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Autore: FlyingBird_3    29/11/2013    5 recensioni
Emilia Romagna, Agosto del 1944
Il generale Badoglio ha firmato l'armistizio con gli Alleati, lasciando però i soldati italiani senza un ordine preciso su come comportarsi con l’esercito tedesco.
Maria De Felice è una ragazza di 23 anni, italiana, nata in una famiglia di alta borghesia. Ha potuto studiare con insegnanti privati, ed il suo sogno è quello di seguire il padre nei suoi viaggi attraverso l'Europa.
Friedrich Schuster, ufficiale delle SS a 30 anni, onorato di molte medaglie al valore per le sue imprese di guerra, guida le truppe tedesche all'occupazione dell'Italia settentrionale.
Le loro storie si intrecceranno, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, cambiando radicalmente le loro vite...
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
Capitoli:
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Ebbi delle complicanze dopo il parto, persi molto sangue e non feci altro che dormire tutto il giorno per riuscire a riprendermi, con il mio piccolo Federico accanto.
Madre Nicoletta comparve una mattina, dicendomi che bisognava si facesse l’attestato di nascita per il piccolo.
“Il cognome di suo marito?” mi chiese.
Rimasi spiazzata da quella domanda: non ero sposata, e non potevo tantomeno dire il cognome di Friedrich.
“De Felice” dissi, alla fine.
“Questo è il suo cognome, cara”
“Voglio che abbia il mio cognome.” Dissi, sicura.
La suora lasciò la stanza un po’ perplessa, lasciandomi riposare con il mio bambino.
 
Vissi in quel convento per un paio di anni; le suore mi aiutarono con Federico, ed io le aiutavo nei loro compiti quotidiani, lavorando duramente per meritare il cibo e il letto che ci offrivano.
Non ebbi tempo per pensare a nient’altro che a lavorare e passare il tempo con Federico; solo alla domenica, quando era tempo di messa, tutti i vecchi incubi e ricordi si presentavano alla mia mente, facendomi provare vergogna per me stessa.
In quel periodo la guerra finì, e l’Italia divenne una Repubblica; per la prima volta anch’io, come tutte le altre donne, potemmo votare.
Fu allora che iniziai a spedire lettere a Francesco; gli dissi dov’ero, che mi sarebbe piaciuto rincontrarlo. Non gli raccontai ancora nulla di Federico e di Friedrich, gli dissi solo che l’avrei aspettato.
Dopo un anno in cui spedii più di cento lettere, non ottenni ancora risposta.
Iniziai così a scrivere alle suore del convento che frequentavo, e al caro Don Armando, il parroco della nostra chiesa.
Verso la metà del secondo anno, finalmente ottenni una risposta: era una lettera dalle suore del convento in cui mi informavano che, dopo lunghe ricerche, avevano finalmente trovato Francesco.
Era stato ferito durante la guerra, ed ora si stava riprendendo in un ospedale “da campo” che avevano costruito in paese.
Mi dissero che gli avevano riferito tutto quello che avevo raccontato loro, e che il prima possibile mi avrebbe scritto lui.
Fui così contenta quel giorno, che presi il mio ometto e iniziammo a ballare per la stanza, ridendo fino allo sfinimento.
Federico stava crescendo, e a mano a mano che passavano gli anni, assomigliava a Friedrich sempre di più.
Era magrolino, ma piuttosto alto per i bambini della sua età; la pelle era chiara come quella del padre, e i capelli e gli occhi non erano cambiati. L’unica cosa che continua a differenziarlo da Friedrich è la bocca: non è sottile ma un po’ più carnosa, come la mia.
Mi arrivò una lettera di Francesco quello stesso anno, verso primavera: mi disse di scrivergli dove mi trovavo, che sarebbe venuto a prendermi.
Come un lampo tre mesi dopo si presentò alla porta del convento di Cuneo, ed io uscii perché gli uomini non potevano entrare. Tranne il mio bambino ovviamente.
“Mio dio Maria… come sei arrivata fino a qua? È passato così tanto tempo…”
Sembrava davvero colpito nel rivedermi; io ero raggiante, dopo la nascita di Federico mi sentivo cambiata.
“È una storia lunga… come sei cambiato Francè, sei davvero… un uomo ora”
Ci abbracciammo, stringendoci forte e a lungo. Stranamente non piansi, ma lasciai solo che la felicità del nostro incontro prendesse la meglio su di me.
“Avanti, prendi le tue cose che torniamo in paese.” Disse lui, sfregandosi le mani.
“Veramente… devo presentarti qualcuno prima.”
Chiamai Federico, e lui uscì di corsa ridendo, e sbattendo i piedi sulla ghiaia.
“Francesco… lui è Federico.” Mi abbassai, mettendomi al livello del mio bambino, “Fede, amore… lui è tuo zio Francesco”
Vidi dipingersi sul viso di Francesco un’espressione stranita.
“Cosa vuol dire?”
Io mi rialzai, lisciandomi la gonna.
“È mio figlio. Non lo vuoi conoscere? Lui era così impaziente di farlo…” dissi, stringendogli piano il braccetto, mentre lui nascondeva il viso nella mia gonna, un po’ vergognandosi.
“Chi sarebbe il padre?”
Rimasi di stucco, guardandolo dall’alto in basso.
“Davvero dopo tutto questo tempo l’unica cosa che sai fare è trovare dei motivi per giudicarmi?”
Lui si avvicinò con fare duro, e io spinsi Federico dietro di me.
“Scappi con i tedeschi mentre la tua famiglia bruciava nella nostra casa. Ti fai sentire dopo tutto questo tempo senza dirmi che hai un figlio… e oltretutto si vede che non è italiano. Dio… spero solo che non sia quello che penso.”
Mandai Federico dentro, dicendogli che la mamma lo avrebbe raggiunto.
“Non sono scappata con i tedeschi. Mi hanno fatto prigioniera, e se mi fossi ribellata avrebbero ucciso anche me”
Lo guardavo dritto negli occhi, con una nuova forza, sentendomi sicura di me.
“Tu ci hai fatto andare di mezzo, non cercare di dare la colpa a me. Federico è… è figlio di un tedesco, è vero. Ma lui mi ha amata, io l’ho amato, e dal nostro amore è uscito una cosa bellissima come tuo nipote”
La sua espressione diventò talmente cattiva che mi spaventò solo guardarlo.
“TI SEI FATTA SCOPARE DA UN NAZISTA, LO STESSO CHE HA UCCISO LA NOSTRA FAMIGLIA! Ma ti rendi conto? E ti ha lasciata proprio come fossi una puttana!”
La sua voce creava echi nella campagna intorno, e gli feci segno di abbassare la voce.
“Non urlare, porta rispetto sei vicino ad un convento!” dissi.
“Hai portato rispetto tu mentre ti facevi sbattere da quell’assassino? Hai avuto rispetto per la tua famiglia, per me e gli altri compaesani che combattevano per liberare l’Italia da parassiti come quello?”
“Non giudicarmi, non puoi. Tu non c’eri, non sai cosa ho passato.”
“Sei ancora la bambina che ho lasciato. Cosa ne vuoi sapere te? Hai fatto la guerra? Eri a faccia a faccia con il nemico, e non potevi avere un momento di umanità sennò finivi morto? Hai mai ucciso qualcuno?”
Dopo quell’ultima frase non dissi niente, non volendo rispondere.
“Sei proprio una delusione Maria. Ma nonostante questo non posso abbandonarti come ha fatto quel bastardo. Alla fine sei mia sorella… l’unica persona che mi è rimasta. Prendi il bambino e le tue cose, torniamo a casa.”
Si girò di spalle, prendendo una sigaretta dalla tasca e accendendola.
“Non voglio tornare a casa.” Dissi.
“E dove vorresti andare? In Germania dal tuo amore perduto? A proposito, lui dov’è adesso che dovrebbe aiutarti?
“Basta. Non ci tornerò mai più al paese. Tu non hai visto mamma ed Elena morte. Non hai visto il loro sangue allargarsi sul pavimento. Non ci voglio tornare in quel posto bigotto, dove la gente non fa altro che parlare e basta.”
“Hai paura che ti dicano la verità? Che ti ripudiano perché sei andata a letto e hai collaborato con uno sporco nazista?”
“Non mi interessa cosa dicono. Quell’uomo mi ha regalato la felicità più grande della mia vita.”
Senza neanche che me ne accorgessi, Francesco mi tirò uno schiaffo così forte che mi fece quasi cadere.
“Questo argomento è chiuso. Non parlare mai più di quello là, o potrei non rispondere delle mie azioni.”
Mi trattenei dal piangere, stringendo con forza le mani a pugno.
“Sbrigati a prendere le tue cose. Il marito di Elena è tornato nella sua città, andremo a stare da lui per un po’”
“No! Con lui mai!” dissi, consapevole di quello che sarebbe successo.
“Mi pare che non sei nella posizione di dettar legge. Sbrigati”
Mi alzai e scappai dentro, scoppiando a piangere come non mi succedeva da anni. Sentii una manina appoggiarsi alle mie sul viso, e le tolsi sorpresa.
“Mamma… no piangere” disse il mio bambino.
Io lo strinsi forte a me, rassicurandolo.
“No amore… la mamma non sta piangendo. Vai a prendere i tuoi vestiti e fatti aiutare da Madre Nicoletta a metterli in una busta. Zio Francesco ci porta in un bel posto, dove potrai conoscere tanti bambini come te, e potrai divertirti tanto… vai su!”
Gli diedi una piccola spinta, e lui corse allegramente per il corridoio.
Mi alzai e andai verso il bagno, chiudendomi dentro.
Dovevo essere forte per Federico, lui non avrebbe mai dovuto passare quello che avevamo passato noi.
Ma incoscientemente ripensai di nuovo a lui.
Friedrich, dove sei? Sei ancora vivo? Si che lo sei, ne sono sicura. Sei uno dei migliori.
Non sai quanto mi manchi… vorrei averti di nuovo accanto a me, per dirti tante cose, per farti conoscere il nostro bambino.
Mi pensi qualche volta? Ti ricordi ancora di me?
Io non ti ho mai dimenticato, anche se ormai sono passati due anni. Due anni in cui i tuoi occhi e la tua voce non mi hanno mai lasciata… perché lo so che anche se per poco tu mi hai amata. E continuerò a difenderti perché sei stato e rimarrai l’unica persona speciale che il Signore mi abbia fatto incontrare, cambiando la mia vita e facendomi capire cosa vuol dire essere una donna.
 
Il marito di Elena viene da Biella, una città vicino a Torino, nell’ovest del nord Italia. Prima della guerra faceva il commerciante assieme al padre, e fu in uno dei suoi viaggi che conobbe mia sorella.
Dopo quella conversazione fuori dal convento, io e Federico impacchettammo le nostre poche cose e salutammo tutte le misericordiose suore che ci dettero una mano, promettendo che gli avrei scritto al più presto.
Prendemmo il primo treno per Torino, e arrivammo a Biella verso sera; Francesco intanto si fece spiegare la strada per raggiungere la zona dove sapeva abitasse nostro cognato Andrea.
Un disagio crescente stava salendo in me: Andrea è sempre stato un uomo duro, con un rozzo carattere; non ammette sentire repliche, e quando pensa di avere ragione nessuno lo può contraddire.
Sapevo già che non mi avrebbe neanche guardata in faccia, dopo quello che era successo alla sua famiglia.
Per fortuna Francesco aveva fatto amicizia con Federico, e con mio grande sollievo lo trattava bene, senza denigrarlo.
Arrivammo alla casa della famiglia di Andrea che era quasi notte; ci venne ad aprire suo padre.
“Chi è?” disse, con tono aggressivo e non proprio cordiale.
“Sono Francesco De Felice. C’è Andrea?”
L’uomo aprì la porta, e un improvviso sorriso si dipinse sul suo viso.
“Francesco! Scusa, ma di solito non abbiamo ospiti che arrivano a quest’ora… vieni dentro, Andrea è in cucina”
Entrammo, e l’uomo strinse cordialmente la mano a me e al mio bambino.
Andammo tutti nella cucina, e vidi Francesco e Andrea che si salutarono calorosamente: quando combatterono fianco a fianco diventarono come fratelli. Quando salutò me invece, era molto distaccato e freddo.
Non passò molto prima che la miccia si accendesse.
“Come sono morti mia moglie e i miei figli?”
La domanda secca di Andrea mi spiazzò.
“Forse non è il momento per parlare di queste cose…” dissi, all’improvviso in un profondo imbarazzo, accennando a mio figlio.
Lui mi guardò con aria dura, versandosi un bicchiere di vino.
“Non passa giorno in cui non ripenso alla mia famiglia. Dimmi cosa è successo.”
Il padre di Andrea e Francesco mi stavano guardando; mandai Federico nella stanza accanto e finalmente glielo dissi.
“Ad Elena hanno dato un colpo in testa… ai bambini non so cosa sia successo. Probabilmente sono bruciati insieme alla casa.”
Dopo aver detto quelle parole, un senso di vomito mi prese la bocca dello stomaco.
Andrea all’inizio non fece una piega, poi sbatté con forza il pugno sul tavolo, facendolo traballare pericolosamente.
“Bastardi assassini! Li ucciderei a mani nude se potessi!”
La sua voce forte rimbombava per la piccola stanza; sentii qualcosa toccare le mie gambe, e girandomi vidi Federico stringermi.
Lo rassicurai dicendogli che andava tutto bene, ma non stava andando per niente tutto bene; infatti Andrea iniziò a chiedermi cosa avessi fatto per i tedeschi.
“Volevano che traducessi in italiano o in tedesco delle frasi.” Dissi semplicemente.
“Deduco che se sei ancora viva li hai aiutati.” Disse lui.
Cercai di mantenere la calma, stringendo la manina di Federico.
“Avrebbero ucciso anche me se non l’avessi fatto.” Dissi, in tono neutro.
“Meglio morti che aiutare quella gente. Cazzo gli assassini della tua famiglia!”
Lanciò il bicchiere di vino sulla parete opposta, mandandolo in frantumi. Federico iniziò a piangere silenziosamente, stringendosi a me.
Tremavo dalla rabbia: perché non capivano semplicemente che ebbi paura?
“So benissimo cosa hanno fatto, l’ho visto con i miei occhi. Non sono coraggiosa come voialtri, ho avuto paura della morte.” Dissi, onestamente.
Codarda.” Il sibilo di Andrea mi fece vergognare di me stessa.
Francesco si intromise nella conversazione.
“Andrea, devo chiederti se possiamo rimanere un po’ da te. Almeno finché non trovo un’altra soluzione.”
Andrea bevve direttamente dalla bottiglia, poi guardò me e infine Federico, come se l’avesse visto solo in quel momento.
“Spostati.” Disse rivolto a me.
“Perché?”
“Ho detto spostati. Voglio vedere il bambino.”
Federico continuava a nascondersi dietro di me, e io lo proteggevo.
Andrea si alzò e si avvicinò, spostandomi con forza e facendomi sbattere contro il fornello.
Prese Federico per un braccio, costringendolo a guardarlo; stava tremando di paura, e non gliene importava minimamente.
Un’espressione disgustata increspò il suo volto, e io mi avvicinai per portarlo via, ma un suo braccio mi fermò.
“Francesco… tua sorella ha partorito un diavolo…”
Lo scostai con violenza, e presi Federico in braccio, correndo fuori da casa.
Iniziai a piangere, ma non mi fermai quando sentii la voce di Francesco chiamarmi.
Correvo stringendo il mio unico raggio di sole in quel continuo buio; non riuscivano a capire che lui non c’entrava niente. Se la potevano prendere con me, ma con lui proprio no.
“Maria, cazzo fermati!”
Francesco continuava a inseguirmi, ma io volevo solo andarmene da lì.
Alla fine mi fermai, ormai senza fiato, e mi sedetti su delle macerie a bordo della strada.
Lui arrivò subito dopo.
“Dove cazzo pensi di andare?” disse mettendosi davanti a me, le braccia sui fianchi per riprendere fiato.
“Non verremo mai a stare da Andrea. Come si permette di trattare in quel modo un bambino? Lui non ne ha alcuna colpa!”
“Ha detto solo la verità.”
Io mi misi a ridere, di una risata isterica.
“La verità è che lui è un mostro? Perché? Solo perché è il figlio di un tedesco? È figlio di un uomo come te!”
Francesco si avvicinò mettendomi una mano sulla bocca.
“Non urlare, o non avrai vita facile se continui a sbandierarlo ai quattro venti.”
Mi calmai un po’, riuscendo finalmente a tornare con un respiro regolare.
Francesco si sedette vicino a me, sospirando.
“Tu non sai nulla di quello che ho provato in quei mesi. Ho sentito così tante emozioni contrastanti che non riuscivo più a capire cosa fosse giusto e cosa no.
Prima li ho odiati profondamente, poi ho dovuto trovare pace per me stessa perché quel continuo odio mi stava facendo impazzire. Non potevo parlare con nessuno, sempre chiusa in una stanza da sola.
Non facevo altro che pensare alla morte, a perché non ero morta anch’io. Ho provato a uccidermi un giorno. Ma non ci sono riuscita. Non ci sono riuscita perché…”
Stavo per dire Friedrich quando mi bloccai.
“Perché lui mi ha salvata. Mi ha salvata da un bombardamento, da un suicidio… mi ha tenuto compagnia mentre ero sola e triste. Ti sembrerà stupido ma in quei momenti non desiderai altro che essere amata da qualcuno. Volevo sentirmi a casa, circondata da persone che mi avrebbero protetta in caso di bisogno. Provare amore, e non più odio. Lui mi ha dato tutto questo.
Mi ha protetta e fatta sentire al sicuro mentre tutt’intorno non c’era altro che morte e violenza.”
Francesco rimase in silenzio, giocando con dei sassolini. Poi finalmente parlò.
“Non sai che rabbia mi fa, sapere che uno di quelli ti ha toccata.”
Misi un braccio attorno al suo, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Non mi ha fatto del male, mai. Francè… ti prego, non pensare che io non provi rimorso per quello che ho fatto. Tutti i giorni mi chiedevo se fosse giusto che io mi affezionassi a lui, tutti i giorni mi chiedevo perché continuassi a collaborare con gli assassini della mia famiglia.
Avevo semplicemente paura. Paura della morte. Di morire da sola, senza delle persone che si prendessero cura di pregare per me dopo. Avevo paura di essere una dei tanti che si vedevano accatastati sui carri per le strade. E poi… non so, ero talmente scioccata dalla morte di mamma e di Elena che non riuscivo più a capire cosa dovessi fare.
So solo che vedevo persone che morivano da tutte le parti, sia da quelli che erano i giusti, sia dagli sbagliati… e gente che uccideva, sia dai giusti sia dagli sbagliati. Persone come me e te. Soffro ogni giorno per le scelte che ho preso, ma non posso colpevolizzarmi all’infinito. Ho un bambino da crescere, un fiore che voglio aiutare a sbocciare.”
Francesco si slegò dal mio braccio, e mi strinse le spalle, avvicinandomi ancora di più a sé, accarezzando con l’altra mano i capelli di Federico.
“Le donne non sono fatte per la guerra. Te l’ho detto, non ci penso più perché sei mia sorella. Ma non voglio che si parli né del padre di Federico né di quello che ti è successo.”
Ritornammo a casa di nostro cognato, ma da quel giorno in poi io e Andrea non ci parlammo più.
  
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