Una scelta importante
Sbuffai
sonoramente lasciandomi cadere sul letto del mio alloggio. Era quasi
ora di
pranzo.
Quelle
poche ore con Saveria mi avevano letteralmente sfinita. Erbologia era
una
materia che detestavo, ma con Soana era quasi sopportabile. Saveria
invece era
talmente fredda ed impassibile da farmi odiare qualsiasi cosa potessi
fare
insieme a lei.
Dopo
tutta quella fatica, non ero riuscita a concentrarmi sulla faccenda di
Dohor
come invece avrei dovuto, secondo le mie priorità.
Non
volevo vedere mio nonno sulla forca per colpa di quel re da strapazzo!
Esalai
un respiro più lungo degli altri e mi issai a sedere. Senza
i miei genitori,
Ido era la persona a cui ero più attaccata. Vederlo morire
sarebbe stato…
Non
riuscivo neanche ad immaginarlo e, in tutta franchezza, non ci tenevo.
Sentii
le trombe risuonare per tutta l’Accademia come una carica di
cavalleria. Veniva
annunciata l’ora di pranzo.
Secondo
l’etichetta di corte, che veniva assurdamente osservata anche
ai piani alti di
quell’enorme edificio dove risiedevo, mi sarei dovuta
cambiare d’abito.
Scrollai le spalle ed uscii dalla stanza con lo stesso vestito di
quella
mattina. Non avevo la benché minima intenzione di piegarmi
ancora una volta al
volere dei supremi. Io seguivo i consigli di mio nonno, non gli ordini
del
Generale dei Cavalieri di Drago.
Dicono
che l’adolescenza, soprattutto fra i sedici e i diciotto
anni, abbia la
tendenza a rendere i giovani più violenti, meno docili, e in
perenne contrasto
con i propri tutori.
Ebbene,
cominciavo a pensare che quella teoria fosse vera.
Chi
mi impediva alla mia età di indossare abiti che detestavo?
Chi mi obbligava a
studiare formule magiche che non suscitavano mio interesse alcuno? Chi
mi
impediva di uscire dall’Accademia?
Dopotutto,
non era mia madre quella che, all’età di sedici
anni, era entrata protestando
in quell’edificio? E ora era Cavaliere di Drago.
Perché
io non potevo?
Cosa
avevo io di diverso?
Niente,
per l’appunto.
Ero
stufa di vivere come una carcerata. A malapena avevo visto la
città in cui da
anni risiedevo. Tutta questa clausura mi stava facendo impazzire.
Basta!
Avevo
assolutamente bisogno di confidarmi con qualcuno. E che vadano al
diavolo tutti
se mi beccavano ad infrangere un’altra stupida regola!
Avevo
bisogno di lui.
Mi
recai nella sala da pranzo dove solitamente mangiavamo io, mio nonno,
Soana e
altri pochi nobili, amici intimi del Generale. Aprii la porta e vidi
che tutti
avevano già preso posto e aspettavano solo me. Non era la
prima volta e non mi
sentii in dovere né di essere imbarazzata né
tanto meno di scusarmi con i
presenti.
Per
questo incassai molte occhiate di rimprovero, compresi gli occhi grigi
e
furenti di Ido.
Senza
neanche avere l’accortezza di salutare mi avviai a gran passo
verso il
Generale, che sedeva a capotavola, e, accompagnata dagli sguardi
sconcertati
dei nobili (tra cui Saveria), mi accovacciai accanto a mio nonno
esibendo solo
un leggero inchino con la testa.
Per
evitare la sua sfuriata che sentivo arrivare, mi affrettai a
discolparmi… o a
chiedere perdono.
“Sono
terribilmente dispiaciuta per l’accaduto di oggi, nonno. Non
volevo
disubbidirti.” Mormorai tentando di ingrossare gli occhi a
tal punto da
renderli lucidi. Ero piuttosto brava a suscitare il senso di colpa
nelle
persone.
“Lo
so, Lorelyne. Tuttavia non voglio che risucceda.” La sua voce
rimbombava in
tutta la sala, autoritaria, obbligando quasi a rendere partecipi tutti.
Per mia
vergogna che ero decisa a non far trasparire. Orgoglio, niente
più.
“Non
ne ho alcuna intenzione.” Risposi da brava ragazza di buona
famiglia “Per
questo ora sono qui, per chiedere il tuo permesso.”
Mi
fissò, guardingo, con un sopracciglio alzato.
“Il
permesso… per cosa?” mi domandò sulla
difesa.
“Oggi
posso pranzare nella mensa con gli altri allievi?” sputai
senza mezzi termini.
Dritta al punto.
“No.”
Mi negò con altrettanta decisione.
“Avanti.
Solo per oggi. Voglio solo parlare un po’ con il mio
amico… sai, quello che
conosce anche mia madre…”
Parve
irrigidirsi. Poi si rilassò e sospirò.
“Se
stai con lui… allora posso concedertelo.” Cedette.
“Si!”
esultai scattando in piedi e baciandolo sulla guancia barbuta.
“Ma
appena suona la fine del loro pasto voglio che ritorni nei tuoi
alloggi. Non
intralciare il loro addestramento, per cortesia.” Mi
ammonì.
“Assolutamente,
nonno!” risposi con enfasi e mi avviai felicemente alla porta
dalla quale ero
entrata poco prima.
“Ehm,
ehm…” gracchiò Ido, bloccandomi sulla
soglia.
Sospirando
silenziosamente, mi voltai ed assunsi l’aria della brava
bimba che dà la buona notte
a tutti.
“Vi
auguro buon appetito, signori. Mi assento solo per oggi e vi prego di
scusarmi.” Salutai con un inchino ed uscii.
Praticamente
volando, attraversai tutti i corridoi e varie scale che separavano le
due ali,
raggiungendo con un leggero affanno i battenti della mensa. Davanti non
vi era
appostata alcuna sentinella, per mia fortuna.
Entrai
cercando di non attirare troppi sguardi, ma fu inutile.
L’intera
mensa, prima riempita dal vociare di centinaia di allievi, ora
risultava solo
vibrare di respiri concitati nel silenzio più assoluto.
Tutti mi fissavano con
occhi sgranati come fossi la regina in persona.
Costeggiai
la parete accennando un timido sorriso che venne ricambiato da tutti i
presenti
in maniera troppo esagerata. Abbandonando per un momento il loro cibo
sui
vassoi, gli allievi si alzarono dalle panche, seguendo le movenze dei
maestri,
e s’inchinarono al mio cospetto.
Evitando
una sfuriata che sarebbe stata decisamente fuori luogo in quel momento,
ricambiai il saluto che Rowel mi aveva cortesemente porto in segno di
rispetto
e, con un lieve cenno della mano, concessi a tutta la sala di ritornare
a ciò
che stavano facendo prima che arrivassi io.
Nonostante
tutto, molti non mi staccarono gli occhi di dosso e, mentre mi avviavo
con fare
disinvolto verso la coda che aspettava di ricevere la propria porzione,
non
mancarono alcuni sussurri sul mio conto che percepii da qualche
gruppetto.
“E’
la figlia di Nihal… ma che diavolo
ci fa qui?”
“E’
la nipote acquisita del Supremo
Generale… questa mattina era nell’arena che si
allenava con Rowel…”
Sorrisi
tra me e me. Ne avevano di cose da dire sul mio conto. Non che me ne
importasse
più di tanto…
Afferrai
il vassoio dal tavolino laterale e mi misi dietro un ragazzo poco
più alto di
me ma decisamente più muscoloso. Constatai avesse poco
più di un anno di vita
in più di me.
Con
mia sorpresa lo vidi girarsi, abbastanza sudato da apparire reduce da
una lunga
corsa, spostarsi e inchinarsi profondamente, toccando il ginocchio per
terra e
la testa bassa.
Serrai
le mani a pugno, tremando di furia.
Anche
gli altri in fila seguirono il suo esempio e si scostarono leggermente,
tanto
da creare una via verso il punto in cui distribuivano i viveri.
Dannazione!
“Insomma,
basta con questi inchini! Sono stufa di tutti questi
convenevoli… alzatevi, ve
ne prego.” Dissi sbuffando e alzando gli occhi al cielo.
Il
ragazzo che poco prima mi stava davanti alzò la testa,
notevolmente
dispiaciuto, e si alzò da terra mestamente.
Gli
altri fecero altrettanto, anche se non smisero di fissarmi.
Notando
la sua confusione, gli sorrisi.
“Piacere
di conoscerti. Io sono Rory, e tu?” mi presentai offrendogli
la mano da
stringere.
Con
notevole imbarazzo, riuscì a parlare: “Lieto di
fare la vostra conoscenza,
milady. Il… il mio nome è Orpheius.”
“Sono
altrettanto lieta di conoscerti, Orpheius. Ti prego…
chiamami Rory e dammi del
tu.”
“C-certo.”
Rispose con lieve incertezza. Prese la mia mano e la girò,
baciandomi il dorso.
Mi
strappò un sorriso la sua goffaggine. Capii quasi
immediatamente che non era di
sangue nobiliare, anche se con quel baciamano tentò di
nasconderlo.
Fissai
tutti gli altri della fila e cortesemente li incitai a non badare a me.
“Prendete
pure la vostra porzione. Io farò la fila, come
tutti.” Sorrisi per confortarli,
ma non servì a niente.
Sbuffando,
afferrai il mio vassoio, le posate e il tozzo di pane dal cesto per
avviarmi a
passo di marcia fino alla distribuzione.
Il
servo mi passò con mani tremanti una ciotola piena di zuppa
dall’aria poco
invitante. La presi comunque e, senza badare ai mormorii e sussurri
degli
allievi, mi diressi al tavolo più in ombra di tutti,
dall’altra parte della
sala, nell’angolo.
Eccolo
lì!
Lo
vidi seduto al tavolo con la mano davanti alla bocca per non scoppiare
a
ridere, completamente rosso in viso. Ero felice che almeno qualcuno si
divertiva… alle mie spalle.
Feci
una smorfia irritata e presi posto di fronte a lui pur sapendo che con
quel
gesto avrei scatenato altri pettegolezzi.
“Ciao”
lo salutai indecisa se essere adirata per i suoi modi sfrontati o se
ridere con
lui.
“Buongiorno,
Lorelyne… o dovrei dire milady…”
rise ancora.
Incrociai
le braccia al petto e misi il broncio facendogli una linguaccia
decisamente
poco signorile.
“Va
bene, va bene… ciao, Rory.” Si corresse
asciugandosi una lacrima dagli occhi e
riprendendo fiato.
“Sono
lieta di vederti così vivace, oggi.” Lo imbeccai.
“Dai,
scusa… è solo che…” e si
rimise a ridere “Vedere i miei compagni così
imbarazzati non capita tutti i giorni.”
Voltai
la testa con finto risentimento.
“E
poi… tu che cerchi di familiarizzare con
loro…”
Pazzesco!
Nemmeno
era riuscito a finire la frase che già si piegava in due
dalle risate.
“Ok…
piantiamola, adesso. Sono qui perché ti devo parlare di una
cosa importante.”
Gli dissi sussurrando.
Anche
lui si ricompose e si sporse in avanti per sussurrare.
“Una
cosa importante? Di che si tratta?”
Mi
lasciai sfuggire un sorriso davanti al suo interesse. Di tutti,
lì dentro, era
il solo che mi prendesse davvero sul serio.
“Ho
notato che ultimamente c’è stato un po’
di movimento qui, soprattutto ai piani
alti dell’Accademia…” gli spiegai.
Vedendo
il suo sguardo accigliato, continuai.
“Temo
che ci siano dei problemi non poco trascurabili.”
“Un
momento.” Mi interruppe “Hai di nuovo
origliato?” mi chiese incrociando le
braccia al petto.
Gli
sorrisi con innocenza.
“Bè,
stavolta non è stata del tutto colpa mia. E’ stato
un caso fortuito…”
Tentai
di spiegargli. Lui annuì con disappunto. “Un caso
fortuito, eh?”
“Sì,
passavo casualmente davanti allo studio di mio nonno e…
bè…”
Gli
raccontai tutto, vuotando il sacco. Mi sentivo come uno dei grandi
messaggeri
che portava una notizia di vitale importanza al generale delle guardie
reali.
“Dohor?
Ido teme un colpo di Stato da lui?”
“Così
sembra.”
“Ma
per quale motivo? Insomma, non mi pare che fossero rivali tuo nonno e
il Re…”
Lo
vidi riflettere per parecchio tempo mentre io mangiavo quella brodaglia
senza
gusto, pensierosa. Una delle pochissime cose che avrei rimpianto se
fossi
divenuta allieva era sicuramente il cibo.
Mi
venne quasi da ridere vederlo così assorto. L’alta
fronte corrugata, i capelli
neri dai ricci arruffati e gli occhi color nocciola posati a fissare il
tavolo;
non mi ero mai accorta di quanto fosse cresciuto in quei due anni di
addestramento.
Presi
ad ammirare con finta distrazione il profilo del mento pronunciato
scendendo
poi lungo la linea del collo all’attaccatura delle spalle
dove i muscoli
guizzavano al minimo movimento. Sotto la divisa di maglina pensai che
ci
fossero nascosti dei bei pettorali.
Mi
vergognai quasi subito di quei pensieri poco consoni alla situazione e
mi
affrettai a distogliere lo sguardo dal suo corpo maledettamente
perfetto.
“Ascolta,
Rory… io non penso ci sia da preoccuparsi. Naturalmente Ido
saprà come agire a
fin di bene, soprattutto perché, con tutte queste piccole
guerre, la sola cosa
che ci manca è una rivoluzione all’interno della
nostra stessa Terra.” Espose
la sua teoria come fosse la sola risposta plausibile.
Con
il rossore delle mie guance che si dissolveva velocemente, lo imbeccai
con
convinzione: “Messa su questo piano, la tua teoria sembra
reggere, ma non è di
mio nonno che bisogna preoccuparsi, ma di Dohor.”
A
quel nome ebbe un sussulto.
“Sei
matta a parlare in questo modo, Rory? Dohor è il re di
questa Terra… se ti
sentissero le guardie saresti messa agli arresti
immediatamente!” mi sussurrò,
minacciandomi.
Credeva
che non ne ero al corrente?
“Ragiona
un attimo, Jona. Ido e Dohor non si sono mai visti di buon occhio. Dal
primo
giorno che quel ragazzino di buona famiglia mise piede in questo
palazzo fino
ad oggi, sul trono. Povera regina Sulana… che gli
dèi l’abbiano in gloria per
essersi maritata con un essere tanto viscido!” sputai senza
ritegno sul governo
del mio stesso popolo.
Badai
bene dal parlare a bassa voce, ma la rabbia cresceva ad ogni sillaba
che
pronunciavo.
Non
dimenticherò mai la storia del nostro sovrano, quando
sfidò mio nonno ad un
combattimento dal quale ne uscì illeso per miracolo. Stupido
bambino viziato e
orgoglioso!
Le
mani strette a pugno sul tavolo presero a tremarmi per l’ira
che non riuscivo a
mascherare. Non gli avrei permesso di uccidere mio nonno.
Jona
mi afferrò i polsi con dolcezza, quasi per tranquillizzarmi,
e prese a
massaggiarmeli amabilmente.
“So
che sei preoccupata per Ido, Rory, ma non ce n’è
alcun motivo. Vedrai che saprà
gestire la questione senza problemi...”
Lo
fissai. Scossi la testa ritraendo le mani dalle sue e portandomi le
braccia
incrociate al petto. I miei occhi si riflettevano nei suoi, bruciavano
e non li
mossi finchè Jona non abbassò lo sguardo. Volevo
che mi ascoltasse, che almeno
lui mi credesse.
Non
ero una bambina. Non lo ero!
“Sono
stanca, Jona. Non immagini quanto.” mormorai sciogliendo
quella posa poco
comoda. Le mani scivolarono in grembo e lo sguardo seguì il
loro movimento.
“Ti
fanno studiare, eh?” mi imbeccò con ironia.
“No...
non è questo.” Dissi mentre scandagliavo la mensa
con gli occhi. “Tutti mi
trattano come fossi nobile, ma non lo sono. Inchini, ossequi,
etichetta... io
non voglio tutto questo. Non... non è questo il mio mondo,
Jona, e non è questo
che voglio.”
“Certo
che lo è.” mi sorrise “Hai vissuto tutta
la tua vita così... trovo difficile
credere il contrario.”
“Non
capisci, Jona. Non voglio vivere di pizzi e grandi ricevimenti. Mia
madre è un
Cavaliere di Drago, mio padre combatte sulle linee nemiche usando la
magia... e
io cosa faccio? Non riesco a trovare il mio posto, ma so che non
è qui.”
Le
parole mi fuoriuscirono come un fiume in piena. Stavo sfogando la mia
tristezza
e, man mano che le frasi prendevano consistenza, cresceva la voglia di
fare ciò
che da un po’ avevo in mente.
“Voglio
vederci chiaro. Dohor non può spodestare mio nonno solo per
il gusto di vincere
una battaglia conclusasi anni fa. La sua è solo voglia di
vendetta... e io non
gli permetterò di rovinare la pace della sua stessa
terra.”
“Rory...
non puoi pensare di fermarlo... sei solo una ragazzina!”
Maledizione!
“Non
sono una ragazzina, Jona! Ho sedici anni e non sono stupida. Tanto meno
ho
voglia di rimanere ancora rinchiusa fra queste quattro, soffocanti
mura, mentre
là fuori succedono stragi in cui i miei genitori sono
immersi fino al collo.
Non ce la faccio, Jona... non chiedermi di stare ancora immobile a far
niente
perché non ci riesco!”
Notai
come il suo viso s’incupiva e la fronte aggrottarsi. A volte,
constatai,
assomigliava proprio a mio nonno...
“Spiegami
che diavolo vuoi fare, allora.” Quella frase suonò
più come un ordine che come una
resa.
Sapevo
che non avrebbe mai e poi mai acconsentito a quello che avrei voluto
fare. Lo
sapevo fin troppo bene...
“Voglio
uscire da qui... e voglio rivedere i miei genitori.”
sussurrai. Attesi la
sfuriata che si sarebbe scatenata.
“Non
stai dicendo sul serio, vero?”
Annuii.
Questo lo mandò in bestia.
“Ma
sei pazza? Ido ti ammazzerà davvero, questa volta! E
poi...” la strigliata fu
interrotta dalla forte melodia delle trombe che segnalavano la fine del
rifocillamento e del riposo. Ringraziai mentalmente ogni singolo
trombettiere e
mi ripromisi di non imprecare più contro di loro quando mi
svegliavano di buon
ora, al mattino. Dopotutto, mi avevano praticamente salvato la vita...
Non
lo lasciai nemmeno finire di sfuriare a bassa voce che scattai in
piedi, come
per dichiarare chiusa quella discussione.
“No,
Rory... te ne prego...” m’implorò
bloccandomi per un polso.
Con
rabbia mi accorsi che quel gesto e quella frase detta a voce troppo
alta
scatenò una serie di mormorii e di occhi strabuzzati fra gli
allievi dell’Accademia
ancora in sala mensa.
Mi
voltai per guardarlo e, riluttante, mi accostai a lui per sussurrargli
ad un
soffio dall’orecchio.
“Non
cambierò idea, Jona. Sei l’unico qui dentro che
ancora mi tratta per quella che
in realtà sono.” continuai, togliendogli ancora
una volta il diritto di
proferir parola “Stanotte sarò là,
nell’ala Ovest, solito posto. Ti aspetterò
al rintocco della prima ora di domani.”
Non
so cosa mi prese. D’improvviso non mi curai più di
tutti gli sguardi che mi sentivo
puntata addosso. Gli posai un leggero bacio sulla guancia, una cosa che
non
avevo mai fatto in vita mia con nessuno fuorchè mio nonno.
Tuttavia, non me ne
pentii.
“Qualunque
sia la tua decisione, spero di rivederti, Jona.”
La
sua presa si sciolse dal mio polso, la sua immobilità
sbigottita mi permise di
lasciare la mensa.
Non mi importava più di niente. La mia scelta ormai era presa.
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Continua...?!
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Rieccomi, ragazzi! Sempre in "leggero" ritardo, ho postato anche il quinto capitolo ^^
Ormai dovrete abituarvici XDDD
Ad ogni modo, volevo chiedervi come mai avete recensito in così pochi nel capitolo precedente...
Forse non vi piace come ho voluto continuarla?
Fatemelo sapere, vi prego!
Comunque... avete capito chi è Jona? L'avete riconosciuto? XD
Se la risposta è "no", allora andate a rileggervi le Cronache del Mondo Emerso. ^^
Spero ne siate rimasti sorpresi^^
Traquilli... ho ancora parecchi assi nella manica, oltre questo, per stupirvi.^^
O almeno, lo spero...
Ps: "La prima ora di domani" si riferisce a mezzanotte.^^
- Scheggia94: Grazie infinite per la tua recensione. Sono felice che il continuo sia di tuo gradimento! Continua a seguirmi... Bacioni!
- miss miyu 91 : Eccola qui!!! Sempre, eh? Mi segui in tutto e per tutto... Non sai quale immenso piacere!! ihih... grazie, tesoro! Sei unika! kiss
Un bacio anche da parte mia!
Hilary