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Autore: FlyingBird_3    20/12/2013    5 recensioni
Emilia Romagna, Agosto del 1944
Il generale Badoglio ha firmato l'armistizio con gli Alleati, lasciando però i soldati italiani senza un ordine preciso su come comportarsi con l’esercito tedesco.
Maria De Felice è una ragazza di 23 anni, italiana, nata in una famiglia di alta borghesia. Ha potuto studiare con insegnanti privati, ed il suo sogno è quello di seguire il padre nei suoi viaggi attraverso l'Europa.
Friedrich Schuster, ufficiale delle SS a 30 anni, onorato di molte medaglie al valore per le sue imprese di guerra, guida le truppe tedesche all'occupazione dell'Italia settentrionale.
Le loro storie si intrecceranno, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, cambiando radicalmente le loro vite...
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
Capitoli:
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Settembre, 1956
È notte fonda, e l’unica cosa che si sente nella stanza è il respiro regolare di Riccardo affianco a me. Come ogni sabato, aspetto che tutti si siano addormentati profondamente prima di uscire di casa per andare da Friedrich.
Sono passati sei mesi: sei mesi di bugie, segreti e scuse inventate per giustificare quello che i miei amici e famigliari giudicano uno “strano” comportamento. Inoltre ho dovuto accontentare molte volte Federico per impedirgli di raccontare ad altri di Friedrich; non è di certo il migliore dei comportamenti da insegnargli, ma lo sto facendo solo per lui, per dargli la possibilità di conoscere suo padre per quello che veramente è.
Se mia madre sapesse che donna sono diventata, probabilmente mi ripudierebbe come figlia: ho avuto un figlio fuori dal matrimonio, ed ora sto tradendo l’unico uomo che ha accettato questo fatto.
Sono consapevole di quello che sto facendo? Probabilmente no. Me ne pento? Assolutamente no.
Sono stata ad un passo dalla morte per così tanti mesi, pregando perché una bomba non cadesse sulla mia testa; la mia famiglia è stata uccisa, lasciandomi solo Francesco. L’unica cosa che cerco ora è l’amore che mi è stato negato in quegli anni; nel bene o nel male continuerò ad amarlo e a cercarlo anche se questo potrà provocare dolore agli altri. È passato il tempo in cui mi chiedevo se fosse giusto o sbagliato: Friedrich mi fa sentire viva, completa, ed è questo l’importante per me.
Nonostante questo pesante segreto da portare, è stata una delle migliori estati che abbia mai passato: le lunghi notti bollenti passate tra le sue braccia, i racconti al chiaro di Luna, le esperienze padre e figlio... Tutte cose che mi hanno riempito il cuore di una gioia nuova, pura.
Mi alzo, facendo attenzione nel fare il meno rumore possibile, dopodiché scendo piano piano le scale scricchiolanti che portano al pianterreno; attraverso la cucina, ancora in disordine dopo la lunga cena che c’è appena stata, e apro la porta d’entrata.
Non è più il periodo di uscire solo con la vestaglia, ed infatti inizio a sentire un freddo pungente percorrere tutta la mia pelle.
Mi dirigo a passo svelto verso il bosco: ormai la potrei fare anche ad occhi chiusi questa strada; supero il laghetto, ed entro tra i pini sempreverdi. Dopo un paio di minuti scorgo la cuccia di Bud, che appena mi vede inizia a scodinzolare, ma da seduto, perché so che a quest’ora è sempre stanco.
Busso piano tre volte, poi apro la porta; Friedrich dice che ormai riconosce il suono che fanno le mie nocche sul legno, quindi sono libera di entrare senza aspettare che mi apra lui.
La candela sul tavolo è accesa e lo vedo di spalle, ad armeggiare con delle scatole.
Hallo!” gli dico, mentre lui si gira guardandomi con aria un po’ sorpresa.
“Maria… non staremo qui stasera. Puoi aprirmi la porta, bitte?”
Rimango un po’ stranita dal suo comportamento; sembra che abbia fretta di fare qualcosa, tant’è che non mi ha neanche salutata.
“Va bene…”
Apro la porta mentre lui, con un soffio, spegne la candela e prende tra le braccia uno scatolone abbastanza grande, che ad occhio e croce sembra pesante.
Lo seguo nel buio della notte, mentre percorre una strada che solo lui sa dove porta.
“Dove stiamo andando?” provo a chiedergli, ma fa un cenno negativo con il capo, facendomi intendere che non vuole dirmelo.
Dopo dieci minuti di silenzio e di salite ripide, si ferma ed appoggia lo scatolone sopra a dei massi per riprendere fiato.
“Friedrich dove stiamo andando? Vuoi una mano con quella scatola?”
Nein” dice ancora, dopodiché lo riprende tra le braccia e ricomincia a camminare.
Ormai ho capito, quando vuole che una cosa sia fatta a modo suo, sarà fatta alla sua maniera; sospiro, continuando a seguirlo.
Dopo venti minuti si ferma di nuovo, ma stavolta lo vedo frugarsi dentro la tasca della giacca.
“Ci vuole ancora tanto? Scusa ma sono stanca stasera… e fa davvero freddo in mezzo al bosco” dico, stringendomi la vestaglia addosso.
Lui si avvicina, e si mette alle mie spalle.
“Chiudi gli occhi” mi dice.
Rimango perplessa dalla sua richiesta, comunque lo accontento perché mi fido di lui.
Mi appoggia qualcosa sugli occhi, legandomela bene, dopodiché mi chiede di aspettarlo là; sento i suoi passi che si allontanano, e dopo poco che ritornano.
La sua mano prende la mia, in un gesto silenzioso di guida; i piedi sono insicuri sui dislivelli del terreno e più di una volta inciampo su delle pietre. All’ennesima pietra presa male, Friedrich mi prende in braccio.
“Facciamo così, almeno arriviamo prima” dice.
Io lo colpisco affettuosamente sul petto, poi gli avvolgo le braccia intorno al collo per riuscire a tenermi dritta; avvicinandomi sento il suo solito profumo, ormai inconfondibile. Quel profumo di uomo che vorrei avere sempre con me.
Friedrich intanto sta salendo delle scale; un cigolio mi fa intuire l’aprirsi di una porta, dopodiché lo sento appoggiarmi a terra.
D’istinto porto le mani alla benda per togliermela, ma mi ferma con forza.
“No! Te la tolgo io. Stai ferma dove sei.”
Io ubbidisco, anche se tutto questo mi sembra strano.
“Cosa sta succedendo? Friedrich, mi vuoi dire che…”
Mi blocco. Lo sento alle mie spalle, mentre mi fa scivolare la vestaglia per terra; mi prende le cosce e le stringe, venendo sempre più su. Ad ogni suo tocco un mio sospiro, come se fosse sempre la prima volta.
Le sue mani continuano a salire, portando su anche la camicia da notte; me la fa passare delicatamente dalla testa, ed in seguito un fruscio mi fa capire che ha raggiunto la vestaglia sul pavimento.
Nella stanza non fa freddo, probabilmente ci dev’essere un fuoco acceso da qualche parte, perché lo scoppiettio del legno è inconfondibile.
Le sue mani calde ora mi avvolgono la vita, arrivando piano su fino ai seni; me li prende con delicatezza, e contemporaneamente mi bacia la spalla sinistra, facendomi buttare la testa all’indietro contro di lui per il piacere.
Lo sento percorrere il mio reggiseno, dopodiché lo slaccia, facendolo cadere a terra.
Ora però non sento più la sua presenza vicino a me, così mi copro pudicamente il seno, non sapendo dove io sia e cosa stia succedendo.
“Non coprirti. Voglio ricordarti così”
La sua voce ora proviene da davanti, ma non così vicino come sperassi; abbasso le mani, fidandomi come al solito delle sue intenzioni. Il rumore di un accendino mi fa capire che probabilmente si è acceso una sigaretta.
Lo sento frugare dentro allo scatolone, poi avvicinarsi di nuovo: mi prende le mani e le appoggia entrambe sulle sue spalle, poi mi chiede di alzare piano una gamba.
Sorrido tra me e me, e lo accontento: alzo la gamba destra, e qualcosa di morbido e liscio la sfiora per un attimo.
“Appoggiala e alza l’altra” mi dice ancora.
Faccio come mi dice, e stavolta sento un tessuto scivolare sulla mia pelle.
Friedrich si sposta, facendomi ricadere le braccia ai fianchi; torna dietro di me e mi tira su quello che dev’essere un vestito.
La chiusura probabilmente è a bottoni, perché piano piano sta risalendo, fin quasi a metà schiena. Quando ha finito si sposta, e lo sento espirare il fumo della sigaretta.
Io mi tocco, cercando di capire com’è fatto: mi lascia le spalle e metà schiena scoperte, e sul davanti ha una scollatura a cuore, che mi preme il seno. Dalla vita fin quasi sopra le ginocchia si apre in una gonna molto larga e morbida.
“Posso sapere cosa stai facendo?” gli chiedo.
“Non ancora” dice lui.
Prende qualcosa dalla scatola poi me lo mette in mano, dicendomi di tenerlo ben stretto.
Al tatto è qualcosa di duro e sottile, di forma quadrata.
Mi prende per un fianco, camminando piano vicino a me per guidarmi; usciamo di nuovo nel bosco, e stavolta mi dice dove mettere i piedi prima che mi faccia male.
Ad un certo punto inizio a calpestare qualcosa di duro, non più terreno, ma asfalto; i rumori che provochiamo ritornano indietro più facilmente, come se ci trovassimo dentro qualche luogo.
Mi lascia andare, prendendo l’oggetto che mi ha chiesto di tenergli dalle mie mani.
“Aspettami, arrivo subito.”
Inizio a sentirmi un po’ nervosa non riuscendo a vedere dove sono, ma rispetto ancora quello che mi chiede di fare.
Sento il rumore gracchiante di una manovella che gira; poi il fruscio della carta e qualcosa che viene appoggiato.
Intanto brividi di freddo percorrono il mio corpo, facendomi quasi battere i denti. Mi muovo un po’ sul posto, cercando di scaldarmi; poi, un rumore che non sentivo da tanto tempo, mi fa immobilizzare, stupita: il suono della puntina del grammofono su di un disco.
I passi di Friedrich si avvicinano, e stavolta mi scioglie il nodo della benda, togliendomela; sbatto due, tre volte gli occhi per riprendere bene la vista, poi mi guardo intorno.
Siamo in una specie di aia, attorniati da tre lati da una fattoria in rovina; sopra di noi ci sono ancora le assi curve che una volta avrebbero dovuto reggere il soffitto. Ora invece è rimasto solo il legno, facendone una stanza enorme a cielo aperto.
“Cosa…?”
Cerco di parlargli ma lui mi zittisce, avvicinandomi al suo petto e prendendo una mano nella sua.
Da una stanza vicino si sente il grammofono che è pronto per suonare qualcosa, così aspetto in silenzio, scostandomi un po’ dal suo corpo.
Non ci vuole molto: le note di quella canzone che non scorderò mai invadono l’aria, facendomi sentire una forte stretta al cuore.
Friedrich si avvicina al mio orecchio, guidandomi in un lento ballo.
Ascolta. Non ci sono parole migliori per farti capire quello che sei per me
E alla fine arrivano. L’emozione è così forte che una lacrima mi scende dal viso. Una e poi due. E poi tre, e così via.
In quelle note risento la voce di mamma, quella di Elena e degli zii. Le voci argentine dei miei nipotini, quelle di sottofondo dei compaesani. E poi risento il suono di marcia prodotto dagli stivali di quei soldati stranieri che erano appena arrivati in città. Rivedo la luce rossa del tramonto alle loro spalle, e gli occhi azzurri di quel soldato che allora non sapevo nemmeno chi fosse.
Risento il suono cupo e tombale della sirena antiaerea, il rumore dei vetri rotti, quello delle case che venivano giù.
E poi rivedo le stelle e risento la sua voce calda e tranquilla che mi parla; le sue medaglie scintillanti che avevo imparato a distinguere, le sue varie divise per le diverse occasioni.
E poi all’improvviso ordini urlati in tedesco, altri in italiano, e uno sparo che parte dalla pistola. Il sangue di quell’uomo che si sparge sul pavimento, assieme a quello della mamma e di Elena.
Metto le braccia attorno al collo di Friedrich, posando la mia testa sulla sua spalla; nessuno più di lui saprà mai cosa ho provato, cosa è veramente successo.
Guardo il cielo punteggiato di piccole e brillanti stelle; qualche nuvola ne nasconde un paio, ma lì in alto a sinistra c’è sempre lei, quella Luna che mi ha visto sospirare più volte, ha sentito i miei pianti e le mie risate, ma soprattutto ha sentito la mia voce.
Chiudo gli occhi, lasciandomi trasportare da quella musica immortale, che ci ha uniti dodici anni fa e ci riunisce anche ora.
 
Come sei bella, più bella stasera Mariù… splende un sorriso di stella negli occhi tuoi blu... anche se avverso il destino domani sarà... oggi ti sono vicino perché sospirar? Non pensar… Parlami d’amore Mariù… tutta la mia vita sei tu… gli occhi tuoi belli, brillano… fiamme di sogno, scintillano… dimmi che illusione non è… dimmi che sei tutta per me… qui sul tuo cuor non soffro più! Parlami d’amore Mariù…
So che una bella e maliarda sirena sei tu… so che si perde chi guarda quegli occhi tuoi blu… ma che m’importa se il mondo si burla di me… meglio nel gorgo profondo ma sempre con te, si con te… Parlami d’amore Mariù… tutta la mia vita sei tu… gli occhi tuoi belli, brillano… fiamme di sogno, scintillano… dimmi che illusione non è… dimmi che sei tutta per me… qui sul tuo cuor non soffro più! Parlami d’amore… Mariù!
 
“Puoi rimetterla ancora?” gli chiedo.
Lui fa un cenno, poi lo vedo avviarsi verso una stanza, dove probabilmente si trova il grammofono.
Intanto che lo sento ricaricarlo, guardo il vestito che mi ha fatto indossare: è completamente bianco, con una fantasia di minuscoli fiorellini rosa e azzurri su tutta la gonna.
Lo vedo ritornare e lo accolgo di nuovo tra le mie braccia.
“Ma quand’è che pensi a tutte queste cose?” gli chiedo guardandolo negli occhi, con un sorriso sulle labbra.
“Vediamo… il vestito l’ho visto in un negozio un pomeriggio che stavo uscendo dalla fabbrica. L’ho notato subito, ed ho pensato che addosso a te sarebbe stato ancora meglio che sul manichino.”
Mi avvicino alle sue fini labbra, stampandogli un bacio dolce e tenero.
“È davvero bello, grazie… e per il resto invece?”
Lui alza un attimo gli occhi verso il cielo, come se stesse ricordando tutti i passaggi che ha fatto.
“Sai che mi piace starmene in mezzo alla natura. Ho scoperto questo posto un paio di mesi fa… e appena ho visto il grammofono nella stanza, ho pensato che ti sarebbe piaciuto ascoltarlo. Mi ricordo che cantavi come un uccellino le canzoni che sentivi alla radio, su quella terrazza, al freddo…”
Ridiamo tutti e due, complici e tranquilli come non mai. Poi lui ricomincia a parlare.
“Non sai quanto ho faticato per trovare quel disco. Ma alla fine ce l’ho fatta.”
Mi alzo sulle punte per guardarlo meglio.
“Lo sai che non c’è bisogno che mi regali tutte queste cose. Mi basta che mi sei vicino” dico.
Lui sospira, stringendomi di più a sé.
“Lo so. Ma stavolta volevo fare le cose per bene.”
“In che senso? Non hai mai fatto niente di sbagliato.”
Lui non risponde, e nonostante le mie insistenze continua a non rispondermi.
Alla fine lo spingo piano lontano da me, in modo da riuscire a vederlo bene.
“Friedrich c’è qualcosa che mi devi dire? Perché rimani in silenzio e non vuoi rispondermi?”
Lui è qui da circa sei mesi, ma la mia paura che se ne possa andare continua ad essere viva.
Si strofina il viso con le mani, ed intanto il disco finisce nuovamente la canzone.
Ora non si sentono altro che i grilli della notte parlare al vento, ed un gelo improvviso è calato fra di noi; lo sento che c’è qualcosa di cui non mi ha parlato.
“Hanno deciso di riaprire il processo.” Dice, duro e fermo sul suo posto.
“Quale processo?” chiedo.
“Quello per la strage sul fronte nord. Ho passato dieci anni in carcere per quel motivo. L’hanno riaperto quattro mesi fa… ora siamo arrivati alle fasi finali e non potrò più uscire dalla Germania prima della sentenza.”
Mi avvicino e gli prendo la mano, stringendola fra le mie.
“Perché non me l’hai detto prima?”
Un pensiero improvviso mi passa per la mente: ha fatto tutto questo perché pensa di essere condannato. Questa può essere l’ultima volta che ci vediamo.
Lo guardo con tutto l’amore che uno sguardo possa trasmettere, dopodiché lo costringo a seguirmi, cercando di ricordare dov’è quel posto caldo in cui mi ha spogliata.
“Dove vai? La casa è da un’altra parte” lo sento dirmi da dietro, così lo faccio passare avanti per fare strada.
Arriviamo davanti ad una piccola baita, probabilmente l’abitazione di qualche guardiano o cose del genere; delle scale di legno portano ad un’unica stanza, rialzata rispetto il terreno.
Entriamo e noto immediatamente i miei vestiti a terra; nella parete di fronte c’è un camino con il fuoco scoppiettante all’interno. Sulla parete di destra si trova il fornello con un piccolo frigo, mentre su quella di sinistra un grande letto.
Mi giro a guardarlo e lo vedo osservarmi con la stessa espressione di quando ha dovuto lasciarmi, a Cuneo; mi avvicino, accarezzandogli le braccia, in silenzio.
Lui mette le mani sui miei fianchi, appoggiando la testa sulla mia spalla; lo sento che questa storia lo fa impensierire molto.
“Vieni, sediamoci sul letto”
Lo tiro per una mano, portandolo con me.
“Qualsiasi cosa succeda, io sarò sempre qui con te. Te lo prometto.”
Gli metto la mano sul cuore, ma continuo a vedere delle ombre nei suoi occhi.
“Friedrich, parla con me. Non tenerti tutto dentro”
Lo vedo abbassare gli occhi e spostare lo sguardo lontano; mi metto a cavalcioni su di lui, prendendogli il viso tra le mie mani.
“Friedrich! Guardami! Dimmi quello che senti… per favore. Mi sento morire a vederti così.”
Lui finalmente mi guarda; mi mette una mano sul viso, accarezzandomi, come se fossi qualcosa di distante da lui.
Dopo un tempo che sembra infinito, finalmente inizia a parlarmi.
“Ho paura” dice, senza aggiungere nient’altro.
“Di cosa?” gli chiedo con voce sottile, nel timore che cambi idea.
“Non è stata colpa mia, Maria. Ma mi condanneranno lo stesso.”
“Se non è stata colpa tua, non possono incolparti facilmente. È di questo che hai paura?”
Abbassa di nuovo lo sguardo, come se questo possa aiutarlo a non mostrare quello che prova.
“Sono stati uccisi dei soldati americani. Il processo è tenuto da americani. Vogliono un colpevole, e nel bene o nel male lo avranno. Io ero il comandante della squadra che ha ucciso quei soldati, ma non ho dato alcun ordine.”
Un brivido di terrore mi percorre la schiena, ma cerco di farmi vedere sicura: ha bisogno di qualcuno che gli mostri affetto, non paura.
Gli accarezzo il petto, cercando di rilassarlo il più possibile.
“Friedrich, tu sei innocente. Devi combattere fino alla fine. Io ti starò sempre accanto per quello che può servire. Sono sicura che se non ti hanno condannato al primo processo, non riusciranno a trovare altre prove in questo.”
Mi guarda, e le ombre nei suoi occhi sembrano sparite; la tristezza che li circonda però, quella non è riuscita ad andarsene.
“Tu devi starne fuori da questa storia.” dice, duro.
“Friedrich, qui non si tratta di sciocchezze. Sono abbastanza grande da prendermi la responsabilità di quello che faccio. Se dovrò fare trecento chilometri per farti felice un’ora, li farò senza battere ciglio.”
Mi prende forte la nuca, impedendomi di muovermi, e il respiro mi si mozza per un istante.
“Non andrai da nessuna parte, ritornerò io qui da te, te lo prometto. Ma non fare sciocchezze nel frattempo… hai capito?”
“Quand’è che devi ripartire?”
“Domani mattina. Il processo inizia martedì.”
“Domani?!”
Sono scioccata: questi sono gli ultimi momenti in cui possiamo stare insieme. Vorrei rimproverargli il fatto di non avermelo detto prima, il fatto di essere sempre così chiuso ed impedirmi di aiutarlo.
Però non è di questo che ha bisogno adesso. Sospiro profondamente, reprimendo la tristezza e la rabbia per doverci separare di nuovo.
“Va bene. Abbiamo tutta la notte ancora. Non sprechiamola così”
Avvicino le mie labbra alle sue chiudendo gli occhi; voglio ricordarmi tutto, i suoi movimenti, il suo gusto, il suo profumo.
Sembra voglia fare la stessa cosa con me, perché mi tocca con dolcezza e calma.
Prendo le ciocche dei suoi capelli tra le mie mani, guardando i riflessi biondi cambiare tra le mie dita; lui intanto scende sul mio collo, facendomi rabbrividire per le forti sensazioni.
Dopo esserci coccolati sul letto, mi prende in braccio e mi appoggia sul tappeto davanti al camino, sedendosi vicino a me.
“Non l’abbiamo mai fatto così” dice.
Io lo guardo sorridendo; il calore che emana il fuoco è qualcosa di piacevole, ma niente comparato al calore che emana il suo corpo.
Mi toglie il vestito, ed io lo aiuto a togliersi i suoi; finisce tutto sparso sul pavimento.
Mi fa stendere a terra, controllando che sia comoda; si mette sopra di me, ma prima di ricominciare mi guarda, sfiorando ogni centimetro della mia pelle con i suoi tristi occhi.
“Voglio ricordarti così…” ripete ancora, “Nuda e solo mia.”
Gli accarezzo la schiena, mentre si cala su di me, baciandomi il ventre.
“Ed io invece ti voglio ricordare così dolce da farmi impazzire”
Alza lo sguardo, avvicinandosi al mio viso; mi guarda un istante prima di baciarmi ancora, e allo stesso tempo sento la sua mano scendere sul mio ventre.
Inizio a sospirare sempre più forte, sentendo mille farfalle svolazzare nel mio stomaco.
Voglio sentirti dire il mio nome. Urlalo se vuoi, ma voglio sentire la tua voce che riempie le mie orecchie stanotte. Nient’altro.”
E lo accontento. Facciamo l’amore tre volte, fino alle prime luci dell'alba.
Quando mi appoggio sul suo corpo dopo l’ennesimo forte piacere, lui mi prende in braccio e mi appoggia sul letto, coprendoci con delle coperte.
Mi prende tra le sue braccia, stringendomi forte; io sto tremando, non dal freddo, ma per le emozioni provate per tutta la notte.
“Stai tremando” mi dice, accorgendosene, “Hai freddo?”
“No, non ho freddo.”
Non mi va tanto di parlare, mi sento stanchissima e vorrei solo godere della sua presenza; tuttavia lui non sembra dello stesso parere.
“E perché tremi allora? Stai male?”
“No, sto anche troppo bene… non sono abituata a tutte queste sensazioni in poco tempo. Tutto qua.”
Lo sento ridere piano, ed iniziare ad accarezzarmi i capelli.
Questi sono veramente gli ultimi istanti in cui stiamo assieme; gli ultimi momenti in cui ho la possibilità di dirgli tutto quello che posso.
Mi puntello sui gomiti, girando la testa in modo da riuscire a guardarlo.
“Vorrei dirti tante cose ora. Vorrei farti sapere quello che provo, quello che sento… vorrei riuscire a cancellare le tue paure, farti capire che anche quando sei lontano, io ti sono sempre vicina. Ma non riesco ad esprimerti tutto questo a parole..."
Esito un attimo scoprendo che non ci sono parole migliori per dirgli quello che penso, di quelle che mi sono appena venute in mente.
"Ti amo Friedrich. Sei l’uomo che aspettavo da una vita.”
Gli occhi si fanno un po’ lucidi, consapevole ora come non mai che dovrò lasciarlo ancora.
Lui mi guarda in viso, muovendo i suoi occhi a scatti su ogni mio particolare. Dentro le sue iridi riesco a scorgere l’azzurro del cielo, il giorno in cui mi stavo dirigendo per la prima volta verso la chiesa di Cuneo.
Mi sposta una ciocca di capelli dagli occhi, guardandomi con sguardo sicuro.
Du bist so schön. Ich liebe dich auch, Maria
  
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