto che ora è caldo al punto giusto. Mi insapono i capelli con uno shampoo alla menta, la sua fragranza mi apre immediatamente le narici, ispirando a pieni polmoni l’aroma forte ma delicato della menta, mi sciacquo bene i capelli, poi mi passo sul corpo un bagnoschiuma al cioccolato bianco “Mmm… Con tutti questi profumini mi è venuta una fame pazzesca” così mi sciacquo in fretta e esco dalla doccia aprendo la porta scorrevole di vetro smerigliato.
 
 
L’aria fredda mi colpisce in pieno, facendomi sussultare, così afferro immediatamente l’accappatoio blu in spugna e me lo metto addosso, legando la cintura stretta in vita. Inizio a tamponarmi i capelli con l’asciugamano bianco, per poi ributtarli indietro, poi mi tolgo l’accappatoio e sento le punte bagnate dei capelli sfiorarmi il fondoschiena, sussulto e mi vesto in fretta. Dopo essermi messa il pullover e i jeans neri, prendo il phon e la spazzola e inizio a asciugarmi la frangetta che mi copre la fronte, con le punte che mi sfiorano le sopracciglia fini rosse. Dopo essermi truccata con eye-liner, mascara, e matita nera mi passo pure la piastra sulla frangetta. Quando ho finito la riposo sulla mensola di legno blu sotto il lavandino bianco e corro fuori dal bagno.
 
 
Una volta in camera, mi accorgo che non ho la più pallida idea di dove siano le mie scarpe, di certo non ho voglia di mettermi i tacchi, così passo in rassegna la stanza, salgo sul piccolo soppalco coperto di mouquette fucisa, mi inginocchio a terra e guardo sotto il letto, intravedendo una delle mie amate adidas bianca, allungo un braccio, l’afferro e me la infilo senza nemmeno bisogno di allacciarmela, il fatto che io tenga il fiocco dei lacci dietro la linguetta e sia legata in modo largo mi permette questa cosa, poi scendo dal soppalco in mouquette, tornando sulle mattonelle bianche venate di argento e cerco la sorella gemella della scarpa, che trovo sotto la scrivania.
Mette mi metto la scarpa guardo la mia camera, ha i muri completamente bianchi, tranne un quadrato rosa magenta brillanti nato dipinto sul muro in sostituzione della testiera del letto, del medesimo colore del quadrato sono state fatte le cornici delle porte e della finestra, coperta da una tenda rosa chiaro. Una volta infilata anche l’altra scarpa, prendo la borsetta nera lucida, ci butto dentro le chiavi di casa e scendo di corsa le scale.
 
 
In soggiorno trovo il piccolo Jer addormentato beatamente sul divano in pelle nero, coperto dalla sua amatissima coperta in paile di Dragonball Z, gli accarezzo i capelli neri e gli bacio una guancia spruzzata di lentiggini sussurrandogli:
 
- “Ci vediamo dopo, marmocchietto, ti voglio bene” – sorrido e esco di casa.
 
 
Arrivo al bar in ritardo di un’ora e mezzo, “Fantastico, proprio fantastico” sospiro, mentre prendo dalla borsetta le mie lenti a contatto colorate, che devo mettere ogni volta che esco di casa. Mamma ha insistito per farle mettere a me e Nor, è terrorizzata dal fatto che i lupi dei branchi sulle montagne possano riconoscerci per i nostri occhi dorati, così in casa abbiamo una scorta di lenti a contatto colorate. Mi metto la prima lente e la mia iride destra passa da dorato a grigio cenere, sbatto un paio di volte le palpebre prima di mettere l’altra, sospiro “Cacchio che noia che mi danno ste cose”.  Scendo di macchina, mi stringo di più nel mio giubbotto imbottito nero lucido e attraverso di corsa la strada, saltando i cumoli di neve grigia ai lati.
 
 
Entro nel bar, arredato in stile moderno, e trovo subito Misery e Nathaniel, li saluto con la mano e mi avvio da loro. Mi siedo sul divanetto fatto a semicerchio in pelle bordò attaccato con i lati a quelli accanto e con l’altro lato incassato al muro e sospiro, la mia migliore amica mi guarda con i suoi occhioni viola ametista, che spiccano sul suo volto di carnagione pallida:
 
- “Bhe? Che hai da dire a tua discolpa per questo ritardo?” – dice avvolgendosi intorno all’indice con l’unghia lunga smaltata di nero, una ciocca dei suoi capelli corvini e arricciando le labbra con il lucidalabbra che emana un fragranza di fragola
- “Ho avuto delle complicazioni a casa” – guardo Misery, sperando che capisca che le complicazioni a casa implicavano troll e un lupo più tosto incazzato con me del fatto che gli avevo invaso il territorio
- “Dai Mis, lasciala stare” – dice Nathaniel puntando i suoi occhi ambrati su Misery
- “Ma almeno poteva inviare un SMS” – dice Misery sbuffando
- “Scusa ciccia piccia, ma il cellulare era morto” – dico alzando le mani e stringendomi nelle spalle
- “Potevi usare quello di Nor” – ribatte lei
 
Vedendo che non sapevo cosa ribattere, Misery alzo le mani chiuse a pugno in alto esultando:
 
- “Uno a zero per me, Kenway” – dice ridendo
- “Si si, brava Tor, ora smettila di esultare, mi irriti” – borbotto seccata mentre poggio le mani sul tavolino circolare in plastica con la fantasia del marmo bianco venato di grigio
- “Il fatto è che tu non sopporti perdere, Ile” – dice sorridente Mis
- “Basta voi due” – dice Nathaniel passandosi una mano nei capelli biondi
- “Infatti, basta, anzi ordiniamo qualcosa che ho una fame pazzesca” – dice Mis guardando tutti i vari dolciumi esposti nella vetrina accanto alla cassa
- “Io invece ho una fame da lupo” – dico mentre guardo Mis sorridendo  e lei mi risponde con un sorriso complice
- “Non mi stupisco” – ride
 
Lei è la sola a sapere del mio segreto, avevamo solo sei anni e stavamo giocando in cortile quando io, dopo essermi arrabbiata per una litigata scema, mi trasformai in un lupacchiotto bianco, e la mia amica per tutta risposta si trasformò in una volpotta dalla pelliccia rossastra marroncina, con le zampe alla fine marroni, la pancia e il musetto bianchi, come la punta della folta coda, e mi guardava con i suoi occhioni viola spaventati. Dopo poco arrivarono le nostre madri e dovettero spiegarci che questa non era una cosa da fare in pubblico e non dovevamo dire a nessuno del nostro potere. Almeno lei non deve portare queste fastidiose lenti a contatto “Cazzo che fastidio”  infatti Mis era la sola di tutta la città oltre la mia famiglia a sapere del mio vero colore di occhi e del mio potere.  Le sorrido e chiamo con un cenno di mano il cameriere, quando il suono di un campanello annuncia che qualcuno è appena entrato. Noto Nathaniel serrare la mascella e guardare verso la porta, dirigo il mio sguardo verso la direzione che sta fissando Nathaniel e vedo un ragazzo dalla chioma lunga fin sopra le spalle rossa, poi torno con lo sguardo su Nath che sussurra:
 
- “Castiel Dorian” – mormora con tono pieno di odio e disprezzo, tenendo le mascelle tese.
  
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