Crossover
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Autore: Darik    05/12/2013    0 recensioni
Doveva essere solo una gita, studio unito a divertimento, ma in agguato c'è qualcosa che ha nella loro casa la porta d'accesso al nostro mondo, e il suo regno nel bosco che le circonda.
Cross over tra Magister Negi Magi e Evil Dead-La casa.
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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2° CAPITOLO
La professoressa si avvicinò cautamente alla botola.
“Izumi, sei lì?”
Presa dal timore che l’ultimo inquilino avesse dimenticato la botola aperta, e che ci fosse caduta dentro, la donna scese nel sotterraneo passando per una scala di legno, ritrovandosi in un ambiente umido e abbastanza spazioso, debolmente illuminato da un paio di lampadine appese al soffitto.
“Izumi”, chiamò ancora guardandosi intorno.
Purtroppo le lampadine non riuscivano a illuminare fino alle pareti della cantina, quindi Shizuna le mosse per indirizzare la loro luce verso i punti in ombra, e fu così che trovò finalmente Ako: le dava le spalle e stava davanti ad un piccolo tavolo addossato al muro.
“Izumi! Finalmente!”
La ragazza sussultò e si voltò: “Oh, professoressa, è lei, ma che ci fa lei…”. Si bloccò e contemplò il luogo. “Un momento: che ci facciamo entrambe qui?”
“Sei tu che ci sei venuta”.
“Io? Non ricordo…”
Fece alcuni passi in direzione dell’insegnante.
“Ako, cos’hai in mano?”
La ragazza si guardò le mani, rabbrividì e lasciò cadere quell’oggetto misterioso: una sorta di libro scuro.
Lentamente Shizuna lo raccolse da terra e lo contemplò, sembrava davvero un libro e anche molto vecchio, a giudicare dalla copertina, che tra l’altro era quantomeno raccapricciante; una sorta di mostruoso viso vagamente umano, bloccato nell’espressione di chi spalanca occhi e bocca per urlare.
La professoressa lo sfogliò, le pagine erano ingiallite ma in buono stato, e i fogli erano pieni di scritte astruse e strane, accompagnate da disegni macabri e grotteschi.
“Ako, perché sei scesa qui?”
L’altra la guardò un po’ intimorita, non capendo di cosa stesse parlando.
“Ehi, che ci fate laggiù?”
Yuna si era affacciata dalla botola.
“Avete portato le borse?”
“Sì, professoressa, nessun problema. Wow, non sapevo ci fosse anche una cantina. Voglio darci un’occhiata”.
Non appena Yuna fece per mettere un piede sul primo gradino, Shizuna ripose il libro sul tavolino, accorgendosi di sfuggita che c’era anche un registratore portatile, prese sottobraccio Ako e con passo svelto uscirono dalla cantina.
Vide che la botola aveva un catenaccio con lucchetto e lo usò per chiudere il tutto.
“Bene”, concluse togliendosi la polvere dalle mani sotto lo sguardo perplesso delle allieve, “diamo una ripulita a questo posto”.

Fu un lavoraccio, ma alla fine tolsero la polvere dappertutto, fecero cambiare aria aprendo le finestre, sistemarono la loro roba e quando finalmente poterono iniziare a mangiare, il sole stava ormai tramontando.
“Uff, che fatica!”, esclamò Yuna sedendosi mentre le sue compagne, guidate con mano sicura dalla professoressa, preparavano il cibo nella cucina, un luogo piccolo e ridotto all’essenziale.
“Vorrei tanto farmi una doccia”.
“Non puoi, almeno non adesso”, rispose Shizuna. “L’acqua del bagno proviene da una cisterna di acqua piovana. Devo controllare che sia tutto a posto. Se lo è, potremo farci una doccia, ricordandoci comunque che avremo ciascuna pochi minuti a disposizione”.
“Che noia, non mi piace dover fare la doccia in fretta e furia”, borbottò Makie.
“Se qualcosa non funzionerà, dovrete abituarvi ad usare queste”, continuò Shizuna tirando fuori alcuni pacchetti di salviette rinfrescanti, con grande desolazione delle altre.

Ako si svegliò di colpo, e si mise a sedere sul letto. Non riconobbe la stanza dove si trovava, era tutta bianca, elegante, e dalle finestre perveniva una luce calda e accogliente.
“Non capisco… non ero in quell’orrido chalet di montagna?”
“Mia cara”, disse un ragazzo vestito di bianco entrando nella stanza.
“Si… signor Nagi!”
Preda di un forte imbarazzo, Ako si coprì con il lenzuolo.
“Andiamo, mia cara, la colazione è pronta”.
“La… colazione?”, domandò lei sbirciando da sotto le coperte.
“Certo, è tutto pronto nel gazebo, e lo stalliere ha preparato i cavalli. Oggi t’insegnerò a cavalcare”, rispose lui sfoggiando un sorriso e uno sguardo talmente radiosi che Ako sembrò annegarci dentro.
“Su, andiamo”, la invitò porgendole la mano, lei imbarazzata e felice accettò l’invito.
“Ho capito, è un sogno. Me lo voglio godere allora, tanto i sogni non hanno mai ucciso nessuno”.

La professoressa Shizuna si girava e rigirava nel letto, per quanto si sforzasse non riusciva a prendere sonno, quindi decise di alzarsi.
Guardò l’orologio che aveva messo sul comodino, ed erano solo le dieci di sera, perché dopo aver cenato erano talmente stanche per le grandi pulizie fatte nella casa che erano andate a letto subito.
Eppure adesso il sonno le era passato.
“Perché ho questa sensazione che qualcosa non vada?”
Dalla sua stanza si affacciò sul breve corridoio che, come un serpente, si snodava all’interno dello chalet collegando tra di loro le varie camere.
Nel silenzio notturno udì uno strano rumore, lo seguì fino al soggiorno, aprì la porta e sbiancò: la botola era aperta!
E quel suono, la voce di un uomo che parlava in inglese, proveniva proprio da lì sotto: “…mi pentii subito di aver pronunciato quella formula, ma questo libro maledetto ha un fascino oscuro, non puoi resistere alla tentazione di leggerlo o almeno sfogliarlo. A volte penso che il libro abbia una volontà propria, che abbia voluto farsi trovare da me, che conosco l’antica lingua sumerica, affinché potessi recitare le sue formule dannate. Come quest’altra… oh Signore, aiutami! Aiutami a sfuggire da questo incubo, non riesco a resistere!”
Quando udì la nuova formula, Shizuna, pur non capendo il significato, si sentì rabbrividire sin dentro le ossa e di corsa scese nella cantina.

Ako e Nagi erano da tempo usciti dalla villa, sotto uno splendido sole primaverile, e ora si erano incamminati per un intricato labirinto.
“Si… signor Nagi, manca ancora molto per il gazebo?”
“Non preoccuparti, cara, ci siamo quasi”, rispose lui continuando a tenerla per mano.

Dentro la cantina, seguendo la voce, Shizuna raggiunse il punto dove c’era il tavolo col libro e il registratore, intravide la sagoma di una persona, la prese per le spalle e la tirò a sé, sotto la luce delle lampadine.
“Y-Yuna?!”
La ragazza la fissava con occhi inebetiti, era sveglia ma in qualche modo assente.
Sentendo ancora quello strano linguaggio, l’insegnante spense subito il registratore.

“Ahi!”
“Che ti succede, mia cara?”
Ako si toccò la guancia.
“Non saprei, mi è sembrato di sentirmi pungere”.
Sentì le dita bagnate, Nagi le prese la mano e la avvicinò a sé.
Le dita erano sporche di sangue.
“S-sangue?!”, mormorò Ako sentendo la testa che cominciava a girarle.
“Non preoccuparti, tesoro, ci penso io”.
Nagi infilò quelle dita nella sua bocca e cominciò a succhiare, dapprima con dolcezza, e imbarazzando Ako, poi qualcosa cambiò, la ragazza cominciò a provare un dolore sempre più forte, come se qualcosa le stesse raschiando le dita.
“Signor Nagi! La... la smetta!”
L’altro non ascoltò, anzi insistette, emettendo pure uno strano rumore simile ad un ringhiare.
“Basta!!”, gridò Ako tirando indietro con uno scatto la mano
Fu un cambiamento veloce come un battito di ciglia: all’improvviso il labirinto era scomparso, sostituito da un bosco fitto e tetro. E non era neanche più giorno, ma notte fonda, parzialmente rischiarata da una luna piena.
“Mio Dio, cosa è successo?! Sono in pigiama, a piedi nudi e da sola nel bosco?!”
Guardandosi affannosamente in giro, cercò di intravedere tra rami e cespugli lo chalet, quando qualcosa sibilò nell’aria e lei sentì ancora una sorta di puntura sulla fronte.
Se la toccò e ancora sentì le dita bagnarsi.
“Non sarà… come nel sogno… ma allora è… è…”
Non osò pronunciare quella parola, non volle nemmeno guardarsi le dita, non poteva permettersi di svenire in quel bosco, doveva tornare dalle altre.
Ci furono però altri sibili, seguiti da altre punture sempre più forti, prima sulla testa, poi sul resto del corpo.
Gridando, Ako iniziò ad agitare le braccia come se fosse avvolta da uno sciame di insetti e quasi per caso afferrò ciò che la stava colpendo: incredula, si ritrovò tra le mani un ramo lungo e sottile, che sembrava fremere.
Poi ricominciò ad essere colpita per ogni dove, e allora scappò terrorizzata.
“I rami… i rami mi stanno frustando!!”
Qualcosa si avvinghiò intorno alla sua gamba e la bloccò, facendola cadere a terra.
Era una radice, che spuntava dal terreno e cominciava a risalire, come un lungo serpente, lungo l’arto.
Strillando, Ako tentò di rialzarsi e di correre via, e tanto insistette che riuscì a sfilare la gamba e fuggì, sforzandosi di ignorare i dolori lancinanti.
Correndo a perdifiato nel bosco, senza una vera meta, girò dietro un grosso albero e improvvisamente andò a sbattere contro qualcosa.
Cadde all’indietro con un urlo.
“Ako!”
“Pro-professoressa!!”
Shizuna prima la guardò preoccupata, poi si accorse che era ferita.
“Santo cielo, perdi sangue! Vieni torniamo allo chalet!”
La prese sulle spalle e tornò alla casa.

“Mi sono accorta che qualcuno era uscito perché la porta d’ingresso era solo socchiusa”, spiegò Shizuna mentre applicava delle bende sulla gamba di Ako, piena di profondi graffi. “Mentre le tue grida mi hanno permesso di trovarti. Ma perché sei andata là fuori?”
La giovane non rispose, era molto pallida, probabilmente sotto shock, prima aveva solo farfugliato qualcosa riguardante dei rami, e se non fosse stato per gli occhi che guardavano freneticamente a destra e sinistra, sarebbe sembrata una statua.
Makie metteva dei cerotti sul viso e sulle braccia della compagna, Akira in cucina stava preparando una tazza di latte caldo e Yuna guardava accigliata fuori dalla finestra.
Shizuna fu tentata di rimproverare la figlia di Akashi, però si trattenne.
“Qui sta succedendo qualcosa che non mi piace. Perché Yuna ha rubato la chiave della botola ed è scesa nella cantina? All’inizio pensavo ad una semplice disobbedienza, però quando l’ho trovata aveva uno sguardo così vuoto, che mi fa pensare al sonnambulismo. Questo spiegherebbe anche le azioni di Ako. Però come è possibile che abbiano sofferto entrambe di un attacco di sonnambulismo nella stessa notte? Inoltre, non riesco a non vedere un collegamento con quello strano libro e le formule pronunciate nella registrazione. In questo luogo c’è qualcosa di maligno, che ha attaccato Ako e potrebbe fare del male a tutte noi”.
Finite le medicazioni, l’insegnante sospirò profondamente, poi parlò usando un tono il più possibile deciso.
“Ce ne dobbiamo andare!”
Yuna, Makie e Akira, appena giunta, la guardarono sorprese e perplesse: da un lato non gli dispiaceva andarsene da quel luogo. Però abbandonare tutto così, su due piedi, dopo la fatica fatta per sistemare la casa…
“Ako ha bisogno di cure migliori. Mi assumerò io ogni responsabilità col preside. Non perdete tempo a fare i bagagli, lasciamo questo posto all’istante e torniamo subito alla macchina!”
Nessuna delle allieve se la sentì di replicare, si limitarono a chiudere luci, porte e finestre, poi, armate di torce e con Ako portata sulle spalle dalla professoressa, s’incamminarono con passo svelto verso il fiume.
Quando arrivarono al ponte, restarono impietrite: le torce illuminarono, sulla riva, quelle che sembravano delle lamiere piegate all’indietro, Makie corse per vedere più da vicino e poi dichiarò spaventata: “Il ponte… il ponte è crollato!”
Le altre si guardarono in faccia, non sapendo cosa dire o pensare. L’unica cosa certa era un senso d’inquietudine che aumentava sempre di più.
“Dobbiamo tornare indietro”, concluse amaramente Shizuna. “Forse un altro passaggio esiste, ma cercarlo con questo buio sarebbe assurdo”.
Ritornarono sui loro passi, Akira illuminò per osservarle meglio le lamiere accartocciate del ponte, e le sembrarono delle dita artigliate puntate verso di loro.
Mentre solo chi la trasportava si accorse che Ako stava piangendo.

  
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