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Autore: Angie Mars Halen    03/12/2013    3 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14) NIKKI

Lo sapevo, io, che Grace si sarebbe montata la testa, ma nonostante questo me n’ero fregato e lei aveva finito col farsi mille viaggi mentali. Era vero che mi piaceva, ma solo come amica. Non ero uno dei suoi compagni dell’università con cui andare in giro manina nella manina, a sbaciucchiarsi quando a casa non c’era nessuno e a dire scemenze sdolcinate. Per la miseria, non ero uno di quelli che pongono fine all’idillio il giorno dopo, scatenando pianti, attacchi isterici e sceneggiate greche. Io della fidanzata non me ne sarei fatto niente, anzi, avevo a malapena la forza emotiva di avere a che fare con le tipe a caso che rimorchiavo alle feste a cui mi sforzavo di andare o nei backstage delle band che andavo a vedere. Ovviamente Grace era un’eccezione alla regola perché veniva a trovarmi spesso, un po’ come faceva Vanity, con la sola differenza che con lei potevo avere una conversazione normale. Adesso era seduta sul divano a guardarsi intorno, incuriosita da tutti gli strumenti della band e in particolar modo dalle chitarre di Mick. Avrei voluto fargliene provare una e vedere se le sarebbe piaciuto suonare con il volume al massimo, ma in quel momento cominciai a sentire i primi sintomi dell’astinenza. Ero riuscito a restare pulito per ben trenta ore, ma sembrava proprio che il mio corpo avesse di nuovo bisogno di una dose. Mi venne un gran mal di testa accompagnato da un prurito insopportabile e non riuscivo più a sopportare niente, nemmeno la voce di Grace che mi chiedeva se poteva provare la batteria. Tastai la pelle dura degli stivali per accertarmi che il mio armamentario fosse ancora lì nascosto e sospirai quando mi ricordai che la porta dell’ufficio si poteva chiudere a chiave. Si può fare, pensai.

“È un problema se prendo quella chitarra laggiù e la suono?” domandò Grace puntando un dito contro la Kramer con la stampa della cover di Theatre of Pain.

“Fai pure, però trattala bene,” mi raccomantai mentre mi alzavo in fretta e furia.

Grace mi guardò delusa. “Dove stai andando? Non resti qui a suonare con me?”

“Devo fare una telefonata importantissima nell’ufficio là in fondo,” buttai lì come scusa. “Temo che durerà a lungo. Oggi avrei dovuto chiamare questo tizio per il tour ma mi sono dimenticato. Visto che abbiamo una scadenza domani, sono anche abbastanza sicuro di prendermi una bella lavata di testa. Tu intanto suona e guardati pure intorno, però per favore non interrompermi mentre sono al telefono perché è veramente vitale.”

Grace restò immobile a guardarmi mentre correvo verso una porticina dall’altra parte del magazzino, poi la sentii dire che mi avrebbe aspettato mentre si alzava per andare a prendere la chitarra. Mi fiondai nell’ufficio, chiusi la porta a chiave e, ancora non contento, ci spostai contro una cassettiera di metallo, poi mi accucciai in un angolo della stanza e sfilai dagli stivali tutta la roba necessaria. Ci misi un attimo a preparare la mia dose – a forza di farlo, ero diventato esperto nel maneggiarla – e, mentre aspettavo che facesse effetto, ascoltavo Grace suonare la chitarra dall’altra parte del capannone. Stava provando a eseguire Louder Than Hell, una delle sue preferite, e suonò solo quella per tutto il tempo in cui rimasi barricato nell’ufficio a godere della botta che l’eroina mi aveva dato. Ero troppo su di giri per rendermi conto di quanto ci misi a fare quella che lei credeva fosse un’urgentissima telefonata di lavoro poi, finito il trip nel mio paradiso artificiale, raccolsi i residui che avevo lasciato in giro e li cacciai nel cestino sotto la scrivania, in bella vista come se fossero stati normalissimi fogli accartocciati gettati nella spazzatura. Spostai il cestino ancora più indietro con la punta del piede e uscii dalla stanza, barcollante e un po’ rintontito dalla piacevole batosta.

“Alla buon’ora, Nikki!” esclamò Grace sarcastica, interrompendo la canzone all’improvviso. “Avevo perso le speranze.”

Abbozzai un sorriso e mi lasciai cadere sul divano accanto a lei, stanco morto. “Invece sono qui. Tu, piuttosto, come va con la chitarra di Mars?”

Lucidò una parte dello strumento con la manica della camicia di jeans, soddisfatta. “È un’emozione unica poter suonare una delle canzoni che preferisco riuscendo a riprodurre alla perfezione gli effetti originali.”

“È merito dell’equipaggiamento di Mick.”

“Lo so, ma a casa devo arrangiarmi con quello che ho. È stato veramente bello, mi è sembrato di suonare meglio del solito,” raccontò mentre riponeva la chitarra sul tavolo. Si voltò poi verso di me e mi guardò attentamente, evidentemente insospettita dalla mia pessima cera. “Tutto bene? Sembri stanco.”

Sobbalzai e mi misi a sedere il più composto possibile, chiedendole perché avesse dubitato delle mie condizioni di salute. Lei rispose che le sembravo pallido e che avevo gli occhi lucidi come se mi stesse salendo la febbre.

“Sì, in effetti sono molto stanco. Oggi ho lavorato molto e aver avuto a che fare con quel promoter è stata la botta finale,” biascicai come scusa.

Grace si tornò a sedere sul divano e si tolse le scarpe, che allontanò con un calcio. “Vuoi dormire? Possiamo farlo, tanto qui ci stiamo tutti e due, poi ho già fatto le telefonate di dovere e ho inventato una buona scusa per stare fuori. Sai com’è, a casa si preoccupano per tutto.”

Annuii anche se, no, non lo sapevo. Non avevo avuto la fortuna di avere una madre e un padre che si preoccupassero per me quando scomparivo nel nulla. Anzi, erano loro a farlo per primi. L’unica che si fosse mai veramente preoccupata per me è stata mia nonna, ma finché avevo abitato con lei, non le avevo mai creato troppi problemi. Quando avevo vicino qualcuno che mi voleva bene e che ricambiavo, non sentivo il bisogno di scappare con gli amici fino a notte fonda.

Sospirai, ancora perso nei ricordi, poi mi ricordai che il telefono era sempre stato nell’ingresso, dove Grace lo aveva trovato, mentre nell’ufficio non c’era niente a parte una scrivania e qualche mobile che ci avevamo trovato dentro al momento dell’affitto. Forse se n’era anche accorta e stava facendo finta di non aver capito che la mia fosse una scusa.

Mi misi comodo anch’io, pensando che probabilmente in quel momento Vanity era già davanti alla porta di casa mia a gridare come un’ossessa perché non rispondevo, e lei era l’unico motivo per cui quella sera avevo preferito restare a Hollywood. Sapevo di averle promesso una serata insieme e avevo sperato che sarei riuscito a stare alla larga dalla droga se solo non ce l’avessi avuta intorno, invece avevo fallito. Intanto Grace si era accovacciata nell’angolo opposto del divano e si era stretta nella sua giacca di jeans, unendone i lembi con le mani.

“Non avrai intenzione di passare tutta la notte rintanata in un angolo?” esclamai. “Visto che siamo amici, o almeno così abbiamo detto prima, vieni più vicino.”

Grace strisciò sul divano finché non mi raggiunse, poi appoggiò la testa sulla mia spalla.

“Cos’è questo odore strano?” domandò con gli occhi già chiusi e la voce assonnata.

Mi domandai se per caso mi fosse schizzata della roba sui vestiti mentre mi preparavo la mia dose, e notai un’inconfondibile macchiolina sulla mia maglia proprio all’altezza del petto, vicino al viso di Grace. Lei non l’avrebbe mai riconosciuta e forse nemmeno vista, per cui decisi che non mi sarei preoccupato.

“Ogni tanto si sente qua dentro,” inventai mentre sentivo le palpebre diventare sempre più pesanti. “Forse è l’umidità, o la plastica dell’attrezzatura.”

Le cinsi le spalle con un braccio mentre stava già prendendo sonno, mi arrotolai una ciocca dei suoi capelli dorati intorno all’indice e pensai che in fondo potevamo veramente essere amici, e nessuno doveva azzardarsi a portarmela via. Volevo che stesse con me e in quel momento il mio cervello fottuto dallo schifo che mi ero appena calato decise avrei fatto il possibile affinché restassimo amici per sempre. Appoggiai la guancia contro la sua testa, accorgendomi che i suoi capelli profumavano di vaniglia, e anch’io mi addormentai nella solitudine del magazzino, con davanti le maschere di Theatre of Pain stampate sulla Kramer di Mick che mi guardavano e sembravano deridermi con le loro facce slavate e canzonatorie.

La mattina seguente fui il primo a svegliarmi, e non certo perché ne avevo voglia. A strapparmi dal sonno, l’unico sereno che avevo fatto nell’ultimo mese, fu il rumore di una chiave che girava nella toppa e delle voci familiari: attribuii immediatamente la prima, acuta e veloce, a Vince, mentre l’altra, più seria e pacata, non poteva appartenere a nessuno se non a Mick. Scossi dolcemente Grace per svegliarla, ma appena aprì gli occhi la porta del magazzino si spalancò con uno spiacevole suono metallico.

“...che poi nessuno ha chiesto il tuo parer– ehi, guarda, Mick, c’è Sixx!” esclamò il Vince, giulivo come se avesse appena scovato il suo gattino da sotto il letto.

Merda, pensai mordendomi il labbro inferiore mentre cercavo di pensare sul da farsi.

Riconobbi la sagoma non tanto alta di Mick entrare svogliatamente e chiedere dove fossi. Intanto Grace stava cominciando a rendersi conto della situazione e io mi irrigidii, determinato a non permettere loro di dirle nulla di spiacevole.

Vince mi chiese cosa ci facessi tutto solo nel capannone a quell’ora del mattino mentre passava in mezzo alle casse e agli scatoloni ammassati. Si avvicinava sempre di più e, appena arrivò davanti al divano, gli fu impossibile ignorare il fatto che non fossi da solo.

“C’è stato un festino, qui? Perché non mi hai invitato, razza di stronzo?” domandò maliziosamente indicando Grace. Lei aggrottò la fronte e si nascose dietro me, visibilmente infastidita dal comportamento di Vince, che chissà che razza di intenzioni aveva in testa.

“Non c’è stato nessun fottuto festino a cui non sei stato invitato,” sibilai. “Adesso porta fuori quel tuo bel culo prima che lo prenda a calci.”

“Ehi, datti una calmata!” esclamò Vince quasi ridendo, poi tornò a fissare Grace con il suo consueto sguardo da volpone. “Se ci tieni me ne vado, ma non prima di aver saputo il nome della tua amica.”

A quel punto, dopo varie imprecazioni la cui causa era sconosciuta a tutti, la testa arruffata di Mick Mars fece capolino da dietro una pila di scatoloni vuoti. I suoi occhi glaciali, dapprima socchiusi per la stanchezza e da una probabile sbronza presa durante la notte, si spalancarono all’unisono con quelli dei Grace.

“Tu...” ringhiò rivolto a me, il dito teso al massimo per accusarmi. “Come hai potuto farlo?”

“Guarda che non è come pensi,” mi difesi.

Vince guardò prima me poi Mick, evidentemente confuso. “Eh?”

Mick raccolse la chitarra con estrema delicatezza e la sistemò sul piedistallo. “Riportala subito a casa e vedi di lasciarla in pace. Sei pieno di ragazze e puoi averne quante di pare, perché devi importunare proprio lei?”

“Guarda che non mi ha importunata!” saltò su Grace.

“Eh?” continuò Vince, sempre più confuso, finché non esplose. “Qualcuno vuole dirmi cosa sta succedendo? Voglio sapere chi è questa ragazza, cosa c’entra con voi, e qual è il problema se adesso si trova seduta accanto a Sixx.”

Mick prese in mano la situazione e, prima che potessi anche solo mettere insieme le parole per rispondere, sbottò e spiegò che era una che aveva incontrato davanti al cancello della mia villa e che aveva dovuto riportare a casa perché pretendeva di vedermi nel momento stesso in cui lui avrebbe dovuto vedere me. Ovviamente a Vince non fregava niente del motivo per cui Grace si trovava nel nostro magazzino insieme a me e cambiò argomento, ricordandomi che dovevo recarmi immediatamente allo studio di registrazione per una riunione con Doc, possibilmente senza fare storie. Risposi che avrei dovuto prima accompagnare Grace a casa e nella mia mente aggiunsi anche che dovevo fare un salto alla mia villa per fare approvvigionamento di roba, senza la quale non sarei stato in grado di affrontare l’ennesima discussione in cui il nostro manager ci faceva le solite paternali. Vince sbottò e cominciò a ripetere che ero troppo in ritardo per farlo, ma ci volle la calma di Mick per convincermi ad andare agli studi mentre uno di loro avrebbe riportato Grace a casa. Mi accompagnò pazientemente fino alla motocicletta parcheggiata in cortile e mi disse, senza alcun giro di parole, che quella ragazza non meritava che uno stronzo come me le spezzasse il cuore con lo stesso tono di un fratello maggiore che vuole difendere la propria sorella. Non gli diedi ascolto e schizzai via rombando. Nessuno doveva permettersi di dirmi cosa dovevo fare, soprattutto adesso.




N. d’A.: Ebbene, Angie Mars colpisce con un giorno d’anticipo dal momento che sa già che per un bel po’ non riuscirà ad accedere...
Visto che anche Vince ha preso del tutto parte alla storia? Ci manca solo Tommy, ma è questione di pochi capitoli. Ad ogni modo, spero che questo sia stato di vostro gradimento.
Ci si legge mercoledì prossimo, che è anche il compleanno del caro Sixx. Ho qualcosina in serbo anche per questo avvenimento, purtroppo per voi. ;)
See ya!

Angie

   
 
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