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Autore: Panenutella    03/12/2013    3 recensioni
Lo guardai meglio: era un angelo….
Aveva il viso cordiale e aperto. Gli occhi neri e profondi come due pozzi guardavano attenti il mondo e risplendevano come la luna. I suoi lineamenti era fini e eleganti, proprio come quelli di un Elfo. La sua stretta era gentile, la sua pelle calda. I capelli corti e neri erano pettinati in modo sbarazzino. Indossava una maglietta bianca a maniche corte e mi salutò con un largo sorriso.
Nella mia mente contorta cominciai a sbavare come un mastino.
ATTENZIONE: la protagonista interpreta il ruolo della figlia di Galadriel – ovviamente inventata da me -, Hery, che ha una storia d’amore con Legolas e segue i protagonisti nel loro viaggio.
La maggior parte degli avvenimenti narrati in questa fic sono realmente accaduti, ma sono raccontati dal POV della protagonista.
Divertitevi, leggete e recensite in tanti! :)
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lesley's World'
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La mia vita sul set – Cap. 31

Mi scuso per l’incredibile ritardo, ma mi è successo una cosa spiacevole: circa due mesi fa ho scoperto che qualcuno ha plagiato questa fan fiction. Ho segnalato la violazione, ma ancora non è stata valutata. Perciò non sono riuscita a scrivere per un bel po’ di tempo, quindi vi avverto: chiedo per la schifezza che è uscita, ma è tutto quello che sono riuscita a buttare giù dopo questa faccenda….

Dalla finestra arrivava il suono del traffico in strada, macchine veloci che arrivavano e sgusciavano via indisturbate. Un sottile filo di luce attraversava il vetro e disegnava una linea retta sul pavimento, e un altro arrivava da sotto la porta chiusa; tutto era immobile, silenzioso, pacifico, e solo dopo qualche secondo mi resi conto che l’altra metà del letto era in ordine. Orlando non era ancora tornato.
Stringendomi le ginocchia piegate sotto le coperte, rimasi ad ascoltare: per la prima volta, dentro di me, sentivo il silenzio. Non il confuso turbinio di pensieri, sensazioni e rimorsi orribili che da mesi mi attanagliava lo stomaco, ma una pace ritrovata, finalmente la quiete dopo la tempesta.
Mi sdraiai. Possibile che fosse stato un sogno? Possibile che fosse così realistico, che non mi ricordassi neanche di essere arrivata in albergo e di essermi infilata a letto? Scossi la testa e mi girai su un fianco. No, non poteva essere stato solo un sogno, era troppo reale. Troppo pieno di dettagli e sensazioni per essere solo frutto della mia mente.
Sorrisi tra me e me: sogno o no, era successo davvero! Le avevo davvero detto addio, e i miei rimpianti si erano volatilizzati come polvere al vento!
L’euforia improvvisa mi fece aprire gli occhi, notando una cosa strana. L’altra metà del letto era vuota e di Orlando nella stanza non c’era traccia, ma l’orologio segnava le tre meno un quaro del mattino. Strano che i ragazzi stessero facendo così tardi prima di un giorno di lavoro! Forse si erano radunati in qualche stanza a bere ancora un po’. Probabile.
Allontanai le coperte da me e uscii piano dalla stanza, muovendomi il più silenziosamente possibile per non svegliare gli altri ospiti dell’albergo. Arrivai di soppiatto fino alla stanza che Elijah e Sean avevano affittato per il weekend e vidi che la porta era socchiusa. Lentamente la aprii, stando attenta a non farla cigolare, e infilai la testa dentro. Trattenni a stento una risata quando scoprii che erano tutti ammassati lì dentro a ronfare, alcuni accatastati per terra, come Orlando, altri buttati come capitava sul letto matrimoniale, come Dom, Billy e lo stesso Elijah. Il sottofondo era permeato da un russare disarmonico e disomogeneo, e tutti avevano ancora i vestiti e le scarpe addosso! Chiudendo piano la porta senza fare rumore e cercando di fare gimkana fra i Belli Addormentati senza svegliarli, scavalcando Billy in posizione fetale e evitando per un soffio la testa Sean che se la ronfava in una posa vagamente somigliante a un tappeto a forma di orso, saltellai fino al letto matrimoniale e mi sdraiai in uno spazietto libero in mezzo a tutti loro a poca distanza da Dominic. Mi accasciai con un sospiro, e Dom, che probabilmente mi sentì nel dormiveglia, socchiuse gli occhi e sussurrò:
- Tutto bene, sorellina?
Mi voltai verso di lui. – Sì – sospirai e sorrisi. – Sì, tutto bene.

Qualcuno ridacchiò. – Ho sempre sognato addormentarmi senza una ragazza nel letto e svegliarmici abbracciato!
- Ehi – un’altra voce. – Vuoi botte?
- Sono sveglia! – Bofonchiai attraverso le coperte.
- Sean, hai finito di divertirti in bagno? – strepitò Billy, sogghignando poi quando Sean lo mandò a quel paese attraverso la porta.
- Dai, piccola Les! Dobbiamo andare.
Finalmente sollevai la testa dal cuscino. – Che devo fare per dormire in santa pace? – Mi lamentai. Orlando, seduto vicino a me, sorrise.
- Di sicuro non addormentarti in mezzo a uomini casinisti e in dopo sbornia. – Si chinò. – E poi dormire con me in un hotel a New York.

Tutto era pronto per il mio secondo giorno da protagonista. Pur essendo ancora inesperta, di certo mi sentivo più pronta del giorno prima. Se intendessi pronta a dare il meglio o pronta a fare casino, ancora non lo sapevo. Sentivo soltanto il sangue che mi scorreva nelle vene e il terreno sotto i piedi. Il cielo pieno di nuvole e il vento appena più primaverile del solito.
A differenza del giorno precedente, avremmo girato in un capannone. Diverse scene richiedevano un’ambientazione troppo complessa per poter usufruire della natura, quindi si sarebbe utilizzato il Green Screen.
In programma avevo Dol Guldur, un colloquio con Haldir e uno scontro con un Uruk-Hai. L’ultimo era quello che in un giorno normale mi avrebbe preoccupato di più, ma avrei fatto faville!
Gli altri membri della Compagnia dell’Anello mi avevano accompagnato così presto sul set solo per farmi il tifo: non avrebbero fatto assolutamente niente per tutta la giornata, per loro valeva la pena spassarsela un po’, perché così avrebbero avuto qualcosa in più su cui puntare al nostro gioco “Indovina la papera”. – Per chi non conoscesse questo gioco, “Indovina la papera” si svolgeva così: ci sedevamo in cerchio con davanti una bottiglia di birra, e a turno imitavamo una papera che uno di noi aveva fatto sul set; il primo che indovinava chi era stato a sbagliare una scena beveva un sorso di birra, e vinceva il primo che arrivava a ubriacarsi. Ci giocavamo alla fine delle giornate più faticose.

Mi ritrovai con la schiena a terra prima ancora di poter avvertire il dolore sulla fronte.
- Ti avevo detto di stare attenta al ramo! – mi ricordò Craig porgendomi la mano e tirandomi su, mentre Peter rideva sotto i baffi e Dom usava la fotocamera di Viggo per fotografarmi.
- Non pensavo che fosse così basso!
Craig rise. – Di’ la verità: avevi paura che ti acchiappassi e hai giocato il jolly della caduta per destare il mio lato da gentiluomo.
- Sì, addio. Tecnicamente oggi pomeriggio ti sto facendo mangiare la polvere, ammettilo! Al prossimo “indovina la papera” ti userò come ispirazione. E dire che Allan* avrebbe dovuto metterci solo dieci minuti ad aggiustare quel dettaglio di Dol Guldur.
- Che cosa vuoi – rispose, e mi imitò quando mi sedetti a terra. – Siamo in un cast di professionisti. Tu stai dando il massimo oggi! Sei veramente bravissima: la tua interpretazione con Christopher Lee è stata magica! – Mi passò una nocciolina dal sacchetto che teneva in mano.
Arrossii. La giornata lavorativa stava ormai volgendo al termine, ma mi sentivo ancora carica di energia e fino a quel momento mi ero divertita come una matta a recitare le scene, anche quelle di cui Peter non era mai contento. Craig mi aveva raggiunta sul set solo dopo pranzo, tutti gli Hobbit tranne Dom erano andati in città e Orlando era dovuto andare ad fare un’intervista. Io e Craig avevamo fatto del nostro meglio per circa tre ore, quando al cambio di scena su Dol Guldur Allan si era accorto di avere sbagliato qualcosa nello scenario e avevano interrotto le riprese.
E così eravamo finiti lì, sul pavimento, ad ammazzare il tempo in attesa di riprendere il lavoro.
- A proposito, com’è finita quella storia del matrimonio tra te e Orlando?
Saggiai la punta di metallo della freccia che stavo rigirando fra le mani, distratta. – Gli ho detto che avrei accettato. In un futuro prossimo.
- E per quanto riguarda quel favore che mi hai chiesto?
Alzai lo sguardo. – Quello di insegnarmi a nuotare?
Lui annuì.
- Te la sentiresti?
- Non lo so, Les. Ti aiuterei volentieri, ma non me la sento di rischiare, specialmente se sei già quasi annegata. In più se hai paura io non posso combinarci niente, e in effetti non capisco perché chiedi questo a me e non ad un istruttore qualificato.
- Perché smanio dalla voglia di vederti a petto nudo!
Rise, risi. Ma poi lui si fece subito serio e mi si avvicinò.
- Les, devo dirti una cosa.
- Dalla tua faccia direi che è una brutta notizia…
- Sai che Haldir muore alla fine del film, vero?
La freccia mi punse il polpastrello, facendone uscire una goccia di sangue. La succhiai via. – Sì, l’avevo letto su Wikipedia. Non vuol dire che non ci vedremo più, vero?
Craig sorrise. – Certo che no. Se non mi dovessero chiamare per un altro film resterò qui a farti compagnia.
- E questa ti sembra una brutta notizia?
- L’hai pensato tu!
Gli tirai un pugno amichevole sulla coscia, ridacchiando. – Ti voglio bene, Craig.

Quella carica di positività e adrenalina durò per tutte le due settimane seguenti. Per me fu come tornare all’inizio di quella magnifica avventura, quando ero ancora un’inesperta ragazzina finita in Nuova Zelanda quasi per caso. Per me tutto aveva assunto colori nuovi, come se un arcobaleno fosse esploso e fosse caduto come neve su tutto ciò che mi circondava. Mi sorprendevo sempre dei gesti più insignificanti come prendere in mano una tazzina del caffè o spazzolarmi i capelli. Vivevo ogni secondo come il primo della mia vita. Finalmente, focalizzavo. Realizzai che per tutti quei mesi mi ero soltanto illusa di star vivendo, oppressa com’ero da quel senso di smarrimento e di delusione di me stessa. Ma adesso, adesso mi sentivo davvero parte della mia stessa vita. Provavo una sensazione di controllo e potere come mai prima di allora. Credo che anche gli altri notarono il cambiamento del mio comportamento, e lo accolsero a braccia più che aperte.
Ringraziavo per qualsiasi cosa mi accadesse: che fosse una birra insieme alla Compagnia o una scena girata cinquanta volte prima di risultare soddisfacente, che fosse un abbraccio appassionato con Orlando o un acquazzone preso senza un ombrello, tutto aveva il significato di vita.
E così, tra il lavoro, le birre al bar e una gioia irrefrenabile, quelle due settimane passarono.
E arrivò il giorno della prima della Compagnia dell’Anello.
   
 
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