Bofur tentò di tirarsi su a sedere. La sua schiena stanca gli impediva di muoversi come invece avrebbe voluto. I movimenti gli sembravano impossibili da fare, e ogni muscolo era pesante.
Avrebbe voluto correre incontro ai suoi due ragazzi, e fare loro il solito cenno d'affetto. Avrebbe mostrato loro riverenza, e gratitudine.
Bofur era sempre stato un amabile giocattolaio, e un guerriero dall'animo sensibile. Era sempre stato il compagno di bevute dei suoi due ragazzi, perché come cantava lui le canzoni da taverna, non le cantava proprio nessuno.
I suoi due ragazzi, i suoi due, cari re, gli stavano andando incontro con passo potente, un passo maturo. Le barbe degnamente cresciute e dignitosamente curate e intrecciate, come si confaceva al loro rango, decorate con pietre e preziosi che solo il re dei Nani di Erebor e il suo carissimo fratello avrebbero potuto possedere. Le spalle larghe, e solide. E le corone, grande simbolo di potenza, fiere sul loro capo.
Armature possenti, ma non necessarie, in quei tempi di pace.
Bofur si sarebbe voluto alzare e offrire loro una degna pinta, come da sempre facevano. Avrebbero gridato “In alto!”, come sempre Kili gridava quando brindavano, e si sarebbero scolati quella delizia fino all'ultimo sorso, assaporandola.
Per un'ultima volta.
Bofur si sentiva molto stanco.
Le figure dei due re si stagliavano maestose, complete e compiute, sullo sfondo della magnifica città dei Nani, e tutto era bello di nuovo.
Una mano e una risata lo scossero, facendolo sussultare. Bofur scattò in piedi.
“Bofur!” Lo derise Kili, nuovamente, stranamente sbarbato e giovane, sorridente come non mai. Terribilmente giovane. “Ti sei addormentato, eh? Quante birre ti sei scolato, stasera? Vuoi darti ai bagordi poco prima di partire?”
Bofur, rinomato giocattolaio e guerriero dall'animo gentile, sorrise dolcemente.
“Devo essermi addormentato”, proferì poi, dopo una strana pausa, negli occhi un tremolio lucido.
Fili gli dette una pacca sulla spalla, e i due piccoli Durin si sedettero al tavolo.
Bofur si accomodò con loro e alzò il boccale, ridendo come sempre. Cominciava a non provare più la stessa gioia per la partenza imminente.
Forse sentiva improvvisamente paura. O forse era colpa di una pinta di troppo, e – stranamente, ma accadeva persino a lui – non era molto lucido, anzi: era assolutamente brillo. La testa e i pensieri andavano per conto loro.
Guardò nuovamente i ragazzi e pensò che, un giorno, niente sarebbe cambiato. Sarebbero stati sempre a quel tavolo, a bere quella birra e cantare quelle storie, circondati dalla stessa quantità di boccali – o ancora maggiore.
Lui avrebbe avuto, certamente, molte più rughe e più storie da raccontare.
E loro gli avrebbero tenuto compagnia con la loro leggerezza.
Leggeri.
Leggeri come un soffio.
Leggeri come un ricordo.