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Autore: Emerlith    16/11/2013    1 recensioni
E Marlene dormiva e tu avresti voluto toccarla, girarle il viso e passarci sopra il tuo indice. Sul contorno delle sue labbra, sulla piega delle sue ciglia. E dirle che sì, tu ti eri accorto che i suoi occhi erano perfettamente screziati di verde.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Marlene McKinnon, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Screziati di verde
 
 
Marlene ha gli occhi screziati di verde.
E tu sei lì, e la guardi sistemarsi una ciocca ribelle dietro l’orecchio, e la senti parlare, e ridere, e non riesci -proprio non riesci, a fare a meno di chiederti quando hai notato per la prima volta quella perfetta screziatura di verde.
 
Marlene ha gli occhi screziati di verde.
E ti è venuto in mente dal nulla, così, quasi per gioco, quasi per sbaglio, quasi a voler rammentarti qualcosa di indefinito, eppure così semplice.
Marlene ha gli occhi screziati di verde.
E ti è venuto in mente una notte, mentre ascoltavi il vento fra le fessure del castello, mentre rabbrividivi al pensiero di un mondo troppo freddo, troppo inclemente per quelle mani così fragili e delicate, perfette.
Ti sei rigirato sulla schiena, il tuo sguardo rivolto ad un soffitto buio dove troppe volte eri rimasto ad appiccicare i tuoi sogni smarriti, e hai sgranato i tuoi, di occhi, mentre il tuo respiro provava a fondersi con quello di lei, che dormiva al tuo fianco senza sapere, senza ascoltare i battiti accelerati del tuo cuore incastrato tra le tue coste e un desiderio che voleva afferrarlo, prenderlo e mostrartelo realmente per quello che era.
 
Tu che pensavi che il tuo cuore non sapesse battere nella maniera giusta.
Tu che pensavi che anche lui, come te, si fosse perso.
E Marlene dormiva e tu avresti voluto toccarla, girarle il viso e passarci sopra il tuo indice. Sul contorno delle sue labbra, sulla piega delle sue ciglia. E dirle che sì, tu ti eri accorto che i suoi occhi erano perfettamente screziati di verde.
 
E quante volte, di nascosto, hai continuato a guardarli.
Quante volte hai provato a serrare le palpebre e ad imprimerteli nella mente, per trovar loro un posto sicuro.
Quante volte, mentre la baciavi, hai sentito il desiderio inconsulto di piangere, piangere come non avevi mai pianto nella tua vita, neppure quando eri un bambino. Piangere e dirle di correre via, scappare da tutta questa follia, scappare per te, con te.
 
E già sapevi d’essere sul ciglio di quel precipizio.
Non ne conoscevi il fondo, ma sapevi che a furia di guardarlo ci saresti caduto dentro.
E avevi paura di tutto quel buio, Sirius.
Avevi paura, la stessa paura ancestrale che ti divorava quando eri bambino nel buio della tua stanza.
Avevi paura di non avere una casa sicura, il tuo posto nel mondo.
E non sapevi, non sapevi quant’era profondo quel precipizio.
 
Così ti aggrappavi ai suoi capelli sciolti sulle spalle, ti aggrappavi alle sue dita sottili, ti aggrappavi al suo respiro lieve nella speranza di poter alleggerire anche il tuo.
E il mondo esigeva risposte, e tutto quell’amore che sentivi non esigeva null’altro se non uno sprazzo di vita in mezzo a tutte quelle macerie.
 
E Marlene dormiva e tu avresti voluto toccarla, abbattere i muri, i confini tracciati a casaccio.
Avresti voluto svegliarla, prenderle il viso, sfiorarlo alla tenue luce di quella candela, e disegnarlo, dipingere quella screziatura di verde, cangiante all’umore del sole, all’umore del mondo.
E dirle che sì, tu l’avresti saputa conservare, quella sfumatura. Tu avresti saputo conservare quello sprazzo di perfezione.
 
Ma già sapevi che saresti finito sul fondo di quel precipizio.
Non sei riuscito neppure a piangere, alla fine.
Hai solo sentito freddo, tanto freddo. Ti è entrato dentro, nelle ossa.
E hai morso le nocche, le mani, le labbra bagnate di lacrime e pioggia.
Quella pioggia grigia sui marciapiedi di Londra.
E ti sei inginocchiato, hai picchiato l’asfalto, hai urlato ad un cielo senza più contorni.
 
E ora, nel buio sconfinato ai confini dell’esistenza, pensi solo che non gliel’hai mai detto.
Non le hai mai detto quanto amassi i suoi occhi.
Non le hai mai raccontato dei tuoi voli colorati guidati da quelle iridi.
Non le hai mai sfiorato le palpebre con quel bacio che avrebbe dovuto sapere d’estate.
E non hai mai imparato a disegnare, a tracciare la sfumatura che ti aveva salvato.
E adesso hai paura.
Paura di dimenticarla.
Paura di ricordarla.
Paura di non poter più salvarti.
 
Paura di chiudere per sempre anche i tuoi, di occhi, e non poter più fingere.
Fingere di averla ancora qui, far finta di poter perderti ancora una volta, ancora una volta e per sempre.
 
Mentre la guardi sistemarsi una ciocca ribelle dietro l’orecchio, e la senti parlare, e ridere, e non riesci -proprio non riesci,
a non perderti in quel barlume di vita nei suoi occhi screziati di verde.
 
 
  
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