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Autore: Skyfall    27/11/2013    1 recensioni
"Tornerai a trovarmi, vero?" domandai quasi supplicandolo mentre vidi comparire le sue fossette.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tate Langdon, Un po' tutti, Violet Harmon, Violet Harmon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera non scesi nemmeno a cena e non vidi i miei se non mia madre per cinque secondi la quale era venuta a ricordarmi che il giorno dopo avrei dovuto iniziare la nuova scuola.
Mi raggomitolai tra le coperte e non riuscii a chiudere occhio.
Quel ragazzo biondo e dall’aria innocente mi aveva sconvolto l’esistenza. Era forse vero poter conoscere e capire una persona solo con uno sguardo?
Aveva qualche tipo di potere particolare? Era forse un alieno?
Domande di questo tipo affollarono la mia mente per tutta la notte fino a quando le prime luci dell’alba iniziarono ad entrare dalle vetrate della finestra costringendo il mio corpo ad alzarsi nonostante la stanchezza che intorpidiva tutti i miei muscoli e le mie ossa.
Indossai un paio di parigine nere, una camicia lunga dello stesso colore e i miei stivaletti marroncino chiaro.
Raccolsi dall’angolo la mia borsa vintage in cui avevo messo tutto ciò che avevo di più caro e prezioso, poi mi pettinai di fronte all’enorme specchio che avevo nell’angolo della camera e conclusi con una passata di rimmel sulle ciglia.
Scesi in cucina e trovai mia madre intenta a preparare la colazione, non appena mi vide mi rivolse un sorriso che io non ricambiai.
C’era qualcosa che mi impediva di essere gentile con lei o con chiunque altro facesse parte della mia vita in quel momento.
Mi sedetti al tavolo e mi tuffai sulla mia tazza di cereali ingurgitando il tutto in poco tempo.
«C’è un po’ di succo d’arancia?» domandai a mia madre la quale non mi rispose e mi diede ciò che avevo chiesto per poi sedersi davanti a me.
«Ti va di parlarne?» domandò amorevolmente mentre spostava tutti i piatti che avevo utilizzato per la colazione.
«Parlare di cosa, scusa?» alzai gli occhi su di lei facendole capire che non volevo affrontare l’argomento.
La verità era che nemmeno io sapevo esattamente cosa mi fosse preso, probabilmente tutti questi cambiamenti avevano fatto scattare in me questo sentimento di odio e disgusto per qualsiasi cosa.
«Devo accompagnarti? E’ il tuo primo giorno» mi fece notare mia madre e io mi voltai di scatto verso di lei dato che ero già sulla soglia della porta.
«No grazie, la trovo da sola» non feci in tempo a concludere la frase che avevo già richiuso la porta alle mie spalle.
Aspettai di arrivare alla fine del vialetto con la sicurezza che mia madre non potesse più vedermi per poi tirare fuori una sigaretta e accendermela.
Alzai gli occhi al cielo puntando i miei occhi nel sole che splendeva in modo da vedere tutti i puntini neri, era una bella giornata di settembre a Los Angeles e di certo i miei programmi non erano quelli di andare a scuola.
Non me ne fregava nulla, il mio futuro volevo crearmelo da sola e di certo la scuola non faceva parte del mio piano di vita.
Svoltai a destra sul marciapiedi e iniziai a camminare senza una meta ben precisa, l’unico obiettivo che mi ero prefissa era quello di trovare un posto dove avrei potuto trascorrere la mia giornata passando inosservata, completamente nascosta dal mondo.
La strada su cui stavo camminando era affollatissima e tutta quella gente iniziava ad urtarmi.
Passai accanto ad un parco e decisi di non voler entrarci, era pieni di bambinetti urlanti e nonnine attacca bottone che non ti lasciano mai in pace.
Passai gli occhi sull’edificio che stavo costeggiando e notai che aveva delle scale antincendio che portavano al tetto e da lì si sarebbe avuta una visuale perfetta e completa di quella piccola zona di vita verde che era presente nella città.
Iniziai a salire le scale che erano molto numerose data l’altezza del palazzo e una volta arrivata andai a sedermi sul bordo del tetto con i piedi che penzolavano nel vuoto.
Iniziai a guardare tutte le persone che passavano per il parco e sui loro volti vedevo felicità, tristezza, gioia e disperazione. Vedevo emozioni.
Perché non riuscivo ad avere anche io delle emozioni? Perché non ci riuscivo più, questa era la domanda più logica.
Mi accesi un'altra sigaretta e chiusi gli occhi lasciando che la luce del sole irradiasse il mio viso.
Sentii delle voci provenire dal basso e guardai sotto di me, notando che c’erano certi passanti preoccupati del fatto che volessi buttarmi di sotto.
«Tranquilli, non voglio suicidarmi» li rassicurai scendendo e sedendomi con la schiena appoggiata al muretto del tetto.
In realtà il primo pensiero che mi era passato per la testa era proprio quello di buttarmi di sotto.
Richiusi gli occhi e appoggiai anche la testa al muretto, concentrandomi sul rumore delle auto che passavano sotto di me.
All’improvviso sentii i passi di qualcuno avvicinarsi e aprii gli occhi non appena lo sentii sedersi accanto a me, il suo corpo attaccato al mio.
«Come hai fatto a trovarmi?» domandai seriamente sorpresa al ragazzo biondo che mi aveva appena raggiunto.
«Vengo sempre anche io in questo parco la mattina, mia mamma ha rinunciato a mandarmi a scuola. Ti ho vista seduta lì sopra e ho pensato di venire a fare due chiacchiere per passare il tempo in maniera diversa» ridacchiò.
«Perché vieni in questo parco? Perché proprio questo?» gli domandai.
«Non saprei dire esattamente perché.. è sempre così…» lasciò la frase in sospeso e guardò in alto cercando le parole che in quel momento mancavano.
«Pieno di vita..» bisbigliai fra me e me.
Con la coda nell’occhio notai la sua testa voltarsi velocemente verso di me.
«Esatto.. pieno di vita..» ripeté leggermente incredulo del fatto che avessi concluso la sua frase.
«Perché non sei andata a scuola?» domandò dopo qualche minuto di silenzio.
«Non credo tu sia nella posizione giusta per chiedermi una cosa simile» gli risposi con una risata mentre portavo il mozzicone della sigaretta sotto lo stivaletto per spegnerlo.
Sentii il suo sguardo bruciare la mia pelle nella zona delle gambe che le mie parigine non riuscivano a coprire.
Mi sentivo in imbarazzo e non sapevo come comportarmi perciò l’unica cosa che mi venne in mente di fare fu quella di prendere un’altra sigaretta dal pacchetto.
«A cosa credi che ti porteranno tutte queste sigarette fra qualche anno?» chiese porgendomi la mano dove appoggiai il pacchetto.
«Cancro probabilmente  o se mi va meglio infarto o ictus.. in questo caso non mi accorgerei di nulla –raccolsi le ginocchia al petto ed espirai il fumo- puf.. finalmente fuori da questa merda, bello, vero?» spostai lo sguardo su di lui e lo trovai pensieroso a fissare un punto non ben definito davanti a noi.
«E per quale motivo dovresti morire tu? Uccidi, invece, chi ti rende una vita un inferno» commentò dopo un po’ con molta tranquillità.
«Non sono un’assassina Tate! Non potrei mai fare una cosa del genere!» scattai e ebbi l’impulso di spostarmi da lui, ma qualcos’altro mi costrinse a rimanere lì, accanto a lui.
«Era per dire!» scoppiò a ridere tirandomi il pacchetto di sigarette «mi sorprende che tu mi abbia preso sul serio!» continuava a ridere e io dopo essermi disincantata dalla sua risata iniziai a ridere a mia volta.
«Sono una stupida» quasi non riuscivo a parlare dalle risate, probabilmente non avevo mai riso così tanto in vita mia.
Continuammo a ridere per un sacco di tempo, la verità era che entrambi ne avevamo un disperato bisogno e quando l’occasione ci capitò sotto mano non esitammo a prenderla al balzo.
 
«Voglio andarmene di qui, non voglio rimanerci un minuto di più, odio questa città» esordii dopo un po’.
Eravamo sdraiati a pancia in su rivolti verso il cielo e sembrava che il tempo si fosse fermato.
«Pensa che io ci sono nato e cresciuto.. la odio più di quanto lo faccia tu e purtroppo non posso andarmene, almeno non ancora» commentò.
«Dove vorresti andare?» gli domandai con curiosità.
«Non importa dove, basta che sia il più lontano da qui, lontano da queste persone e lontano da mia madre che da quando avevo quindici anni non fa altro che mandarmi da psichiatri con la speranza che mi curino per una malattia inesistente» spiegò.
Io rimasi in silenzio e iniziai a pensare. Dopo poco una domanda spontanea si fece spazio fra i miei pensieri, che non riguardava la sua presunta malattia mentale, non mi interessava, stavo imparando a conoscerlo e non volevo aggredirlo con domande inopportune ed in ogni caso lui non sapeva il motivo delle sue visite dallo psichiatra.
La domanda continuava a ronzarmi in testa e iniziò a farsi sentire anche sul mio stomaco che iniziò a contorcersi scombussolato da emozioni strane.
Aspettai qualche secondo e poi decisi di chiederglielo, tanto non mi cambiava nulla.
«E con chi vorresti andartene?» avevo acquisito un’insicurezza nella voce che non mi apparteneva.
«Dipende da chi è disposto a seguirmi..» si voltò su un fianco guardandomi e sorreggendo la testa con la mano.
Io continuavo a guardare il cielo azzurro sperando che si trasformasse in acqua in modo da riuscire a spegnere il fuoco che stava divampando dentro di me provocato dal suo sguardo su di me.
Non mi ero mai sentita così, con nessun ragazzo in vita mia, molto probabilmente perché non ne avevo mai avuto uno, ma era una sensazione strana ma allo stesso tempo piacevole.
Sentii una sua mano raggiungere l’elastico di una delle mie parigine e poi salire lentamente provocandomi dei brividi incredibili per tutto il corpo.
Chiusi gli occhi ed inarcai leggermente la schiena quando le sue dita raggiunsero il mio inguine.
Lui stava scrutando con lo sguardo la mia reazione e io non avevo intenzione di fermarlo, qualsiasi cosa avesse intenzione di fare volevo la facesse.
Era tutto così tremendamente eccitante.
Improvvisamente però si fermò e io emisi un leggero gemito di disapprovazione e lui si risdraiò a pancia in su.
«Dovevi dirmelo» disse in tono quasi di rimprovero dopo qualche secondo.
«Dirti che cosa, scusami?» gli domandai dopo essermi appoggiata sui gomiti.
«Che sei ancora vergine..» ritornò a guardarmi con la testa sorretta dal suo braccio.
Io avvampai e ritornai a guardare il cielo e tenni in mente le mille mila domande che avrei voluto fargli.
«Sei molto sensibile è per questo che me ne sono accorto, è normale se non sei mai stata toccata da un ragazzo.. comunque scusami, non dovevo farlo, non ti ho portato rispetto» si scusò chiarendomi le idee.
«Non devi scusarti, non hai fatto nulla..» bisbigliai continuando a non capirci un tubo.
«Una cosa posso farla?» mi domandò sedendosi.
Io annuii imitandolo e iniziai a provare mille emozioni diverse al solo guardarlo.
Si inginocchiò di fronte a me e le sue mani circondarono il mio viso e io chiusi gli occhi scossa da tanti piccoli brividi.
Le sue mani erano la cosa più perfetta che avessi mai visto e il pensiero di averle sul mio viso in quel momento mi fece fare alcuni pensieri per i quali iniziai ad arrossire.
Sentii il suo respiro sempre più vicino al mio viso e poi le sue labbra combaciarono con le mie e io mi lasciai prendere totalmente da quel perfetto bacio.
Il primo della mia vita. Non riuscivo ancora a realizzare che un ragazzo si fosse interessato a me.
Quella era forse la mattinata più strana che avessi mai passato, ma di certo era una delle più belle.
Non so come successe ma mi ritrovai seduta sulla pancia di Tate mentre continuavo a baciarlo con sempre più passione.
Si era accesa una fiamma dentro di me.
E io non volevo spegnerla.
  
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