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Autore: Belarus    18/11/2013    7 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart Pirates.
Note: Temevo di non riuscirci e invece sono in perfetto aggiornamento, per di più con un capitolo che supera di parecchio la mia solita lunghezza °-° L'ultima parte credo sarà la più gradita o quantomeno la più attesa da coloro che seguono e che richiedono a gran voce un certo "Dottore"... non quello del Tardis, avete capito, insomma. Spero comunque che anche il resto sia degno, soprattutto perché comincio a disseminare una serie di sfortunatissimi indizi per il futuro. In ogni caso, un merci speciale a chi legge, recensisce e segue! Fatevi sentire, mi renderete una donnina felice *-* A lunedì prossimo, mes amis!




CAPITOLO V






Risalì la passerella traballante della nave stringendo il bavero del cappotto attorno alla gola, le mani finalmente coperte dai guanti che Fumio le aveva regalato in un’inspiegabile moto di affetto incondizionato non bruciavano più a causa del gelo, ma l’ennesima raffica di vento minacciò di gettarla in acqua. Quando riuscì a poggiare le punte di entrambi gli stivali sul ponte, uno dei mozzi le sottrasse il sostegno del resto dell’asse costringendola ad aggrapparsi con un nuovo tuffo al cuore al parapetto fradicio.
«Muovetevi!» ordinò qualcuno, incitando il resto della ciurma a ritirare le ultime funi dal molo.
L’ancoraggio fu quasi strappato via e la vela maestra rombò di colpo gonfiandosi. L’intera nave virò talmente in fretta a causa del vento, da costringere un po’ tutti a reggersi a qualcosa pur di non essere sbalzati in avanti dalla pressione delle raffiche che s’infrangevano sui tessuti rinforzati delle vele. La banchisa del molo si allontanò dallo scafo a una velocità talmente elevata da far perdere ben presto ad Aya la visuale dell’intera isola di Arata. Onde s’infransero con maggiore intensità sulla chiglia, tuonando a causa delle pessime condizioni che li accompagnavano in quella loro partenza.
Si ritrovò a chiedersi se via via che la vicinanza con la Linea Rossa si assottigliava, il magnetismo delle varie isole fosse registrato con maggiore velocità dal Logpose di bordo, ma qualcosa nell’atteggiamento del navigatore le fece sospettare che non stesse andando esattamente secondo le sue aspettative. L’uomo, con cui a stento aveva scambiato due parole parecchie settimane prima, continuava a guardare con insistenza nel piccolo sacchettino dentro di cui custodiva il proprio Logpose, scambiando veloci occhiate, ogni tre o quattro secondi, con il timoniere che senza troppe remore continuava a lanciare maledizioni contro un tizio a lei sconosciuto. Aya comprese definitivamente che qualcosa non stesse proprio andando per il verso giusto quando entrambi tirarono calci alla base del timone, dando sfoggio d’imprecazioni di cui lei non intuì neanche completamente il significato e Wire la agguantò per un braccio piazzandole una corda tra le mani.
«Tira!» ordinò infervorato, afferrandone una poco distante per tenderla lui stesso.
Aya rimase basita per appena pochi secondi, prima che Wire la strattonasse malamente ripetendole a pochi centimetri dal volto il medesimo ordine.
Non se lo fece ripetere una terza volta e stretti i palmi attorno alla pesante corda, tirò verso il proprio petto ritrovandosi dopo pochi istanti a far forza sulle gambe pur di ruotare il braccio dell’albero destro che il compagno e altri due mozzi sul ponte di prua avevano già spostato secondo la direzione presa dal vento. La nave sussultò acquistando nuova velocità e l’ennesima onda si sollevò infradiciandola da capo a piedi. Wire non emise un solo sibilo e Aya, schiacciata contro il parapetto con i muscoli delle braccia in fiamme, si convinse a fare del proprio meglio pur di dare finalmente una mano alla ciurma.
C’erano voluti cinque mesi e chissà quale volontà divina per convincerli a rivolgerle la parola e chiedere un aiuto da parte sua, ma Aya si sentiva soddisfatta come non mai. Probabilmente quella notte si sarebbe accasciata in un angolo a mordersi la lingua a sangue pur di non lamentarsi per i dolori a gambe e braccia, ma ne sarebbe valsa davvero la pena e la sua coscienza si sarebbe quietata.
Non aveva voglia di sentirsi trattata con garbo solo perché aveva fatto un giro nella cabina di Kidd o perché il Capitano sapeva di Marijoa. Non che con quegli uomini ci fossero certi rischi, ma si era comunque sentita un po’ infastidita al solo sospetto e il dare una mano in un momento come quello non poteva che giovare al suo umore. Se fosse riuscita a eseguire tutti gli ordini e non combinare qualche guaio, magari quella sera nessuno l’avrebbe sbranata con lo sguardo, mentre prendeva posto in cambusa per la cena.
Continuò a tirare corde per quella che le parve un’eternità, scoprendo quanto potessero diventare taglienti se tese da umide. Dopo un’ora abbandonante dei guanti che Fumio le aveva regalato con tanto affetto, non restava che della pelle sgualcita, lercia e dalle cuciture forate un po’ ovunque, quantomeno però, non si era ritrovata con nessun taglio o bolla sanguinolenta com’era accaduto a molti altri. Aveva corso su e giù per il lato destro della nave eseguendo qualsiasi compito le venisse strillato da Wire, tra le mani le era capitato di tutto – persino una palla di cannone che aveva tenuto tra le braccia sino che l’uomo non l’aveva mollata a un compagno di passaggio – e adesso che tutti parevano essersi calmati, si sentiva peggio di quanto avesse immaginato.
Si poggiò senza troppi preamboli a una cassa di munizioni, gettando il cappotto ormai inutilizzabile alle proprie spalle. Acqua salata continuò a gocciolarle su seno e fianchi dalle lunghe ciocche fradicie sfuggite immancabilmente al tentativo di legarle di parecchio tempo prima, tentò invano di asciugare almeno il viso passandovi sopra il dorso della mano, ma l’unico risultato fu di bagnarlo ancora con i guanti ormai zuppi. Si arrese all’evidenza, lasciandosi sfuggire un sospiro rassegnato quando una piccola pozzanghera si allargò ai suoi piedi tra le tante che ancora puntellavano il ponte.
Wire, fradicio tanto quanto lei, le si accostò in silenzio cercando di strizzare l’improponibile copricapo che era solito indossare a qualsiasi ora del giorno e della notte, contribuendo a ingrandire la chiazza d’acqua. Aya gli rivolse un mezzo sorriso, cui lui parve rispondere – o forse fu solo un’impressione dettata dalla stanchezza – con un respiro appena più intenso degli altri e un’occhiata non troppo diffidente. Un piccolo brivido di soddisfazione le pizzicò la lingua incitandola a dire qualcosa, ma si costrinse a trattenersi preferendo non esagerare con la confidenza immediatamente.
Aveva capito che quegli uomini, dal primo all’ultimo e senza eccezioni, avevano bisogno di tempi piuttosto lunghi per digerire un qualsiasi dialogo con una donna o molto più probabilmente, proprio con lei. Forzare gli eventi adesso che era riuscita a convincere almeno uno di loro, sarebbe stato a dir poco controproducente.
Riportò la propria attenzione sul ponte su cui si affaccendavano altri membri della ciurma, cercando di rimettere a posto funi e casse sfuggite ai blocchi durante la loro frettolosa – e ad Aya inspiegabile – partenza. Parevano tutti più o meno soddisfatti, timoniere e navigatore si erano quietati e già da un po’ erano scappati sotto coperta per asciugarsi, la nave non aveva riportato gravi danni eccezion fatta per una vela squarciata, ma qualcosa ad Aya continuava a non tornare.
Sbirciò il timone su cui da almeno mezz’ora Kidd aveva piantato le mani senza emettere neanche un borbottio e una strana sensazione le strinse lo stomaco.
«Cos’ha?» chiese senza rifletterci troppo, attirando l’attenzione di Wire.
Continuò a sbirciare il rosso, riservando anche una o due occhiate a Killer, perfettamente posizionato alle sue spalle sulla panca scheggiata. Wire la imitò sorpreso, ma gli ci volle poco per capire quale fosse il punto e riabbassare le iridi scure sul cappuccio annacquato che teneva tra le mani.
«Trafalgar Law, probabilmente… quando avremo recuperato qualche lega si calmerà.» suppose, cercando di drizzare nuovamente le due sporgenze al lato del copricapo.
«Speriamo.» annuì, fingendo di aver capito di cosa l’altro stesse parlando.
Riabbassò subito dopo lo sguardo, cercando di evitare che quell’attenzione indesiderata fosse la goccia capace di far capitolare la già inesistente pazienza di Kidd. Quando i suoi occhi incrociarono la figura di Wire, lo scoprì a scuotere la testa con un certo stanco disappunto.



Se solo sua sorella Hana fosse stata lì a guardarla, probabilmente le avrebbe fatto notare quanta differenza correva tra il suo aspetto sempre impeccabile e le sue condizioni vergognose. Quasi certamente le avrebbe anche riso in faccia, con quell’adorabile affetto che la contraddistingueva, dicendo magari che quello era tutto ciò che meritava e lei l’avrebbe lasciata fare, sopportando, come sempre. Con Hana, come con sua madre, l’unica soluzione era lasciare che desse fiato alla bocca, sperando che alla fine si stufasse e decidesse di trovare qualcosa di più interessante da fare. Quella volta però, suo malgrado, avrebbe anche potuto concordare con lei, almeno sull’aspetto orribile che doveva avere in quel momento.
Passò distrattamente una mano tra i capelli, osservando le ciocche scivolare tra le nocche chiare.
Fino a qualche mese prima, li teneva acconciati in sciocche e scomode acconciature che sua madre trovava indispensabili per una ragazza di nobile famiglia – o per una dispotica bambolina da esibire alle cene con la Marina –, adesso invece non facevano che ricaderle sulle spalle secondo un’onda tutta loro.
Le sfuggì un mezzo sorriso pensando a quante cose erano cambiate da quando era fuggita da Sabaody e quanto diversa fosse la sua vita, rispetto alla farsa dentro cui era stata costretta a recitare per anni.
Afferrò l’ago improvvisato con una spina di pesce che teneva tra le labbra e riprese il proprio lavoro di riparazione sui guanti del vecchio Fumio, sistemandosi meglio sulla panca su cui si era accovacciata.
Attorno a lei, la ciurma continuò a cenare nel caos, tra bottiglie di rhum scolate in un sorso e coltelli che inspiegabilmente venivano affondati nel legno delle tavolate per rimarcare chissà quale questione.
Quando era scesa sotto coperta, alcuni di loro erano già stravaccati tra le panche narrando d’imprese inumane cui Aya aveva imparato a non prestare orecchio. Incredibilmente nessuno si era voltato a ringhiarle contro, nessuno si era premurato di invitarla a sloggiare, anzi, quei pochi già presenti le avevano riservato a stento un’occhiatina continuando con le loro chiacchiere senza badarvi troppo.
Certo, non le avevano chiesto di sedersi al loro stesso tavolo, ma erano comunque progressi che la facevano sentire un po’ meno fuori posto rispetto ai mesi precedenti. Avrebbe dovuto ringraziare Wire per quello o l’immensa testardaggine che l’aveva spinta a perseverare in quell’opera o il tempo orribile di Arata, non era ancora pienamente sicura di chi fosse il merito.
«Dove li hai rubati?» il tono roco, ormai conosciuto, la spinse a sollevare lo sguardo.
Presa dalla propria opera di riparazione non si era neanche accorta che Kidd, con una bottiglia di sakè ancora intatta tra le mani, le si era seduto accanto.
«Non li ho rubati, sono un regalo.» spiegò paziente, annodando l’ennesima cucitura.
«Regalo?!» ringhiò, spostando la propria attenzione dai guanti al suo viso.
«Sì, di un adorabile vecchietto di nome Fumio. Gli saresti piaciuto, vende pellicce!» specificò, aspettandosi uno dei consueti spintoni che il Capitano le riservava giusto per ricordarle di tenere a freno la lingua.
Kidd però, non si mosse, lanciandole solo un’occhiata di rimprovero.
«Poteva regalarti qualcosa di meglio il vecchio, se proprio doveva.» gracchiò disgustato, mentre qualcuno dalle tavolate inveiva senza mezzi termini.
Aya si protese verso di lui di colpo e glieli sventolò dinanzi al viso con ogni briciolo della propria stanchezza, accigliandosi per quella calunnia non troppo velata verso il venditore con cui aveva stretto amicizia appena quella mattina.
«Erano nuovi prima che mi mettessi a tirare corde per dare una mano sul ponte della tua nave!» lamentò, battendoglieli contro il petto con stizza.
Kidd allontanò appena il volto e la fissò, colto alla sprovvista. Aya ricambiò l’occhiata con ostinazione, più che convinta a difendere il gesto di gentilezza dell’anziano, fino a che l’espressione di pura sorpresa del rosso non mutò in una risata sin troppo divertita e la mano tornò come molte altre volte ad affondare tra i suoi capelli costringendola a piegarsi a causa della pressione.
«Eri uno spasso da guardare, donna!» gracchiò derisorio continuando a ridere e perdendo, finalmente, il ringhio teso che l’aveva accompagnato per l’intera giornata.
«Immagino…» borbottò vagamente sconfortata, lottando per liberarsi della mano del Capitano piantata sulla testa.
Di certo non doveva aver retto il confronto con Wire, piazzato perennemente alle sue spalle a controllare che non combinasse qualche guaio oltre a quelli che già fioccavano tra una virata e l’altra, ma non poteva essere andata così male. Magari era stato un tantino ridicolo mettersi a tirare corde, sperando di spostare il braccio dell’albero destro, ma almeno aveva tentato, si era impegnata.
«Hai rotto per mesi chiedendo di fare qualcosa e sei stata accontentata! Al prossimo temporale magari riesci a non stare tra i piedi di nessuno!» insistette, scolandosi un lungo sorso di sakè.
«Ne dubito, ma almeno non rischio di rimetterci! Credo che i tuoi uomini comincino a sopportarmi!» annuì soddisfatta, sfilando la bottiglia di mano a Kidd.
«Il rispetto si guadagna, non lo regalano a nessuno a questo mondo. Prima impari, meglio è.»
Aya lo guardò con improvvisa gratitudine, riconoscendo in quelle poche parole il medesimo tono utilizzato durante la loro conversazione di qualche giorno prima.
Sin da quando era nata, sua madre, suo padre, persino il resto degli abitanti di Marijoa, le avevano ripetuto che ai Draghi Celesti tutto è dovuto. Le avevano spiegato perché la gente “comune” dovesse inginocchiarsi al loro passaggio, perché gli fosse consentito avere degli schiavi, perché vivessero in una città tutta loro in cui a nessuno, eccetto la Marina, era consentito accedere. Nei loro nomi, dicevano, risiedesse l’origine della società civile, del Governo mondiale, del mondo intero. Erano i discendenti delle venti famiglie che avevano sconfitto l’Antico Regno, proprio per questo, meritavano la gratitudine e il rispetto di chiunque. Li meritavano indipendentemente dal segreto che la Marina custodiva con tanto ardore, indipendentemente dai viscidi e boriosi esseri che erano diventati. Aya non lo aveva mai trovato onorevole e adesso sapeva di non essere l’unica a pensarla a quel modo, era certa che al di sotto della Linea Rossa le cose prendessero pieghe del tutto diverse dalle fandonie dei nobili mondiali.
Gli uomini della ciurma rispettavano Kidd per ciò che aveva fatto e ciò che continuava a fare, di certo non solo perché si forgiava del titolo di capitano. Gli avevano affibbiato quel soprannome per un motivo più che valido e il resto del mondo glielo riconosceva senza troppi crucci, non per diritto di nascita.
«Vedrò di imparare in fretta allora!» stabilì, scolandosi un nuovo sorso di sakè.
«Vedi di imparare a non togliermi le cose di mano, donna o farò in fretta a fartele saltare!» minacciò Kidd, strappandole via la bottiglia per finire ciò che restava del liquore.
Aya, per nulla intimidita, piegò il capo sulla spalla nuda fissandolo con seria curiosità.
«Di un po’… il mio nome ti fa schifo, vero?»



Batté con calcolata misura la nodachi sul bordo del divanetto della sala di controllo, convinto che tanto bastasse a far tacere l’insistente sottofondo di voci che proveniva da quella accanto e che consuetamente non si sollevava mai se tra le mani reggeva un libro qualsiasi. Poggiò nuovamente i polpastrelli sulla carta, ma i bisbigli proseguirono imperterriti, certo con minore vigore, sfidando il suo sibillino richiamo all’ordine e fu costretto a sollevare lo sguardo portandolo sul corridoio buio che si diramava oltre la pesante porta in metallo. Pazientò qualche altro istante, ma i mormorii di Penguin strisciarono nuovamente attraverso la parete e si convinse finalmente ad alzarsi e abbandonare l’idea di un altro tentativo di richiamo velato. Percorse la sala sotto lo sguardo allarmato dell’unico uomo rimasto a controllare i monitor di funzione del sottomarino, prima di sparire, inghiottito dall’oscurità del corridoio.
I membri della sua ciurma erano sempre stati disciplinati, mai che un ordine non fosse eseguito esattamente come lui desiderava o che qualcuno osasse deluderlo in qualche modo. Prova di ciò, era stato il dimezzamento del tono, senza dubbio incosciente, che tutti avevano eseguito non appena la sua nodachi aveva battuto sul divanetto. Quello che non riusciva a spiegarsi però, era cosa ci fosse di tanto importante da spingerli a infervorarsi sino a disattenderlo.
Varcò la soglia della sala senza che uno solo di loro si accorgesse della sua presenza, ma si bloccò all’istante a osservarli, mentre accovacciati sul pavimento, con le fronti quasi unite continuavano a borbottare.
«Che cosa state facendo?» scandì serio, fissandoli dall’alto in basso.
«Senchō sumimasen!» scattò immediatamente Bepo, schiacciando la testa contro il pavimento senza neanche incrociare il suo sguardo.
«Ci spiace Senchō, non volevamo disturbarla…» fece eco il resto dell’equipaggio, rannicchiandosi nelle divise chiare.
Law li fissò imperturbabile, senza muoversi di un solo passo.
«Bepo, ho fatto una domanda.» ricordò, dopo averli fissati uno per uno.
L’orso sollevò prontamente il capo con rinnovata serietà, fissandolo con quanta più convinzione riuscisse a imprimere a quel discorso.
«Aye! Penguin discolpa il Capitano Kidd, ma io e il resto della ciurma conveniamo sul fatto che l’abbia rapita! Anche Shachi, che inizialmente era diffidente!» riassunse in fretta terminando con un ultimo assenso, sotto gli occhi sconvolti di Penguin, terrorizzato dalla piega che aveva preso la sua posizione sulla questione.
Trafalgar si ritrovò a fissare il muso serio di Bepo con espressione invariata. Mentalmente rielaborò la frase pronunciata dal vicecomandante più e più volte, valutando tutte le possibili pieghe d’intonazione capaci di farne fraintendere il significato, rimaneggiandola in periodi più brevi per renderla più comprensibile, analizzandone ogni criptica o probabile sfumatura, ma il risultato continuò ad apparirgli oscuro.
Schiuse le labbra, incerto persino su quale domanda formulare per chiarire quanto appena affermato da Bepo, ma Penguin lo precedette, forse mosso dal terrore di poter apparire un ammutinato.
«Senchō, io e Shachi abbiamo scoperto che il Capitano Kidd ha una donna a bordo della sua nave… Bepo sostiene l’abbia rapita per chissà quale motivo, ma a me non ha dato quell’impressione, ecco.»
«Beh no in effetti, ma quale donna s’imbarcherebbe con Eustass Capitano Kidd, Penguin?» ammise Shachi un po’ titubante tra il consenso generale.
«Aye! L’ha rapita!» insistette con fervore Bepo, beccandosi una nuova occhiata sconcertata da Penguin.
«Come fai a esserne certo?» chiese, voltandosi a guardarlo.
«Tu come fai a essere certo che non l’abbia rapita?» indagò Law, facendo calare il silenzio sull’intero sottomarino.
Bepo spostò lo sguardo da lui a Penguin, imitato ben presto dal resto della ciurma, ancora accovacciata sul pavimento. Penguin sembrò pensarci su, forse misurando le parole, poi tentò di raccogliere l’appoggio di Shachi, unico testimone a suo favore a quanto pareva, torturando un lato del proprio copricapo.
«Le ha detto di salire a bordo e lei è andata di corsa, ma non sembrava spaventata… se l’avesse rapita, quella donna avrebbe dovuto essere terrorizzata e poi perché l’avrebbe lasciata a gironzolare per l’isola?» tentò cercando di avvalorare la propria tesi.
Insieme al resto dei compagni, Bepo riportò lo sguardo su Law in attesa di un qualsiasi giudizio.
Trafalgar si limitò a ispirare profondamente, dando le spalle alla sala dentro di cui si era riunita la sua ciurma.
«O quella ragazza è molto stupida o Eustass-ya ha un nuovo membro a bordo.» troncò laconico, sparendo in corridoio.
Ripercorse i pochi metri che lo separavano dalla sala di comando senza alcun borbottio ad accompagnarlo, l’uomo rimasto di guardia ai monitor tirò un sospiro di sollievo quando si fu riaccomodato sul divanetto accanto alla nodachi ancora lì poggiata. Riaprì il libro con gesto misurato, affondando le iridi grigie tra le formule chimiche impresse al suo interno.
Qualsiasi fosse la risposta alle domande di Penguin, certo, non era un suo problema.







  
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