Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: FlyingBird_3    21/11/2013    3 recensioni
Emilia Romagna, Agosto del 1944
Il generale Badoglio ha firmato l'armistizio con gli Alleati, lasciando però i soldati italiani senza un ordine preciso su come comportarsi con l’esercito tedesco.
Maria De Felice è una ragazza di 23 anni, italiana, nata in una famiglia di alta borghesia. Ha potuto studiare con insegnanti privati, ed il suo sogno è quello di seguire il padre nei suoi viaggi attraverso l'Europa.
Friedrich Schuster, ufficiale delle SS a 30 anni, onorato di molte medaglie al valore per le sue imprese di guerra, guida le truppe tedesche all'occupazione dell'Italia settentrionale.
Le loro storie si intrecceranno, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, cambiando radicalmente le loro vite...
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dopo un po’ che Friedrich aveva spento la candela, lo sentii alzarsi e andare al bagno; forse pensava stessi dormendo, ma non chiusi occhio quella notte.
Una decina di minuti dopo ritornò a letto; io passai tutto il tempo ad ascoltare il suo respiro al buio.
La cosa che mi stupì di più era che non avevo paura né disagio nello stare così vicino a lui; anzi lo volevo.
Mi ero abituata alla sua presenza in camera già a Genova, ed ora che dormivamo assieme mi sentivo più protetta che mai; la sua imponente figura si stagliava nella penombra della camera, e mi piaceva sentirlo accanto.
Ora che ero “libera” non c’era nessuno che mi poteva rimproverare per il mio comportamento poco signorile; stava entrando piano piano nella mia vita un uomo che, nonostante i rifiuti della mia testa, mi faceva battere forte il cuore.
Mi addormentai alle prime luci del mattino, prima che lui si alzasse.
Quel giorno rimasi a casa da sola: non venne nessuno a prendermi.
Verso il tardo pomeriggio mi sedetti su una delle piccole poltroncine nel salotto, e iniziai di nuovo a parlare da sola.
“Avete visto, ora siamo arrivati a Cuneo. Prima di arrivare in città, un bombardamento ci ha sorpresi per strada, e per un soffio non sono stata presa da una bomba.
Grazie alle indicazioni di Friedrich, mi sono riparata in una grotta… ma la mattina dopo l’ho fatto. Per la prima volta ho provato ad uccidermi. È stata una cosa inconsapevole all’inizio, poi piano piano mi faceva passare la paura ed il dolore. Sono stata una vigliacca a farlo, ma voi non sapete cosa ho provato, cosa sto ancora passando.
Come riesco a realizzare che voi non ci siete davvero più, che questo non è altro che un brutto sogno?
Chi ha sofferto o sta soffrendo di più, voi che siete morti o io che sono ancora viva?
Ora devo badare a me stessa, completamente.
E poi è arrivato lui; Friedrich non è come gli altri, mi dovete credere. Mi ha salvata e protetta un sacco di volte, soprattutto quella mattina nel ruscello; sarei morta se non fosse arrivato.
Non sapete come mi sento bene quando è assieme a me, mi pare di essere di nuovo a casa con voi.
Sarò pazza, ma a me basta questo: avere finalmente qualcuno a cui possa voler bene di nuovo, dopo tutto questo tempo.
Una bomba può cadermi addosso da un giorno all’altro, qualcuno può spararmi a sorpresa senza neanche che me ne accorga; cosa mi rimarrà dopo? Cosa avrò fatto per dire che sono morta senza rimpianti?
Lo sapete che il più grande rimpianto della mia vita è non essere morta con voi, e non aver fatto nulla per proteggervi. Ma sono ancora viva, sono ancora qui; le vie del Signore sono infinite, e sono sicura che un motivo c’è se non sono ancora morta.
Vi prego non giudicatemi se mi sto affezionando a lui, provate solo a mettervi nei miei panni: è l’unica cosa che mi fa sentire bene in questo inferno giornaliero.
Sta soffrendo anche lui, ed io sento il bisogno di stargli vicino, di farlo sentire meglio.
Quando ho visto il suo sorriso per la prima volta ieri sera, ho sentito come migliaia di farfalle svolazzare nella mia pancia. Era bellissimo… non ho mai visto un ragazzo così.
Ha bisogno di sentirsi a casa anche lui, di avere qualcuno con cui parlare,con cui sfogarsi: non ha altra scelta che tenersi tutto dentro.
Ed io non voglio più vederlo violento come ieri sera; farò di tutto perché stia bene, questa è l’unica cosa che placa la vostra perdita.
Perché se dovessi morire domani saprò che oggi ho fatto di tutto per salvare una persona.”

Friedrich rientrò a casa a sera tarda, e io gli scaldai subito la zuppa; non era rimasto molto nella dispensa, le scorte di cibo iniziavano a scarseggiare.
Venne in cucina sempre silenzioso come al solito, e mentre stava mangiando decisi di fargli qualche domanda.
“Non avevate bisogno di me oggi?” chiesi.
Lui rimase in silenzio per un po’, poi disse di no.
“È successo qualcosa di importante?” chiesi ancora.
Lui sospirò, poi iniziò finalmente a parlare.
“Sono più organizzati di quanto pensassimo. Si nascondono tra le montagne, e una soffiata è arrivata negli uffici stamattina: dicono che a Demont siano rimasti reparti regolari dell’esercito, disponibili alla ribellione.”
Si fermò finendo la zuppa, poi si pulì la bocca con un tovagliolo di lino vecchio che avevo trovato in un cassetto della cucina.
“Quindi? Vi sposterete a Demont?”
“No. Manderò alcuni dei soldati per far consegnare i ribelli.”
Detto questo si alzò, ma prima di andare verso la camera si fermò sulla porta, girandosi verso di me.
“Noi domani andremo da un’altra parte. I soldati hanno trovato una casa nella strada da qui a Demont in cui i ribelli si riuniscono. Verrai con noi.”

Il giorno dopo una macchina nera si fermò davanti alla casa; era primo pomeriggio, e uno stuolo di soldati nei Panzer la seguivano.
Io mi sedetti di dietro, come al solito, mentre accanto a me c’erano due soldati con due fucili lunghi più di un metro.
Friedrich era seduto davanti, assieme al solito che guidava.
Dopo mezz’ora si fermarono in mezzo al bosco, facendoci scendere; i Panzer si fermarono molto più avanti, e noi dovemmo raggiungerli a piedi.
Il guidatore era in testa, mentre Friedrich era nel mezzo; io ero poco più dietro di lui, e alla fine i due soldati coi fucili chiudevano il gruppo, attenti ad osservare ogni mossa.
Tra le fronde degli alberi iniziò a disegnarsi il profilo di una casa in legno; era su di un piano, e quattro soldati la presidiavano da fuori.
Quando entrai seguendo Friedrich, ci trovammo in una grande stanza: era vuota, all’infuori di un tavolo rettangolare nel mezzo; un piccolo camino spento, una volta, doveva aver scaldato quella casetta in mezzo al bosco.
Appoggiati ad una parete, due soldati tenevano due uomini sulla cinquantina, sporchi, con i vestiti rotti; anche loro avevano le mani legate dietro alla schiena.
Friedrich iniziò subito a fare le solite domande, e io mi accostai a lui, traducendole in italiano; anche loro come gli altri non risposero.
La cosa che mi colpì di più fu il ghigno dei partigiani sui loro volti; qualcosa non stava andando per il verso giusto, lo captai nell’aria.
I soldati iniziarono a picchiare come era ormai abitudine i due uomini ed io, come sempre, girai la testa dall’altra parte per non guardare, respirando piano in modo da non agitarmi.
Mi stavo orrendamente abituando ai pestaggi, come ai bombardamenti e agli attacchi aerei.
L’interrogatorio continuò per una mezz’ora fino a quando, improvvisamente, si sentirono dei colpi di arma da fuoco provenire dal bosco; i due partigiani presenti in stanza iniziarono a divincolarsi sempre più ferocemente, e uno riuscì a scappare. Non so che fine abbia fatto, non ho voluto accertarmi se fosse morto o no.
Qualcuno urlava “A morte i tedeschi!”, altre urla erano proprio in tedesco.
L’altro uomo presente davanti a me ricevette un colpo di pistola in petto, davanti ai miei occhi, e si accasciò all’istante; intanto al di fuori si continuavano a sentire colpi: la situazione stava peggiorando.
Io ero immobile, la bile in gola che premeva per uscire, e il cuore pronto a balzarmi fuori dal petto.
Avevo capito cosa stava succedendo: era un’imboscata.
Il comandante e l’altro soldato uscirono piano dalla stanza, ma proprio mentre li stavo seguendo per non rimanere sola con il cadavere, Friedrich mi fermò, sussurrandomi di restare nella stanza.
Col cuore in gola ritornai indietro, e decisi di nascondermi dietro alla porta di legno; rimasi così più o meno per venti minuti, poi gli spari cessarono. Per tutto il tempo rimasi con gli occhi chiusi, recitando tutte le preghiere che conoscevo. Le gambe mi tremavano, ma non potevo permettermi di sedermi, avrebbero scoperto il mio nascondiglio; le mani erano appoggiate sul petto, cercando di calmare l’angoscia che mi stava prendendo.
Dopo quei minuti non si sentì più niente, e subito il mio pensiero corse al comandante: era stato ferito, ucciso? Sarebbe tornato a riprendermi?
Non avevo il coraggio di uscire, lo sapevo che i partigiani non mi avrebbero risparmiata se mi avessero vista.
Dopo dieci minuti, sentii dei passi entrare nella casa e avvicinarsi alla stanza; trattenni il fiato, sperando che fosse Friedrich.
Qualcuno effettivamente entrò, ma non ebbi il coraggio di guardare subito; mi affacciai dopo un paio di minuti, e lo vidi di spalle dall’altro lato della stanza, come se stesse cercando qualcosa.
Proprio quando stavo per uscire andandogli incontro, il rumore di altri passi mi bloccò e la voce mi morì in gola: lui non li aveva sentiti, perché non lo vidi girarsi.
Un uomo alto e grosso quasi quanto Friedrich entrò piano nella stanza, e quando vide il comandante alzò una pistola, prendendo la mira sulla sua schiena.
Fu tutto così veloce che non ricordo bene quegli istanti: mentre stava per premere il grilletto, tirai fuori la pistola e gli sparai un colpo alla sua di schiena, di bruciapelo.
Friedrich si girò subito, con un’espressione di sorpresa sul suo volto; io ero immobile, scioccata da quello che avevo appena fatto.
L’uomo si era accasciato a terra senza neanche fare un verso, e il sangue continuava ad allargarsi sulla sua maglia.
Le mani mi iniziarono a tremare così forte che la pistola cadde per terra; sentii un cerchio alla testa e un fischio sordo nelle orecchie. Mi si annebbiò la vista, e scivolai a terra.
Sentii solo Friedrich prendermi di peso e portarmi via, poi non ricordo più niente.

Ripresi coscienza di me quando mi riportò alla casa dove stavamo; mi stese sul letto e mi chiese come mi sentissi.
Io ero di nuovo vuota, come le prime volte che assistei ai bombardamenti; si sbagliano le persone nel dire che la paura o l’odio sia la cosa più brutta che una persona possa sentire.
L’essere vuoti, senza emozioni, è la cosa più orrenda che possa capitare ad una persona.
Gli occhi erano spalancati a guardare il soffitto, e rivedevo quella macchia di sangue dappertutto.
All’improvviso mi alzai e corsi verso il bagno, presa da sforzi: non riuscii a vomitare solo perché avevo mangiato del pane secco quel giorno.
Mi accasciai a terra e iniziai a piangere sommessamente; dopo poco sentii di nuovo la sua presenza vicino a me, ma non mi girai a guardarlo.
Solo quando mi fui un po’ calmata, sussurrai: “Ho ucciso un uomo
Lo sentii prendere un grosso respiro.
“Avrebbe ucciso prima me e poi te se avessi esitato.” Disse lui.
Ho ucciso un uomo Friedrich. Qualcuno da qualche parte sta piangendo un uomo che io ho ucciso
Lui mi accarezzava la schiena dolcemente, probabilmente per farmi sentire meno sola.
“Perché l’hai fatto se non te la sentivi?”
“Perché voleva uccidere te.” Dissi io.
“Non è il primo che ci prova.”
Alzai il viso e lo guardai dritto negli occhi.
“Non voglio più perdere le persone a cui tengo! Chi l’ha detto che i partigiani sono i buoni? Anche loro uccidono! Uccidono delle persone! Non avrei sopportato di rimanere da sola ancora… ma quello che ho fatto… è stato troppo…”
“Ti sei difesa.”
“Cosa ne sai che mi avrebbe ucciso? Magari avrebbe visto una giovane ragazza italiana e mi avrebbe lasciata andare!”
DIO QUANTO SEI INGENUA! Davvero pensi che avrebbero fatto uscire vivo qualcuno dove due minuti prima c’eravamo noi?” la sua voce si alzò di tono, azzittendomi un attimo.
Riabbassai di nuovo la testa, riprendendo a singhiozzare.
La sua voce si fece ancora più dura:
“Cosa ne sai se era innocente? Cosa ne sai se non ha torturato o ucciso qualcuno dei miei compagni?”
Riflettei un attimo: avrebbe ucciso lui sicuramente, qualche ora prima.
“Non lo so… so solo che mi dispiace per quell’uomo, per la sua famiglia… sono un’assassina…”
Basta.” Disse lui, in tono risoluto.
“Ma hai capito che io non sono così? Io…”
All’improvviso mi fermai con un pensiero che spinse più degli altri: avrebbe potuto andarsene anche lui, per sempre.
Mi girai a guardarlo, e i nostri occhi si incrociarono per un lungo istante; poi, spinta da chissà quale forza, gli misi le braccia al collo e lo baciai. Avrebbe potuto essere l’ultimo giorno per uno di noi due o entrambi, e non avrei aspettato ancora altro tempo: non mi interessava più di niente, del giusto o dello sbagliato. Chi erano gli altri per dire cos’era giusto da fare e cosa no in quell’occasione? Avrei potuto essere io al posto di quell’uomo.
Lui intanto ricambiava il mio bacio stringendomi forte; lo sentivo che lo voleva anche lui, finalmente ci stavamo lasciando andare. Piano piano Friedrich iniziò a stendersi sopra di me, facendomi poggiare sul pavimento freddo; a quel tocco mi ritornò in mente la macchia di sangue sulla maglia.
“No aspetta…” gli dicevo spostandomi dalla sua bocca per riuscire a parlare. Avevo una tale confusione nella mente e nel cuore, che non riuscivo a capire cosa dovevo fare. Avrei dovuto punirmi per quello che avevo fatto? O amare l’uomo che avevo salvato?
“No… abbiamo aspettato troppo…”
La sua voce era roca, strozzata, e mi percorse il corpo di brividi.
Mi ero fermata, bloccata dalle troppe emozioni dentro di me.
Lui mi parlò ancora, stavolta guardandomi negli occhi.
“Questo è l’unico modo che ho per non fartici pensare. Non avere paura di me… tu hai salvato la mia vita”
Mi prese di peso e mi riportò in stanza. Io gli chiedevo di fermarsi un attimo, ma lui mi continuava a ripetere di non avere paura; si mise sopra di me e mi sbottonò piano il vestito.
“No, per favore… non è il momento…” gli dissi.
“Non ci devi pensare Maria. Non gli hai sparato per odio o violenza, gli hai sparato per salvarmi.”
Continuava a toccarmi, e a mano a mano quel vuoto in me iniziava a essere colmato dai suoi baci, dalle sue carezze; il precipitare degli eventi mi aveva resa più consapevole, in modo che non avessi tempo di provare vergogna quando lui mi spogliò.
L’avevo salvato, e ora lui era là grazie a me: penso che quello che facemmo quella sera fosse il suo modo per ringraziarmi. Fino a quel momento non si era mai sbagliato nelle cose che mi aveva detto, quindi stavolta decisi di seguirlo, spinta da quel dolore che mi mordeva il cuore.
Gli misi le mani attorno alle spalle e lui entrò piano in me, mentre con le mani mi teneva fermo il bacino.
Iniziò poi a muoversi piano, all’inizio facendomi male, ma poi regalandomi un piacere che non ebbi mai provato prima d’allora.
Ogni volta che gli chiesi di andare più lentamente perché provavo dolore, lui si fermava un paio di secondi, baciandomi con passione il collo ed il petto; lo faceva solo perché glielo chiedevo, era troppo preso per fermarsi a fare qualsiasi altra cosa.
Alla fine sentii il suo respiro farsi sempre più veloce, come i suoi movimenti; chiusi gli occhi e iniziai a provare una sensazione bellissima, una cosa indescrivibile.
Mi sentivo bollente in tutto il corpo, e il mio respiro si fece veloce come il suo; quando lui diede le ultime spinte io gemetti aprendo gli occhi, e incontrando i suoi che mi guardavano, che mi guidavano come due fari nel buio.
Si stese piano su di me, ma senza pesarmi addosso; mi abbracciò ancora, e ci scambiammo un tenero bacio.
Uscì da me e andò in bagno senza dire niente; dopo un paio di minuti nei quali mi calmai, mi alzai sentendo qualcosa di caldo uscire dalle mie gambe.
“È normale quando si fa l’amore, non preoccuparti”
Era sulla porta che mi guardava; si avvicinò quando vide che mi risiedevo sul letto, e si distese vicino a me.
Cosa mi hai fatto?” sussurrai nella penombra della stanza.
Lui non rispose, ma mi prese tra le sue braccia stringendomi al suo petto.
Aveva ragione: in quei momenti non avevo pensato a tutto quello che era successo qualche ora prima. Ma poi i pensieri ritornarono.
“Ci sto ripensando ancora Friedrich” dissi, appoggiata al suo petto.
Lui intanto mi accarezzava i capelli.
“Hai fatto quello che ti sentivi di fare. Se al posto mio ci fosse stato qualcuno della tua famiglia avresti fatto lo stesso. Non puoi colpevolizzarti per sempre; è la guerra, se non era lui eri tu.”
Doveva essersi detto quelle cose molte volte, perché usava quelle parole come se fossero ovvie.
Avrei potuto punirmi, o avrei potuto amare la persona che mi era accanto. Da quando avevamo finito, il mio corpo non aveva fatto altro che urlare il suo nome.
Lo volevo ancora, volevo sentirlo in me, essere legata con lui all’infinito.
“Vorrei farlo ancora, per sempre, se servisse a non pensarci più.”
Lui si girò a guardarmi, e ancora prima che riuscissi a metterlo a fuoco, la sua bocca scendeva già sul mio collo.

Facemmo l’amore tutta la notte; la mattina dopo lo sentii alzarsi un po’ più tardi del solito. Mentre si vestiva lo guardai in viso: aveva due ombre scure sotto gli occhi, che gli davano un’aria ancora più stanca del solito.
Forse si accorse che lo osservavo, perché alzò lo sguardo anche lui.
“Sei sveglia” disse, e non era una domanda.
Io non risposi, non dissi niente; non sorrisi, non feci nulla. Ero semplicemente persa negli occhi di quell’uomo che per la prima volta mi aveva fatto provare cosa volesse dire amare.
Tutte quelle volte che in chiesa il parroco aveva detto che l’Amore è la cosa più importante, ma soprattutto più forte di tutte… a quel tempo lo attribuivo all’amore per la mia famiglia. Non immaginavo nemmeno che un uomo, un perfetto sconosciuto venuto da chissà dove, potesse farmi provare queste emozioni.
“Devo andare…”
Era fermo sul ciglio della porta, come se fosse insicuro di cosa fare; si stava lisciando la camicia verde che portava sotto la giacca e continuava a guardarmi.
Prima che lui uscisse mi alzai e senza riflettere, lo abbracciai. Lo strinsi così forte, le mie braccia attorno la sua grande schiena.
Poi alzai il viso e contemporaneamente ci avvicinammo per baciarci. Non servivano parole… era come se tutto fosse sottointeso.
Si staccò lui per primo, ripetendomi che doveva andare. Mi girai a prendergli la giacca luccicante di medaglie che appoggiava sempre sulla sedia, e lo aiutai ad indossarla; infine lo accarezzai sul viso, dicendogli che l'avrei aspettato. A quelle parole apparve di nuovo quel sorriso che mi ipnotizzava, sul suo viso: era più sereno, eravamo più sereni, e si notava nel comportamento di tutti e due.
Era come se qualcosa se ne fosse finalmente andato, lasciandoci liberi di essere noi stessi.

Di quel periodo con lui, non ricordo altro che il suo respiro caldo sulla mia pelle; tutto il resto non è altro che un vago grigiore.
Non mi fece più uscire di casa da quel giorno in cui uccisi il partigiano. Io non gli chiesi nulla, e lui altrettanto non mi disse niente.
Non facevo altro che aspettarlo, in attesa che arrivasse la sera per fare l’amore con lui; era come un’ossessione, qualcosa a cui non riuscivamo a fare a meno.
Una settimana dopo la nostra prima volta, a notte inoltrata, eravamo abbracciati sul grande letto della stanza; lui aveva appoggiato la testa sul mio petto, ed io gli accarezzavo i capelli.
Mi sentivo così in pace con me stessa come mai mi era capitato nella vita.
“Maria… come faceva quella canzone…?” disse lui ad un certo punto.
Dopo aver scoperto a che canzone si riferiva, gliela cantai, ma lui mi fermò a metà.
“Ecco” disse, “era questo il punto. Ora so cosa vuol dire. Appoggiato al tuo cuore davvero non soffro più.”
Continuai a percorrere la sua calda pelle, su e giù, quando all’improvviso si puntellò sui gomiti, guardandomi.
“Questa è l’ultima sera Maria. Domattina all’alba ti porterò alla stazione del treno qua vicino. L’hanno bombardata ed è inagibile, ma tu ti nasconderai lì dentro finché non avrò portato via la mia squadra.”
Sentii come un pugno allo stomaco: mi stava dicendo avremo dovuto separarci.
“Non posso venire con te ancora?” chiesi.
“No, non saresti mai dovuta arrivare fino a qua, in ogni caso. Lasceremo le macchine a Cuneo, ci muoveremo solo nei carri armati.”
“Non te ne andare Friedrich… ora che ci siamo trovati… non mi lasciare da sola anche tu…”
La voce mi morì in gola, così fui costretta a fermarmi.
“Lo sapevamo entrambi che non potevi seguirci all’infinito”
Mi alzai a sedere, e incrociai i suoi occhi nella penombra.
“Ma come fai a essere così? Tutto questo… cosa è significato per te? Niente?”
“È solo la verità. È così bello fare l’amore con te, lo sai, te l’ho detto un sacco di volte. Ma non puoi venire; quando gli altri si ricorderanno di te saremo già lontani da Cuneo. Dirò che sei scappata.
Tu sai troppe cose che non dovresti, ti dovrei uccidere invece di lasciarti andare.”
Fece una pausa, nella quale cercò di prendermi il viso ma io mi scostai.
“Come fai a essere così freddo?” gli dissi in tono disgustato.
Lui mi guardò con aria dura.
“Tu non sai cosa ho fatto prima di arrivare qua. Ho sparato in mezzo agli occhi a madri di famiglia e a bambini innocenti, perché il mio comandante me l’aveva ordinato. Pensi che sia stato semplice per me? Tu non hai subito niente di tutto quello, e non rimproverarmi di essere freddo se cerco di non farmi coinvolgere nelle situazioni. “
“Questo significa che quello che mi fai provare è tutto un’illusione? Che è solo per alleviare il tuo senso di colpa?”
“Quello che provi è vero. Non l’ho fatto per alleviare il mio senso di colpa… l’ho fatto perché lo sentivo, e l’hai sentito anche tu. Se penso che forse potrei non rivederti mai più davvero potrei toccare il fondo. Infatti non lo farò mai. Domani potremo morire… ma stasera sei qua con me… non piangere, Maria. Amami ancora.”
L’unico ricordo che ho dopo quella conversazione sono i nostri corpi intrecciati, e le mie lacrime che si asciugavano sulla sua pelle.

Nessuno dei due dormì quella notte, e alle prime luci dell’alba ci vestimmo, pronti a uscire. Il silenzio era calato fra noi, non c’era bisogno di parlare. Uscimmo all’aria pungente del mattino; camminavamo vicino, una sua mano sulla mia spalla a guidarmi.
Iniziò lui a parlare, verso metà strada.
“Ti ho portato una cartina della città. Mi raccomando stai a Cuneo, non uscire nella campagna per nessun motivo. Ti ho messo anche qualche tozzo di pane… mi dispiace ma non è rimasto molto nella cucina.”
Dopo un quarto d’ora arrivammo alla stazione; i binari erano saltati probabilmente a causa di qualche bombardamento, e la costruzione intorno aveva un orrendo buco nel mezzo.
Friedrich mi accompagnò dalla parte opposta dove, in un tempo non molto lontano, lavorava il bigliettaio.
Aprì la porta e mi spinse piano dentro.
Io avevo un groppo in gola, e prima che lui si girasse per andarsene gli saltai al collo. Lo strinsi più forte che potei, affondai il viso tra i suoi capelli, avendo paura di dimenticarlo per sempre.
Lui mi strinse a sua volta e mi tirò su, facendomi staccare i piedi da terra. Ci baciammo ancora, ma alla fine mi lasciò. Io mi sedetti a terra, e lui si accucciò davanti a me.
Gli accarezzavo le guancie, guardando ogni millimetro della sua pelle.
“Sii forte Maria. Promettimi che farai di tutto per sopravvivere.”
I suoi occhi si fecero velati, e io non riuscii più a trattenermi, scoppiando in lacrime. Annuii, sorridendo di una strana felicità: non voleva lasciarmi neanche lui, stava provando quello che provavo io.
“Dimmi che i miei sforzi sono riusciti a farti stare meglio in questi mesi.”
I nostri occhi non si lasciavano un attimo.
“Si si… non puoi neanche capire quanto. Non ti dimenticherò mai Friedrich te lo giuro, non lo farò mai”
Lui si alzò piano e girò le spalle, andandosene.
Uscii a gattoni dalla porta, e lo vidi asciugarsi gli occhi mentre se ne andava.
L’unica persona speciale nella mia vita ha dovuto lasciarmi prima ancora che potessi capire come riuscire ad amarlo.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: FlyingBird_3