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Autore: Belarus    17/12/2013    5 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Trafalgar Law; Heart Pirates; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Nuovi personaggi.
Note: Sono in ritardo, oui, come sempre, oui, mi perdonerete... lo spero ç__ç Sappiate comunque che anche questo capitolo è più lungo dei precedenti, evento inspiegabile che si sta verificando con sempre maggiore frequenza e che in qualche modo mi compiace alquanto. Tra l'altro ci sono un paio di cosine dentro che vorrei attirassero la vostra attenzione, ma inutile fare annunci, li troverete da soli. Ho introdotto anche un nuovo gruppo di personaggi - l'ultimo POV è loro -, ma non è nulla che possa turbarvi al pari di Aya, vi basti sapere che il resto delle informazioni su di loro le troverete come sempre nelle note a piè di pagina. Leggete anche quelle quindi, sempre che vi vada.
Piuttosto, un nuovo bacio enorme a quegli affezionati che recensiscono, seguono, leggono e chi continua a inserire questa storia senza pretese tra preferiti e ricordate. Non avete idea di quanto piacere mi faccia!
Vi rimando a lunedì prossimo con un nuovo capitolo e al massimo abbiate pazienza fino a martedì! Ho le mie mancanze, ma rispetto il mio limite di scadenza! Sempre! *bacio*
Ps: Se qualcuno avesse del tempo da perdere con questa storia, vi consiglio di ascoltare From Finner degli Of Monsters and Men che mi è stata consigliata da Naomi_A7X e che è inspiegabilmente basata su Aya °-° Ok, non proprio su di lei, ma la storia le somiglia!




CAPITOLO IX






Per qualche istante, distratto dalla mano che gli veniva offerta, da Bepo che – quasi sollevandola di peso – aveva fatto in modo di insinuarsi tra lui e quella ragazza divorando scuse a tonnellate pur di separarli evitando disastri, Trafalgar non aveva badato al nome che le era sfuggito di bocca con una mezza beccata prima che decidesse di presentarsi. Inconsapevolmente lo aveva omesso, tanto quanto le parole che Penguin gli aveva borbottato accanto qualche minuto prima, continuando a chiedersi come facesse quella ragazza a essere tanto cieca da non vedere il Jolly Roger. Poi però, qualcosa nella sua mente era scattato e memore della lezione riguardo alle soluzioni non sempre semplici o ovvie, ricordando anche di aver sentito Bepo dar sfoggio della propria posizione da vicecapitano, Law era giunto alla conclusione che quella ragazza sapesse perfettamente di trovarsi di fronte ad un pirata e aveva seriamente preso in considerazione quella di aver sentito citare proprio Eustass-ya, con tanto di pelliccia e ferraglia a seguito.
«Ho detto qualcosa che non va per caso? Sembrano…» bisbigliò confusa voltandosi verso di lui, ignorando il chiacchiericcio insistente e isterico che i suoi tre uomini avevano messo su.
Trafalgar la osservò, mentre si mordeva il labbro inferiore preoccupata e poggiava il mento sulla spalla per guardarlo in volto, come se quella confusione le fosse totalmente estranea.
Shachi e Penguin si erano messi tanta di quella preoccupazione addosso quando lei gli si era presentata, da diventare smunti quanto le divise che portavano e ciarlare di qualsiasi cosa capitasse loro in mente pur di distrarlo. Bepo, trascinato forse dalla marea di complimenti che gli erano stati rivolti e premurandosi persino di separarli di qualche passo, si era unito al coretto senza pensarci due volte con l’unico risultato di creare chiasso e vuoto attorno a sé.
Li avrebbe volentieri ripresi per quella messa in scena, in particolare considerando la disciplina cui sino a quel momento erano sempre stati ligi e per cui Law era sempre stato loro grato, ma sembravano davvero troppo preoccupati per essere interrotti.
«Hanno paura che ti uccida.» borbottò atono, senza staccarle gli occhi di dosso.
La udì mormorare un versetto di comprensione, prima di fissarli per qualche secondo e poi tornare a girarsi.
«Qualora decidessi di farlo sappi che ti sarebbe grata parecchia gente o una nave intera perlomeno!» precisò, sospirando malvolentieri.
Gli sfuggì un sogghigno, mentre le fissava le spalle magre prive di qualsiasi Jolly Roger e una strana curiosità lo spinse a volgere le proprie e allontanarsi verso la via da cui lei era sbucata fuori insieme ai suoi uomini.
Non conosceva molte persone che avrebbero appoggiato la propria morte, a dirla tutta non ne conosceva nessuna, ma appurato che si trattasse della medesima ragazza che Shachi e Penguin avevano visto salire a bordo della nave di Eustass-ya, Law non si sarebbe stupito neanche di sentirsi dire che le piaceva far collane con i denti dei marines. Non se ne sarebbe meravigliato poi tanto, poiché certo che una donna qualunque non potesse mai guadagnarsi un posto in una ciurma come quella di Eustass Kidd senza una motivazione più che valida. Era improbabile che si fosse preso una semplice sbandata e ancor più che perdesse tempo con rapimenti come aveva sostenuto Bepo, quando buona parte delle sue navigazioni trascorreva facendo razzie, affondando navi della Marina e dando di che scrivere ai giornali. Trafalgar ci aveva avuto a che fare abbastanza da poter vedere la fregatura a miglia di distanza e adesso che quella ragazza distava pochi metri da lui, aveva tutta l’intenzione di scoprire cosa si fosse inventato il caro Eustass-ya.
L’avrebbe scoperto, in un modo o nell’altro.
«Non offrite da bere alla vostra signorina?» mormorò ai suoi uomini, facendosi largo tra la folla di abitanti che si allargava appena più in là del piccolo vuoto che loro avevano creato.
Shachi, Penguin e Bepo tacquero di colpo i loro battibecchi, rizzandosi all’interno delle divise, quando la sua voce li raggiunse spingendo anche Aya a voltarsi completamente nella direzione opposta.
«Aye, Senchō!» assentirono sollevati dopo essersi scambiati un paio di occhiate in un momento d’iniziale confusione.
Li sentì affiancarlo immediatamente, quando svoltò per la biforcazione che conduceva alla stradina appena un po’ più ripida che costeggiava quel fianco dell’isola e custodiva buona parte delle locande ove abitanti in festa e viandanti prendevano posto per divertirsi. Rallentò appena, aspettando che anche Aya si fosse convinta a seguirli e quando ne fu certo riprese la propria andatura, inoltrandosi tra la folla in subbuglio di visitatori e piratuncoli desiderosi solo di sollevare qualche sottana o bicchiere di rhum. Un gruppo di anziani dai pallidi crani canuti andò loro incontro con vecchie lanterne cineree da poggiare sull’altare votivo della piazza sulla strada opposta, mentre altre piccole lucerne bluastre pendevano fortunate agli angoli delle taverne illudendosi di poter tenere alla larga spiriti malvagi e cattivi eventi.
Continuò a camminare ispirando i fumi dei banchi di takoyaki, ramen e calamari, scoccando un’occhiataccia ad Aya quando la scoprì a osservarlo. Riportò le iridi grigie sulla strada, mentre la luce delle lanterne fuori dalle bettole pareva affievolirsi a ogni metro, con l’inspessirsi della nube di aromi.
«Non mi uccidi… Senchō?» la sentì domandare stranita, senza sapere realmente come rivolgerglisi.
Lui ed Eustass-ya non si erano incontrati altre volte dopo Arata e quella ragazza pareva essere sbucata dal nulla proprio in quell’occasione, ma continuava a chiedersi come fosse possibile che stando sulla nave di una Supernova, lei non sapesse in quel momento di trovarsene accanto anche un’altra.
«Trafalgar Law.» specificò laconico, aspettandosi una qualsiasi reazione.
Sbirciò nella sua direzione scoprendola a sorridere vittoriosa, come se il vero punto cruciale di quella loro discussione fosse il fatto di essere riuscita a fargli pronunciare il suo nome dopo quell’incontro a dir poco molesto per Law.
«Lo prendo per un no e offro io, così magari mi scuso senza rischiare la testa questa volta.» propose entusiasta, tentando di allungare il passo.
Shachi la precedette serioso, premurandosi di accostarsi alla sua sinistra, evitando magistralmente di inciampare nella marea di sedie divelte e lanterne che ostruivano il passaggio della folla.
«Non se ne parla Aya-sama, offriamo noi!» insistette insieme a Penguin, sventolando l’indice accanto al viso oscurato per metà dal cappello.
«Ma-» tentò di ribattere prontamente, prima che anche Bepo potesse accostarglisi.
Trafalgar si ritrovò al lato opposto per l’ennesima volta, mentre il suo vice s’insinuava tra lui e la ragazza bisbigliando qualcosa con tanta convinzione da costringere l’intero gruppetto a far silenzio.
«Li lasci fare Aya-sama, sono-!» bofonchiò, appena prima che Penguin e Shachi potessero agguantarlo per la divisa ringhiando.
«Stai zitto e non dire sciocchezze!» lo sgridarono rossi in volto, aggrappandosi alla sua tuta arancione e facendo peso verso il terreno per costringendolo a piegarsi.
«Sumimasen!» mugolò dispiaciuto, abbassando il capo peloso con rammarico.
Si fece sfuggire un sorrisetto osservando quella scena a lui tanto familiare, ma la risata divertita di Aya che la seguì, lo costrinse a smorzare la propria espressione. La fissò dalla parte opposta della strada, mentre tentava – con ottimi risultati per di più – di convincere Shachi e Penguin a non sgridare costantemente Bepo e una netta e fastidiosa sensazione parve percorrerlo da capo a piedi, facendogli serrare le nocche all’interno delle tasche della felpa.
Non era certo che sarebbe andato tutto secondo il suo piano improvvisato e la cosa lo irritava non poco.



Tentò di ignorare gli occhi supplichevoli con cui Shachi e Penguin la stavano osservando pur di non farla andar via, decidendo di piegarsi a far una carezza a Bepo, tragicamente sopraffatto dall’alcool al primo sorso e ormai stravaccato sul tavolo a dormire, ma ritirò la mano intenerita costringendosi a uscire il più in fretta possibile.
«La prossima volta che ci incontreremo ricambierò l’offerta e vi offrirò da bere!» promise con un ultimo sorriso.
Scoccò una veloce occhiata a Trafalgar, seduto a un angolo del tavolo con le spalle poggiate alla parete di bambù e una più lunga a Shachi e Penguin in bilico sulla panca, con le mani sollevate in un saluto, prima di sparire oltre la soglia e immergersi nuovamente nella nube ancora calda di fumi che provenivano dalle taverne. Strinse la giacca attorno alle spalle magre, risalendo la stradina su cui aveva passato la serata e le gambe un po’ intorpidite sino allora, decisero di prendere nuovamente vigore aiutandola a districarsi più in fretta fra lanterne abbandonate e visitatori ancora in vena di festeggiamenti.
Non aveva idea di quanto tempo avesse passato seduta a quel tavolo, ma raggiungendo la piazzetta parallela a quella in cui aveva scorto il banco di Dial, cominciava a sospettare fossero trascorse un bel po’ d’ore.
Strinse le mani dietro la schiena, rallentando per osservare il muretto acconciato con centinaia di Ōtsu-e bluastre e la vista le cadde anche sul molo che si allargava parecchi metri più in fondo, dove l’acqua cominciava lentamente a schiarirsi rispetto alla tonalità pece che possedeva quando lei aveva deciso di darsi all’esplorazione di Awashima. Sorrise, ispirando a fondo la salsedine umidiccia che risaliva la costa e agguantò uno degli Ōtsu-e recitando una preghiera di scuse come Ko-sama le aveva insegnato.
Quell’isola era descritta anche sul libro che la sua vecchia balia le aveva letto in segreto da bambina prima di andare a letto. Si diceva che nelle profondità del Grande Blu, lì ove Awashima aveva piantato le proprie radici, risiedessero ancora gli spiriti piangenti che l’avevano generata. Proprio per quello, ogni anno, recitando preghiere di scuse, gli abitanti li ringraziavano donando loro le lanterne bluastre che durante quella sera l’avevano ricoperta per intero, affinché gli Hitodama andati perduti con le lacrime della creazione potessero far ritorno in quelle lucerne. Così i visitatori in occasione di quella festa apponevano degli Ōtsu-e su quel muro, affinché gli spiriti potessero essere clementi e permettere loro un buon viaggio anche senza la restituzione di un Hitodama.
Lo ripose nella tasca della giacca con cura, scendendo in fretta i gradini della ripida scalinata che tagliava un lato circolare della piazzetta discendendo sino alla lingua di pietra battuta che circondava l’isola.
Rischiò più di una volta di scivolare per merito dell’umidità accumulatasi sui gradini lisci, ma riuscì ugualmente a sopravvivere e raggiungere con un modico spreco di tempo la parte inferiore di Awashima, dove le vecchie canzoni malinconiche sulla sua emersione erano affievolite dal rombo agitato del Grande Blu. Percorse lo stradone di pietra fradicia, lanciando ogni tanto uno sguardo alla candida linea frangi flutti che si diramava come un ramo secco parecchi metri più in là senza assolvere completamente il proprio compito. Attraversò almeno un terzo dell’isola prima di scorgere il pennone dell’albero maestro della nave e il Jolly Roger di Kidd schioccare a ogni virata del vento. Quando lo scafo le fu finalmente visibile per intero, udì chiaramente la rara risata di Wire e quella sin troppo nota di una parte della ciurma, stravaccata sul lastricato a tirare dei consunti dadi dai bordi smussati.
«Alla buon’ora! Non è un po’ tardi per andarsene in giro da sola?» gracchiò la voce di Kidd, dal muro consunto su cui aveva deciso di sedersi a bere.
Aya si ritrovò gli occhi di mezzo equipaggio addosso e la sensazione di essere nuovamente sgradita la investì in pieno come uno schiaffo. Sorrise rinvigorita, percorrendo con misurata calma quella decina di metri che la separava dal gruppetto, perdendo persino un po’ di tempo nel calciare uno o due sassi finiti sulla sua strada a causa della bonaccia.
«Chi ti dice che ero in giro da sola Kidd?» stoccò, mentre la ciurma riprendeva a tirare i dadi.
Sospettava si fermassero a osservarla solo quando la speranza di vederla morire si faceva palese o giusto per metterla a disagio e farle saltare definitivamente i nervi.
Kidd batté divertito il proprio bicchiere sull’angolo del muretto, rompendo entrambi più di quanto già non fossero, mentre Wire si passava una mano sotto il cappuccio riacquistando la propria espressione scocciata. Aya ne era sempre dispiaciuta, le sarebbe piaciuto vederlo ridere, in fondo le stava simpatico.
«Dove sei stata?» chiese con stanca premura, quando lei si decise a muovere qualche altro passo.
«A farmi offrire da bere.» rispose paziente, avvicinandosi abbastanza da poter osservare il tavolo da gioco improvvisato.
«Da chi?» insistette, saltando la propria mano al gioco.
Strinse le braccia attorno al seno, cercando di ripararsi dagli sbuffi gelidi che continuavano a sollevarsi insieme alla luce oltre la linea dell’orizzonte grigiastro, prima di lasciarsi sfuggire un sorriso intenerito.
«Vacci piano Wire o finirò per pensare che sei geloso!» consigliò, beccandosi un’occhiataccia dall’interessato tra le risate sguaiate di Kidd e quella mal trattenuta di Killer, seduto dall’altra parte del muretto.
Percorse gli ultimi metri che la separavano da loro cercando di trattenere la propria risata, certa che semmai avesse ceduto alla propria stoccata Wire l’avrebbe volentieri affogata sulla riva senza chiedere l’autorizzazione a nessuno. Rinunciò al tentativo di non bagnare gli stivali nelle pozzanghere e scese il gradino basso che conduceva al muretto, raccogliendo il coraggio prima di accovacciarsi ai piedi di Kidd, tra due dei suoi uomini, evitando accuratamente di ritrovarsi accanto a Heat.
«Posso provare?» chiese speranzosa, smorzando il proprio sorriso quando il silenzio calò sull’intero gruppetto intento a scommettere.
Osservò i loro volti uno per uno, ignorando quello esasperato di Wire e i punti di Heat, deducendo chiaramente quanto contrari fossero a quel suo ennesimo tentativo di avvicinamento. Sospirò rassegnata, volgendo il viso nella direzione di Kidd scoprendolo a sorridere divertito per l’ennesima volta.
«Comincio a sospettare che sia colpa tua! Non mi fai fare amicizia!» lamentò con finta offesa.
«Ringraziami piuttosto, è merito mio se non ti ammazzano di notte!»
«Mi rincuora sempre parlare con te, Kidd.»



Discese la candida scalinata della casa quasi saltellando sui gradini, con il ticchettare sordo degli stivali ad accompagnare la sua espressione confusa, sino al largo atrio affrescato ove due canuti schiavi si erano già premurati di aprire il grande portone d’entrata. Uscì senza degnarli di uno sguardo, socchiudendo appena gli occhi nocciola quando il sole tornò a battere sul suo volto superando la visiera del cappello da marines. Ispirò affondo l’aria fresca di quel giorno per poi discendere anche quei pochi gradini marmorizzati che conducevano alla casa, inforcò le mani larghe all’interno del giaccone da capitano e andò in contro i suoi fratelli, ancora placidamente poggiati ai muretti d’accesso.
«Allora, te l’hanno data una foto senza quegli acquari che mettono in testa?» chiese irriverente uno dei tre gemelli, senza voltarsi a guardarlo.
«Non essere insolente Mizaru, sono Draghi Celesti.» lo riprese prontamente l’altro, sollevandosi dal proprio appoggio per ricevere il piccolo ritratto che gli era consegnato.
«Non ero insolente con loro, Iwa, ero insolente con i loro acquari.» specificò con una mezza risatina.
«Non essere insolente e basta.»
«Cos’ha detto la vecchia?» indagò l’ultimo, ignorando il battibecco e fissando il maggiore della famiglia che ormai aveva superato il cancello della proprietà ritornando in strada.
«Nulla, ma la Signorina Hana mi ha molto gentilmente suggerito di cercare la sua amata sorella su qualche isola di gente comune…» spiegò, ancora preso dai propri pensieri.
I tre gemelli lo seguirono lungo il grande viale lastricato di bianco che conduceva alla piazza con la fontana della città, rigirandosi tra le nocche spropositatamente allungate l’immagine della ragazza.
«La Signorina lo sa che Sabaody è un arcipelago di gente comune?» schernì il minore, continuando a camminare al contrario per vedere meglio in volto i propri fratelli.
Una mano lo afferrò prepotente per le ciocche sporgenti, costringendolo ad abbassarsi in segno di scuse.
«Non essere insolente Mi-»
«Non è a Sabaody secondo lei, ma da qualche altra parte a gettare fango sull’onore della loro stirpe.» delineò stranito, fermandosi di colpo.
Il gorgogliare dell’acqua nella fontana riempì il silenzio del viale, insinuandosi nell’aria sino a renderla più fresca di quanto non fosse vicino alla casa in cui aveva passato più di due ore a interrogare una vecchia balia disposta a farsi tagliare la testa piuttosto che mormorare qualcosa. Piegò il capo sulla spalla, osservando il profilo appena visibile della grande vasca ove nuotavano i pesci più rari di quel mondo e prese finalmente consapevolezza di quanto delicata fosse la ricerca che gli era appena capitata tra le mani.
Non sapeva se ciò che la sorella della ragazza gli aveva fatto intendere fosse vero o solo frutto di una fantasiosa vendetta verso la maggiore, non aveva prove, nessuno avrebbe potuto testimoniare quell’assurdità, ormai neanche quella vecchia schiava e di certo i suoi nobili genitori non avrebbero messo a repentaglio il buon nome della stirpe solo per ritrovare una ragazza di cui pareva gli importasse davvero ben poco.
«Un’altra volta?» chiese sbigottito il minore, mettendo fine a quel silenzio sin troppo greve.
«Questa volta, Mizaru. Quello che è accaduto anni fa non è affare nostro ed è già risolto da tempo.»
Iwazaru aveva ragione nello specificare, ma la questione del Demone celeste rappresentava comunque un probabile e pericoloso precedente sin troppo ingombrante perché loro potessero agire senza il consenso totale dei Cinque saggi. Avrebbe dovuto accertarsi di quella questione scandagliando per bene le rotte e mettendo fine a quelle inutili ricerche, prima di informarli ed eseguire i loro ordini. Bisognava che nessuno sapesse, che il mondo ignorasse quella sparizione e che tutto continuasse a procedere secondo l’ordine che il Governo Mondiale aveva prestabilito. Era necessario che nessuno compisse il passo sbagliato.
«Risolviamo il problema alla radice, Shi?» domandò laconico Kikazaru, dando voce ai suoi pensieri.
«No, finché non mi autorizzano, ci limitiamo a scoprire dov’è finita. Sempre che sia viva.»
«Da dove cominciamo allora, se non da Sabaody?» sbuffò la voce impaziente del minore, diretto ormai verso la piazza.
Ci pensò su per qualche secondo, racimolando quelle poche informazioni che gli erano state fornite e un’idea si fece largo nella sua mente.
«Mare orientale, Kohakushima.» scandì, riprendendo il proprio cammino.












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Note dell’autrice:
Anche sta sera faccio la prolissa, ma ormai queste note stanno diventando una caratteristica di questa storia e suppongo non diano troppo fastidio ai lettori, quindi eccole di seguito.

- Ōtsu-e: Sono delle placchette dipinte, spesso raffiguranti orchi o mostri del folclore nipponico, che vengono sfruttate durante la cerimonia dell’Okoshi daiko. Questo rito viene realmente svolto dai viaggiatori o da coloro che, pur non intraprendendo una grande avventura, vogliono ingraziarsi gli dei. Si dice tenga lontana gli spiriti malvagi e i demoni, proprio per questo sulle placche che vengono sfruttate essi vengono raffigurati.
- Quattro fratelli Saru: Non esistono tra i personaggi di Oda, ma sono una mia fantasiosa invenzione basata per l’ennesima volta su una leggenda giapponese che ormai è diffusa nel mondo intero. Sono quasi sempre in tre e il loro nome deriva dalla leggenda delle tre scimmie sagge, "Sanbiki no saru". Nella tradizione esse sono guardiane simboliche dei mausolei degli dei, danno corpo al principio del "non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male". I loro nomi sono rispettivamente Mizaru(scimmia che non vede), Kikazaru(scimmia che non sente) e Iwazaru(scimmia che non parla). Raramente viene simboleggiata un'altra scimmia, quella del non compiere il male, Shizaru, che è anche il personaggio su cui ho sviluppato il POV e fratello maggiore dei tre gemelli.
- Demone celeste: {Avevo dimenticato di inserire questa nota durante la pubblicazione, ma provvedo immediatamente dato che Aliaaaara me lo ha fatto notare durante la recensione.} Soprannome che viene affibbiato a Do Flamingo da Oda e che spiega perfettamente le sue origini. Non si sa molto su come siano andate le cose per lui essendo un Drago Celeste, ma è appurato ormai che abbia rinnegato il proprio stato e si sia guadagnato una cattiva fama. I fratelli Saru lo citano come "precedente scomodo" essendo la sua rottura con il mondo dei Nobili Mondiali avvenuta molto tempo prima della fuga di Aya e essendo la sua storia alquanto spinosa per il Governo Mondiale. Ben inteso che Aya e Do Flamingo non hanno nulla a che spartire se non la medesima condizione di Draghi celesti non tanto... nobili.
- Kohakushima: L’isola di Kohaku, luogo ove è nata Ko, balia di Aya.



  
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