Anàmesa Étoi – Across the Years
2 – Un Dio
in Terra
-Saga?-
Il
ragazzo che si trovava davanti a lui era Saga senza ombra di dubbio: Kendeas
aveva subito riconosciuto i suoi occhi azzurro-verdi ed i capelli, molto più
lunghi dell’ultima volta, lisci e lasciati sciolti dietro la schiena
esattamente come li ricordava; i vestiti erano simili a quelli che indossava la
prima volta, salvo essere di certo più grandi per adattarsi al nuovo assetto
fisico del ragazzo.
Anche
se aveva solo tredici anni Saga sembrava di gran lunga più grande, con il
fisico molto più solido del suo, le spalle larghe e la schiena ben dritta.
E poi
c’era il suo sguardo, quello che Kendeas aveva reputato fin troppo serio già
quando si erano visti sei anni addietro: adesso, forse grazie all’età, non
sembrava più fuori posto con il resto della sua immagine, sembrava però in
qualche modo più profondo, come se potesse scrutarti dentro.
Kendeas
si ritrovò a pensare che quegli occhi gli piacevano: erano calmi, saggi, pronti
ad accogliere i tuoi segreti e non rivelarli a nessuno.
Sulle
labbra di Saga si dipinse un leggero sorriso come per dargli il benvenuto.
Lui si
alzò.
-Certo
che sono venuto. Te l’avevo promesso-
-Lo so,
è solo…-
Saga
lasciò cadere la frase scuotendo la testa, destando però la curiosità
dell’amico.
-Cosa?-
-E’
strano- riprese Saga, assorto, inclinando il capo da un lato –che qualcuno, al
giorno d’oggi, presti fede ad una promessa fatta tanti anni fa. Tutto qui-
Si
sedette e Kendeas fece altrettanto, indicandolo appena con un cenno del mento.
-Io
credevo che tu non venissi, piuttosto. Devi avere molto da
fare, adesso che sei un Saint-
-Io
mantengo le mie promesse. Come te, del resto. Inoltre, vedo che conosci la mia
posizione di Cavaliere-
-Esatto-
Kendeas annuì accorgendosi di avere ancora il filo d’erba tra le labbra. Lo soffiò
prima di riprendere a parlare –me ne ha parlato mio zio. All’inizio mi sembrava
assurdo, sai, che una Dea venisse sulla terra per combattere il male e che come
suoi guerrieri scegliesse proprio degli uomini. Ripensandoci, però, non è così
sbagliato: si dice che l’animo dell’uomo sia fondamentalmente buono e che
agisca secondo la verità assoluta ispirata dagli Dèi,
quindi se davvero Athena guida i suoi combattenti non può essere per altro se
non per una giusta causa, ovvero eliminare il male dalla terra. Ho capito
bene?-
Saga lo
guardava stupito, con un leggero piacere che gli aleggiava sul viso, dovuto senz’altro
a quelle parole –Hai capito benissimo. Dimmi, hai per caso seguito studi
filosofici? Da coma parli sembrerebbe di sì-
-In
realtà…- Kendeas si portò una mano alla nuca, imbarazzato –ho frequentato la
scuola il tempo necessario ad imparare a leggere, scrivere e fare i conti. Poi
mi sono ritirato perché dovevo aiutare mio zio con il lavoro. Però leggo. Di
tutto e di più, e ti dirò: sulla filosofia hai indovinato. È impressionante constatare
quanti pensieri e teorie tutte diverse possano scaturire attraverso un solo
argomento-
-E’ la
vita- sentenziò Saga con una scrollata di spalle –non esiste una verità
assoluta, ma se ne possono trovare di innumerevoli-
-Già,
anche io la penso così-
Nessuno
dei due portò avanti la discussione.
Restarono
entrambi a scrutarsi, come la prima volta, a metà tra l’imbarazzo e la
curiosità di scoprire di più sull’altro, e non sapendo da dove cominciare.
Attorno
a loro, persino la calma del frutteto sembrava in attesa, silenziosa, di una
parola da parte di uno dei due.
Saga
gettò uno sguardo verso la direzione opposta dalla quale era arrivato, verso la
zona abitata dalla quale Kendeas aveva detto di venire, spostando poi gli occhi
sul ragazzo.
-Hai
detto che lavori. Di cosa ti occupi? Commercio?-
-In un
certo senso… vedi, i miei genitori si sono trasferiti in città per cercare un
lavoro migliore. Io ero troppo piccolo per seguirli, nessuno avrebbe potuto
occuparsi di me, così sono rimasto qui con mia nonna Ifighéneia e mio zio
Kostas per imparare il mestiere. Lui si occupa di manifattura, è uno tra i
migliori nel suo campo, mi ha insegnato tutto quello che so. Lavora soprattutto
con l’argilla, riesce a fare di tutto e di più per poi immettere le sue opere
nel mercato. Se sono di buona qualità si riesce a guadagnare discretamente-
-Sembra
interessante-
Commentò
Saga.
Kendeas
lo guardò alla ricerca di qualcosa che indicasse del sarcasmo sul suo viso, ma
non trovò nulla.
Si fece
coraggio, deciso a non lasciare cadere l’argomento come la volta prima: non
voleva dare l’impressione del perfetto impacciato.
-Ti
piacerebbe provare?-
Quella
volta fu il turno di Saga di squadrarlo per capire se scherzasse o meno.
Si
guardò le mani quasi pensasse che non fossero adatte a quel genere di lavoro e
sembrò riflettere sulla proposta come se si trattasse di una questione di
massima importanza, infine sorrise al ragazzo di fronte a lui.
-Perché
no?-
Si
diressero verso casa di Kendeas e durante il tragitto il biondo gli diede
quelle poche dritte necessarie su come lavorare dell’argilla per ottenere un
risultato accettabile.
Quando
varcarono il cancello qualcosa colpì piano Kendeas al braccio, emettendo un
verso basso: l’asino ragliò di nuovo in direzione di Saga e tornò a brucare
dell’erba sul terreno vicino a loro.
Kendeas
gli passò una mano sulla schiena.
-Bè,
credo sia d’obbligo la presentazione: lui è Atlas-
-Atlas?-
Saga sollevò un sopracciglio, divertito –quell’
Atlas? Quello della miologia greca?-
-Esatto,
il titano costretto da Zeus a sostenere sulle proprie spalle l’intera volta
celeste-
-E
l’hai chiamato così perché…-
Completarono
in coro –è abituato a portare grandi pesi sulla schiena!-
Il
ghiaccio iniziale si era un po’ sciolto ed i ragazzi erano adesso di gran lunga
a proprio agio.
Kendeas
guidò l’amico nel laboratorio dello zio, una costruzione in legno collegata
alla casa per mezzo di una spaziosa tettoia e sorretta da delle pareti
anch’esse in legno, e si mise d’impegno a radunare tutto ciò che sarebbe
servito per creare qualcosa da un anonimo panetto di argilla.
Mostrò
un cubo grigio a Saga, dando inizio alla spiegazione.
-Tutto
parte da qui. Non è difficile, basta prenderci la mano- porse l’argilla
all’altro e continuò –prima di tutto devi individuare cosa vuoi che esca fuori-
Saga si
rigirò il cubo tra le mani, pensieroso.
Scosse
la testa, arricciando le labbra in segno di indecisione.
–Non ne ho idea. Cosa faresti al mio posto?-
-Perché
non provi con una statua di Athena?-
Il
Saint dei Gemelli rifletté su quell’ipotesi: non aveva mai maneggiato
dell’argilla, prima di allora, e dubitava del risultato.
Già il
calore delle sue dita, unito alla presa salda del Cavaliere, aveva iniziato ad
ammorbidire il cubo che si ritrovava tra le mani facendogli quasi perdere la
presa.
Annuì,
e cominciarono a lavorare; Kendeas lo guidava passo passo
rivelandogli i segreti del lavoratore ormai esperto, consigliandolo su quando
inumidire il materiale e come utilizzare al meglio gli strumenti da lavoro.
Saga
non si era mai sentito impacciato come in quel momento, mentre seguiva le
istruzioni del ragazzo accanto a lui con fare incerto e poco professionale.
Kendeas
si fece avanti con timidezza, gli sfiorò una mano e chiuse le dita sopra le sue
per fargli impugnare meglio un piccolo strumento per intagliare i dettagli.
-Guarda…-
si piegò avvicinandosi ancora a lui per avere una visuale migliore, guidandolo
nel gesto –deve essere un movimento unico, altrimenti lo rovini. Così, ecco.
Hai visto? Non è difficile, basta abituarsi-
Si
bagnò di nuovo le mani e lavò via i trucioli in eccesso.
Guardò
di sottecchi Saga: era concentrato, assorto nel lavoro, ma gli sembrava che… no,
forse era stata solo un’impressione.
Un
gioco di ombre.
Più che
la statua sbozzata, Saga sembrava guardare le loro mani, bagnate ed incrostate
di argilla secca, di nuovo l’una sull’altra, con un misto di incertezza e
stupore negli occhi.
Kendeas
pensò che forse non avrebbe dovuto prendersi tutta quella confidenza.
Forse
gli dava fastidio, si ritrovò a pensare.
Tossicchiando
per dissimulare l’azione, il ragazzo lasciò scivolare via la mano da quella del
Cavaliere, concentrandosi sulla statua per evitare di andare alla ricerca degli
occhi di Saga e studiare la sua reazione a quel gesto.
D’altronde,
cos’avrebbe dovuto fare di particolare?
Continuò
ad istruirlo rimanendo a distanza di sicurezza fino a quando il lavoro non fu
terminato.
Saga
sollevò la statua e labbra gli si incresparono in una mezza smorfia, le sopracciglia
tracciarono due archi al di sopra degli occhi.
-Oh,
bè… ti avevo detto che non sapevo cosa sarebbe uscito fuori-
In
effetti, più che una statua della Dea Athena, quella tra le mani di Saga
sembrava più una creazione primitiva.
Ma
Kendeas scosse la testa.
-Non
dire così. È… bella-
Contro
tutte le sue aspettative, Saga scoppiò a ridere, anche quella volta una risata
sincera e priva di cattiveria.
Lo
guardò sollevando appena la statua.
-Bella,
questa? Tu sei matto, Kendeas!-
Lui
sollevò l’indice –Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace-
Citò
con fare saccente.
Saga
gettò un’occhiata alla statua, e tornò a studiare lui.
Un
leggero sorriso gli era rimasto sul viso, e l’intensità del suo sguardo
sembrava calamitare quello dell’altro in modo irreversibile.
Kendeas
si ritrovò a tentennare davanti a quegli occhi, gli sembrava di non poterne
sostenere la vista per più di qualche secondo senza che una leggera nota di
imbarazzo si facesse avanti con sempre più insistenza.
-Dovevo
aspettarmi una risposta simile- commentò Saga alla fine –da uno come te-
-E’ un
complimento?-
Anche
quella volta la risposta si fece attendere.
Saga lo
squadrava con il capo appena inclinato a sinistra, i lunghi capelli gli
scivolavano sulla spalla come una cascata azzurro acceso.
Con la
luce del sole alle sue spalle sembrava quasi circondato da una propria aura
luminosa.
“Un
Dio…” fu l’improvviso pensiero di Kendeas “è questo che sono i Saints: Dèi dalle emozioni umane, è così che vengono descritti. Un
Dio in terra, ecco cos’è. Ma perché mai un Dio dovrebbe stare qui, con me?
Perché io?”.
Era un
pensiero stupido, lo sapeva.
Ma per
quanto si sforzasse di ricacciarlo indietro, quello trovava sempre il modo di
tornare.
-Sì- la
risposta di Saga lo riscosse –sì, Kendeas, direi che è un complimento-
***
Per
essere un Dio, Saga aveva senza dubbio molto più tempo libero a disposizione.
Dopo il
loro secondo incontro era passato molto meno di sei anni; lui e Kendeas si
vedevano quasi ogni giorno, sotto l’albero di fichi ormai diventato il loro
luogo speciale.
Ed ogni
giorno portavano avanti discussioni diverse, tutte di vario genere, che
spaziavano dalla filosofia alla storia dell’arte per poi virare verso argomenti
più comuni come le loro giornate quotidiane, cosa facevano, cos’avrebbero
voluto fare, e perché.
-Vorrei
essere come te- Saga alzò lo sguardo sull’amico; si girò su un fianco posando
il peso sull’avambraccio –vivere alla giornata, fare quello che vuoi, quando
vuoi. Non rimpiango il mio ruolo di Saint, a volte però… è una grande
responsabilità, sai. Pensieri, ordini, il massimo rispetto delle regole. La mia
vita è tutto un programma delineato. A volte mi piacerebbe dell’avventura-
-Hai
del tempo libero, no?-
-Sì,
che passo con te. Dovresti saperlo-
Saga
vide Kendeas rabbuiarsi.
Era
stato solo un vago aggrottamento di sopracciglia ed un’ombra di dubbio gli
aveva attraversato lo sguardo per un solo istante, ma tanto era bastato.
Aveva
imparato a conoscerlo, in quei giorni, ed ora lo capiva senza il bisogno che
lui parlasse.
Kendeas
era una di quelle persone alle quali poche volte riusciva di nascondere il
proprio stato d’animo al prossimo, e l’essere Cavaliere c’entrava poco con
l’individuare la più minima sfumatura d’umore nel compagno.
Era una
cosa che si sentiva dentro.
Una
cosa che era andata crescendo da quando l’aveva conosciuto, e che l’aveva
aiutato più volte a capire davvero quello che Kendeas voleva dire senza doverci
ragionare su.
Si
sentiva in armonia, con lui.
Con lui
come con nessun’altro ragazzo, neanche con i suoi compagni al Tempio si era
formato quello strano vincolo silenzioso.
Dal
canto suo Kendeas cercò come meglio poté di dissimulare quel suo improvviso
cambio d’umore; non sapeva cosa gli fosse preso, perché la frase di Saga gli
avesse messo addosso una sorta di agitazione inspiegabile.
E le
parole gli uscirono dalle labbra prima che potesse fermarle.
-Non ti
costringo affatto a stare con me. Puoi anche andare-
Sul viso
di Saga passò un lampo di disappunto –Ma cosa dici?-
Kendeas
si sentì avvampare, dandosi dello stupido.
Scrollò
le spalle con noncuranza rivolgendo lo sguardo al cielo, chiedendosi coma mai
gli fosse preso.
-Kendeas…-
Si era
ripromesso di mostrarsi calmo e misurato, ma non poté trattenere un sussulto
quando la mano di Saga si poggiò leggera sulla sua.
Il suo
sguardo cadde sulle loro dita, unite come la prima volta quando Saga era andato
a casa sua, e venne alzato di proposito solo per incontrare le iridi splendenti
di Saga.
-Tu non
mi costringi in alcun modo. Sono io a voler restare qui. E lo faccio perché è
qui che voglio stare. Capito?-
Era
serio.
Troppo
serio, o forse era Kendeas a vederlo così deciso.
Rilassò
la mano sotto il tocco di Saga ed annuì, non sapendo cosa rispondere, o come
farlo senza che la sua voce gli giocasse dei brutti scherzi.
Rimasero
lì ancora a lungo, a tenersi la mano in silenzio, in un gesto così semplice da
non avere bisogno di parole.
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Et voilà, come butta?
Piaciuto il capitolino?
Speriamo che la storia proceda bene e che vi piaccia ^^
Creamy Lisa: Ciao carrra ^^
Felici che ti sia piaciuta la storia ed il nostro Kendeas,
almeno un obiettivo è stato raggiunto J
Quante cose dovranno dirsi sotto quel fico, eh, quante cose, già
hanno iniziato e siamo solo all’inizio :3
Grazie per aver messo la storia tra le seguite, speriamo
continui a piacere ^^
Alla prossima =D
P.S.: ndr Rory
– ok, mi scuso in partenza per i disegni ma saranno uno per ogni capitolo,
preparatevi xD
Al prossimo aggiornamento, gente!
Mako e Rory