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Autore: FlyingBird_3    10/12/2013    6 recensioni
Emilia Romagna, Agosto del 1944
Il generale Badoglio ha firmato l'armistizio con gli Alleati, lasciando però i soldati italiani senza un ordine preciso su come comportarsi con l’esercito tedesco.
Maria De Felice è una ragazza di 23 anni, italiana, nata in una famiglia di alta borghesia. Ha potuto studiare con insegnanti privati, ed il suo sogno è quello di seguire il padre nei suoi viaggi attraverso l'Europa.
Friedrich Schuster, ufficiale delle SS a 30 anni, onorato di molte medaglie al valore per le sue imprese di guerra, guida le truppe tedesche all'occupazione dell'Italia settentrionale.
Le loro storie si intrecceranno, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, cambiando radicalmente le loro vite...
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
Capitoli:
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Friedrich è tornato: non è un sogno stavolta, è tutto reale.
Nonostante questo, io mi sento inquieta. Non provo felicità, ma neanche rabbia.
Sono confusa, perché dopotutto io sono davvero andata avanti con la mia vita; l’avevo riposto in un angolo segreto del mio cuore, e si ripresentava solo in rare occasioni, quando non ne ero cosciente.
Ma ora è diverso… lui è vivo, e si ricorda ancora di me.
È stato chiuso dieci anni in carcere, e dopo tutto questo tempo, ha avuto il coraggio e la pazienza di venirmi a cercare.
Chissà poi come ha fatto a trovarmi.
Di una cosa sono sicura: voglio sentire per bene cosa gli è successo in questi anni. Vivrà con la sua famiglia ora? E sua moglie è consapevole che è venuto a cercarmi?
Per tutta la settimana non faccio altro che pensare a quello che è successo: con questi pensieri passano i giorni, in ansia dell’arrivo del sabato.
 
Il sabato seguente mi alzo presto la mattina, facendo attenzione a non svegliare Riccardo; scendo in cucina e preparo la colazione per tutti.
Mi sento contenta stamattina, e vado in bagno a prepararmi per andare fino in panetteria.
Decido di mettermi uno dei più bei vestiti che ho, uno svolazzante abito color cipria, e mi sistemo capelli e viso, truccandomi un po’.
Alle sei in punto esco da casa e scendo al paese, che sembra addormentato, all’alba del nuovo giorno.
È strano come, quando vuoi qualcosa, non arrivi mai mentre, quando non la cerchi, arrivi subito: così è stato per esempio con la notizia dell’arrivo di Federico. Oppure con la notizia dell’arrivo di suo padre.
L’ho aspettato tutto il giorno, cercando i suoi occhi negli sguardi della gente; i primi tempi lo facevo spesso, sperando ogni giorno in un incontro fortuito, ed oggi è la stessa cosa. Ho passato il tempo guardandomi intorno, eppure di lui nessuna traccia.
Ormai è mezzanotte, e dopo essere stati a casa di Anna, io, Riccardo e Federico torniamo a casa.
Francesco è andato in paese, al bar con i suoi amici, e non torna prima dell’una, le due.
Mando Federico a letto, mentre Riccardo mi dice che mi aspetta in camera.
Lo raggiungo dopo aver sistemato la cucina, ed inizio a cambiarmi per indossare la camicia da notte.
Appena sposati, a Riccardo piaceva che mi spogliassi davanti a lui; ora, invece, è di spalle che dorme già e russa sonoramente.
Mi stendo vicino a lui, e come tutta la settimana passata, mi giro e mi rigiro nel letto; dopo mezz’ora mi alzo e vado in cucina, cercando di occupare la mia mente in altro modo.
All’una e un quarto torna a casa Francesco, e lo vedo entrare con un’espressione sbalordita sulla faccia.
“Cosa fai in piedi?”
Sto lavando i piatti, con la camicia di seta rossa e la vestaglia uguale sopra, regalo di nozze di Anna.
“Mi sono ricordata di non aver lavato i piatti” dico, seria.
“E li devi lavare all’una di notte?! Ma stai bene?”
Continuo a lavare, ignorando quello che mi dice.
“Va bene, come vuoi donna… Io vado a letto. A dormire.”
Lo sento salire le scale e, dopo dieci minuti, chiudere la porta della camera.
Io intanto finisco di lavare i piatti e mi riavvicino alle scale, ma il sonoro russare di Riccardo arriva fino a sotto.
Con la nausea allo stomaco ritorno indietro, spegnendo la luce e raggiungo la finestra. Scosto la tenda e guardo fuori: buio completo. Non dormirò neanche stanotte, ne sono consapevole; così prendo una decisione: apro la porta ed esco. Sono ancora a piedi nudi, con solo la leggera vestaglia che mi copre fino alle cosce.
Mi dirigo piano verso il laghetto, stringendomi nelle braccia, e una volta arrivata mi fermo guardandomi intorno; riconosco gli alberi verso cui Friedrich si era avviato una settimana prima, così ripercorro quella strada, facendo un po’ di testa mia.
In mezzo ai campi fa molto freddo, ma non intendo fermarmi: voglio vedere dove mi portano i suoi passi.
Arrivo davanti ad un bosco, con abeti alti e fitti; mi appoggio ad uno di loro, scrutando nell’oscurità.
Non si vede nulla, e un lontano abbaiare mi spinge a non entrare; giro le spalle e ammiro i campi alla luce delle stelle. Tutto è così silenzioso e tranquillo che potrebbe assomigliare ad un limbo.
Dopo alcuni minuti sento uno scatto dietro di me, come il rumore di un grilletto.
Fermo
Sono immobile, sentendo un gelo improvviso.
Dei passi si avvicinano, e stavolta inizio davvero ad avere paura.
Cosa cerchi?
La R, pronunciata nella sua inconfondibile maniera teutonica, non mi lascia altri dubbi: è lui.
Friedrich…?
Ho le mani alzate, e per lo spavento ed il freddo sto tremando.
Lo sento avvicinarsi e girarmi con forza: incontro i suoi occhi chiari, e leggo sul suo viso un’espressione di sorpresa.
“Cosa ci fai qua?” la sua voce è dura, come fosse un rimprovero.
“Non riuscivo a dormire… E tu invece? Cosa ci fai in mezzo al bosco con un fucile in mano a quest’ora?”
Lui mi mette una mano sulla schiena e mi spinge verso l’interno del bosco; non risponde finché non entriamo dentro una casetta di legno.
“Ho comprato un fucile per proteggermi.” Dice, sintetico come sempre.
“Per proteggerti da cosa?”
“Dai comunisti e dai partigiani. Hai freddo? Stai tremando”
“I partigiani? La guerra è finita da un pezzo. Perché dovresti difenderti da loro? Non esistono più!”
Lui appoggia il fucile sopra ad una mensola, e spegne con un soffio la candela che era accesa sul tavolo.
“Esistono ancora. Nonostante tutto io ero un nazional socialista, e lo rimarrò fino alla morte.”
Cerco di guardarlo, ma al buio mi risulta difficile.
“Cosa stai dicendo?”
So benissimo cosa sta dicendo, ma preferisco pensare che mi stia sbagliando.
Lo sento sospirare.
“Non importa, non parliamo di questo ora. Eri venuta a cercarmi?”
“Ecco…” mi guardo intorno, ma non riesco a vedere molto perché gli occhi non si sono ancora abituati all’oscurità, “Posso sedermi? Perdonami, ma non vedo niente…”
Sento una sua mano prendermi il braccio, e un vuoto improvviso allo stomaco fa accelerare il battito del mio cuore. Mi porta vicino ad una sedia e me la spinge leggermente vicino.
“Scusa, ma non posso accendere luci di notte. Aspetta un attimo”
Lo sento muoversi nella stanza e ritorna vicino a me, mettendomi una coperta sulle spalle.
Le sue mani sfiorano il mio collo, facendomi arrossire violentemente, come un adolescente alla sua prima cotta; almeno ringrazio il fatto di essere al buio.
“Come stai Maria? Raccontami qualcosa di te. Sei felice? Tuo marito ti tratta bene?”
Si siede davanti a me, dopodiché il silenzio cala nella stanza e mi sento in imbarazzo a dover rispondere.
“Bene… si tutto bene…” dico, balbettando.
Lui rimane zitto per alcuni secondi, poi continua con le domande.
“I tuoi figli?”
“Ehm… bene si…”
Inizio a sentirmi a disagio: lui è molto dolce a chiedere di me, ma non voglio parlargli della mia vita, non ora.
“Raccontami di te invece… io non so nulla di quello che ti è successo dopo che te ne sei andato da Cuneo.”
Resta in silenzio un attimo prima di rispondermi.
“Davvero vuoi che ti racconti ancora quelle storie?”
Lo so che non gli va, come non gli andava dodici anni fa di aprirsi per condividere il suo dolore.
“Mi farebbe piacere sapere della tua vita… non sei costretto.”
Deve aver cambiato posizione sulla sedia dai movimenti che sento, poi finalmente inizia a raccontarmi.
“Come ti ho già detto gli americani hanno fatto prigionieri me e la mia squadra due mesi dopo che ti lasciai. Ci processarono quando la guerra finì; quei bastardi picchiavano i testimoni, per fargli dire quello che volevano loro, e colpevolizzare soldati che colpa non ne avevano.”
“L’hanno fatto anche con te?” gli chiedo, interrompendolo.
Si
“Hai testimoniato il falso? Ti sei preso colpe che non avevi?”
Lui sospira, cambiando ancora posizione.
“No, mai. L’ho sempre detto che non ho mai avuto paura di nessuna conseguenza. Mi sono preso la responsabilità di tutte le decisioni. Ma ormai è passato così tanto tempo… che neanche io so più qual è la verità.”
Osservo il contorno della sua figura nel buio della stanza, e riesco a riconoscere alcuni suoi particolari che mi fanno battere di nuovo forte il cuore.
“Il resto lo conosci già…”
Ha finito col suo racconto, ed ora tocca a me: decido finalmente di aprirmi, è arrivato il momento.
“Mi dispiace Friedrich… Quando ho letto che ti volevano impiccare non ci volevo credere; preferivo pensare che avessi voluto continuare con la tua vita, dimenticare quello che era successo... non che fossi morto senza averti potuto rivedere un’ultima volta.”
La mia voce che rimbomba nella stanza è innaturale, come se non mi appartenesse.
“Cos’hai fatto dopo che ti ho lasciata?”
Mi stringo nella coperta per darmi la forza di rivivere quei brutti momenti.
“Ho trovato rifugio nella chiesa vicino a dov’era la casa. Sono rimasta lì alcuni mesi, poi sono andata in un convento di suore fuori città. Passarono un paio d’anni, quando finalmente riuscii a contattare mio fratello. Venne a prendermi e venimmo a stare qui. Dopo che ebbi saputo della tua presunta morte, smisi di aspettarti, e mi rassegnai a questo fatto. Conobbi Riccardo e ci sposammo sette anni fa, più o meno. Ecco, è tutto…”
Sono consapevole di aver tagliato parti fondamentali, ma non mi va di fargliele sapere in questo momento.
“È così che si chiama tuo marito allora.” Sospira, sfregandosi il viso con le mani, “Sei felice con lui?”
Se sono felice con lui? No. Con lui non sento felicità, ma solo affetto abitudinario.
“È un uomo tranquillo… ha deciso di starmi vicino fino alla vecchiaia…”
“Non hai risposto alla mia domanda.”
E non lo farò. Non gli dirò mai che sono felice con Riccardo, perché non è vero. Ma soprattutto perché lui non è una persona qualunque a cui mentire su queste cose.
Rimango in silenzio, mentre lo vedo alzarsi e avvicinarsi ad una finestra.
“Sta fuori casa tutta la settimana e qualche volta non torna neanche il sabato e la domenica. Come fa a renderti contenta un uomo così?”
Alzo lo sguardo verso di lui, sorpresa.
“Come fai a saperlo? Mi hai seguita per caso?”
“Ho semplicemente chiesto di te, dovevo trovarti in qualche maniera.”
“E perché eri così stupito quando hai visto la fede al mio dito, se lo sapevi già?”
“Ho sperato fino all’ultimo che quella donna di cui mi parlavano non fossi tu”
“Chi è che ti ha parlato di me?” mi raddrizzo, all’improvviso nervosa.
“Come pensi che ti abbia ritrovata? A caso? Sono ritornato a Cuneo, e ho chiesto di te in tutte le chiese della città: immaginavo che avresti trovato rifugio là. Il prete mi ha mandato in un convento di suore fuori Cuneo. E lì delle suore scontrose mi hanno mandato via. Solo dopo numerose insistenze quella che doveva essere la più importante mi ha finalmente parlato di te.”
Madre Nicoletta. Tengo tutt’ora contatti con le suore di quel convento, ed in particolare con lei, perché è stata come una madre in quel periodo. Ha fatto tanto per me e per il mio bambino… ma spero solo non gli abbia detto di Federico.
“Da quant’è che sei qui? È la tua casa questa?” chiedo.
Lui si gira verso di me, appoggiandosi con la schiena al muro e incrociando le braccia.
“Sono qui da un mese.”
“E perché ti sei presentato solo la settimana scorsa?”
Friedrich tiene lo sguardo dritto nel mio, sicuro e inflessibile come la sua natura di soldato.
“Perché non era giusto che tu mi vedessi. Sei andata avanti ed hai la tua famiglia. Lo sapevo che se mi avresti incontrato sarebbe finita così”
“Così come? Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Avresti passato vent’anni in questa catapecchia a guardarmi da lontano? Perché? Che senso ha tutto questo?”
Mi sto arrabbiando, ma non con lui, con il destino. Avrei preferito che stesse con la sua famiglia, che si fosse dimenticato di me piuttosto di saperlo vivere in solitudine in mezzo ad un bosco a venti metri da me.
 “Ho passato più della metà della mia vita a fuggire, a spostarmi da un posto all’altro. Ora che ho trovato un motivo per restare non farò più gli sbagli che ho fatto prima.”
È così allora: lui mi avrebbe seguita da lontano, perché sapeva che ormai ho la mia vita. Ma non avrebbe smesso di proteggermi, come mi promise dodici anni fa.
Mi alzo dalla sedia, lasciando cadere la coperta dalle spalle; mi avvicino a lui e gli prendo il viso con una mano, vedendo la luce delle stelle brillare nei suoi occhi azzurri.
“Perché Friedrich? Perché tutto questo solo per me?”
Non risponde, ricambiando però il mio sguardo.
“Anche tu hai una famiglia… a loro non ci pensi?”
Mi interrompe, usando quel tono freddo che avevo dimenticato sapesse usare.
“Loro sono al sicuro in Germania, gli mando soldi tutti i mesi. È una storia chiusa.”
Rimango in silenzio, non sapendo che dire. Ho sempre saputo che Friedrich ha un carattere forte, che prende decisioni importanti senza fare una piega. Ma qui non si tratta del suo lavoro: qui si tratta dei suoi sentimenti e della sua vita.
Un uomo fiero e valoroso come lui, che ha portato avanti battaglie ed è stato in carcere, ha preso la decisione di vivere una vita da eremita per potermi proteggere e guardare da lontano. Il freddo soldato senza paura con me non è mai esistito; piano piano si è svelato per quello che in realtà è.
“Maria?”
La sua voce che mi chiama mi fa sussultare, e ritorno alla realtà.
“La suora mi ha detto che hai avuto dei problemi a Cuneo, per questo ti hanno spostata là. Cos’è successo?”
No. Non è ancora arrivato il momento di parlargli di Federico.
“Nulla di grave…”
Temporeggio un po’; ho paura che si accorga che gli stia mentendo così, a malincuore, decido di andarmene.
“È tardi ora, è meglio che ritorno a casa…”
Mi dirigo verso la porta e finalmente trovo la maniglia; mentre sto per uscire però una sua mano prende la mia.
Mi giro sorpresa e lo vedo richiudersi la porta alle spalle.
“Ti accompagno” dice, stringendomi forte nella sua grande mano.
“Friedrich… la guerra è finita, non c’è nessuno che può fare del male qua…”
Gli trotto a fianco come dodici anni fa, non riuscendo a stare al suo passo.
“Non si sa mai.”
Saliamo il ripido sentierino che dal laghetto porta alla mia via, e lui mi fa passare avanti, controllando che non cada.
Arrivati all’inizio della polverosa strada mi fermo, non sentendolo più vicino a me: mi giro a guardarlo e vedo che si è fermato quasi alla fine del sentiero.
“Te ne vai senza salutare?” gli chiedo.
“Avrei aspettato che fossi entrata in casa prima di andarmene.”
I suoi capelli biondi sembrano raggi di un astro nascente nel buio della notte; e ancora una volta, doverlo lasciarlo andare, mi rende triste.
Continuo a guardarlo, consapevole di sembrare un po’ stupida, ma non me ne importa: nessuno mi sta vedendo, se non lui.
Ripenso ancora a quello che mi ha detto poco fa, e non mi sembra vero: com’è possibile che un uomo possa essere così fedele, così d’onore?
Dopo il suo discorso, qualsiasi cosa dica non avrebbe lo stesso peso, la stessa passione; nonostante ciò voglio fargli sapere quello che provo.
Mi avvicino a lui, un po’ nervosa e titubante: non so se è esattamente la cosa giusta da fare, ma lo voglio davvero.
“Io… sinceramente non so che dire. Quello che hai detto prima mi ha lasciata senza parole, ma voglio dirti che come tu non mi hai scordata, io non ho mai scordato te. Ti ho sempre tenuto qui dentro, perché sei stato e rimarrai qualcosa di speciale ed unico per me.”
Mi fermo un attimo per prendere un bel respiro, ed evitare di commuovermi.
“Grazie Friedrich... Grazie per le tue parole, grazie per essere qui, grazie… di tutto…” mi metto una mano sul cuore, per fargli capire che le parole mi vengono da dentro.
“Buonanotte…” gli sussurro, sorridendogli leggermente.
Lui non dice niente, così mi giro e mi avvio verso casa. Sto aprendo la porta, quando una mano mi copre la bocca, ed un’altra mi stringe lo stomaco, alzandomi.
Cerco di divincolarmi ma non riesco a muovermi bene in questa posizione; mi porta verso il lato della casa e mi gira, appoggiandomi al muro.
Rimango sbalordita quando lo vedo, ma appena apro la bocca mi rimette la sua mano sopra, come segno di fare silenzio.
“Volevo salutarti qui… sapere che ti lascio ancora mi fa impazzire”
Mi prende la nuca come era solito fare e si avvicina alla mia bocca, prendendo le mie labbra tra le sue; di nuovo un calore avvolge il mio cuore, eliminando dalla mia testa ogni pensiero.
Gute Nacht Maria
Prima che se ne vada, gli appoggio una mano sulla guancia, guardandolo con tenerezza; lui la prende nella sua e la toglie, baciandola e lasciandomi.
Lo vedo allontanarsi, e penso che lo voglia fare apposta: è sempre lui a dovermi far vedere che se ne va, e mai io.
 
 
Ho dormito bene tutta la notte, svegliandomi anche piuttosto tardi il giorno dopo. Riccardo e Francesco sono scesi in paese per andare al bar ed io, la domenica, vado a casa di Anna assieme a Federico a preparare delle torte e chiacchierare un po’.
Quest’oggi però so benissimo che il mio programma sarà diverso; lascio Federico da Anna e vado da Friedrich, portandogli qualche dolcetto che avevo preparato durante la settimana.
“Cos’è che devi fare oggi?” dice Anna, quando sto per uscire da casa sua.
“Te l’ho detto, devo andare in città a sbrigare delle commissioni. Lo sai che la domenica è il mio unico giorno libero, se non vado oggi dovrò aspettare un’altra settimana.”
Lei mi guarda con aria di assenso mentre, tra biberon e culla, si destreggia tra i suoi quattro figli.
Capita di rado che non ci si veda la domenica, ma è talmente presa dai suoi figli che probabilmente non ci pensa nemmeno che potrebbe essere una bugia.
La saluto, poi lancio un bacio a Federico dicendogli di fare il bravo.
Esco da casa di Anna con un misto di ansia ed eccitazione addosso; rientro a casa mia e prendo il cestino con le torte per Friedrich.
Mi avvio a passo spedito verso il bosco, e quando scorgo la casetta in legno un sorriso appare sul mio volto.
Busso, annunciandomi.
Friedrich mi apre: indossa una polo bianca e dei pantaloni neri.
“Entra pure…” mi dice, facendomi segno con una mano.
Raggiungo un piccolo tavolo rotondo e ci appoggio il cestino.
“Ho qualcosa per te… ho visto che sei dimagrito ed ho pensato ti avrebbe fatto piacere”
Lui mi guarda con aria piena d’aspettative, così apro il cestino e tiro fuori la crostata alle fragole e l’altra torta, pan di spagna con panna e frutti di bosco.
“Avrei voluto dartele ieri, sarebbero state più fresche…”
Lui sembra ignorare il mio commento.
“È da un po’ che non mangio qualcosa di buono”
Friedrich mi sorride, ed intanto prende dei piatti con delle posate.
“No, aspetta! Faccio io… tu siediti” gli dico, prendendogli le stoviglie dalle mani.
Accetta suo malgrado, così gli preparo il piccolo tavolino con le poche cose che ci sono in casa.
“Non avresti dovuto fare tutto questo…” dice, guardandomi andare avanti e indietro.
“Non preoccupartene…” rispondo.
Gli taglio due grosse fette di torta e gliele metto su due piatti diversi.
“La crostata è quella che mi viene meglio, di solito”
“Sono sicuro che sono ottime tutte e due. Tu non mangi?” mi chiede, pronto con la forchetta in mano a tuffarsi sulla torta.
“No, sono per te. Io mangio già abbastanza…”
Scuote la testa sorridendo, e lo vedo mangiare con gusto i dolci che gli ho preparato. Vederlo mangiare contento è quasi paragonabile a vedere mangiare contento Federico: provo esattamente la stessa sensazione di soddisfazione e orgoglio. Ma lui questo non lo sa… perché io di Federico non gli ho ancora parlato.
Mentre sta finendo la fetta di crostata, decido di aprire l’argomento perché, se non lo faccio ora che è tranquillo, credo non lo farò mai più, e non voglio passare altro tempo con lui nascondendogli di nostro figlio.
“Friedrich… devo dirti una cosa.” Dico seria.
Lui alza un attimo lo sguardo, per farmi capire che mi sta ascoltando, poi ritorna alla sua torta.
“Ti ricordi quando mi hai chiesto cos’era successo a Cuneo?”
“Mmh”
“Ecco… non ti ho detto tutta la verità”
Si ferma alzando finalmente gli occhi e lasciando perdere la torta.
Non dice niente, così continuo col mio racconto.
“Ho scoperto di essere incinta. Ho dovuto raccontare la verità di quello che era successo… le donne che vivevano insieme a me mi hanno trascinato in una casa e mi hanno rasata, denigrandomi. Era il segno distintivo delle donne che erano state con dei tedeschi. Non sai quanto mi sono vergognata… mi sentivo uno schifo. Ma in quel dolore ho trovato la forza per non far passare tutto quello che stavo passando al bambino che avevo in grembo.
Il prete, sant’uomo, mi mandò al convento di suore, dove partorii. E lui è ancora con me…”
Un nodo alla gola mi impedisce di andare avanti, così decido di non dire più niente. Prendo un bel respiro cercando di calmarmi.
Friedrich mi guarda, e sembra sconvolto.
“Lo sapevo che c’era qualcos’altro… perché non me l’hai detto subito? E… come si chiama?”
Abbasso lo sguardo imbarazzata, e sorrido un po’: proprio in questo momento scoprirà quanto ci ho tenuto e quanto ci tengo ancora a lui.
“L’ho chiamato Federico. È un bellissimo bambino… ti assomiglia così tanto.”
Friedrich appoggia la forchetta sul piatto e si alza, camminando nervosamente avanti e indietro.
“Lui… sa di me?”
“No. Dopo che ho incontrato Francesco, lui mi ha impedito di rivelargli chi fosse il suo vero padre. Io gli ho parlato di te, ma era ancora molto piccolo, aveva meno di due anni… però ora potresti incontrarlo. Vorrei che lo vedessi, se te la senti… che gli raccontassi tu stesso la verità, se vuoi.”
Lo vedo sedersi sul letto, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia.
Rimane in silenzio per un tempo così lungo che inizio a sentirmi a disagio; decido così di alzarmi e sedermi vicino a lui, per rassicurarlo.
“Friedrich… se non vuoi non importa… non sei costretto.”
Certo, è libero di fare le sue scelte… però segretamente spero che lo voglia vedere.
Gli passo una mano tra i capelli, e solo ora mi accorgo che non sono più rasati sotto la nuca; li ha fatti crescere e riesco a prendere bene le sue ciocche biondo scuro tra le mie dita.
Al mio tocco lui si gira, e mi guarda con uno sguardo nuovo, che non gli ho mai visto prima.
“Io non avrei mai immaginato… non avrei mai pensato...”
I miei occhi sono persi dentro i suoi, così profondi da non vederci mai una fine.
“È passato Friedrich. Non voglio più pensarci… ho così tanti motivi per vergognarmi del mio comportamento che ne morirei. Federico mi ha spinto ad essere migliore, a dargli un buon esempio… e poi, come disse qualcuno qualche anno fa ‘domani potremo morire, ma ora sei qua con me’… di nuovo…”
Gli passa uno scintillio negli occhi quando si accorge che ho ricordato le sue parole.
Vuole dire qualcosa, ma si è fermato per qualche motivo; io sembro immobilizzata da qualche strana presenza e lo guardo ipnotizzata.
Il cuore batte così forte che nel silenzio del posto sembra un tamburo che scandisce un tempo velocissimo.
Le sue mani si avvicinano al viso accarezzandomi la pelle, e facendomi rabbrividire di eccitazione.
“Ti ho immaginata ogni notte in tutti questi anni…”
Mi prende il viso tra i suoi palmi, spalancando le iridi.
Io gli metto le mani suoi polsi cercando di avvolgerlo, ma è impossibile.
“Ho cercato i tuoi lineamenti in tutto quello che vedevo…”
La pelle delle sue dita è diventata più dura e ruvida, come se fosse coperta di calli; il suo calore però non è diminuito, ed il respiro è bollente vicino alla mia fronte.
Tutte le mie autodifese sono totalmente a zero, e quando si avvicina al collo mi sembra di sentirmi male.
Le sue mani mi percorrono il corpo, con gentilezza ma desiderio allo stesso tempo. Arriva ai fianchi, e si ferma un attimo; giro la testa verso di lui, facendogli capire che voglio guardarlo. Lui incontra il mio viso, avvicinandosi alla mia bocca, sfiorando le sue labbra con le mie.
Le mani mi prendono con violenza i glutei, portandomi sulle sue gambe; mi guarda un istante negli occhi, poi affonda la sua bocca nella mia con passione, tenendomi la testa con una mano.
Sembra di essere dentro un forno, tanto che non riesco neanche a respirare.
All’improvviso mi alza di nuovo e mi appoggia sul letto, mettendomi una mano dietro la testa per farmi stendere.
Il mio corpo chiama il suo, ma sta succedendo tutto così velocemente che non capisco nulla: l’uomo che ho desiderato per tanto tempo è ora qua con me, che mi brama, mi vuole forse tanto quanto io voglio lui. Ma qualcosa mi blocca, qualcosa che si è radicato col tempo e che mi impedisce di lasciarmi andare. Quando si distende sopra di me, io mi puntello sui gomiti, mettendogli poi una mano sul petto.
“Aspetta… aspetta per favore”
Lui si ferma paziente, ed un guizzo dei suoi occhi mi fa capire che si sta trattenendo.
“Se succede… io non saprò più tornare indietro…” gli dico, sinceramente.
Mi dispiace per Riccardo, ma l’uomo che amo è davanti a me, che mi chiede di essere sua dopo tanti anni costretti a passarli lontani.
L’uomo da cui ho avuto un figlio, l’uomo che mi è venuto a cercare dopo dieci e più anni di carcere… non ho mai provato questi sentimenti per nessuno, e sono sicura che mai più li riproverò.
“Non avere paura di stare con me…”
Si avvicina al mio collo, sospirando vicino al mio orecchio.
“Non sai quanto vorrei essere io a dormire a fianco a te la notte… vorrei essere io a prendermi cura di te.”
A quella frase un brivido mi percorre la schiena, immaginandoci come una famiglia.
“Quando ero in piedi davanti ai giudici che mi dicevano sarei stato impiccato, l’unico mio pensiero eri tu… l’unica cosa che mi ha impedito di impazzire in carcere sei stata tu… tu sempre… lo so che lo vuoi anche tu Maria. Lasciati andare”
Alza il viso, mettendolo un po’ sopra al mio, e dopo quelle parole ogni mio dubbio è svanito; non ci penso due volte, e unisco le mie labbra alle sue, sentendo il suo sapore zuccheroso sulla mia lingua.
Mi ha pensata tanto quanto l’ho pensato io, ogni giorno di ogni mese, di ogni anno.
Una lacrima mi scende dagli occhi, ma lui non la vede; mi ha appena aperto il vestito, e scende sul mio petto con dolcezza e passione allo stesso tempo.
Dopo la prima ne scendono tante altre, facendomi finalmente sciogliere dopo tanto tempo; Friedrich se ne accorge e si ferma, stranito.
“Cosa c’è?”
La sua voce è ancora più bassa del solito e rauca. Ed è il più bell’uomo che abbia mai incontrato.
“Nulla, Friedrich… sono solo contenta di averti finalmente ritrovato”
E sono sicura che lui ha capito di cosa sto parlando.
Si allunga sopra al mio corpo e prende dal cassetto del piccolo comodino un fazzoletto: me lo passa con delicatezza sul viso, asciugandomi le lacrime.
Non stacca un momento gli occhi da me, e mi fa sentire come se fosse già dentro, come se il mio corpo ed il suo fossero una cosa sola.
Ci amiamo, facendomi toccare punti di felicità che mai avrei pensato di provare. Le sue mani mi tengono e sorreggono ogni momento, come se avesse paura che andare via.
Ma io non me ne sarei mai andata.
 
Siamo abbracciati, la mia schiena sul suo petto, stanchi dopo tutte le emozioni che abbiamo appena provato.
Nessuno dei due dice niente, ma ci stringiamo, per farci capire che siamo vicini.
Il mio corpo è pieno di una nuova energia, come se tutte le cose belle del mondo in un attimo fossero entrate in me, appartenendomi.
Chiudo gli occhi, sentendo il respiro regolare di Friedrich alle mie spalle.
“Mercoledì vorrei incontrare Federico”
Riapro gli occhi, stringendogli ancora di più le mani.
“Non sei a Stoccarda durante la settimana?” gli chiedo.
“Non ti preoccupare. Aspettatemi vicino al lago... vi porterò in un posto.”
“Va bene…” dico, sorridendo.
“Mettiti le scarpe però”
“Va bene…” rispondo ancora, sorridendo di più.
  
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