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Autore: Lady_Sticklethwait    03/12/2013    6 recensioni
«Sig.ina Barbrook» una voce ben nota piombò dal sentiero opposto, accompagnata dalla splendida visione del duca di Bekwell, vestito come sempre in modo impeccabile nel suo abito color beije intonato al colore dei capelli scombinati .
Aveva un sorriso divertito e, sebbene non potesse ben vederlo, riusciva ad immaginare quelle scintille d'ironia che trasparivano spesso negli occhi color acquamarina.
«Sig.or Bekwell…» disse guardandolo come se si fossero appena incontrati in una circostanza assolutamente normale. « Come mai da queste parti? »
Colin rise. La sua non era una risata comune ma bensì qualcosa che scaldava l'animo, che rimbombava nella testa e poi scivolava via, lasciando delle adorabili fossette sul volto giovane e dai tratti raffinati dell'uomo.
«Devo dire che riesce sempre a sorprendermi , signorina Babrook»
«Come prego?»
«Avrei molte domande da farle, come qualsiasi persona normale penso voglia porle, ma, per il momento, penso di potermi trattenere e godermi lo spettacolo».
Scese dal cavallo, incrociò le braccia e la guardò con ludibrio.
«Ebbene?» proseguì sostenendo il suo sguardo a mò di sfida.
« Ebbene, sig.ina Barbrook, non capita tutti i giorni di vedere alle 8 del mattino una selvaggia molto affascinante su di un albero»
Genere: Comico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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                               Capitolo 51.

 

 

 

 

 

Ci sono momenti in cui l'uomo offre una varietà di motivi per farsi amare, com'è altrettanto vero che, ahimè, in molte situazioni compie scelte che chiunque definirebbe come 'folli, sbagliate, affrettate'.
Se c'era qualcuno in quel momento degno di essere designato con tali attributi era sicuramente Colin Bekwell, la cui serenità, se così vogliamo chiamarla, era stata bruscamente interrotta dalla sgradevole visita di Faith.
Certo, il nostro duca aveva tenuto testa alla velata astuzia della donna, ma i dubbi che gli aveva scaturito quell'infida creatura persistevano imperterriti, ed ogni secondo segnato dall'odioso rintocco dell'orologio sembrava beffarsi di lui.
Girando un'altra pagina del documento di suo padre scosse la testa, alzò leggermente il libro e costrinse gli occhi a riportare lo sguardo sulle prime parola della ventesima pagina.
«Non nego in cuor mio che la sua sola presenza mi allietava l'animo, com'era giusto che fosse, ma ogni qualvolta che mi sorrideva con gli occhi, giuro che il mio cuore mi si riempiva d'orgoglio per essere l'unico uomo a cui era destinato tale omaggio.»
Colin sbuffò ancora; non che non fosse interessato alle vicende amorose del padre, certamente, ma c'era un qualcosa nella sua ottica di studiare quella donna che lo inquietava.
«Scoprii di essere geloso, morboso, anche violento nei confronti del gentiluomini che la corteggiavano, ma la mia musa ispiratrice non sapeva quanto fosse passionale il mio sentimento.
Scoprii che provava un perverso piacere nella mia sofferenza.
Scoprii che tutta la matassa di sensazioni che mi inebriavano letteralmente il cervello svaniva al solo pensiero della sua voce soave nella nostra casa.
Giuro che avrei bandito gli usignoli purché questi non sovrastassero il canto celestiale di lei, la mia Afrodite, la mia amata, la mia Jane.»

«Perdio, padre. Potrei vomitare»
Colin mise un dito all'interno della pagina e lo socchiuse: una miriade di pensieri ancora più confusi di prima continuavano a punzecchiarlo, attendendo una sua reazione.
Non poteva crederci.
Suo padre aveva amato un'altra prima di sua madre?
Chi era?

Guardò l'orologio: le sette in punto di sera.
Si passò una mano sui capelli sconvolti per poi poggiare il mento sul pugno chiuso, e decise di continuare a leggere.
«La amavo, o sì, se non l'amavo.
Da morire.
Si può amare così tanto una persona, mi chiedo?
Si possono amare così tanto gli occhi cerulei della mia Afrodite?
Occhi brillati, furbi, scrutatori, solidali, caldi come la neve, freddi come il sole; non posso ignorarli con finta galanteria.
Non possono passare inosservati.
Non da me.
Non da Leonardo.»

«Perdinci!» esclamò Colin alzandosi dalla sedia.
Arrivò con quattro falcate verso il camino in modo da poter usufruire di una maggiore quantità di luce e si sedette senza troppe cerimonie.
Passò avanti di qualche pagina, fin quando ritrovò nuovamente il nome di questo sconosciuto, Leonardo.
«La feccia di questa società, il mio incubo peggiore, colui che affligge la mia esistenza senza remore: Leonardo.
Puro egocentrismo ed egoismo distribuiti in
ogni.singola.parte.del suo corpo,ma evidenti soprattutto nello sguardo calcolatore e perennemente neutro.
Non riesco a non pensare a quanta gioia – seppur ignobile – ho provato nel sottrargli TUTTI i suoi beni, TUTTI i suoi soldi e SOPRATTUTTO la donna che tanto bramava, la mia dolce e bella Jane.
Leonardo, futuro baronetto di Westing, mi è sempre apparso come un
ragazzino immaturo ed arrogante che ha vissuto la vita crogiolandosi nei suoi averi, trascorrendo boriosamente le sue serate in taverna ed ubriacandosi come se non ci fosse un domani.
La sua velleità più fastidiosa, oserei dire, è stata quella di
innamorasi, come dice lui, di incapricciarsi, come dico io, di Jane.
Birba a chi fosse mancato al duello avvenuto tra noi!
L'esito è stata la mia vittoria ma il farabutto non era ancora contento di non essere stato ridotto dal sottoscritto in brandelli e così, un giorno, decise di sfidarmi a carte, giocandosi tutti i suoi averi, sicuro di poter favorire in questo modo l'amore di Jane, e portarmela via..
Che Dio mi perdoni, ma credo di essere stato quasi in procinto di toccare il cielo ogni qual volta che vedevo il poverello seduto ai margini della strada a chiedere l'elemosina.
La giustizia divina esiste per tutti.

Colin girò pagina, ma si prospettava un altro monotono capitolo sull'amore che provava per quella donna.
Inoltre, un infida preoccupazione si insinuò nel suo cuore: che fine aveva fatto Leonardo?
E soprattutto, non è che c'entrava qualcosa con...
La risposta tanto agognata arrivò come un fulmine a ciel sereno, facendolo scattare sull'attenti una seconda volta.
Senza neanche pensare strappò le poche pagine che trattavano di quell'uomo, prese il cappotto, si infilò i guanti e scese le scale con rapidità fulminea.
Doveva assolutamente vedere Elisabeth.





 

 

 

Nello stesso momento...

 

 

 

«Elisabeth, ti prego» la esortò per l'ultima volta la sorella «è pericoloso.»
La donna continuò a spazzolarsi con più vigore i capelli «credi davvero che io abbia ancora paura del buio, Georgie?» chiese sarcastica. «Inoltre, se la memoria non mi inganna, chi mi chiedeva di non spegnere le candele prima di andare a dormire eri proprio tu.»
La sorella sospirò sonoramente «dai, lascia fare a me»; si avvicinò ad Elisabeth ed iniziò ad acconciarle i capelli «sai bene a cosa mi riferisco, Liz.»
«Georgie, Georgie, Georgie» sospirò «credimi se ti dico che questo non è solo un capriccio. Devo andare dal signor Bekwell. Ti prego, non chiedermi il perché»
La sorella iniziò a fare una lunga treccia con i capelli di Elisabeth in cui si interponevano tra una ciocca e l'altra alcuni nastri verdi, in completa sintonia con il vestito che indossava.
Durante l'impegnativa operazione, Elisabeth passò in rassegna tutte le cose che aveva da dire a Colin; per prima cosa, le sarebbe piaciuto schiaffeggiato sonoramente per essere sparito nel nulla, ma poi si accorse che forse era meglio passare al lato pratico invece di perder tempo con comportamenti aberranti.
Dunque, forse la cosa migliore da fare era trovare il documento che avevano trovato, leggerlo in poche ore e fare un resoconto della situazione.
Era sicura che prima o poi sarebbero usciti fuori da quella situazione indenni, ma per fare ciò era necessario che Colin la rendesse partecipe dei suoi progetti e delle sue azioni.
«Dico io, è così difficile andare oltre il falso mito della donna cialtrona
Georgie alzò un sopracciglio «Liz? Cosa stai farneticando?»
Elisabeth incrociò le braccia, strinse le labbra e sbuffò « nulla degno di importanza»
«Strano» continuò Georgie terminando la sua opera d'arte «avrei giurato di aver sentito un qualcosa su difficile e donna»
«Touchè»
Elisabeth ti alzò, si stirò la gonna lunga con le mani e fece una giravolta su se stessa.
«Sei un incanto» disse una terza voce proveniente dalla porta «chi cadrà sotto le tue grinfie anche questa volta?»

«Katherine» mormorò Liz con voce strozzata «Cielo, che assurdità. Non ho intenzione di sedurre ed abbindolare nessuno.»
La sorella avanzò di qualche passo «Se non ti conoscessi, direi che stai andando dal signor Bekwell»
Georgie fece una risatina nervosa, la quale si guadagnò un'occhiataccia da parte di Elisabeth.
«Traditrice» mormorò sull'uscio della stanza.
Georgie si sedette con dignità di una regina accompagnata da Katherine e fece spallucce, divenendo tutta rossa in volto.
E' noto che la bocca della verità siano i bambini, ma, in quel caso specifico, una virtù o un vizio di Georgie era di arrossire ogni qual volta che diceva una bugia.
La prova inconfutabile della verità.
Elisabeth scosse la testa e, dopo aver salutato le sorelle affettuosamente, scese le scale con calma disarmante.
Come sottofondo, non potevano mancare le risatine (mal)trattenute delle sorelle.

 

 

 

 

Dopo essere uscita di casa, la nostra eroina compie il doloroso viaggio -più assomigliante alla via crucis- per andare dal nostro duca che, dall'altra parte, si sta avvicinando- non con meno frustrazione-alla dimora delle sorelle Barbrook



 


Le lanterne della carrozza illuminavano alberi, siepi e l'intero sentiero, mentre questa percorreva Perrins così velocemente che Elisabeth sentiva il cuore palpitarle in gola.
Ella si era assicurata di trovare un cocchiere abbastanza fidato e rapido da poterla portare in pochi minuti alla residenza del signor Bekwell, ma quel viaggio si stava rivelando davvero un incubo!
Egli frustò nuovamente i cavalli e la carrozza sobbalzò violentemente facendole schioccare il collo contro il finestrino, che si rivelò più freddo del solito.
«Oh, questa era davvero brutta» commentò quando la carrozza svoltò all'improvviso, mandandola sul sedile opposto; per fortuna le concesse abbastanza tempo per rimetterla in sesto, poi sentì un urlo, ed essa sbandò pericolosamente percorrendo una quindicina di metri su due ruote e ricadendo sulle assi.
Elisabeth si ritrovò con il volto schiacciato contro la tenda del finestrino e socchiuse gli occhi dalla rabbia. Batté con il piede contro il tettuccio della carrozza per avvertire il cocchiere «Non aspettatevi neanche un penny da parte mia!»
Cercò di ricomporsi come meglio poteva, ma quando sentì più voci all'esterno ridacchiare e parlottare tra di loro un brivido di terrore le attraversò la spina dorsale e decise di restare immobile, nella vana speranza che nessuno potesse anche solo insinuare la sua presenza lì dentro.
«Signori, vi esorto a...»
Un tonfo sordo accompagnato da sghignazzi mise fine alle deboli proteste del cocchiere.
Elisabeth chiuse gli occhi: non era possibile, sua sorella l'aveva anche avvertita di non uscire!
Che possedesse qualche dono speciale?
Sperò vivamente che un giorno glielo avrebbe chiesto ed avrebbero riso insieme della situazione davanti ad un bel camino scoppiettante, una tazza piena di biscotti della signora Wrether, possibilmente al cioccolato, e...
«Dai amico, vediamo che bottino ci aspetta questa sera!»
Elisabeth si morse un labbro e si coprì il corpo con le braccia allorché si aprì la carrozza, rivelando il volto coperto di uno dei malfattori.
«Ehilà, bellezza» disse introducendo all'interno della carrozza una lanterna in modo da poterla scrutare meglio. Liz girò il volto dall'altro lato e l'uomo chiamò i suoi amici «E' una di quelle dannate donne dal sangue blu, cosa ne facciamo, capo?»
«Portatela fuori» ordinò un'altra voce
Elisabeth sussultò quando delle manacce fredde le presero con saldezza il braccio e la portarono fuori; la serata era fresca ma delle grosse nuvole minacciavano l'arrivo di un temporale.
Elisabeth guardò a terra e vide il povero cocchiere trucidato a pochi metri di distanza, supino, con il collo spezzato.
Uno di loro si avvicinò audacemente«Ciao, bocconcino»
«Smettila, Jhon» disse quello che prima era stato definito con il nome di capo.
Era un signorotto ben vestito rispetto agli altri, che spiccava forse per delle ciocche bionde irrimediabilmente oppresse da una pesante maschera marrone.
«Cosa volete?» chiese finalmente Elisabeth, facendosi coraggio. Tutti, ora, la stavano guardando, e dentro di lei si fece largo la sconcertante certezza che non avrebbe potuto ribellarsi né scappare dinanzi a tutti quei banditi.
«Gioielli, vestiti, oggetti di valore.»
«Dacci tutto» fece un altro, guardandola con avidità.
«Avanti!» incalzò gli altri Jhon, prendendola per un braccio.
Elisabeth si dimenò e lo spinse via; non fu un gesto cosciente, ovviamente, ma dettato dal puro istinto di sopravvivenza.
«Sporca puttana!» disse Jhon, il quale le diede uno schiaffo così violento da farla cadere per terra.
Il gesto del farabutto scatenò l'ilarità generale, mentre il capo rimase immobile.
Jhon si buttò su di Elisabeth, la prese per la vita e cominciò a strattonarle il vestito con intenzioni poco onorevoli; Liz si strinse a sé il mantello e si allontanò ancora ma, ahimè, un sasso la fece inciampare e cadde in ginocchio.
«Non abbiamo ancora iniziato, dolcezza» fece un bandito prendendole il cappotto e, con uno strattone, lo strappò in due parti.
Elisabeth gridò, lo guardò in faccia e lo sputò in un occhio. L'uomo imprecò e la spinse sulla carrozza, intento a schiaffeggiarla, quando, in quel momento, un proiettile proveniente dalla sua destra colpì al torace il malvivente che, prima di cadere in avanti, morto, assunse un'espressione sorpresa.
Gli altri banditi sussultarono nel sentire il boato della pistola di Colin. Nel vedere quell'uomo vestito con il panciotto di seta, la lussuosa camicia e gli stivali costosi, le loro facce si fecero incredule. Era il meglio che potesse capitare per i rapinatori, e Colin lo sapeva.
«Saltate sui cavalli ed andatevene. Nessuno di voi sarà colpito.»
Per un attimo nessuno si mosse, né i banditi né Elisabeth. Poi, lentamente, uno cominciò a ridere, stringendo Liz a sé.
«Subito!» ordinò Colin, continuando ad avanzare e cercando di impressionarli, facendo mostra di sicurezza.
E poi... E poi scoppiò l'inferno.
Lingue di fiamme uscirono dalle pistole di tre banditi mentre Colin udì il sibilìo di un proiettile che gli passò vicino.
Elisabeth, approfittando del caos, cercò di mettersi al riparo all'interno della carrozza. I cavalli impennarono, nitrendo impauriti. Colin avanzava attraverso la fitta erbaccia sul lato della strada, cercando di avvicinarsi ai ladri prima che avessero il tempo di ricaricare e sparare. Il piede si posò su una chiazza di fango e perse per un momento l'equilibrio.
Gran parte dei banditi stava battendo in ritirata, solo due di quelli corsero verso di lui, lanciandogli un torrente di minacce. Colin si spostò verso sinistra mentre un bandito sparava un altro colpo. Il fango schizzò in aria. Il malvivente continuava ad avanzare, ruggendo a squarciagola e tirando fuori l'altra pistola. Arditamente Colin scivolò sull'erbaccia bagnata, la guancia gli doleva come se fosse stata punta da uno sciame d'api. Era notevolmente svantaggiato, lo sapeva, ma non si diede per vinto. Neanche per sogno. Diede una stoccata per raggiungere la pistola, fece una capriola e alzandosi a sedere colpì con tutta la sua forza il bandito che avanzava.
Questo, colto di sorpresa, oscillò e Colin vide la possibilità di dargli il colpo di grazia.
Egli cadde indietro, portandosi le mani sul petto dove si stendeva uno squarcio ed emise un rantolo mortale.
L'altro aggrottò le sopracciglia, i suoi compagni erano già scappati via in chissà quale altro luogo e l'unica possibilità che vide fu quella di entrare in carrozza e vendicarsi dell'uccisione dei compagni.
Colin si sentì morire in petto allorché il bandito iniziò a correre verso Elisabeth che, ignara di tutto, si era nascosta all'interno della vettura.
«Elisabeth» urlò, rincorrendo il bandito con tutte le sue forze; quando l'uomo arrivò a pochi metri dalla carrozza non ci vide più e vi si gettò addosso, colpendogli una tempia con il manico della pistola ormai scarica.
Il bandito, prima di morire stremato, premette il grilletto sul petto di Colin.
Egli sussultò per la sorpresa, guardò il bandito abbandonare la vita e mise una mano sul suo petto: la camicia, un tempo bianca come il latte, era divenuta piena di sangue
Prima di piombare nel buio vide il volto di Elisabeth pieno di lacrime venirgli incontro e, sorridendole, cadde in un lungo sonno.









Lady Sticklethwait.







 

   
 
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