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Autore: ThisIsAnthony    09/12/2013    2 recensioni
Dal primo capitolo: "Edward si asciugò il sangue che gli colava dal labbro spaccato, e chiese, barcollante e con la voce roca: - Qualcun altro? -. La sua voce risuonò chiara e forte nel locale. Nessuno si fece avanti. Il capitano agguantò la sua bottiglia e bevve un sorso. – Bene – sbottò, dirigendosi verso l’uscita."
Dal secondo capitolo: "Si sentiva solo lo scrosciare della fontana al centro, e il verso di qualche grillo. Ma per il resto nulla. Edward tese al massimo i suoi sensi, sentiva che c’era qualcosa che non andava. Il più silenziosamente possibile, si arrampicò su una casa e scrutò la città."
Dal terzo capitolo: "Tulum era dall’altra parte dell’arcipelago, ci avrebbero sicuramente messo tanto. Il capitano sapeva che i marinai odiavano quel luogo per due ragioni: la misteriosità, l’alone di solennità così denso che si percepiva in modo concreto, e anche perché non c’erano taverne, né bordelli."
Saaalve c:
Questa è la mia prima fanfiction, quindi magari non sarò il sosia di Tolkien, ma me la cavicchio ahahah
Spero vi piaccia!
ThisIsAnthony
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Kenway, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4

– Avanti Vane – l’Assassino parlò, cercando di convincere il capitano della Ranger a cedergli la sua fiducia, e la sua nave. Sapeva bene, quando glielo aveva chiesto, che molto probabilmente Charles si sarebbe arreso alla corona piuttosto che prestargli la Ranger. Ma almeno doveva provarci, visto che sapeva dei metodi di persuasione abbastanza efficaci. O almeno, credeva di saperli prima di incontrare Charles Vane, noto anche come uomo-più-ostinato-sulla-Terra. Edward si alzò sulla sabbia della spiaggia di Nassau, catturando con gli occhi una fugace immagine del tramonto caraibico prima di voltarsi di nuovo e fissare Charles, gelido. Si decise a parlare di nuovo. – Per favore, mi serve solo per un mese – Cercò di infondere più persuasione possibile nella voce. Vane fece un verso di scherno, continuando a fumare la sua pipa, seduto su un barile. Edward era sul punto di estrarre la pistola e sparare in testa a Vane se avesse continuato ad ignorarlo. – Ho già chiesto a Ma…James – si corresse Edward – e ha acconsentito. Anche Thatch e Hornigold. Perché tu no? – chiese il capitano, sconcertato e con una punta di ira nella voce. Charles fece un gesto con la mano e si decise a parlare. O meglio, borbottare. – Perché tu hai distrutto la nave di Thatch. E anche la tua – Edward cercò di protestare, ma Vane lo zittì. – Vuoi che ti presti la mia nave? Prenditela pure – disse il capitano della Ranger – Ma se trovo anche un minimo graffietto sullo scafo sei morto, Kenway – Edward era sicuro che prima o poi avrebbe ucciso Vane, se avesse osato di nuovo zittirlo. Ma, per ora, aveva 5 tra le navi più famose dei Caraibi e una flotta per se. Non si degnò nemmeno di ringraziare Vane. Si incamminò il più velocemente possibile verso la taverna al limitare del falò, dove era sicuro di trovare Thatch. Avrebbe dovuto attraversare la città, che non era piccola. Si incamminò per la rete di strade e vicoli di Nassau. Si sentiva un po’ a disagio ad abbandonare la sua nave lì, ancorata al porto. E non perché temeva che qualcuno avrebbe potuto rubarla. C’era Anne, e la ciurma. Lui non voleva allontanarsi dalla sua nave. Dopo tutti gli anni trascorsi in mare, era diventata una parte di se, come d’altronde tutti i capitani. Scosse la testa per scacciare i pensieri e si concentrò sulla strada davanti a se. Continuò a camminare e presto si ritrovò di fronte l’accampamento di tende sulla spiaggia. Salutò qualche pirata qua e là, e si diresse verso la taverna dall’insegna d’oro. Lì trovò Barbnera, mentre beveva da un boccale, ridendo rumorosamente e asciugandosi la birra che a volte gli cadeva sulla barba. Hornigold era accanto a lui, sorridente. Si avvicinò al duo di pirati, e subito Barbanera si girò verso di lui, bevendo un sorso e posando il boccale sorridente, asciugandosi. – Kenway! – esultò. Oh, perdio. Si stava nuovamente comportando da padre. – Qual buon vento? – chiese, cordiale. Edward girò una sedia e vi si sedette sopra. – Thatch, un orso che balla il Merengue sarebbe più simpatico di te – borbottò. Hornigold, porgendo un boccale a Edward, venne scosso da un attacco di risa e versò tutto a terra. Edward sorrise, mentre Barbanera posava il boccale sul tavolo. Si ricordò dei suoi impegni e si schiarì la voce, catturando l’attenzione dei due pirati. Cercò di sovrastare il rumore della taverna. – Allora, Vane ha finalmente ceduto alla mia richiesta – esordì, quasi urlando – Per cui, dovremmo essere pronti ad attaccare. Si, sembreranno esagerate cinque navi per sconfiggerne una, ma sento che sotto c’è qualcosa – Thatch annuì, burbero. – Quei bastardi – sputò Barbanera fra i denti – me la pagheranno, perdio se me la pagheranno! – Benjamin annuì, assente. Quando parlò, aveva un tono stranamente profondo. – Credo che siamo tutti d’accordo che questo potrebbe rivelarsi catastrofico – Il suo sguardo si posò su Edward, che gli lanciò un’occhiata calcolatrice, come a chiedere “Questo cosa?”. Benjamin si risistemò sulla sedia e si schiarì la gola. – Non... non avete sentito? – Kenway e Thatch si guardarono, e scossero la testa all’unisono. Hornigold sospirò e alzò gli occhi al cielo. – Se ne parla ovunque qui. Tutti i pirati hanno subito attacchi da una nave uguale a come tu l’hai descritta – fece un cenno in direzione di Edward – e ne sono rimasti devastati – Sorseggiò dal suo boccale. – Come... tutti? – chiese l’Assassino, evidentemente sconcertato. Benjamin annuì. Edward sbiancò e si passò una mano sulla fronte. Se erano Templari, perché attaccare l’intera Nassau? Si guardò intorno. La maggior parte dei marinai erano feriti. Alcuni erano bendati, altri non ci badavano e continuavano a versare rum, bere, e scherzare. Edward non voleva prenderla così alla leggera. Scese dal tavolo e si appoggiò ad un palo di legno. – Allora – cominciò – se hanno attaccato tutte le navi, che non sono poche, di sicuro non può essere una sola nave – Si grattò il mento. Thatch annuì, e Benjamin parlò. – Si, la metà delle navi ancorate al porto basterebbe a sconfiggerne due. Ritornando al discorso di prima – Afferrò il boccale e bevve un sorso – avete in mente le conseguenze di tutto questo? La nostra Repubblica sfasciata, la città rasa al suolo, le nostre navi nelle profondità marine – Squadrò Edward come se tutto fosse colpa sua. – Se sono più navi, e credo proprio di si, non sono molte le probabilità di uscirne vivi. Siamo nei guai fino al collo – continuò, freddo. Thatch fece una cosa inaspettata. Parlò logicamente – per i suoi standard, ovvio –. Posò il boccale che aveva in mano, si asciugò la barba e parlò. – Miei compari, potete chiedermi tutto, ma non di vedere la mia nave distrutta –. Dal canto suo, nemmeno Edward avrebbe voluto vedere la sua nave distrutta. Stava per aprire bocca, per dire la sua, ma se non fosse stato per Thatch, una palla di cannone lo avrebbe colpito in testa. Il pirata infatti aveva scansato Edward con una gomitata, ritraendosi appena in tempo. Edward rimase stordito per qualche secondo, giusto il tempo che un intera bordata si scaraventasse su tutto l’edificio. Fu il panico. Edward cercò l’uscita, e, appena la individuò, uscì subito. Tossicchiò. Le stelle risplendevano nel cielo, ma i fascini finivano lì. La maggior parte degli edifici a nord di Nassau erano in fiamme, la cenere pioveva da tutte le parti, e un fumo spettrale si stendeva sulla città come un velo di morte. Edward rabbrividì guardandosi attorno. I pirati correvano ovunque, in cerca di salvezza. In mezzo alla coltre di fumo, in alto mare, si scorgevano tre sagome bianche, spettrali. Edward provò la stessa sensazione di gelo nelle membra come la prima volta che ne aveva vista una. L’Assassino si fece largo tra la folla verso la spiaggia, correndo tra le capanne ardenti, correndo in mezzo alla morte. Altre palle di cannone piovvero dal cielo. Per la prima volta in vita sua, Edward aveva paura di morire. Ma si concentrò a scansare le palle di cannone, si estraniò dai rombi infernali che esse producevano atterrando su edifici, capanne, persone. Qualcosa esplose vicino a lui. Un boato sordo lo colse a pochi metri, scaraventandolo sulla sabbia umida. Si alzò, tremante, e con la vista offuscata, e riprese a correre. Appena sentì l’acqua bagnargli gli stivali, il fumo cominciò a diradarsi, e tre possenti navi si ersero di fronte a lui. Enormi. Spietate. Terrorizzanti. Edward aveva il naso sanguinante, la testa gli pulsava, e pallini blu, verdi e rossi gli danzavano davanti agli occhi. Tutti i suoni gli arrivavano ovattati, distanti. Guardò una delle navi, quella più vicina. Enormi vele blu e scafo bianchissimo, perfettamente uguali a come se li ricordava. Settantadue cannoni – forse qualcuno mancante dopo l’attacco –. Da brivido. Nonostante ogni singola fibra del corpo gli implorasse il contrario, Edward si fece forza ed entrò nell’acqua gelida. Essa gli lambì le gambe, i fianchi, fino ad arrivare al torace. Appena sfiorò il collo, un brivido gelido percorse la schiena di Edward, che si tappò la bocca per non urlare. Non si era accorto del calore alla parte destra del collo, non si era accorto della ferita. Respirò pesantemente e cominciò a nuotare, nuotare e nuotare. La spada e i vestiti pesanti gli impedivano i movimenti, ma non se ne curò. La nave era a circa un centinaio di metri. Non poteva lasciarsela sfuggire anche questa volta. Si lasciò la città in fiamme alle spalle, e, mentre nuotava, un pensiero gli artigliò la mente. Benjamin, Edward, Anne. Come aveva potuto lasciare Anne? Se n’era accorta? Ricacciò indietro i pensieri e si accorse che era a una sessantina di metri dalla nave, che stava per sparare una bordata. Fece appena in tempo a prendere più fiato possibile e immergersi totalmente nell’acqua, che attutì i rumori di settantadue palle di cannone distruttive che gli volarono sopra la testa. Una volta finita la bordata, riemerse, fradicio, e si diresse verso la sua morte. La sua mano afferrò qualcosa di duro. Una ringhiera. Edward si fece forza e cominciò a scalare la poppa del vascello. Piedi e mani si posavano perfettamente su ogni appiglio possibile, in sincronia. Il pirata afferrò un asta, che si spezzò e cadde in mare con un tonfo. Le sue mani vacillarono nell’aria per qualche secondo, mentre lui precipitava, ma riuscì ad aggrapparsi ad una sporgenza e continuare la sua scalata. Era quasi arrivato in cima quando scorse il nome Fearless. “Allora è così che si chiama, Fearless. Vediamo se avrà ancora paura dopo che l’avrò distrutta” si disse Edward con un sorrisetto, ma con falsa convinzione. Raggiunse la ringhiera più in alto e scorse una ciurma intenta a dare fuoco ai cannoni. Edward strinse la presa sui suoi appigli e una bordata scosse la nave, creando onde sonore capaci di stordire chiunque. Ma non lui. Si accorse che una guardia stava passando esattamente sopra di lui, quindi si fece forza, estrasse la lama, la ficcò in gola al malcapitato, e lo tirò giù in acqua. Sporse la testa e vide che rimaneva solo il timoniere in quella parte del ponte. Si issò sulle travi di legno, cauto, e si avvicinò con circospezione al timoniere. Appena fu abbastanza vicino da sentire il suo respiro, estrasse la lama. L’uomo si girò, e l’Assassino scorse un viso pallido e degli occhi marroni, prima di infilzare il Templare. L’uomo cadde a terra, mentre Edward ritraeva la lama. Alzò lo sguardo e vide che qualcuno lo aveva visto, da prua. “Dannazione”, pensò. Non poteva attraversare il ponte, così, come un cervo che corre di fronte al puma. Eppure non sapeva cosa fare. I suoi occhi guizzarono sulla città, ma riuscì a vedere solo fumo e fiamme. Si concentrò sul suo bersaglio, che stava per dare l’allarme. Cosa poteva fare? Decise. Ormai non ne poteva più uscire vivo. Si lanciò sulla sua preda al massimo della velocità, percorrendo il ponte dei cannoni. Tutta la ciurma si girò verso di lui, perplessa, e subito estrassero le spade, i martelli, le pistole, le asce, e le baionette. Era circondato. Imprecò mentalmente per la sua stupidità e la sua più totale assenza di logica. Aveva una cinquantina di uomini che lo pressavano da ogni lato, e le sue pistole erano bagnate. Follia pura, ecco cosa galleggiava nel suo cervello. Estrasse la spada e digrignò i denti, urlando con la voce spezzata dalla disperazione. – Allora! Attaccate, luridi cani! Vi taglio le palle e le do in pasto ai pesci – sputò. Il primo uomo si fece avanti. Era molto robusto, ma Edward mirava ad una cosa. Una pistola. Gliene serviva una, immediatamente. Le armi a distanza erano le migliori in casi come quello, e il capitano aveva notato un carico di barili – che sperava fossero pieni fino all’orlo di polvere da sparo –. Il gigante attaccò con la sua ascia. Fu facile. Edward si scansò, con gli arti che imploravano pietà, rotolando per terra e afferrando la pistola del Templare. Gli diede un colpo in testa con il calcio, mandandolo al tappeto. La ciurma attaccò. Corse a perdifiato verso l’albero di trinchetto, sperando in un montacarichi. E così era. Salì su una cassa posta ai piedi dell’albero e diede un calcio ad una leva, aggrappandosi ad un uncino che lo librò in aria, facendogli raggiungere la piattaforma, mentre proiettili e coltelli gli volavano vicini. La guardia sulla piattaforma si girò appena in tempo per vedere Edward che gli dava un calcio in grembo e lo scaraventava fuori dalla nave. Il capitano si voltò verso il carico di barili di polvere da sparo, e mirò con la pistola. O quello, o finire uccisi da un manipolo di Templari. Preferiva la tortura eterna. Sputò sangue. Era il suo ultimo atto folle. Sarebbe morto da eroe. Chiuse un occhio, e il colpo partì, andando dritto a colpire un barile, creando una reazione a catena, che scosse il vascello. Un boato sordo riempì l’aria, e la nave prese fuoco. La potenza dell’esplosione arrivò fin lì, e scaraventò Edward fuori dalla nave, a una quarantina di metri più in giù. In acqua. L’ultima cosa che l’Assassino sentì fu il tonfo del suo corpo sull’acqua gelida. Non sentiva più le gambe, non sentiva più nulla. Sentì il barrito della nave che affondava, e i suoi occhi vagarono nel cielo, sulle stelle. Si focalizzò su una di esse. Il suo punto luminoso, la sua ancora di salvezza. Dopotutto, era un modo bello di morire. Chiuse gli occhi e si arrese al velo di oscurità calato su di lui. – Edward, svegliati, maledizione – il capitano sbatté le palpebre, e un dolore atroce lo colse alla testa. – Finalmente – disse Anne, sorridente. Edward riuscì a mugugnare un “Dove siamo?” rauco. – Sulla Jackdaw – Anne gli tastò la fronte – Scotti – disse, perplessa. – N... Nassau? – Chiese l’Assassino. Anne sospirò, e lo fissò, glaciale. – Anne, dimmelo, per favore – disse Edward, questa volta più chiaro. Anne parlò, la voce spezzata dal pianto – Distrutta –.




Uccidetemi pure.
Lol, non ho aggiornato, lo so, ma ho avuto troppi impegni. Scusatemi.
Questo capitolo è stato un parto comunque ahahah *feelslikeSuzanneTrollinsCollins*
Beh... che dire! Alla prossima, spero di avervi colpito almeno un po' c:
Sciao belli!
-ThisIsAnthony

 
  
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