Film > Arancia Meccanica
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Autore: xingchan    10/12/2013    1 recensioni
“L'uomo deve poter scegliere tra bene e male, anche se sceglie il male. Se gli viene tolta questa scelta egli non è più un uomo, ma un'arancia meccanica.”
[Stanley Kubrick]
Attenzione: ho apportato delle modifiche significative al personaggio di Esther, a partire dal 2° capitolo. Nel prossimo aggiornamento (il 4°) vi fornirò le dovute spiegazioni.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Libertà di scelta
 
3

 
 

 
Non mi è mai piaciuto il whisky.
 
In passato lo slurp slurpavo perché ero un malcico capo di una ganga. Ma poi, invecchiando, non ne apprezzavo più il sapore arroventato. Più che alc ora mi sembrava un tizzone ficcato nell’esofago che non voleva essere riestratto.
 
La mattina successiva l'avevo passata agli Archivi Nazionali Grammodisc, cioè dove sgroppavo, come se nulla fosse successo, ed il pome trascorso nella mia tana a locchiar il vuoto con quel bicchiere di whisky in mano seduto al tavolo della cucina, glutandolo a sorsi così migni che la slappa sentiva soltanto pura e semplice acqua.
 
Mi sentivo un bebè stupidone che cerca di fare il bigio dalla scorza dura facendo credere che tracannasse liquame che l’infiamma per inutile passione senza che malattia o altra sciagura potesse farlo sbaraccare.
 
Mi trattenni dal darmi solo solo due paffe sulla biffa e mi alzai, rovesciando via quella roba e preparandomi un buon cià, senza mommo stavolta. Il latte favorisce la spatchka, ed io non volevo ronfare alle zero cinque zero zero del pome. Volevo essere invece bello sveglio e lucido, nel caso dovessi sirenare via con quel poldo di un Fred che mi sghignazzava dietro le mestole.
 
Ma tutto quello che il mio planetario si era divertito ad immaginare non avvenne.
 
Qualcuno schiacciò il chiamino di casuccia mia, esattamente alle zero cinque quattro tre. Era Fred, con un garzuolo che gli fasciava il planetario quasi fosse una mummia dei musei e con una vettura grigio topo in moto alle spalle che faceva brum brum nell’attesa di allontanarsi.
 
“Ciao, Alex.”
 
A giudicare dal suo ghigno da furbastro, aveva tutte le intenzioni di sprolare con il vostro zio Alex come se fossimo due vecchi soma che non si locchiavano da un milione di anni per questioni di vita o di morte.
 
Gufò un pochino, e così, con un muso da sgonfione pervertito, continuò a farmi quella biffa moinosa ancora per un piccolopoco. E poi, snicchiai altro dal bigiaccio unto e scardinato.
 
“Ben ben ben, che stegola, signor Arciballe?!” dissi, allargando il mio truglio in un sorrisone. “Non credo abbiamo più niente da dirci, noi due…”
 
“Non sai con chi hai a che fare, piccolo soma.”
 
I miei fari lo sfidarono ben bene, appioppandogli per via planetario una sguana tipo intenzione di dargli altre buscate. Ma se l’avessi festato ancora, non sapevo poi come sarebbe finita. Già era un miracolo di Zio se non era arrivato nel mio personalissimo covo senza cerini.
 
Se ne fregò della mia ciangotta tipo sorniona e mise insieme soltanto qualche mottata che mi arrivò dritto allo stomaco come se me ne avesse mollate un paio.
 
“Se collabori con me, il torto che mi hai fatto subire sarà come non fosse mai esistito. In caso contrario, tornerai ad essere il vecchio 6655321 con tutta quella gentaglia. Pensaci, Alex.”
 
“Ci penserò, sir.” dissi. Chiusi sguizzo la porta, non sapendo più dove sbattere il mio sovraffaticato planetario.
 
Un bagascio perbene che giocava doppio, ecco cos’era quel martino tutto sempre bell’ingessato con sempre gli zughi in bella vista che si faceva chiamare Min.
 
Tutto quello che mi rimaneva da fare era tener il truglio chiuso e riprendere a sostenere il buggarone. A meno di pistonar verso la rozzeria centrale.
 
Non era molto invitante l’idea di rimettere le patte in quello sguanoso inferno, ribeccandomi chissà quanti anni ancora fin fino a diventare tutto bianco, O fratelli. Perciò non sapevo che fare: se continuare a fare il mezzuccio propagandistico o finire la mia seigiorni alla Prista.
 
Non mi andava nessuna delle due trucche, come avrete ben capito. Però potevo sparire dalla bigia Londra. Con un po’ di denghi si poteva prender un treno che portava fuori città.
 
Sì, ci poteva stare, ma poi? Mi sarei spiaccicato da solo una tamagna taglia in fronte come quei ricercati dei film western.
 
Dicendomi no no no con il planetario, smisi di dar ciangotta a sguana così per apprestarmi ad aprire ancora la soglia di casa, siccome snicchiai il chiamino che scricciava dlin dlon altisuono.
 
Ed ecco che ai miei fari si misero davanti Len e Toro, i miei soma di zecca. Rick era quello che faceva sempre tardi.
 
“Il Korova Milkbar?” sghignazzò Toro. “E il Duke of New York? Li hai forse dimenticati?”
 
L’altro trovò così divertente e cinebrivido la sprolata di soma Toro che, oltre a ridere tipo clown oh oh oh, sbatteva gli stivaletti per terra come una scimmietta impazzita. Entrarono come se fosse la tana loro, ma solo perché io avevo detto loro così, e poi Toro si sedette affianco a me, cioè dove stavo seduto prima che arrivassero, afferrandomi una mestola con la granfia talmente forte da far un rumore tipo paf e, gufando un piccolopoco insieme all’altro per il mio truglio imbronciato e storto, disse:
 
“Allora, soma Alex, sono giorni che non ti fai locchiar al sosto. Che ti piglia, eh?! Forse un’altra crisi? Andiamo a glutare qualche scozzese o brandy insieme, o mommo, come ti va meglio, così da prepararci per la cupa. Allora? Non ci garba che il nostro capo malcichino si slurpi alc tutto solicello, perché sarebbe da bigi, O fratellino. Lo sai bene…”
 
Avevano preso la mia maturità cinebrivido come crisi che a volte ricomparivano come sintomi di un morbo fetido da cui sarebbe stato meglio tenersi alla larga. Ripensando ai miei vecchi soma, non potevo fare a meno di evidenziare quanto la cosa si fosse capovolta. Prima ero io quello che pensava di poter fare e prendere come e quando voleva, con quel Georgie tutto stravagante che diceva che parlavo come un bambino.
 
Ora era diverso, O cari ed unici fratellini. Ora erano questi i bambini ed il Vostro Umile quello grande. Non volevo ritornare ad essere il malcico sguaiato del passato, perché mi avrebbe comportato altri anni dentro, O fratelli. Ma non volevo nemmeno essere il compagno soma di Fred.
 
“No no, soma Toro! Cosa dici?” risposi io sorridendo. “Forse il troppo sgroppare mi ha provocato stanchezza.”
 
“Burianate! Il soma Alex ha avuto un’altra crisi isterica, o sembra? Le due babusche sono ancora lì che aspettano il loro samaritano, cioè tu, mio caro Alex!”
 
E gufavano, gufavano, e se non avessero cucito a filo doppio quel loro foro lezzoso l’avrei riempito di festoni finché non snicchiavo la loro salsa di pomodoro far plic plic.
 
Mi alzai stufo marcio di esser in mezzo a quei due, e pistonai verso le mie palandre, quelle che usavo per piombare al Korova, cioè quelle bianche accompagnate da bastone da passeggio e bombetta, quando locchiai delle palandre che non erano le mie, non ricordando minimamente da dove provenissero.
 
Poi, nel planetario mi balenò la grandiosa Nona, ed ecco che rammentai tutto. Erano la camicia e i pantaloni del fratello della devotchka chiamata Esther.
 
Pensai che avrei dovuto riportarglieli indietro. Ma l’avrei fatto l’indomani.
 
Come ultima cosa, indossai il cappello e sguizzo mi recai al Korova per un po’ di mommo corretto.
 
Lì posso mettere in moto il planetario per cercare una via d’uscita, pensai. In orbita, è più facile locchiar una qualche soluzione per evitare sia Fred che la Prista.
 
Ed eccomi là, O fratelli.
 
Si era io, insieme a  Len e Toro e Rick, che arrivò in ritardo come al solito a causa della sua emme che prima lo faceva imburianare un piccolopoco e poi lo mandava dai suoi soma, cioè noi, ed eravamo al nostro bigio buon sosto tutto appariscente e ben fornito di quel latte corretto cinebrivido che ti mandava in orbita a locchiar Zio nei cieli.
 
Snicchiai così le gorgogliate di Rick completamente fuso che mottava stranamente: “Baffi impietriti di strada reticente e ghiottona” e trucche così mentre il mio planetario quasi schizzava via per i fuochi d’artificio che aveva dentro e che scoppiettavano dappertutto. Il malcico dell’altra parte, soma Len, invece aveva centrato in pieno qualcosa di più complesso, tanto da fissare con i suoi fari il bicchiere del vostro affezionatissimo e allungando la granfia ossuta per appiopparsi il mommo.
 
“Sta’ al tuo posto. Impara, compagno!” dissi io ringhiando, con aria stramalvagia. Non volevo che mi si toccasse la mia roba, soprattutto quando chi me la voleva toccare e prendere è in orbita già da tempo abbastanza per sprolare a vanvera.
 
Toro non era di certo più sveglio. Era andato anche lui, O fratelli. Eccome, direi.
 
Rick era già in vena d’ultraviolenza, ma per quanto anch’io volessi esercitarne fino ad averne sulle berte, non mi andava. Non mi andava per niente. Avevo zeccato che quando pensavo ad andarci pesante, avevo paura. Non venivano conati di vomito e impedimenti di sorta; era più un giudizio condizionato delle mie passate esperienze, e con esperienze intendo alla Prista, all’edificio bianco dov’ero costretto a locchiar tutto il pome i film per violenti pervertiti e tutta la terribile sguana che fui costretto a passare.
 
Già con quella festata al poldo Fred avevo detto addio alle sue cortesi concessioni, ora non potevo far altro che scegliere quale viuzza prendere nel lezzoso bivio che quel martino marcio tutto sorrisi mi aveva imposto.
 
“Io pistono a casa, fratellini…” annunciai con aria stanca, con le proteste dei soma a far da sfondo. Che se la spassassero pure tutti solicelli senza Alex, quei malcichini dal panetario migno e immaturo.
 
Stanco, sia fisicamente che di tutte quelle trucche minacciose del Min.
 
Mi lavai e cambiai solo le palandre quando tornai nella mia tana. Anche se non mi andava di sgroppare, anzi di fare un piccolopoco di niente mi solleticava il budellame, dovetti comunque recarmi agli Archivi.
 
Feci tutto in quattro e quattr’otto, e quando alle uno zero zero tre ero in tamagno ritardo il direttore mi scricciò in biffa altisuono per farmi zeccare che non dovevo farlo più, con il risultato di sentirmi tutto un frappè.
 
Mi buttò il giornale del dì sulla scrivania piena di dischi da catalogare frappè anche lui, rosso rosso per la rabbia da diventar di un brillante color prugna.
 
Sbuffare era a sola cosa che potevo fare, e continuare a locchiar le copertine e le custodie di tamagni dischi e migne cassettine e appuntarle nel registro, che fossero guasti, consumati, da richedere allo Stato, eccetera eccetera.
 
Pensavo, questo posso chiedere di portarmelo via, e questo di prestarmelo, e sguana simile.
 
Come spiccavano luminose ed argentee le Sinfonie di Mozart e Chopin e Ludwig Van!
 
Però mentre sgroppavo come un asino accompagnato da un aratro, una foto sul giornale catturò cinebrivido i miei fari finora tutti concentrati sulla musica e le sue meraviglie.
 
Era quel martino con la fogna al posto del truglio, Fred. Mi aspettavo che sopra ci fossero le scritte tutte altisonanti della sua schifosa campagna elettorale, ma quando lessi quasi non rimasi secco dal sollievo.
 
“Il Ministro degli Interni è morto in un incidente stradale nel centro di Londra.”
 
Il poldo aveva sbaraccato.
 
Avevo salvo il culo, O fratelli. Almeno, così speravo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NDA
Sapete bene che i vestiti tipici dell’Alex di Kubrick sono diversi da quelli descritti da Burgess. Per farla breve, mi sono attenuta al film. xD
Per un ritardo così avrei dovuto allungare il brodo, ma il fatto è che ho potuto scrivere 1/3 di pagina Word alla volta, senza contare che per un po’ di giorni non ho proprio aperto il documento di questa ff. Sono contenta di aver finito questo capitolo almeno oggi. Contavo di concluderlo domenica, ma così non è stato. ^-^’
Ringrazio quelle anime pie che mi recensiscono questo azzardo sacrilego (xD): Laylath e Calycanto! ♥
…e tutti i coraggiosi che leggono! :P
 

 
   
 
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