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Autore: Agapanto Blu    15/12/2013    4 recensioni
Anno Domini 1234.
Chatel-Argent, feudo dei Montmayeur, Francia.
Quando Daniel Freeland decide, come ultimo tentativo di aiutare la figlia diciottenne, di portare la sua Alexandra nel passato, non si aspetta certo l'immensità di sciagure che, con più foga e sadismo del solito, Hyperversum gli scatenerà contro...
Tra un rapimento, segreti che tornano alla luce e giovani amori, sembra che tutto si stia rivoltando contro il gioco di maschere dei Ponthieu e perfino la morte potrebbe non essere così certa...
Ma chi si cela dietro tutto ciò?
**********
Quando i battenti furono aperti di nuovo, il Falco d’Argento non esisteva più e Ian Maayrkas veniva portato fuori dalla sala con i polsi incatenati dietro la schiena e due guardie ai fianchi.
Lo sgomento della corte francese fu totale.
*****
Daniel non voleva crederci, non riusciva a crederci.
Eppure davanti a lui, terribili nelle loro armature, l'una con un leone d'oro rampante in campo rosso e l'altra bianca con una croce nera centrale, stavano gli incubi più tremendi che Hyperversum gli avesse mai fatto incontrare.
Jerome Derangale sorrise.
"Chi abbiamo qui?"
Al suo fianco, il barone Gant rise.
"Una spia senza signore!".

Alcuni personaggi leggermente OOC.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Etienne/Donna, Geoffrey/Brianna, Ian/Isabeau
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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36. Verità
 

A Daniel occorsero parecchi secondi per elaborare il sottinteso della frase di Carl, ma prima che fosse scoccato il minuto esplose.
“FIGLIO DI PUTTANA!” urlò, schiacciando una mano sulla gola dell’altro fino a farsi male a sua volta, premendogli la trachea, mentre alzava l’altra per prendergli a pugni il viso, determinato a strappargli il sorriso dalla faccia.
“Daniel, no!” esclamò Ian afferrando l’amico per strapparlo da Carl prima che lo colpisse.
Sentiva a sua volta un dolore forte nel petto all’idea che per colpa di qualcosa che lui e gli altri avevano fatto, ben cinque anni prima che Alex nascesse, quest’ultima avesse dovuto pagare un prezzo tanto alto, ma conosceva Daniel e sapeva bene che non si sarebbe mai perdonato se avesse ammazzato qualcuno a quel modo, aveva una mentalità troppo moderna per far pace con l’omicidio di un uomo disarmato che non stava tentando di aggredirlo fisicamente.
“Bastardo! Ti ammazzo!” urlava Daniel, fuori di sé, gli occhi appannati dalle lacrime, mentre si dimenava tra le braccia di Ian che cercava di staccarlo da Carl.
Alex, la sua Alex, la sua bambina dai boccoli biondi, la piccolina a cui aveva letto le favole per anni e per la quale si sarebbe fatto strappare il cuore dal petto… E quel bastardo l’aveva investita! L’aveva travolta senza pietà e l’aveva lasciata in mezzo alla strada come un rifiuto! Per colpa sua lei non ci vedeva più! Non ci vedeva più!
“Ti ammazzo!” continuò ad urlare scalciando e cercando di sgusciare via dalle mani di Ian, “Ti strappo quei fottuti occhi che non ti meriti, bastardo! Maledetto stronzo! Mia figlia!”
Ian faticò a contenere Daniel quando Carl scoppiò a ridere di fronte al suo dolore e alle sue minacce, non tanto perché l’Americano avesse iniziato a dimenarsi ancora di più quanto perché la tentazione di permettere a Daniel di massacrare quel bastardo era davvero molto ma molto forte. Lo trattenne solo l’idea del dolore in più che l’amico avrebbe provato se si fosse lasciato andare ad una cosa del genere.
“Daniel, ci penseremo noi!” cercò di dirgli, “Ti giuro che non la passerà liscia, te lo prometto!”
Daniel si irrigidì, ma continuò a fissare Carl con la voglia furiosa di ammazzarlo.
“Ti uccido.” sibilò, “Non me ne frega niente di dove, come e quando: se ti metto le mani addosso, ti uccido.”
Carl passò il dorso della mano a pulirsi il viso sporco di terra e si tirò seduto poi guardò gli altri due Americani e sorrise.
“Per questa volta è andata così,” disse, scrollando le spalle, “ma il bello di questo gioco è che puoi avere la rivincita.”
Ian aggrottò la fronte confuso e anche Daniel si irrigidì, ma prima che potessero fare qualcosa Carl allungò la mano e chiamò Hyperversum.
Una mela nera con un teschio rosso sopra iniziò a girare pigramente sul palmo della sua mano.
“NO!” urlò Daniel scattando in avanti fuori dalla presa di Ian.
Carl non poteva andarsene, non poteva farla franca a quel modo! Aveva accecato sua figlia!
“Uscita d’emergenza.” chiamò Carl, sorridente.
Daniel allungò la mano per afferrarlo, ma tutto ciò che gli rimase tra le dita fu l’aria appena riscaldata dal corpo dell’Americano, ormai troppo lontano per essere preso.
“No!” urlò di nuovo, allungano la mano, “Uscita d’emergenza! Uscita d’emergenza!”
Hyperversum, però, restò indifferente alle sue richieste.
 
***
 
Quando Luigi vide tornare monsieur Ian e monsieur Daniel dal bosco, ne fu sorpreso. Aveva creduto, forse in parte sperato, che avessero approfittato della confusione per fuggire, ma a quanto pareva non era andata così. Monsieur Daniel aveva un’espressione distrutta, con gli occhi sgranati e arrossati, sotto lo strato di sangue e fango che gli ricopriva il viso. Sembrava un uomo cui fosse stato strappato via un arto. E il traditore Carl non era con loro.
“Che cosa è successo?” chiese, aggrottando la fronte, mentre gli altri nobili si affiancavano a lui, confusi dal comportamento dei due.
“Carl è riuscito a fuggire.” rispose Ian, mesto, scoccando un’occhiata preoccupata all’amico d’infanzia.
“E si è portato via il senno di monsieur Daniel?” chiese Martewall padre fissando l’Americano con lo sguardo imbambolato diretto al suolo.
Prima che Ian potesse spiegare in qualche modo, cercando di arginare il dolore dell’amico, questi rispose direttamente, ma senza alzare gli occhi da terra.
“Si è portato via la vista di mia figlia.” mormorò, la voce che sembrava sul punto di crollare così come il corpo, stranamente inclinato in avanti come schiacciato da un peso.
 
***
 
Alexandra si fermò nel mezzo del corridoio e si aggrappò con forza al muro con una mano quando una sofferenza improvvisa la assalì.
Era un dolore atroce, come lava versata nella sua testa, una fitta violenta che le attraversava tutta la calotta cranica poco sopra la metà del viso. Sentiva come qualcosa che tentasse di scavare nella sua carne e di strappare via brandelli di membra come una bestia affamata.
Il bastone che reggeva per intuire gli ostacoli sul proprio cammino cadde pesantemente a terra quando lei si accasciò con una spalla contro la parete del corridoio di pietra del castello.
“Mademoiselle?” la chiamò una guardia, sorpresa, ma lei non risposte.
Portò entrambe le mani alle tempie, stringendole con forza nel tentativo di sfuggire a quel dolore inaspettato che la faceva stare così male da impedirle di formulare anche solo un semplice pensiero, mentre le labbra si serravano d’istinto in una linea dura.
“Mademoiselle?!” chiese il soldato, sempre più spaventato.
Alex piegò le mani come fossero artigli e le portò agli occhi, come ad aiutare l’invisibile creatura chiamata dolore che stava cercando di cavarglieli dalle orbite, poi aprì la bocca e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
 
***
 
Daniel aveva già percorso la strada dal castello alla piana e viceversa, fin troppe volte per i suoi gusti, e ogni volta che tornava aveva l’anima appesantita da sangue nuovo, eppure gli parve che quel ritorno fosse il peggiore di tutti perché, più che l’omicidio di Gant, sentiva gravargli sulla coscienza l’incidente della figlia.
Come aveva potuto non rendersi conto della follia di Carl?! Semplice, dopo il primo viaggio aveva preferito fingere che non fosse successo niente, per rabbia nei confronti dell’amico che li aveva vigliaccamente pugnalati alle spalle più volte e per senso di colpa per Ian che all’epoca ancora soffriva la perdita di Isabeau, e così non aveva potuto vedere il rancore crescere e consumare l’altro americano. Una parte di lui gli ripeteva che non poteva immaginare una simile reazione, ma un’altra gli ricordava che avrebbe dovuto pensare comunque a controllare Carl almeno una volta, che sapeva che un’esperienza come quella che Hyperversum aveva fatto vivere loro non poteva essere dimenticata così, dal nulla, semplicemente smettendo di vedere i propri amici e cambiando Università.
Il ponte levatoio di Chatel-Argent apparve davanti a loro e mise a tacere tutti i pensieri del biondo Americano lacerandogli l’anima con una semplice e silenziosa sentenza: Adesso devi dirlo a lei.
Come faccio?!, si chiese per l’ennesima volta, passandosi una mano sul viso e fermandola sulla bocca.
Non aveva idea di come avrebbe potuto raccontare tutto ad Alex, era terrorizzato dall’idea di ciò che quella scoperta avrebbe potuto fare al loro rapporto già reso precario dalle difficoltà della cecità di lei e l’idea che sua figlia potesse rivolgere l’odio feroce che sempre l’aveva divorata verso di lui… Non avrebbe mai potuto sopportare di vederla detestarlo. Non avrebbe retto, sarebbe stato oltre ciò che poteva accettare. La sua bambina che lo accusava, che gli gettava contro tutto il veleno che la sofferenza le aveva istillato dentro in quei due anni…
Daniel scosse la testa, cercando di scacciare quell’immagine dalla propria mente, e cercò di concentrarsi sul mondo attorno a lui, ormai diventato il cortile interno di Chatel-Argent, per metterla a tacere.
Non dovette faticare molto perché tutti i suoi sensi si fissarono sui tre servi che correvano loro incontro, gli occhi puntati proprio su di lui.
Che cosa succede, ora?!, si chiese, sgomento. Che Carl fosse già tornato? Impossibile, non era così idiota da presentarsi sulla sua strada ora che era ancora furibondo. Avrebbe atteso che la stessa Alex lo ferisse prima di arrivare a dare il colpo di grazia, Daniel lo sapeva, era quello lo stile di quel vigliacco, ma allora cosa?
“Monsieur,” esclamò un uomo, afferrando le briglie del suo cavallo per permettergli di scendere dalla sella, “Vostra figlia, monsieur! Si è sentita male alcune ore fa!”
Daniel si sentì morire. Ogni organo all’interno del suo corpo si immobilizzò per un attimo prima di afflosciarsi dolorosamente, come avesse perso l’unico obiettivo che aveva per lavorare, e per un attimo l’Americano credette che sarebbe caduto lì, sotto gli occhi silenziosi di tutti, ma poi la parte più combattiva di lui riuscì ad emergere.
“Dov’è?!” esclamò, incapace di pensare a qualsiasi cosa non fosse una corsa forsennata verso la sua piccola.
L’uomo indicò il palazzo.
“Nelle stanze della castellana, monsieur: era il posto più vicino dove portarla!”
Daniel sarebbe scattato subito se non avesse sentito la domanda di Ian, che lo spinse a fermarsi per ascoltare la risposta.
“Che cosa le è successo?” chiedeva il suo fratello adottivo.
Il servo scosse la testa, ansante.
“Nessuno lo sa!” disse, spaventato, “All’improvviso ha urlato e ha iniziato a piangere sangue!”
A Daniel bastarono quelle parole per intuire cosa stesse succedendo.
Gli occhi…
Flash dell’operazione gli sfarfallarono nel campo visivo mentre si catapultava, correndo come un disperato, verso le stanze di Isabeau.
 
***
 
Alexandra urlò fino a sentire la propria gola lacerarsi e poi continuò. Strinse i pugni sulle lenzuola del letto, stritolandole per impedire alle proprie mani di cavarle gli occhi dalle orbite. La testa le esplodeva, era piena e gonfia di un dolore rovente e le pareva che tutti i nervi collegati agli occhi si stessero tendendo allo spasmo, sul punto di spezzarsi, per quel calore.
Il suo corpo si contorse quando singhiozzò.
Sentiva delle voci attorno a lei, ma non riusciva a concentrarvisi abbastanza da capire quello che stessero dicendo. Delle mani la toccavano, la tenevano ferma per evitare che si facesse male o le accarezzavano la testa per calmarla, ma lei non voleva e continuava a muoversi. L’unica cosa che le importava era scappare da quel dolore allucinante.
Portatemi via!, pensò, disperata, Portatemi via!
Qualcuno urlò il suo nome, qualcuno che ricordava e conosceva, e il suo corpo si tese d’istinto verso la voce di suo padre, anelando la protezione che lui le aveva sempre dato.
“Papà!” singhiozzò Alex, ma poi il dolore si acuì e lei strillò ancora.
Uno spasmo le scosse lo stomaco facendola vomitare per l’ennesima volta. E l’unica cosa che Alex riuscì a fare subito dopo fu urlare ancora.
 
***
 
Daniel spostò i capelli dal viso della figlia continuando a chiamarla ma lei non diede segno di averlo sentito e continuò a singhiozzare e urlare.
Qualcuno le aveva applicato delle bende attorno agli occhi, ma in prossimità dei bulbi oculari si erano già macchiate di sangue e delle linee rosse si erano seccate sulle guance della ragazza, giù fino al mento e poi sulle coperte del letto.
Daniel non riuscì a reggere.
“Cos’è?” urlò guardandosi attorno alla ricerca di qualcuno che potesse rispondergli.
Quando vide l’espressione cinerea di Donna, capì che qualsiasi cosa fosse, era sconosciuta al Medioevo.
Baciò rapidamente la tempia di Alex poi corse, ignorando i servi, verso l’attuale castellana di Sèour.
Donna, spostatasi accanto il muro all’arrivo di Daniel, aspettò che lui le fosse abbastanza vicino per sussurrare.
Isabeau lanciò un’occhiata ai due e comprese che il miracolo che le aveva portato Ian stava per colpire ancora, in qualche modo, per cui si voltò verso i servi e, con una scusa o con l’altra, li fece uscire tutti fino a che nella stanza non rimasero solo lei, Donna, Daniel e Jodie.
La rossa contessa le fece un cenno con il capo per ringraziarla e poi lasciò che fossero Jodie e la castellana di Montmayeur ad occuparsi di Alex poter concentrarsi solo su Daniel.
“Rigetto acuto.” disse, “Il suo sistema immunitario non riconosce gli occhi come parte di sé, ma li crede virus pericolosi e perciò li attacca tentando di distruggerli.”
“Non è possibile, sono passati giorni dall’operazione!” mormorò lui ma Donna scosse la testa.
“Un rigetto iperacuto avviene a poche ore dall’operazione, ma il rigetto acuto può avvenire anche dopo più di dieci giorni.” spiegò poi aggrottò la fronte, “Jodie ed io siamo sicure che sia così, Daniel. Alex deve tornare a casa e andare in ospedale. Subito.”
Daniel sbiancò, costringendosi a deglutire, e Donna fraintese.
“Inventerò io una scusa qui, posso farlo, tu pensa solo…” iniziò ma Daniel le afferrò un braccio per farla tacere.
“Donna, Hyperversum non risponde.” sussurrò, “Siamo bloccati qui.”
Non l’avesse mai detto…
 
***
 
Carl si sfilò i guanti e il visore con lentezza.
Era molto…irritato. Aveva pianificato tutto con attenzione, era sicuro di aver controllato tutto, ma qualcosa che non aveva previsto era intervenuto. La domanda era: cosa?
Chiuse la schermata del gioco e guardò il desktop, pensoso.
Qualcuno aveva interferito con il suo virus, era quella la variabile che lui non aveva considerato. Aveva ipotizzato che Martin Freeland potesse intervenire, ma da quanto aveva scoperto su di lui non lo aveva reputato in grado di trovare un modo per mettergli i bastoni tra le ruote.
Una cartella era rimpicciolita sulla barra e Carl aggrottò la fronte, non ricordando di averla aperta. Beh, certo, per lui erano passati giorni dall’ultima volta che aveva usato il computer, però quando la ripristinò si sentì nervoso. Era la cartella con le foto che aveva fatto ad Alexandra durante i suoi pedinamenti. Non la apriva da mesi, di questo era certo, quindi…che diavolo stava succedendo?
La porta alle sue spalle che si apriva lo fece voltare lentamente. Nel farlo, notò molti documenti per terra, come scagliati da qualcuno arrabbiato, ma tutti i pezzi combaciarono quando incrociò lo sguardo cupo di suo figlio.
Senza volerlo, iniziò a ridere e scosse la testa.
“Avrei dovuto immaginarlo…” commentò tra sé e sé poi rialzò gli occhi di Jas, “Beh? Che c’è?”
Jas non si mosse, rimase fermo con una mano sulla maniglia e l’altra attaccata allo stipite.
“Ci sono delle persone che ti cercano.” disse, apatico, ma Carl si accigliò lo stesso.
Nessuno lo cercava mai, era stato attento a che fosse così per evitare che qualcuno si accorgesse della sua sparizione mentre era nel medioevo e magari spegnesse il computer.
“Chi sono?” chiese, alzandosi in piedi con circospezione.
Jas scosse le spalle, riprendendo quel suo atteggiamento ostile che Carl detestava con tutto sé stesso.
“E io cosa ne so? Vogliono te, non me.” borbottò, raddrizzandosi appena.
Carl notò che la stazza di suo figlio gli occludeva la vista del corridoio, ma non se ne curò più di tanto. Il ragazzo era un armadio, copriva sempre la visuale di qualsiasi cosa.
Nonostante questo, percepì che c’era qualcosa di strano quando suo figlio non si mosse dalla porta finché lui non vi fu vicino. Sembrava che lo stesse controllando per impedirgli di fare retromarcia.
Carl si immobilizzò ad un passo dalla porta e guardò il volto del figlio con sospetto. In quel momento si accorse che lui era davvero l’unica incognita che non sapesse prevedere o intuire. Cosa c’era che non andava, in tutto quello?
“Cosa succede?” chiese di nuovo, sulla difensiva.
Jas sollevò un sopracciglio con superiorità.
“Succede che c’è gente, che io non conosco, che ti aspetta in cucina e tu ti sei appena pietrificato in mezzo alla tua cameretta dei giochi: devo preoccuparmi?”
Carl dovette trattenere l’impulso di tirargli un pugno. Quel ragazzo aveva la capacità di fargli sempre perdere la lucidità. Ed era anche più grosso di lui.
Irritato, Carl riprese a camminare e spintonò via Jas in malomodo per oltrepassarlo.
Ma si bloccò in mezzo al corridoio di fronte agli agenti che gli intimavano di alzare la mani e di rimanere fermo.
Era così sorpreso che li ignorò per voltarsi verso il figlio.
Jas non fece una piega, ma lo sostenne il suo sguardo.
“Figlio di puttana…” mormorò Carl, sconvolto dalla realtà della situazione che gli si parò davanti all’improvviso.
Jas fece un sorriso mesto.
“Sta’ tranquillo,” rispose mentre Carl sentiva gli agenti piegargli le braccia dietro la schiena per ammanettarlo, “lo sapevo già.”
 
***
 
Jas rimase a guardare la strada fino a che l’auto della polizia che lo aveva appena riportato a casa non fu sparita oltre l’angolo. Aveva messo in pausa il gioco, sia quello di suo padre che quello di Alex tramite suo zio Martin, e aveva passato parecchie ore a parlare con gli agenti e a dare la sua deposizione un migliaio di volte. Si erano decisi a lasciarlo tornare a casa solo quando suo padre aveva iniziato a sbraitare di Hyperversum, cercando di convincere gli agenti che un videogioco potesse portare le persone indietro di ottocento anni.
“Impossibile…” mormorò Jas tra sé e sé, sospirando, prima di voltarsi e decidersi a tornare dentro e a provare l’ultima carta.
Salì le scale lentamente e si sedette al computer di suo padre poi prese un respiro profondo. Dal momento in cui avesse tolto il gioco dalla modalità ‘Pausa’ il tempo avrebbe ripreso a scorrere per i giocatori e quindi doveva sbrigarsi a eliminare il virus ma essere assolutamente certo di averlo debellato prima di permettere a chiunque di correre rischi. Non aveva un’idea molto precisa di cosa stesse succedendo, ma Alex aveva parlato di ‘una questione di vita o di morte’ perciò si riteneva in diritto di presupporre il peggio.
Iniziò a lavorare al virus e ci rimase a combattere per ore prima di riuscire, finalmente, a renderlo inoffensivo. Tramite la connessione internet, cancellò il virus dal computer del signor Freeland quindi mandò a Martin Freeland un messaggio all’interno della Chat del gioco.
Alla fine, cliccò ‘Play’ sapendo che lo zio di Alex avrebbe fatto lo stesso.




Lo so, lo so, lo so, vi supplico, perdonatemi!
Se penso che io sono la prima a non sopportare chi aggiorna così quando capita -.- Va bene, ok, chiedo scusa ancora, però vi do una buona notizia: avendo io terminato entrambe le altre storie che sto pubblicando, potrò occuparmi molto più di questa storia e magari riuscire a finirla o quantomento a guadagnare tempo... Detto questo, vi lascio dopo questo capitolo che mi piace perché dà inizio a quella che io chiamo 'la seconda parte' ;)
A presto,
ciao ciao!
Agapanto Blu
  
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