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Autore: mysterious    25/11/2013    1 recensioni
Red John, finalmente, non rappresenta più una minaccia. La sua morte ha posto fine ad uno dei capitoli più tristi della vita di Patrick Jane. Ma che ne sarà di lui, ora? E' proprio vero che la vendetta fa sentire meglio?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kimball Cho, Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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(p.o.v. Jane)

 

Un groppo in gola mi impedisce di parlare e non voglio farmi vedere così da Lisbon. Dandole le spalle, mi alzo dal letto e mi dirigo con falsa indifferenza verso la finestra. Con una mano scosto le tende e cerco all'esterno qualsiasi cosa che possa distrarmi: un'auto, un passante, un cartellone pubblicitario...Ma non ne ho il tempo. Una mano mi afferra dolcemente il mento e mi costringe a voltarmi.
Scalza, Lisbon mi era arrivata da dietro senza fare rumore.
“Jane... è finita. Non è colpa tua se Red John uccise la tua famiglia: ho ascoltato mille volte la dichiarazione che tu facesti su di lui quella sera in TV... non c'è nulla che potesse giustificare un simile gesto. Era una mente malata, Jane. Nessuno avrebbe potuto prevedere una reazione di quel genere. Ma ora è finita, per sempre. Hai finalmente vendicato tua moglie e Charlotte. Lasciale andare. Loro sono in pace, Jane, e anche tu, francamente, ti meriti una tregua.”

Resto lì, in silenzio, le mani nelle tasche dei jeans, lo sguardo di nuovo perso nel vuoto, oltre quei vetri un po' sporchi, un po' appannati dal mio respiro caldo.

“Forse ho sbagliato a venire qui”, prorompe Lisbon, ruotando su se stessa e dirigendosi con ritrovata determinazione verso il letto. Seguo in silenzio i suoi movimenti mentre nervosamente indossa gli stivaletti; noto la tensione nei suoi gesti, il disagio misto a rabbia e delusione nella sua voce. Ha fretta di andar via, la fretta di chi ha fallito un tentativo e non vuole restare a considerarne gli effetti.
“Forse sono stata egoista”, aggiunge. “Ho pensato a me stessa prima che a te. Dovevo aspettare, capire che, se e quando fossi stato pronto, saresti riapparso tu dal nulla. E' solo che...” esita un secondo di troppo “... temevo che non ti avrei più rivisto e... non riuscivo a sopportarlo ... perdonami.”
Quando afferra la giacca e si volta verso la porta, “Lisbon...” – la chiamo – “...resta, ti prego.”

 

 

(p.o.v. Lisbon)

 

“Sei... sicuro?”, gli chiedo.
“Come mai prima d'ora.”
Si allontana dalla finestra e viene a sedersi sul bordo del letto, dove, con qualche tentennamento, lo raggiungo, sedendomi accanto a lui. Dal primo giorno in cui lo incontrai, nuove rughe sono spuntate sul suo volto, ma il suo fascino non ne ha affatto risentito. Semmai, il contrario. L'ho conosciuto poco più che trentaquattrenne ed ora è uno splendido quarantacinquenne con nulla da invidiare a tanti più giovani di lui. Lo guardo mentre, chino, i gomiti sulle ginocchia e le mani incrociate tra le gambe leggermente divaricate, sembra voler radunare i suoi pensieri. Infine, restando così, inizia a parlare:

“Il giorno in cui conobbi Angela, mia moglie, per me non fu soltanto l'inizio di una storia d'amore. Fu l'inizio di una nuova vita, che in breve mi permise di lasciarmi alle spalle un'infanzia e un'adolescenza tormentate, piene di episodi da dimenticare. Con l'arrivo di Charlotte, poi, ritenevo davvero di aver toccato il cielo con un dito. Non potevo credere che tutta quella felicità fosse toccata a me, a me, che in fondo ero soltanto un ignobile manipolatore di menti, un profittatore di persone ingenue o bisognose di aggrapparsi a qualcosa che non c'è. Quando Red John me le ha portate via, per me è stata davvero la fine di tutto... non so se riesco a farti capire... come se la terra si fosse aperta sotto i miei piedi senza lasciarmi un appiglio a cui aggrapparmi, come una caduta libera in un baratro di cui non si vede la fine.”

“Jane, lo capisco. Non devi giustificarti. E io non dovevo venire a...”

Ma lui continua, senza badare alle mie parole.

“Quando ti ho conosciuta, quel giorno al dipartimento, ero da poco uscito da un istituto di igiene mentale. La dottoressa Miller aveva detto che ero pronto a tornare ad una vita normale... normale... come se fosse possibile! Per alcuni giorni mi comportai come ho fatto in quest'ultima settimana. Rifiutando l'idea di tornare nella casa dove... beh, lo sai... presi in affitto una camera in un motel di Malibù e, quando la custode ebbe chiuso la porta dietro di sé lasciandomi solo, in quell'istante realizzai che non avevo più nulla: casa, moglie, figlia, lavoro... tutto era come svanito, polverizzato, spazzato via in un attimo da un turbine di vento. Non nego di aver pensato di farla finita, ma c'era una cosa che mi premeva più che morire: farla pagare a chi mi aveva fatto questo. Ho fatto di tutto per poter accedere ai vostri incartamenti, persino farmi dare un pugno – ricordi? – per costringervi, sentendovi in debito, ad offrirmi qualcosa in cambio: la possibilità di esaminare la documentazione su Red John. Il resto è una storia che tu conosci fin troppo bene. Sono rimasto con la tua squadra per dieci lunghi anni, finché ho raggiunto il mio obiettivo.”

“Quindi siamo stati solo questo, per, te, Jane? Un mezzo per perseguire un fine?”

“No, non dico questo. Ma io dovevo raggiungere il mio scopo.”
“Ed ora che l'hai raggiunto... è cambiato qualcosa, Jane?”
“Sì... e no. Sì, perché ho vendicato mia moglie e mia figlia – insieme con tutte le altre vittime del serial killer – e no, perché non riesco a lasciarmi tutto alle spalle, come pensavo di poter fare.”
Si passa le mani tra i capelli, dalla fronte verso la nuca, restando chino, ripiegato su se stesso.
“Capisco”, dico io, “dev'essere difficile, ma...”
“... ma devo andare avanti, lo so, Teresa”, mi interrompe.
Sentirlo pronunciare il mio nome al posto del solito “Lisbon” mi procura un brivido lungo la schiena. Non erano state molte, in quegli anni, le occasioni in cui mi aveva chiamata così e in una di quelle era sotto l'effetto della Belladonna, per cui ho sempre pensato che... non valesse!
“Se dovessi rifarmi una vita, Teresa, sarebbe con te, e tu lo sai. Inutile girarci intorno. Che mentalista sarei se non mi fossi accorto, ormai da anni, di quello che provi?”
Se... dovessi rifarti una vita, Jane? Perché, hai forse intenzione di restare qui a piangerti addosso per il resto dei tuoi anni? Credi che tua moglie e tua figlia sarebbero contente di vederti ridotto così?”
“Io... non lo so... non riesco a vedere le cose lucidamente.” Si lascia ricadere di schiena sul letto, le mani incrociate dietro la nuca. “Quando “giocavo” a fare il sensitivo, in un caso del genere avrei assunto un'espressione assorta e, in cambio di un generoso assegno, avrei semplicemente detto al mio cliente che la sua defunta moglie gli stava dando il suo consenso attraverso di me... Sposatevi e siate felici, avrei concluso, mettendo l'assegno nel taschino! Ma ora che in quella situazione ci sono io...?”
Mi stendo anch'io sul letto, di schiena, al suo fianco. Entrambi guardiamo il soffitto.
“Sai, Jane...” gli dico, “se c'è una cosa che ho imparato in tutti questi anni, lavorando a stretto contatto con te, è a fare la mentalista!”
Mi volto verso di lui e lo vedo sorridere. Era come se il sole fosse improvvisamente entrato a rischiarare la stanza!
“Lisbon, tu non sei mai stata capace di leggere neppure la mente di un topolino preso in trappola!”
“Questo lo pensi tu! Ho avuto un ottimo maestro. Quindi, ora, te ne darò dimostrazione. Guardami e stammi a sentire!”
Senza perdere il sorriso, si volta verso di me, in attesa della mia performance.

“Mr. Jane. Lei è un uomo che è stato messo a dura prova dalla vita”, inizio con una voce bassa e suadente, entrando nel mio nuovo ruolo di “sensitiva”. “Quella ruga che dalla radice del suo naso sale verso la fronte è segno di concentrazione, ma anche di risentimento e di rabbia (l'avevo letto su qualche rivista femminile!)...”
Lui chiude gli occhi, scuotendo il capo; il suo sorriso si allarga, divertito, mentre io continuo:
“Ma io vedo anche che lei ha... dei bellissimi denti e due bellissime labbra e due bellissimi occhi e... qualcuno, di lassù, mi sta dicendo che è un vero peccato sprecare tutto questo!”
Jane apre gli occhi, mi rivolge uno sguardo vagamente interrogativo...
“Charlotte mi trovava simpatica... me lo raccontasti tu, quando la Belladonna ebbe cessato di fare effetto...”

Temo di aver esagerato. Avrei dovuto starmene zitta.
“Scusa, Jane...”
Ma lui ruota sul fianco, poggia la testa su una mano e con l'altra, quella bendata, mi cinge alla vita e mi avvicina a sé.
“Che cosa... hai fatto alla mano?”, dico, sperando di mascherare in qualche modo il mio turbamento.
“Non ha alcuna importanza, adesso...”
E passandomi la mano dietro il collo, avvicina le mie labbra alle sue, le sue alle mie e...
… E per un attimo è come se al mondo esistessimo solo io e lui. Quella stanza angusta e in disordine diventa un paradiso e i rumori in sottofondo che giungono dalla strada sono suoni di arpe e di sistri. Ci fondiamo in un bacio che un'attesa di anni trasforma in una passione dolce e sconvolgente nello stesso tempo... Ci abbracciamo e ci stringiamo come non vedevo l'ora accadesse. Senza staccare le labbra, ci leviamo i vestiti e, per la prima volta, assaporiamo il contatto dei nostri corpi. I suoi muscoli fremono ed io mi abbandono totalmente a sensazioni che mi travolgono, lasciandomi senza respiro.
La notte ci coglie spossati, ma felici. Restiamo per ore abbracciati, in silenzio, perché ogni parola sarebbe superflua, ogni commento inutile. Credo si sia addormentato: alla fioca luce della lampada, la testa appoggiata sul cuscino, scivolo con lo sguardo sul suo profilo, mi soffermo sui suoi lineamenti senza tralasciare alcun particolare e mi chiedo come avessi potuto resistere fino ad ora. Vorrei svegliarlo e baciarlo ancora e ancora, ma è così sereno che non oso neppure sfiorarlo.

 

(p.o.v.. Jane)

 

Lei crede che stia dormendo. Sento il suo sguardo su di me e, in un certo senso, ne sono lusingato.
Da molto tempo non mi sentivo così: avevo soffocato l'uomo che è dentro di me per trasformarmi in un cacciatore implacabile. Ma ora è davvero un capitolo chiuso. Forse Teresa non lo saprà mai, ma a convincermi è stato proprio il ricordo di Charlotte, quando, seduta sull'ambulanza, accanto a me, vedendo Lisbon aveva esclamato “Simpatica!”, chiedendomi poi, con l'innocenza tipica delle adolescenti, se tra me e lei ci fosse del tenero. Sì, lo so, probabilmente quella era solo una proiezione di Charlotte prodotta dalla mia mente drogata, ma... per una volta almeno, voglio credere che there's such things as psychics e tornare alla vita.

  
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