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Autore: MarySmolder_1308    16/11/2013    2 recensioni
L'amicizia è un sentimento essenziale, che ti travolge improvvisamente.
E così ti ritrovi legata a persone che non avresti mai immaginato di poter conoscere, con cui non avresti mai immaginato di parlare.
L'amicizia spesso e volentieri ti cambia la vita e lo fa senza che tu possa rendertene minimamente conto.
Non ti chiede il permesso. Lo fa e basta.
E' questo che succede a Maria Chiara Floridia, 26 anni, specializzanda in chirurgia al terzo anno al Saint Joseph Hospital, quando incontra i famosi Ian Somerhalder, 33 anni, e Nina Dobrev, 24 anni.
Il problema è che anche l'amore agisce in questo modo.
Possono questi due sentimenti entrare in contrasto?
Possono lottare fra loro, logorando tutto ciò che è sul loro cammino?
Possono far sorgere dei dubbi?
Possono distruggere una persona?
In un mondo in cui è ormai difficile instaurare delle relazioni, tre persone si ritrovano tra le grinfie di questi sentimenti.
Vincerà l'amore o l'amicizia?
--
Ci tengo a precisare che non sono una scrittrice professionista. Utilizzo la scrittura per esprimere al meglio tutti i miei pensieri, tutte le mie sensazioni, tutte le mie emozioni. In ogni capitolo cerco di dare il massimo, quindi spero possiate apprezzare!
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo
Capitoli:
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POV Nina
Essere stretta a Joseph era una sensazione meravigliosa. Mi sentivo così protetta e al sicuro al suo fianco.
Sorrisi e cominciai ad accarezzargli il petto.
“A che pensi?” mi chiese con voce dolce.
Lo guardai e, istintivamente, il mio sorriso si ingrandì. Adoravo la sua voce, era troppo affascinante.
“Penso a quanto sarebbe bello se si potesse restare così per sempre”
“Intendi a letto nudi per la vita? Beh, devo ammettere che è una cosa molto allettante” rise e mi accarezzò i capelli.
“E invece dobbiamo sempre abbandonare questo letto e camminare, correre a destra e a sinistra”
“Stressata?”
“Un pochino – ammisi – ma non mi lamento più di tanto. Nonostante sia stata una settimana folle, è stato bellissimo stare in un ospedale”
“Già – mi strinse – Quell’ambiente ha un qualcosa di magico. Non so spiegarti cosa sia di preciso, ma in questa settimana ho percepito questo”
“Anche io. E mi è piaciuto. Insomma, hai l’opportunità di rapportarti sempre con le persone, di conoscere le loro storie e di fare qualcosa per loro. Credo sia davvero meraviglioso. Anche se – continuai esitante – non sempre le storie di queste persone finiscono bene”
“Purtroppo non si può fare niente per cambiare questo. Loro mettono tutta la loro energia nella cura del paziente ed è questo che conta, secondo me. Sai, credo di aver capito perché Julie ha voluto sperimentare il volontariato quest’anno”
“Per cominciare a girare più tardi?”
“No. Secondo me l’ha fatto per non permettere a noi stessi di perderci. Prima ci ha fatto lavorare all’asilo per ritrovare la nostra piccolezza, poi allo zoo per ricordarci che anche gli animali devono essere trattati bene e poi soprattutto all’ospedale per ricordarci che, nonostante siamo famosi, siamo pur sempre persone. Non dobbiamo sopraelevarci troppo o chissà che altro. In fondo, i medici fanno un lavoro di gran lunga più importante del nostro e rimangono quasi sempre delle persone umili, il cui scopo è cercare di aiutare l’altro. E’ una cosa molto significativa”
“Secondo me stai filosofando troppo il pensiero di Julie” sghignazzai.
“Può darsi – sorrise – Comunque sia, sono davvero soddisfatto di questi volontariati, specie dell’ultimo”
“E poi, stare a stretto contatto con Mary è stato... Non succedeva da tempo” dissi la frase sottovoce.
“Tutto ok?” mi chiese.
“Sì – annuii – Solo che… ecco – mi misi a sedere, coprendomi con il lenzuolo – non le stavo così vicino dai tempi in cui era ‘l’amica di coppia’, capisci? Cioè, una delle ultime volte in cui le ho seriamente parlato ero così gelosa di lei che stavo per colpirla in faccia con il borsone di Ian, mentre lo posavo in macchina”
“Addirittura. La mia ragazza è aggressiva e possessiva. Mi piace” sorrise e, messosi anch’egli a sedere, mi baciò.
Ricambiai il bacio con dolcezza.
“Secondo te riusciremo mai a chiarire? Era bello essere amiche e… e mi dispiace che sia andata così. Sai benissimo che non è facile trovare amici al di fuori del nostro mondo, però…”
“Però?”
“Però con Mary era tutto così semplice! Nonostante fosse, anzi sia, una gran timidona, era sempre sincera e spontanea e…” non riuscii più a continuare il discorso.
“Lo so, Niki, lo so. E se vuoi il mio parere, sì, credo che riuscirete a risolvere”
“Sto aspettando”
“Cosa, tesoro?” mi guardò confuso.
“Il ‘ma’. Sto aspettando il ‘ma’ che segue questa frase”
“Ma credo che ci vorrà del tempo. Credo che, anche se tu e Ian siate nuovamente amici,  Mary si vergogni per la sua relazione. Credo che ti voglia bene e che voglia la stessa cosa che vuoi tu, solo che si sente un po’ in imbarazzo perché sta con Ian e questo la blocca”
“Oppure non vuole la stessa cosa che voglio io perché i miei pazzi istinti quasi omicidi l’hanno spaventata a morte”
“Non esagerare” Joseph fece una risatina, poi mi carezzò la schiena nuda.
Un brivido la percorse automaticamente.
Gli carezzai la mascella, un po’ pungente per la barba, poi lo baciai.
“Grazie” sussurrai.
“Quando vuoi” mi sorrise, distogliendo lo sguardo dal mio per un attimo.
Guardava qualcosa dietro di me. Mi voltai e notai che l’orologio segnava le otto in punto.
“Dovremmo proprio vestirci, vero?” lo guardai.
“Mi sa di sì. Andiamo, sarà divertente”
“Credi?”
“Sì. Voglio proprio vedere chi non terrà la bocca chiusa. Punto su Matt” sghignazzò e scostò le lenzuola.
Mi sorrise e io lo baciai, soffermandomi su quelle labbra più del dovuto.
“Secondo me Kevin”
“Scommettiamo?”
“D’accordo – gli strinsi la mano sicura di me – Sono certa che vederti perdere sarà molto divertente” sorrisi.
“Sto aspettando”
“Cosa, tesoro?”.
Mi guardò, sorridendo sghembo.
I suoi occhi verdi si accesero di malizia.
“Il ‘ma’. Sto aspettando il ‘ma’ che segue questa frase”
“Ma so che se tu, tipo ora, ti dessi una rinfrescata con me sarebbe molto più divertente” gli feci l’occhiolino e mi alzai, dirigendomi verso il bagno.
Arrivata alla porta, sentii la mano di Joseph stringere la mia.
Sorrisi ed entrai in bagno, tenendo la mia meno stretta alla sua.
 
POV Ian
Guardai l’orologio irritato.
Erano le otto passate e ancora non eravamo tutti.
Sbuffai, cominciando a camminare avanti e indietro nell’immenso parcheggio degli studios.
“Ian, calmati” mi disse Paul raggiungendomi.
“Come posso calmarmi? Siamo decisamente in ritardo! E abbassa la voce. Non voglio che qualcuno sappia” conclusi la frase sussurrando.
“Va bene, non preoccuparti! – Paul rispose con lo stesso tono – E comunque più ti agiti più gli altri – si avvicinò furtivo al mio orecchio – capiranno qualcosa”
“Dove diavolo sono finiti Nina e Joseph? E Matt? Dio mio, com’è possibile che ogni volta nessuno è mai in orario?” passai una mano tra i capelli.
“Smolder, se continui a non rilassarti, la prossima volta che ti passerai una mano su quella bella testolina sarai pelato”
“Sì, certo”
“Non sai che lo stress causa la caduta dei capelli? Io lo dico per te”
“Ah, giusto, dimenticavo che sto parlando con l’esperto – sorrisi, indicando i suoi capelli – Hai cambiato gel, Wes?” chiesi con ironia.
Paul scosse la testa ridendo e, datami una pacca sulla spalla, mi sussurrò nuovamente: “Puoi smettere di provocare buchi sull’asfalto. Vedo delle auto”.
Mi voltai automaticamente e vidi l’inconfondibile Mercedes nera di Joseph e la Volkswagen Tiguan bianca di Matt. Ringraziai il cielo e mandai Paul a chiamare gli altri dentro. Potevamo andare.
Dopo aver deciso chi andava con chi, cominciai a camminare verso la mia Audi grigia, mentre Paul, Torrey, Nina e Julie salivano sulla Mercedes di Joseph, già pronta per andare.
Mi voltai per un attimo, guardando il mio ‘compagno di viaggio’ con disappunto.
“Matt, muoviti, altrimenti ti lascio qui!” urlai, aprendo la macchina con la chiave.
“Calmati, Smolder. Come mai hai così fretta di andare?” Matt mi guardò con occhi maliziosi.
Mi morsi la lingua per aver mostrato la mia trepidazione.
“Credo che siamo in ritardo ed è scortese arrivare in ritardo a una cena” dissi, stringendomi nelle spalle.
“Certo, Ian” Matt non aggiunse altro e, aperta la portiera, si sedette al lato del passeggero.
Girai la chiave nel quadro, poi partii verso quella casa, mentre gli altri mi seguivano con le loro auto.
Per evitare domande scomode, accesi subito la radio, cominciando a tamburellare con le dita sul volante a tempo di musica.
“Allora, Ian – Matt abbassò il volume della radio, riducendolo a un volume ‘adatto per conversare’ – niente di nuovo da raccontare di questa tua folle vita?”
“No! Niente di niente – scossi la testa, sperando di essere sembrato credibile – Solito splendido lavoro con Jess e tutti gli altri della fondazione e solito splendido lavoro con i pazzi dei miei colleghi vampiri barra lupi mannari barra ibridi barra streghe barra insegnanti di storia dipendenti dall’alcol”
“Descrizione interessante della tua giornata” Matt sghignazzò e aumentò nuovamente il volume della radio.
Sospirai di sollievo dentro di me e continuai a guidare, non vedendo l’ora di arrivare.
Non appena giunsi al solito incrocio, svoltai a destra e in breve tempo vidi il suo vialetto.
Quando scesi dalla mia auto, aspettai che tutti gli altri arrivassero. Non appena il mio ultimo collega posò i piedi sul vialetto, ci avvicinammo tutti insieme al portico, mentre il ritmo di una canzone diventava sempre più forte.
“Oh my, feels just like I don't try
Look so good I might die
All I know is everybody loves me
Head down, swaying to my own sound
Flashes in my face now
All I know is everybody loves me
Everybody loves me, everybody loves me” cantavano i Onerepublic, accompagnati dalla sua voce.
Sorrisi istintivamente, immaginandola mentre infornava le ultime cose o apparecchiava la tavola, tutta contenta e incapace di stare ferma per un momento.
“Onerepublic… ha gusto la ragazza!” fece notare Michael, sorridendo.
Prima che potessi arrivare al campanello, la sua voce si fece più vicina.
“Andiamo, Damon, balla con me… uffa, sei un pelandrone!” disse, concludendo la frase sbuffando.
Suonai il campanello, di fretta.
Damon?
Chi era questo Damon che era solo con lei in casa?
Dopo qualche secondo, si sentì un forte tonfo.
“Merda” imprecò e trattenei a stento una risata.
Non appena la musica cessò, aprì.
Era terribilmente splendida. Aveva i capelli legati in una coda, sopra i vestiti indossava un grembiulino azzurro e soprattutto… aveva della farina sul viso.
Stavolta non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere dinanzi a quella visione.
Lei, diventata un po’ rossa, disse: “Perché stai ridendo?”
“Ah, lascialo perdere, Mary!” Julie mi guardò divertita.
“Ho qualcosa che non va?” sgranò lievemente gli occhi.
“Hai solo della farina sul viso, niente di grave” Paul le sorrise cordialmente.
Le guance di Mary si infiammarono e subito si voltò, dirigendosi saltellando verso lo specchio a sinistra del portone d’ingresso.
Mi imposi di smettere di ridere, ma era difficile. Non riusciva davvero a stare ferma. Era troppo adorabile.
Dopo qualche secondo tornò e, sorridendo, disse cordialmente: “Buonasera. Benvenuti a casa mia”, come se il piccolo imbarazzo di prima non ci fosse stato.
Detto ciò, si scostò per farci entrare, saltellando sul piede destro.
Entrai in quella casa per primo, guardandomi intorno come gli altri al mio seguito.
Non la riconoscevo. Come aveva fatto a trasformare quelle stanze in un pomeriggio? I divani e il tavolinetto basso erano stati spostati verso la fine della stanza, così da renderla più spaziosa per l’enorme tavola imbandita, posta al centro della stanza. La tovaglia era color panna e le stoviglie erano sistemate alla perfezione. Tutto era impeccabile. C’era anche una rosa rossa al centro del tavolo, vicino all’acqua, al vino e alle altre bevande.
“Wow” sussurrai sorpreso e mi voltai nuovamente a guardarla, notando che ancora non aveva poggiato il piede sinistro a terra.
Prima che potessi chiederle cosa avesse, Nina disse: “Mary, come mai non poggi il piede sinistro?”
“Ehm – Mary rise nervosamente – Niente di che. Prima di aprirvi, sono inciampata e sono caduta. Credo che tutti abbiate sentito il tonfo” disse imbarazzata.
Senza sembrare troppo apprensivo, mi avvicinai a lei e le offrii una mano.
“Andiamo, non vorrai saltellare per tutta la serata! Ti aiuto io” le sorrisi.
 Mi guardò riconoscente e mi strinse la mano.
“Dove ti devo accompagnare?”
“In cucina. Devo o non devo cominciare a portare le pietanze a tavola?”
“Devi, assolutamente. Non ho mai assaggiato una pizza italiana fatta in casa” ammise Kat sorridendomi.
“Cosa?! Oh mio Dio, Mary, porta immediatamente quelle pizze. Dobbiamo far conoscere a Kat il mondo di quei sapori paradisiaci” disse Julie con gli occhi che le brillavano.
Mary rise e disse: “Ok, allora, fate come se foste a casa vostra. Il bagno è la prima porta a destra, se volete lavarvi le mani. Potete usare anche quello della stanza degli ospiti, seconda porta a sinistra. Intanto, noi possiamo andare in cucina”.
Concluse la frase, soffermandosi con gli occhi su di me.
“Ai suoi ordini, dottoressa Floridia” strinsi la presa sulla sua mano e camminai lentamente per agevolarla.
Arrivati in cucina, chiusi la porta e, senza esitazione, mi baciò.
“Ma ciao” sussurrò sorridente.
“Ciao” ricambiai il sorriso di sfuggita, tornando serio.
Non avevo certo dimenticato quel nome e l’allegria con cui lo aveva pronunciato.
“Cosa? – Mary mi guardò preoccupata – Se è per il piede, andiamo, non è niente. Tra qualche minuto potrò poggiarlo di nuovo e tutto”
“Non è per il piede” dissi e la feci accomodare su uno degli sgabelli in legno.
“Allora cosa c’è?”
“Chi è Damon?”.
 
POV Mary
“Chi è Damon?” mi chiese Ian con voce bassa.
Era serio. Il suo volto non faceva trasparire nessuna emozione.
Scoppiai in una fragorosa risata, mentre i suoi occhi azzurri mi guardavano increduli.
“Chi è – riuscii a ripetere per metà la sua domanda, perché troppo impegnata a ridere; non appena mi calmai, dissi – Lo vuoi davvero sapere?”
“Sì, prima che suonassi, hai parlato con qualcuno e l’hai chiamato Damon” incrociò le braccia.
“Va bene, resta lì” dissi e mi alzai dallo sgabello.
“No. Dove credi di andare?” mi rispose, facendomi sedere nuovamente.
“Ian, va già meglio”
“Non sforzare quel piede”
“Non lo sto sforzando”
“Mary, parla, per favore”
“Non posso parlare. Devo mostrartelo. Tranquillo, credo che il mio piede stia meglio” lo guardai rassicurante.
Poggiai lievemente il piede sinistro a terra e, nonostante sentissi ancora delle piccole fitte, il dolore era sopportabile. Camminai verso il ripostiglio. Aperta la porta, pronunciai il nome Damon un paio di volte.
“Miao” si sentì per tutta risposta.
In breve tempo un gattino nero uscì dallo stanzino, camminando lentamente sulle sue zampine.
Lo presi in braccio e cominciai ad accarezzarlo.
“Miao” ripeté Damon.
“Ian, lui è Damon! L’ho trovato oggi pomeriggio vicino alla mia auto nel parcheggio dell’ospedale. Era infreddolito e molto spaventato, così l’ho preso con me. Gli ho dato un po’ di latte e gli ho fatto tante coccole. Dato che è nero, l’ho chiamato Damon. Dovresti sentirti onorato” conclusi la frase con sarcasmo e sorrisi.
“Damon sarebbe un gatto?! – Ian scosse la testa divertito e si avvicinò – Ciao, Damon. Piacere di conoscerti, io sono Ian” sorrise e gli strinse la zampetta.
Damon cominciò a divincolarsi tra le mie braccia. Smise solamente nel momento in cui Ian lo prese tra le sue.
“Ti conosce solo da due secondi e già sei il suo preferito” sbuffai.
Ian rise, poi mi guardò, mentre continuava ad accarezzarlo.
“Che c’è?” chiesi.
“Damon era lui”
“Perché, chi credevi fosse?”.
Non rispose.
“Gelosone” dissi, toccandogli il naso con l’indice.
“Potrebbe darsi” si strinse nelle spalle e mi baciò.
Mi trattenni su quelle labbra per un bel po’. Quando ci staccammo, presi due piatti.
“Andiamo, dobbiamo ancora mettere a tavola questi piatti, altrimenti non inizieremo mai a mangiare e Julie mi truciderà” dissi ironica.
Ian rise e, dopo aver posato Damon ed essersi lavato le mani, prese due piatti.
Insieme andammo in soggiorno dagli altri ospiti.
 
Riempiti i nostri stomaci anche con della pizza alla nutella, mi alzai in piedi e molto timidamente cominciai a parlare: “Sono felice che tutti abbiate accettato il mio invito stasera. Volevo passare questa cena con voi per ringraziarvi. Il volontariato è stato per me un’esperienza bellissima. Mi sono divertita a insegnarvi e a mostrarvi le bellezze del mio lavoro. Sono ben consapevole che per voi questa sia stata una settimana molto difficile da vivere, ricca di momenti duri e di scelte difficili da prendere, però sono davvero fiera di come avete svolto il vostro lavoro. Probabilmente in un’altra vita sareste stati dei buoni medici”
“Eccezion fatta per chi non regge il sangue, vero, Candice?” disse Paul, facendo ridere tutti.
Candice si passò una mano tra i capelli biondi e rispose, gesticolando con le mani: “Meglio se non dico niente. Mary, prego, continua il tuo discorso”.
Mi sorrise.
“Quello che sto cercando di dire è che mi è piaciuto lavorare con voi. Grazie per avermi regalato questa settimana e spero sia piaciuta pure a voi. Ho voluto dirvelo adesso, perché credo che domani tra pazienti e cartelle e altre faccende ospedaliere non ne avrei avuto il tempo. Fine” sorrisi e mi accomodai nuovamente.
Julie si alzò e mi guardò: “Sono molto felice di sentirti parlare così. Il Capo, mio grande amico, ha fatto centro affidandoci a te. Sei stata una grandiosa insegnante, ci hai fatto assistere a delle operazioni, che probabilmente noi non avremmo mai visto, ci hai fatto faticare, ci hai fatto capire quanto possa essere meraviglioso e allo stesso tempo sfibrante il lavoro tuo e dei tuoi colleghi. Insomma, mi sono sentita dentro ‘Grey’s Anatomy’ per ben una settimana intera ed è stato bellissimo. Credo di parlare a nome di tutti se ora dico che – prese il bicchiere pieno di birra e continuò – ti meriti un brindisi di ringraziamento”.
Tutti si alzarono e presero i loro bicchieri. Imitai il loro gesto con molto imbarazzo.
“A Maria Chiara, per essere stata una straordinaria insegnante questa settimana” Julie mi sorrise.
“A Maria Chiara e alla sua pazienza. Credo che al suo posto avrei buttato tutti fuori dalla finestra durante le ore di laboratorio, quando si sbagliavano le suture” sghignazzò Kevin.
“A Maria Chiara, che ci ha regalato dei momenti super fighi” disse Steven contento.
“A Maria Chiara, che rende felice il nostro Ian” Matt mi fece l’occhiolino malizioso.
Io e Ian ci guardammo sorpresi.
“Matt!” lo rimproverarono gli altri.
“Che c’è? Andiamo, non riuscivo più a tenermi dentro questa cosa” disse con enfasi.
“Evvai! Nina, ho vinto io” Joseph sorrise contento, agitando il pugno della vittoria.
Nina alzò gli occhi al cielo e bevve il contenuto del suo bicchiere tutto in una volta.
“M-ma da… da quanto tempo lo sapete, scusate?” Ian balbettò, ancora sorpreso.
“Da quando abbiamo saputo che il terzo luogo di volontariato sarebbe stato il Saint Joseph. I tuoi occhi hanno parlato per te quella volta” Kat ci sorrise.
“Oh” fu tutto ciò che Ian riuscì a dire.
“Però aspettavamo che ce lo dicessi tu, non che un Matt Davis spifferasse tutto” Zach incrociò le braccia.
“Che posso dire, ho bevuto troppo questa sera. Alla vostra salute, ragazzi!” Matt alzò il bicchiere verso me e Ian, poi bevve la sua birra tutta in una volta.
“Comunque sia, siamo contenti per voi” anche Claire alzò il suo bicchiere in direzione nostra, svuotandolo elegantemente subito dopo.
Anche gli altri fecero lo stesso.
Io e Ian ci guardammo. La sua seconda famiglia sapeva di noi e i suoi occhi sprizzavano una felicità immane per questo.
Gli sorrisi e gli strinsi la mano. Poi, contemporaneamente, svuotammo i nostri bicchieri, brindando alla nostra salute.
 
POV Ian
Stavo andando alla mensa a prendere un caffè dopo il mio ultimo giro visite, quando incrociai Rose.
“Ehi ciao” mi sorrise.
“Ehi” ricambiai il sorriso.
“Stai andando a prendere un caffè?”
“Sì”
“Potrei farti compagnia?”
“Certamente”.
Non appena ci accomodammo al tavolo, Rose cominciò a bere il suo caffè in modo strano, come se cercasse di non farsi scappare nemmeno una goccia. O nemmeno una parola.
“Rose, per caso devi parlarmi?”
“No. Cioè, sì, ma non so se – mi guardò, poi appoggiò il bicchiere di caffè – Ok, devo dirtelo. Me lo tengo dentro da quattordici giorni e non ce la faccio più. Devo dirtelo”
“Quattordici giorni da? Rose, dirmi cosa?” cominciai a preoccuparmi.
“Quattordici giorni dalla sera in cui ho scoperto che tu e Mary state insieme. I-i-o… Ian, io volevo ringraziarti”
“Ringraziarmi?” ripetei sorpreso.
“Esattamente. Mary è davvero… sai, lei è stata ferita tantissime volte nel campo sentimentale, perciò… grazie, perché non l’avevo mai vista così felice. Grazie davvero” sorrise e mi strinse una mano, poi il suo cercapersone squillò e dovette andare.
Finii il mio caffè, poi mi diressi verso la hall dell’ospedale, felice per quelle parole.
Quando arrivai, i giornalisti avevano già cominciato a intervistare tutti i miei colleghi e non potei fare a meno di sbuffare. Quello sarebbe stato davvero il mio ultimo giorno all'ospedale e mi dispiaceva troppo. Era stata un'esperienza straordinaria. Non mi sarei mai aspettato che un lavoro così difficile potesse essere così bello e affascinante, poi il tutto era stato perfezionato dalla costante presenza di Mary. Sorrisi pensandola.
"Signor Somerhalder, è pronto per l'intervista? Tra un po’ tocca a lei" mi disse l'aiutante del giornalista.
"Sì, certo" dissi vagamente.
I miei colleghi tornarono a lavorare con le loro squadre, mentre io rimasi con i giornalisti in attesa dell'intervista. Stava per cominciare, quando il giornalista intravide Mary e le si avvicinò.
"Mi scusi, dottoressa, è stata lei il tutore del cast in questa settimana di volontariato, vero?" chiese con tono professionale.
"Sì, perché?"
"Venga, le dobbiamo fare un'intervista"
"Ma io veramente dovrei lavorare"
"Impiegheremo solo pochi minuti, non si preoccupi" le sorrise, poi si avvicinarono insieme.
"Ecco, si sistemi qui vicino al signor Somerhalder. Ora, si comincia" sussurrò l'aiutante.
Lei mi guardò preoccupata.
Cercai di rassicurarla sorridendo, poi il giornalista disse: "Eccoci qui, con Ian Somerhalder, il nostro amato Damon. Allora Ian, com'è stato essere un medico per sette giorni?"
"Beh, che dire, è stato davvero fantastico. Non siamo stati dei medici veri e propri, ovviamente, ma solo il fatto di guardare dei medici veri lavorare ti lascia senza parole. Ci vuole davvero una gran forza, soprattutto d'animo, per affrontare un'intera giornata in ospedale, ed è incredibile come tutti qui ne possiedano tanta. Davvero, non mi sarei mai aspettato un'esperienza tanto significativa" sorrisi.
"Fantastico! Com'è stato il vostro tutore?"
"La dottoressa Floridia è straordinaria. Fin dal primo giorno ha impartito a tutti noi fondamenti di medicina in un modo così semplice, che non sembrava stesse insegnando. E' stata così naturale e così professionale... Davvero ottima!"
"Beh, in fondo la conoscevi già... Se non erro, l'avevi definita un' 'amica di coppia'".
Deglutii e risposi un po’ più impacciato: "Sì, beh, io e Nina l'abbiamo conosciuta circa un anno e mezzo fa, quindi… sì".
Che domanda inappropriata!
"Dottoressa Floridia, com'è stato avere degli attori come studenti?" il giornalista si soffermò su di lei.
I suoi occhi vagarono per un istante, poi si fermarono sul giornalista.
"E' stato emozionante – rispose lei – E poi hanno appreso tutti molto in fretta. Fossero tutti così gli studenti" rise naturalmente.
Mi persi nella sua risata. Era così vera e unica. Ci guardammo per attimi eterni, dimenticandoci quasi del mondo intero. Mi venne istintivo parlare con tono dolce.
"Non siamo stati noi ad apprendere velocemente, è stato il tuo metodo d'insegnamento a farci capire le cose al meglio".
Il giornalista mi guardò sorpreso e disse: “Che dire, al nostro Ian Somerhalder non mancano i complimenti”.
Sorrisi imbarazzato. La telecamera fu spenta e il giornalista ci ringraziò, poi tornammo a lavoro.
“Sono stata pessima. Tu hai parlato così tanto! Ma non sapevo che dire” farfugliò Mary.
“Non è affatto vero! Non ho mai visto una persona, sai al di fuori della mia cerchia, parlare con così tanta naturalezza davanti a una telecamera come hai fatto ora tu” le sorrisi.
“Davvero?” mi guardò.
Non feci in tempo a rispondere, che squillò il suo cercapersone.
 
POV Mary
Io e Ian corremmo al pronto soccorso, dove le altre squadre al completo attendevano miei ordini.
“Cos’abbiamo qui?” chiesi a Steve, che mi aveva chiamato.
“Incendio in un ristorante. Ti ho assegnato i pazienti nei cinque traumi center”
“Perché tutti a me?” mugugnai.
“Un bel regalo d’addio al cast di ‘TVD’ – disse lui ironico – Ah, Mary”
“Sì?”
“Svuota i trauma center in fretta, stanno arrivando almeno altri pazienti” alzò i pollici in su e si diresse verso un’altra lettiga.
Lo guardai allibita, poi entrai nel primo trauma center.
“Ehi, Joe, che abbiamo qui?”.
Joe mi spiegò per filo e per segno le condizioni del paziente, poi lo mandai a prenotare una sala operatoria. Doveva essere operato immediatamente. Dopo aver spostato il paziente in sala due, mi diressi in un altro trauma center.
Appena entrai, la pressione del paziente crollò.
“Spostatevi, iniziamo la rianimazione! Ben, prendi il defibrillatore” dissi velocemente e cominciai a fare il massaggio cardiaco al paziente.
Lo rianimammo svariate volte, ma niente.
“Ben, dichiaralo” dissi.
“Ora del decesso undici e quarantacinque”.
Non feci in tempo a levarmi i guanti sporchi di sangue, che dovetti correre nella saletta accanto per un’altra emergenza.
Provai a rianimare il paziente di Hilary più e più volte con il defibrillatore, ma niente nemmeno per quell’uomo.
Subito dopo suonò il codice blu nel trauma di fronte.
Maledissi il tempo per non avermi dato un attimo di tregua e corsi in quella stanza.
Quando vidi la paziente mi bloccai.
Capelli biondi, ormai rossicci per via del sangue. Occhi azzurri spenti e colmi di dolore. La giacca rossa sgualcita e un po’ annerita. Nonostante tutto ciò, l’avrei riconosciuta ovunque.
“Jodie” dissi sconvolta.
Davanti a me c’era la prima amica americana che avevo avuto, la prima che aveva saputo abbastanza di me da trovarmi la casa dei sogni. Davanti a me c’era la donna forte e simpaticissima, nonché bellissima, che mi aveva aiutato ad ambientarmi ad Atlanta e mi ci volle un po’ per riprendermi. Era davvero messa male. Testa e gambe sanguinanti, braccia ustionate.
“Dottoressa Floridia” mi chiamò più volte Katherine.
Presi l’epinefrina e gliene iniettai un po’, ma la situazione non migliorò. Continuammo a rianimarla con massaggi cardiaci e cicli di farmaci per più di mezz’ora, ma anche per lei non ci fu niente da fare.
Cercai di ricacciare indietro le lacrime, ma non ci riuscii molto bene. Mentre scendevano silenziose, ordinai a Katherine di dichiarare l’ora del decesso.
“Ora del decesso dodici e cinquanta” sussurrò.
Tolsi i guanti e cercai di asciugare le lacrime, senza successo. Buttai quegli ammassi di sangue e silicone nel cestino, poi mi avvicinai lentamente a Jodie e le chiusi gli occhi, ancora sbarrati.
“M-mi dispiace, Jodie” sussurrai.
Le carezzai una guancia e tirai su con il naso.
“Katherine, accompagna Nina, Kat e Claire in saletta. Io vado a informare la famiglia”
“Ma, dottoressa” Katherine fece per ribattere, ma la fulminai con lo sguardo.
“Fa’ come ti ho detto” risposi brusca e mi voltai nuovamente verso il corpo esanime di Jodie.
 
POV Nina
Assistetti alla scena senza parole.
Katherine si ammutolì, pregandoci di uscire con un gesto delle mani.
Claire e Kat fecero come aveva detto, ma io non mi mossi dalla mia posizione.
“Signorina Dobrev, per favore, dovrebbe uscire da questa stanza” mi disse implorante Katherine.
Guardai quei profondi occhi nocciola per qualche secondo, poi le dissi, sussurrando: “Non la lascio così. Accompagna Kat e Claire, io resto con lei”.
Katherine annuì ed uscì.
Non appena la porta si chiuse, Mary si piegò sulle ginocchia e si lasciò andare. Cominciò a piangere convulsamente, tenendosi la testa fra le mani.
Mi sentii improvvisamente di troppo. Sicuramente pensava di essere rimasta da sola. Nonostante ciò, restai lì, aspettando che si calmasse.
Quando i singhiozzi diminuirono, avanzai silenziosamente e mi sedetti accanto a lei.
Mary alzò la testa, guardandomi sorpresa. I suoi occhi erano rossi e gonfi e colmi di lacrime. Cercò di asciugarsele, ma continuavano a scendere.
“Mary”
“Nina, cosa ci fai qui? Avevo detto – tirò su con il naso – avevo detto a Katherine di farvi andare via”
“Sono rimasta, non mi sembrava giusto che tu restassi sola. Tu conoscevi questa donna e… e credo che tu non possa reggere l’incontro con la sua famiglia. Se vuoi supporto, io sono qua” sorrisi.
“G-grazie” Mary rispose sincera.
La feci alzare e le passai un fazzoletto.
Asciugate le lacrime e anche il naso, Mary si diresse verso la porta, facendomi cenno di seguirla.
“Sicura di voler venire con me?” mi chiese.
Annuii.
 
POV Mary
Presi dei respiri profondi, sperando che le mie ghiandole lacrimali smettessero per un poco di produrre acqua salata.
Andai in sala d’attesa con Nina che mi seguiva silenziosamente e subito riconobbi il marito di Jodie, Kevin, e sua figlia Sarah.
“Mary, hai visto Jodie? Mi hanno detto che l’hanno portata qui d’urgenza, era in quel ristorante per un pranzo di lavoro. T-tu sai come sta?” mi chiese, mentre i suoi occhi verdi trasmettevano tutta l’agitazione del mondo.
“Kevin” sussurrai.
Volevo sembrare lucida e professionale, ma non ci riuscii. Ero ancora troppo scossa. Nina mi toccò delicatamente una spalla per incoraggiarmi a parlare.
“E’ grave?” mi guardò preoccupato.
“Kevin – ripetei e sospirai – le condizioni di Jodie erano troppo instabili e gravi. Io stessa ho provato a rianimarla, ma non c’è stato niente da fare”
“No” sussurrò, mentre le lacrime cominciavano a sgorgargli dagli occhi.
“So che fa male, ma dovresti dirlo a Sarah nel modo più calmo e sereno possibile. Con la sua malattia non si può mai sapere la sua reazione” conclusi con voce spenta.
“Hai ragione… Mary” disse lui sconvolto e tornò a sedersi accanto a sua figlia.
La bambina gli chiese che aveva, ma il padre non rispose. Aveva fatto bene.
Mi voltai, allontanandomi da quel posto. Nina mi seguì.
“Stai bene?” chiese.
“No – risposi, cercando di trattenere ancora le lacrime che, pungenti, minacciavano di uscire – Ma andrà meglio”
“Come mai Sarah deve essere informata della morte della madre in modo delicato? Ha qualcosa che”
“Sarah è cardiopatica, in lista per un trapianto di cuore. Kevin non può correre il rischio di farla crollare psicologicamente, cederebbe prima anche il suo cuore”
“Oh”.
Nina si ammutolì. Non sapeva cosa dirmi per consolarmi, lo capivo.
“Nina, grazie per avermi sostenuta. Ora va’ in saletta, per favore” le sorrisi e le strinsi una mano riconoscente, poi corsi nello spogliatoio, afflitta per tutta questa situazione. Solo una cosa poteva aiutarmi. Aprii con facilità l’armadietto di Steve e presi i suoi guantoni da boxe, poi andai nella saletta ginnica dell’ospedale e cominciai a mollare calci e pugni al sacco. Dopo un po’, caddi stremata a terra. Mi alzai a fatica e, ansimante, tornai nello spogliatoio. Posati i guantoni al loro posto, mi sdraiai a terra, tenendomi saldamente la testa con le mani. Stavo guardando il soffitto, cercando di calmarmi, quando il cerca persone squillò nuovamente.
Era Carlos. Sbuffai e corsi al trauma center quattro.
Il paziente di Carlos era Justin, uno dei miei pazienti costanti, costretto a venire in ospedale per i trattamenti contro la leucemia. Lo conoscevo fin da quando ero entrata in ospedale come matricola.
Lo guardai sofferente e mi avvicinai immediatamente.
Le ustioni che aveva mi permettevano a stento di riconoscere la sua bellissima pelle olivastra.
“Ha avuto varie crisi epilettiche che non ci hanno dato il tempo di prenderci cura degli altri danni” cominciò Carlos.
“Ehi Mary” sussurrò lui, guardandomi con i suoi occhi nero pece.
Gli strinsi una mano, ma non ebbi il tempo di parlare. Fu colto da una crisi epilettica forte.
“Non di nuovo” Carlos prontamente gli somministrò l’anti-epilettico.
La situazione non migliorò affatto, anzi peggiorò, ma non avemmo il tempo di portarlo in sala operatoria.
Morì prima di uscire dalla stanza.
Feci uscire tutti da lì, poi fui invasa dalla rabbia e cominciai a buttare tutto a terra.
“Non doveva succedere a loro, non doveva succedere a loro, non doveva succedere a loro!” cominciai a ripetere ininterrottamente, devastata.
Non riuscivo a pensare che avevo perso due persone conosciute, amichevoli, simpatiche, divertenti, figuriamoci a realizzarlo.
Le lacrime uscivano ininterrotte, davanti al corpo di Justin, in cui i segni della morte stavano iniziando già a farsi vedere.
Mentre continuavo a sfogare la mia furia, strizzando gli occhi per non vedere quel cadavere, fui bloccata bruscamente dalle spalle.
Nonostante fossi girata, seppi chi era. Sarei riuscita a riconoscere quella presa dovunque. Steve.
“Mary, basta! Non potevi fare nulla per lui. Per nessuno di loro” disse lui.
Cominciai a divincolarmi.
“Invece sì! – dissi tra le lacrime – Noi siamo medici competenti, il nostro ospedale è pieno di attrezzature all’avanguardia, dovevamo riuscire a salvarli”
“Le loro ferite erano troppo gravi. Nessuno poteva fare qualcosa. Guarda la realtà!” mi urlò contro.
Mi fermai immediatamente. Non l’avevo mai sentito urlare in vita mia. Lo guardai intontita, voltandomi, poi lo strinsi forte e cominciai a singhiozzare.
“Scusami” dissi con voce rotta.
“Sssh, va tutto bene” mi accarezzò i capelli.
 
POV Ian
Uscii dalla sala operatoria soddisfatto. L’operazione era durata circa tre ore, forse quattro, ma alla fine eravamo riusciti a salvare la vita del nostro paziente.
Appena svoltato l’angolo, vidi Nina.
Era appoggiata al muro, vicino agli ascensori.
Teneva la testa bassa, coperta dai suoi setosi capelli bruni, che sembravano proteggerle il volto come una tenda.
“Nina” la chiamai, avvicinandomi a lei.
Alzò la testa e si avvicinò. Seria.
“Che succede?” chiesi, squadrandola.
Qualcosa non andava.
“Non sai cos’è successo?”
“No. Cosa… cos’è successo?”
“Dovresti parlare con il Dottor Richardson. Ti sta aspettando nel suo ufficio” mi guardò con sguardo triste, poi andò verso Joe, lo specializzando a cui ero stato assegnato, che era appena uscito dalla sala operatoria.
Preoccupato per il tono con cui mi aveva parlato, mi diressi immediatamente nell’ufficio del Capo di Mary.
Bussai educatamente.
“Avanti” disse il Capo.
Entrai e, non appena il dottor Richardson incrociò il mio sguardo, si incupì.
Cosa diavolo era successo?
“Si accomodi” accennò un sorriso amaro.
Mi sedetti nella comodissima poltrona nera, poi chiesi: “Dottor Richardson, cosa succede? Nina mi ha detto che voleva vedermi”
“Ecco, so che non sono affari miei, ma… il fatto è che la dottoressa Floridia ha perso due importanti pazienti, due amici oggi. Ha fatto una scenata in pronto soccorso ed è… beh, non ho potuto rimproverarla o altro più di tanto, perché era davvero devastata e sconvolta. Ora, i suoi colleghi mi hanno detto che lei ha una relazione con la mia dipendente, perciò mi chiedevo se potesse concludere il suo ultimo turno in quest’ospedale ora e andare da lei. L’ho costretta a tornare a casa, non era in condizioni di poter continuare a lavorare. Mi scuso se ora so di voi”
“Non deve… non deve scusarsi, dottor Richardson. Andrò subito da lei e mi assicurerò che stia meglio, promesso”.
Feci per alzarmi, ma il Capo mi bloccò.
“Un’altra cosa”
“Sì?”
“Non farla venire a lavorare domani. Dille che può prendersi il giorno libero. Ne ha bisogno”
“D’accordo, lo farò – mi alzai e tesi la mano – Grazie, dottor Richardson”.
Strinsi la sua, poi uscii da quell’ufficio e dall’ospedale di tutta fretta.
Guidai così velocemente che riuscii a raggiungere la casa di Mary in soli dieci minuti, quando, invece, solitamente ce ne volevano circa venticinque.
Scesi dall’auto e aprii la porta sul retro velocemente.
“Mary?” la chiamai a gran voce.
Silenzio.
Dov’era?
Attraversai la cucina e andai in soggiorno. Niente. Provai nel suo studio. Vuoto. Salii al piano di sopra. Entrai in camera da letto e la trovai distesa sul letto, in posizione fetale, con la testa affondata nel cuscino. Damon era accucciato al suo fianco, mezzo addormentato, scosso qualche volta dai singhiozzi di Mary.
La sua schiena faceva su e giù, seguendo il ritmo del suo petto.
“Mary” sussurrai il suo nome.
In meno di un secondo mi ritrovai sdraiato accanto a lei, con le braccia che le accarezzavano la schiena, le spalle e le gambe. L’abbraccio era il modo migliore per confortare una persona. L’avevo letto in una rivista, forse.
“Sono qui, andrà tutto bene” le sussurrai all’orecchio, continuando ad abbracciarla.
Speravo davvero che si calmasse. Vederla in quello stato mi faceva stringere il cuore.
“Sono morti tutti” mi disse con tono sommesso.
“No. Il nostro paziente è vivo. Andrà tutto bene” la rassicurai e conclusi, ripetendo quella frase.
L’avrei detta fin quando ne avrebbe avuto di bisogno.
Si voltò, restando incastrata tra le mie braccia. Le sue si liberarono dalla mia morsa e ricambiarono l’abbraccio, stringendomi con tutta la forza che potessero avere.
“Non lasciarmi” disse contro il mio petto.
“Non ho intenzione di farlo. Sono qui, non vado da nessuna parte” la strinsi di più.
 
POV Mary
“Sveglia pigrona, è tardi” disse contento Ian.
“Ma che ore sono?” brontolai da sotto le lenzuola.
“Sono le cinque e mezza” rispose divertito.
“E lo chiami tardi? Lasciami dormire e non scherzare a quest’ora” brontolai nuovamente.
Ian non rispose niente, poi all’improvviso mi sentii congelare.
“No, Ian, ti prego, ridammi le lenzuola, fa freddo a quest’ora” lo supplicai.
“Niente da fare, devi venire in un posticino con me e non puoi restare a letto”
“E allora ti faccio una proposta: perché non ci portiamo il letto dietro? Sarebbe comodo!”
“Proposta negata. Alzati o mi metterai nei guai” mi baciò la fronte e mi fece l’occhiolino, poi sparì dalla stanza.
Dopo essermi lavata e vestita contro voglia, facemmo colazione e partimmo.
Quando arrivammo agli studios, spalancai gli occhi.
“Che ci facciamo qui?” dissi sorpresa.
“Oggi ricomincio a lavorare e tu assisterai! Il Capo ti ha concesso volentieri un giorno di riposo” sorrise.
Lo abbracciai commossa e dissi: “Grazie, sei un angelo”
“Lo so” mi guardò divertito e mi baciò, poi parcheggiò e mi fece scendere dall’auto.
“Preparati perché i set pieni di persone possiedono magia e vita propria, sono completamente diversi dai set deserti che hai visto tu. Non so se mi spiego”
“Ti sei spiegato perfettamente” risposi e mi portò dentro.
 
Dopo un’eterna mattinata a leggere il copione della prima puntata della quinta serie, arrivò la pausa pranzo.
Ero talmente eccitata dopo la lettura del copione, che riuscii a mangiare a fatica un panino.
Senza che nessuno se ne accorgesse, andai sul set che raffigurava la stanza di Damon.
“Dio, questa stanza è paradisiaca” dissi incantata, poi mi scattai qualche foto con la stanza come sfondo.
“Queste le faccio vedere a Rose” sussurrai contenta.
“La mia stanza è off-limits, non lo sapevi?” disse ironicamente.
Mi voltai compiaciuta e risposi: “No, Damon, proprio questa… potremmo definirla regola, mi era sconosciuta”.
Ian scoppiò a ridere e mi baciò: “Ti stai divertendo?”
“Da morire – sorrisi, poi gli sussurrai – Posso chiederti una cosa? Molto umilmente”
“Chiedi”
“Indosseresti i canini per me? Ti prego!” lo guardai con gli occhioni dolci.
“No, dai, mi vergogno” disse scuotendo la testa.
“Ma come ti vergogni? Dai, per favore” feci il labbruccio.
“Sconfitto con le mie stesse armi” disse arreso e indossò i canini.
Saltellai contenta e gli pizzicai le guance.
“Avevo sempre sognato di vederti così di presenza” risi.
Lui si tolse i canini e mi baciò.
“Come ti senti?” mi chiese, poi, apprensivo.
“Mi sento… mi sento meglio. Certo, il solo pensiero di Jodie e Justin mi fa piangere – mi rabbuiai pronunciando quei due nomi – ma mi sento meglio rispetto a ieri” conclusi, accennando un sorriso.
“Domani è un altro giorno”
“Rossella O’Hara aveva ragione”
“Hai letto ‘Via col vento’?”.
Annuii.
“Al primo anno. Rose mi ha portato quel mattone fin dentro casa, affermando ‘Non puoi lavorare in uno stato del sud come la Georgia senza conoscere questa storia’. Mi ci sono voluti mesi per finirlo, però ce l’ho fatta”
“Chi l’avrebbe detto – Ian mi guardò sorridente, poi mi abbracciò – Comunque, sono davvero felice che tu stia meglio. E’ normale essere tristi per le perdite di conoscenti e persone care, ma ricordati che hai ancora tantissime persone che ti amano e che riempiono la tua vita tutti i giorni e, inoltre, coloro che non ci sono più veglieranno sempre su di te. Quello che voglio dire è… non devi mai dimenticarti che non sei sola”
“Grazie” lo strinsi.
Ian mi baciò i capelli.
Julie interruppe quel momento magico, tossendo.
“Tu non dovresti essere qui” si rivolse a me sorridendo.
“Ops! – io e Ian sciogliemmo l’abbraccio – Chiedo perdono, è solo che morivo dalla voglia di trovarmi qui dentro di nuovo” cercai di giustificarmi.
“Tranquilla” mi toccò una spalla, poi convocò tutti gli attori per provare qualche scena, senza riprenderla.
 
POV Ian
Quando rincasammo erano le nove di sera.
“Sono stanca. Vengo subito da te, o mio adorato!” disse Mary, buttandosi a peso morto sul divano.
“Tu sei stanca?! Ma se sei stata tutto il tempo seduta sulla mia preziosa sedia”
“Guarda che anche stare seduti stanca eh” farfugliò lei.
“Se lo dici tu” risi.
Lei si alzò velocemente dal divano.
“Sì, lo dico io” disse con aria di superiorità, poi mi diede un bacio stampo e andò di sopra a farsi una doccia.
Sorrisi e mi sedetti comodamente sul divano.
Stavo per prendere gli occhiali e uno dei libri che stavo leggendo, quando l’Iphone cominciò a vibrare.
Era Jessica.
“Jess – pronunciai il suo nome pieno di gioia – ma come stai? Tornata dal tuo folle giro intorno al mondo?”
“Folle? Io non definirei folle un viaggio che ci ha fatto raccogliere circa mezzo milione di dollari per il nostro progetto”
“Mezzo milio – dissi sorpreso – Jess, mi prendi in giro?”
“Mai stata più seria”
“Ne sei sicura?”
“Se ho fatto bene i miei calcoli, sì. Ian, il santuario si realizzerà presto, se continuiamo così”
“Jess, è fantastico” risposi esaltato.
“Tuttavia – disse titubante – non ti ho chiamato per questo”
“Che succede?” aggrottai le sopracciglia.
“Dovresti sintonizzare la tv sul canale di gossip. In fretta”
“Jess, cos’è successo?”
“I giornalisti hanno beccato te e Mary”
“Oh cazzo” sussurrai sconvolto e riattaccai.
“Tornata! Ho superato il mio record, non avevo mai impiegato così poco tempo per una doccia – rise e si fiondò sul divano accanto a me, stringendomi il braccio; poi mi guardò – Che succede?” mi chiese Mary, divenuta subito seria.
“Abbiamo un problema” balbettai e indicai la televisione.














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Note dell'autrice:
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! 
Il cast è stato a cena da Mary e ha ammesso che sapeva della sua relazione con Ian! :)
Il volontariato è finito, certo forse non come si aspettavano tutti. Mary ha perso ben quattro pazienti, di cui due conosciuti. E anche molto bene. Ricordo che scrivere questa parte ai tempi fu davvero dura e anche ora revisionare non è stato da meno. Questo perché mi sono dovuta immedesimare, pensare magari a come sarebbe stato veder morire sotto le tue mani due persone con cui hai parlato e scherzato o che hai curato per tanto tempo. Spero di essere riuscita a rendere il dolore di Mary, il tentativo di avvicinamento di Nina (apprezzato tantissimo dalla dottoressa) e anche l'intervento di Ian, così protettivo nei confronti di Mary. 
Mentre revisionavo la scena dal punto di vista di Ian che torna a casa e poi consola Mary, stavo ascoltando una canzone, che credo calzi a pennello per il momento. La canzone è questa: http://www.youtube.com/watch?v=VzJGu0Gdhpk  e spero piaccia anche a voi! :)
Mary ha passato il suo giorno libero sul set, ritrovando un po' di spensieratezza e allegria, ma la chiamata di Jessica ha interrotto tutto ciò. I giornalisti hanno scoperto Mary e Ian. Cosa ci sarà su quel canale di gossip? Mary come prenderà la notizia che la sua relazione non è più segreta e al sicuro? Cosa succederà?
Non vi resta che continuare a leggere :)
Grazie per aver letto!
Postate recensioni se vi va o passate di qua: https://www.facebook.com/pages/-let-your-heart-decide-/108955182460145?fref=ts
Alla prossima :) :*
  
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