Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JoiningJoice    01/12/2013    6 recensioni
Venezia, 1577. Un orfano di nome Jean guarda il corpo del suo migliore amico bruciare tra decine di altri corpi, mutilati e deformati dagli effetti della Morte Nera.
Venezia, 1582. Mentre la città ormai guarita si prepara a festeggiare il Carnevale, Jean viene avvicinato da un misterioso ragazzo dalla maschera nera. Qualcosa di grande sta per succedere, qualcosa per cui Venezia non è neanche lontanamente preparata...
Davanti agli occhi di Jean si formò l'immagine delle pire che avevano illuminato a giorno il sestiere anche nelle ore più buie della notte, fino a qualche settimana prima. La cenere cadeva ancora, più lenta e rada in quel momento, ma cadeva. Fu assalito da un pensiero improvviso, malato.
(Stiamo respirando cadaveri.)
Genere: Angst, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Di solito non faccio nulla del genere ma, vi prego, durante la lettura di questo capitolo mettetevi comodi, stringete un cuscino e ascoltate della musica rilassante. Buona lettura.


Vita e Morte a Venezia



La porta della stanza si aprì, e una figura incappucciata ne scivolò dentro, silenziosa. Abbassò il cappuccio, tolse la maschera che gli nascondeva il volto e scrollò la testa.


'Là fuori è il delirio più puro.'

I quattro occupanti della stanza si voltarono a guardarlo in apprensione. Jean avanzò verso il tavolo, afferrò un carboncino e tracciò delle X su vari punti di una mappa della città. L'unica ragazza presente, una coetanea di Jean con lunghi capelli neri, gettò un'occhiata alla mappa.

'Sembra incredibile che ci siano in città così tante guardie, durante le settimane in cui la città è in festa.'

'Sì, beh, credo sia normale, considerate le circostanze.', mugugnò Jean, slacciandosi la cappa di dosso e abbandonandola su uno sgabello.

Avvicinandosi alla finestra, Jean sentì gli sguardi insistenti di Mina, Thomas, Nack e Mylius posarsi sulla sua schiena. Si fidava abbastanza da chiedere loro aiuto ed asilo, ma non abbastanza da parlare di Christa, o della Maschera.


(non è mancanza di fiducia, è paura di coinvolgerli)


D'altronde, quei quattro erano stati suoi compagni per un breve periodo di tempo, quando erano molto piccoli. Avevano preso le loro decisioni e si erano allontanati dalla vita dei traffici, ma erano comunque suoi amici.

E Jean Kirschtein non metteva gli amici in pericolo.


'Credo che andrò oggi.', disse voltandosi. 'Non ha senso aspettare ulteriormente, uh? Le cose potrebbero soltanto peggiorare.'


Fu sollevato nel vedere che nessuno di loro pareva avere un'opinione diversa.


'Ti aiuteremo noi.', esclamò Thomas, entusiasta.


Jean sorrise debolmente.


*


Erano passati tre giorni da quando era scappato dai Piombi, tre giorni che aveva trascorso a casa dei suoi quattro amici, tra escursioni notturne nel sestiere di Dorsoduro, alla ricerca di Sasha e Connie. Aveva avvicinato Armin di soppiatto durante il secondo giorno, chiedendo informazioni. Il ragazzo, felice e sollevato nel vederlo, gli aveva però rivelato che non aveva idea di dove Sasha e Connie potessero trovarsi.

Jean era piombato nella più nera delle disperazioni. Quei due idioti... dov'erano finiti? Aveva contattato chiunque gli fosse possibile contattare in un periodo di confusione e baldoria come quello del Carnevale, sempre attento a portare con sé una maschera bianca procuratogli da Mylius, ma non c'era traccia di nessuno dei due.

L'unico posto in cui non era riuscito a controllare era l'isola della Giudecca, dato che gli spostamenti tra la baia e l'isola erano controllati rigidamente dalla guardia cittadina...e Jean non aveva fretta di rivedere il Francese.

Non aveva avuto più notizie neanche da parte della Maschera, e quel pensiero lo tormentava la notte. E se fosse morto? Se i due uomini che li avevano seguiti nei Piombi l'avessero ucciso senza pietà, e se in quel momento stessero pianificando di uccidere anche lui?

Non avrebbe dovuto importargli tanto, ne era consapevole; la Maschera lo aveva davvero cacciato in tutto quel casino, ma lo aveva anche salvato da morte certa, sia dai loro inseguitori che dalla condanna che gli sarebbe spettata.

La scomparsa di Christa non era più del tutto un segreto, ma trattandosi di una figlia bastarda la sua fuga non aveva fatto granchè scalpore; era più probabile sentirne parlare dalle donne al mercato che dai personaggi influenti.

Jean sistemò la propria maschera sul volto, ansioso, le spalle appoggiate al muro. Una donna gli si avvicinò, gli occhi celati da una maschera piena di piume rosse, e gli si appoggiò addosso.


'Vuoi farmi compagnia?', sorrise, avvenente.

Jean la spostò dal proprio petto, gentile. 'Sto aspettando un amico.'

La donna alzò gli occhi al cielo. 'Il tuo amichetto non verrà, ragazzino. Ma mi ha detto di riferirti che casa tua rimane incustodita tre ore dopo il mezzodì. E che sarebbe stato divertente vederti imbarazzato di fronte a queste.'


Abbassò la veste per mettere in mostra il proprio seno. Jean boccheggiò, spingendola via e maledicendo Eren Jaeger e le sue idee idiote. Almeno era servito a qualcosa contattarlo.

Mina lo aspettava all'angola, un sorrisetto idiota sul volto.


'Non sei cambiato di una virgola, eh?'

'Sta zitta.', esclamò sibillino. Questo fece ridere Mina anche di più. 'Libera tre ore dopo il mezzodì. Se controllano la casa, significa che non hanno spostato la merce. Possiamo creare una distrazione.'

'Perfetto.'

'Mina.', mormorò Jean. 'Potrebbe essere pericoloso.'

'Sarà una passeggiata, invece.', esclamò lei. 'Erano anni che non ci divertivamo un po' così. Tranquillo.'


Jean si chiese quanto a lungo avrebbe dovuto contare sugli altri. Una volta, qualcuno gli aveva detto che aveva la stoffa del leader e del comandante, ma lui continuava a sentirsi inadatto a dare ordini.


*


Il primo piano di quella che era stata la casa di Jean, Sasha e Connie esplose tre ore e dieci minuti dopo il mezzodì. Dal suo posto nel campiello vicino alla banchina, Jean potè sentirlo chiaramente. Sentì di aver reciso qualcosa di estremamente importante e si ritrovò a sperare che Mina, Thomas e gli altri stessero bene.

Non era il momento di distrarsi, in ogni caso; le guardie stavano già correndo verso l'esplosione. Sentì qualcuno di loro lamentarsi dell'entusiasmo degli avventori del Carnevale, qualche passante menzionare l'esplosione avvenuta qualche giorno prima, che Jean ricordava chiaramente: era successo durante il suo primo incontro con la Maschera.


La banchina era quasi vuota, ora; solo una guardia era rimasta al suo posto, e Jean sentì di poterla mettere tranquillamente al tappeto. I lividi erano quasi scomparsi, e il naso – l'unico punto che gli facesse ancora un male cane – era riparato dalla maschera. Prese la rincorsa verso l'uomo, ma dovette interruppersi a metà strada, superato a destra da qualcuno di molto più veloce di lui.

Mikasa era scivolata in mezzo alla folla, leggera, rapida e silenziosa, e si era gettata sull'uomo, colpendolo sul collo e facendolo collassare prima ancora che Jean potesse realizzare cosa stava succedendo; la raggiunse, preoccupato.

'Cre...credevo che non sareste venuti.'

Mikasa si sistemò la sciarpa, tranquilla. 'Non so chi sia più idiota, se tu che pensi di potercela fare da solo o Eren che mi ha trattenuta fino all'ultimo dall'intervenire perchè riteneva che sarebbe stato divertente vedere Armin svenire dall'ansia.'

Jean la guardò, grato che esistesse. 'Principessa, ho come l'impressione che tutto ciò ti importi molto più di quanto dovrebbe.'

Se quella constatazione le avesse dato fastidio, Mikasa non lo dimostrò; si limitò a guardarlo con occhi neri e profondi. 'Jean, cerca di ricordare. Potrebbe valerne della tua sanità mentale.'

Jean la guardò allontanarsi. 'Io non...perchè dovresti dire una cosa del genere?'

Mikasa si voltò. 'Perchè, dopo aver sentito il tuo racconto sull'anello, io e Armin ci siamo resi conto di non riuscire a ricordare quasi nulla degli eventi di cinque anni fa, o dell'epidemia. E tu, Jean? Tu ricordi?'

Jean fu tentato di risponderle con un “Sì, maledizione, perchè non dovrei?”, ma la verità era che Mikasa aveva ragione. C'era qualcosa di confuso e contorto, riguardante l'epidemia di peste.

'Io...ricorderò. Te lo prometto, Principessa.'

'Non chiamarmi così.', sospirò Mikasa, prima di sparire in mezzo alla folla.


*


'Chi non muore si rivede, eh!'


Jean fu tentato di avanzare nella stanza e soffocare la Volpe sul posto. Una volta arrivato sulla Giudecca aveva deciso che chiederle informazioni sarebbe stato un buon modo per iniziare la ricerca di Sasha e Connie, ma non si era certo aspettato di trovarli tutti lì.

'Jean!', esclamò Sasha, alzandosi con un salto dal letto per corrergli incontro ad abbracciarlo. 'Credevamo fossi morto!'

'Vi stavate struggendo, vedo.', sibilò lui, fulminando Connie con lo sguardo. Quest'ultimo alzò le mani in un gesto protettivo, e nel farlo si dimenticò di avere una bottiglia di vino tra le mani, il cui contenuto gli cadde sui pantaloni.

'Non lamentarti, Kirschtein. Tre giorni sono lunghi da passare rinchiusi in una stanza. Salute!', esclamò la Volpe, alzando un bicchiere verso di lui.

'Ymir, non dovresti bere a quest'ora!', la rimbeccò Christa. Ymir, eh? E così era quello il nome di quella diavolessa con le lentiggini.

Trattenendolo dal picchiare violentemente Ymir, Sasha, Connie e Christa raccontarono a Jean gli eventi successivi alla loro fuga. Christa e Ymir erano incappati in Sasha e Connie mentre questi pensavano ad un riparo, e Christa aveva insistito perchè Ymir li portasse con loro. Avevano raggiunto la Giudecca gettando un pescatore giù dalla sua barca – Christa si era lamentata con Ymir per tutto il tempo, e qui avevano raggiunto la stanza di Ymir all'osteria. Quest'ultima raccontò che le persone che l'avevano assoldata conoscevano quel posto, ma che non si erano fatte vedere perchè rivelarsi ai militari sarebbe stato complicato e quello per loro era un momento delicato.


'Chi sono queste persone?'


Persone potenti, aveva spiegato Ymir, che rispondevano ad un capo la cui identità era sconosciuta anche a lei, e si servivano di tre individui – due ragazzi e una ragazza – per comunicare con le varie spie e muoversi inosservati per la città. La Maschera rispondeva a loro, ma Ymir aveva solo una vaga idea del legame che il ragazzo aveva con i suoi aguzzini.


'Si dice che l'abbiano catturato, torturato o cose del genere.'

Jean sentì un brivido scendergli lungo la schiena. 'E tu e Christa come vi conoscete?'

Christa aveva preso parola, raccontando di come avesse conosciuto Ymir durante la sua prima escursione fuori dal palazzo, anni prima, e di come l'avesse aiutata a tornare a casa, senza però riuscire a ritrovarla negli anni successivi. Durante il racconto, l'espressione di Ymir si fece incerta, e Jean si chiese se in realtà Ymir conoscesse Christa da più tempo.


'Stavi per dirmi qualcosa, prima che arrivasse il caporale. Che genere di pericolo?', si interrogò Jean.

Christa scosse la testa. 'Tutto ciò che so riguarda ciò che Ymir ti ha già detto. Ci sono uomini potenti all'opera, uomini che vogliono riportare qualcosa a Venezia. Credo siano molto vicini alla riuscita dei loro piani.'

Ymir ammise di non sapere nulla di più, ma spiegò che l'esplosione di qualche giorno prima era stato un diversivo, esattamente ciò che aveva fatto Jean.

'Solo che questo è servito dall'allontanare le guardie da una struttura sacra, questo è tutto ciò che so.'

'Jean...'


Jean si voltò Connie stava seduto in un angolo in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto.


'Cosa c'è?'

'So che non mi prenderai sul serio perchè sono...hic...ubriaco.', sorrise Connie. 'Ma volevo dirti che il sogno della mia vita è diventare un gondoliere.'

'...oh.', mormorò Jean.

'Sì, dico sul serio! Immagina che roba! Al servizio di qualche ricco, in giro per la laguna, a vedere volti sempre nuovi! E poi, una volta messi da parte abbastanza soldi, potrò sposare Sasha!'

'Eeeeeeh?!', esplose Sasha, rossa in volto. Connie le si avvicinò e le prese le mani tra le sue.

'Non mi interessa quanto mangi, Sasha, voglio stare con te!', si voltò verso Jean, gli occhi lucidi. 'Ci darai la tua benedizione, Jean?'

Lui sospirò, spazientito. 'Quello che volete.'


Connie lanciò un urlo di felicità e abbracciò Sasha, che continuò a balbettare per un po'. Jean evitò di guardarli. Si sentiva il cuore vuoto e la testa troppo piena di complotti e preoccupazioni. Una mano gentile si posò sul suo braccio, e Jean si ritrovò a guardare gli splendidi, grandi occhi azzurri di Christa.

'Li terremo d'occhio finchè questa storia non sarà finita.', promise.

'E dire che dovresti essere tu quella preoccupata.', sospirò Jean. 'Ti stanno cercando.'

'Diciamo che sono abituata ad essere seguita.', sorrise lei. Ymir la guardò, e nei suoi occhi Jean lesse qualcosa che non aveva mai letto prima, e che lo colpì come nessuno dei calci del caporale era riuscito a fare: amore, puro e incondizionato.

'Ci nasconderemo da un'altra parte.', lo informò Ymir. 'Ti farò sapere dove tramite un qualche informatore.'

Jean annuì. 'Un'ultima cosa, Volpe.'

'Sarebbe?'

Jean sentì le proprie viscere annodarsi.

'Ho bisogno di sapere se la Maschera è vivo. Ho bisogno di incontrarlo.'


*


Piazza San Marco era illuminata a giorno dalle lanterne e dalle candele. In passato, Jean aveva già festeggiato il Carnevale lì, e si era fatto prendere dall'euforia e dalle danze sfrenate. I Veneziani erano un popolo esuberante e festoso, e il Carnevale era per loro motivo di giubilio più di ogni altra cosa al mondo. Era durante il Carnevale di tre anni prima che Jean aveva dato il suo primo bacio, proprio in quella piazza.

Quella sera però la festa, l'allegria e il vociare erano cose a lui estranee. Quando la Maschera gli si sedette accanto, silenziosa come sempre, Jean sentì il proprio cuore saltare più di un battito.

'Sei vivo.', constatò.

'A cosa ti riferisci?'

Jean non rispose. Fu la Maschera a riprendere parola, qualche attimo dopo.

'Jean, ti prego, balliamo. Sono anni che non vedo questo spettacolo. Voglio viverlo in prima persona. Con te.'

Si alzò e gli si parò davanti, allungando una mano. Da sotto la maschera bianca, Jean si morse il labbro inferiore, posando la propria mano in quella del ragazzo.

Si persero in mezzo alla folla in silenzio, tremanti e insicuri. Jean si rese conto che stava portando lui, e strinse forte la propria mano sul fianco del suo compagno.

'Credo di essermi ricordato.', sussurrò.

La Maschera non rispose.

Continuarono a ballare, incuranti del resto del mondo, incuranti dei sorrisi e dei brindisi, delle luci e dei baci rubati. Jean si fermò a metà sonata, togliendo la maschera dal volto. Dai suoi occhi scivolavano calde lacrime di disperazione. Si afferrò i capelli con una mano, folle.


'Leva quella maschera. Ho bisogno di sapere che non sto parlando con un fantasma.', sibilò. 'LEVA QUELLA MASCHERA.'

E ad un tratto si ritrovò tra le sue braccia, e il mondo intero scomparve. C'era solo lui, le sue braccia, il suo odore – sepolto nella sua memoria -, il nero della sua maschera contro il volto di Jean, fredde labbra di ceramica contro le sue. E Jean si beò di quella stretta finchè le dita del ragazzo non si strinsero contro la sua schiena con troppa forza.


'Cosa c'è?'

Jean avrebbe potuto giurare di averlo sentito ridere.

'È buffo.', esclamò. 'L'uomo che mi ha ucciso è dietro di te in questo preciso istante.'


Jean sentì una mano posarsi sulla sua spalla, ma non ebbe il coraggio di voltarsi. Attorno a lui, centinaia di persone ballavano perse nei propri sogni; con quella mano sulla spalla, lui si sentì scivolare in un incubo.

Si voltò lievemente.

Grisha Jaeger lo osservava, un'espressione di blanda follia a deformargli il volto.

Jean si voltò nuovamente verso la Maschera, in tempo per vedere la maschera cadere a terra, in tempo per intravedere una bassa, bionda ragazza sorridere da dietro la spalla del ragazzo.

Il volto di lei si increspò in un sadico sorriso. Jean udì chiaramente le uniche due parole che pronunciò.


'Marco, uccidi.'


E Marco scattò in avanti, un pugnale nella mano destra, la mano che non avrebbe dovuto essere lì. Jean sentì la lama affondare nella propria carne, la mano di Marco poggiata contro il suo ventre stringere l'elsa del pugnale.


Dal suo occhio sinistro cadevano, incessanti, le lacrime. Il resto del volto e del corpo era fermo, rigido, immobile.


'M-marco...eri davvero tu...'


Dopodichè, un'oscurità ancora più buia di quella dipinta sulla Maschera si impadronì della sua mente.






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Ciao.
Se sei arrivato fin qui e riesci ancora a leggere, e non stai prendendo a pugni il cuscino dalla rabbia, nè ti sei tolto le cuffie indignato scappando nella stanza a fianco, allora permettimi di dirti che mi dispiace.
Sì, mi dispiace di avervi presi in giro, e mi dispiace delle settimane passate da voi a speculare sull'identità della Maschera.
Ma mi dispiace di aver ucciso Jean? No. E poi capirete perchè.
Così come capirete il perchè Marco è vivo e perchè se ne va in giro con una Maschera.
Capirete tutto.
Nel prossimo capitolo.
- Joice

Qui trovate qualcosa da fare per calmare la rabbia. Chiedo ancora scusa.
   
 
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