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Autore: Betta7    22/12/2013    7 recensioni
STORIA TEMPORANEAMENTE SOSPESA.
"Peccato che il detto ‘i soldi non fanno la felicità’ nel mio caso calzasse a pennello visto che la mia vera felicità mi stava trascinando nella villa dei miei sogni con il solo intento di venire a letto con me. "
Estratto dal 1° capitolo.
Per alcuni Amore non era una parola contemplabile nel loro rapporto, per altri erano solamente quello: puro amore.
Per loro due, infine, amore, sesso litigi, urla e schiaffi erano praticamente la stessa cosa solo che in mezzo, ovviamente, c'era un abisso.
Quanto ancora poteva resistere una situazione del genere tra loro?
Quanto ancora la loro relazione- se così poteva essere chiamata- avrebbe sopportato?
Una storia piena di ripicche e pungenti situazioni tra due ragazzi che, dopo secoli, non hanno ancora capito di essere l'uno lo specchio dell'altro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Coppie: Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Per chi stesse leggendo la storia adesso: voglio avvisarvi che il capitolo è stato modificato. Avevo pubblicato questo capitolo e il successivo, che sarà anche quello modificato, in terza persona senza prendere più il punto di vista di Sana. Ora, invece, ripropongo la prima persona perchè la preferisco.
Buona lettura :*

CAPITOLO 3
ETERNAMENTE IN BILICO, MA INSIEME.

 
Probabilmente ero sempre stata convinta che il tempo non avrebbe modificato l’intesa che univa me e quel ragazzo schivo ma in quel momento mi resi conto che non era così, che il tempo passa e si porta via tutto quello che trova sul suo cammino.
A quel giro s’era portato via la fiducia, l’affetto e la capacità di capirsi in mezzo secondo lasciando solamente domande e infinite incertezze.
Akito era ancora sul portico aspettando che io lo invitassi ad entrare e, vedendo che non mi preoccupavo di farlo, lo fece lui stesso chiudendosi la porta alle spalle.
Alzai lo sguardo e, stizzita, mi andai a sedere sul divano cercando di continuare a fare ciò che stavo facendo prima che Hayama piombasse nel mio salone.
Il silenzio regnava assoluto. C'era sempre stato silenzio tra noi, ma non era mai stato distruttivo; quel silenzio, invece, ci allontanava e radeva al suolo ogni più piccola speranza di ricostruire quel qualcosa che forse non c’era mai veramente stato.
Poi venne spezzato, d'un tratto.
«Che cosa vuoi Hayama? Non mi sembra di averti telefonato perché volevo la tua compagnia!».
Cambiavo nervosamente canale cercando, vanamente, un programma che facesse abbastanza baccano da non sentire ciò che il biondo aveva da dirmi. Sul serio, ascoltarlo non era la mia massima aspirazione quella sera: ero stanca di sentire quasi sempre le stesse risposte, le stesse giustificazioni inutili e lo ero ancora di più in quel momento dopo aver passato una così bella giornata.
Akito intanto era rimasto appoggiato alla parete dell’ingresso senza muoversi di un centimetro dal momento in cui gli avevo aperto la porta.
«Chi era quel tipo Kurata?». Fece un passo avanti posizionandosi proprio di fronte alla mia faccia per far si che lo guardassi. Quell’improvvisa vicinanza mi fece balzare il cuore.
Akito odiava essere ignorato quando voleva l’attenzione di qualcuno e, per averla, sarebbe stato capace di tutto.
«Non mi pare di doverti alcuna spiegazione.».
Cercavo di mantenere un tono duro e distaccato, in quel momento stavo soffrendo da pazzi am non gliel’avrei mai dato a vedere. Volevo vederlo soffrire e inizialmente questo pensiero mi spaventò non poco dato che avevo sempre detto di amarlo. Si dovrebbe volere solo il bene di chi si ama. Che quell’amore fosse solo frutto di una cosa tirata troppo per le lunghe?
Insomma, eravamo stati quasi costretti a stare insieme dalle circostanze perché dopo tutto quello che avevamo passato insieme sarebbe stato incoerente ma.. ma se quel sentimento che ci legava fosse stato solo nostalgia? Molti affetti sono abitudini o doveri che non troviamo il coraggio di interrompere.
 Lo guardavo e l’unica cosa che riuscivo a vedere era il vecchio Akito, quel ragazzo che amavo e non era la stessa persona che avevo davanti; d’altro canto se gliel’avessi chiesto lui mi avrebbe risposto che non era affatto cambiato ma che aveva semplicemente imparato che ci sono rapporti sani e rapporti malati, come il nostro. L’avevo sentito speso definire il nostro legame in quel modo. Malato. A me sembrava la cosa più sana del mondo.
I nostri occhi si incrociarono, Akito lì calò per primo e vidi chiaramente tutto il suo autocontrollo andare in frantumi. Nel momento stesso in cui mi ero alzata per dirigermi verso la mia camera, stizzita dalla discussione che non prendeva alcuna piega, lui mi aveva sbarrato la strada.
Ero in trappola.
«Bene, ora mi dici chi era quel tipo?» chiese nuovamente in attesa di una vera risposta. Mi sembrò di impazzire, probabilmente aveva già architettato chissà quale piano alla Hayama per toglierlo di mezzo ma, non avendo nome e cognome, le cose non sarebbero state particolarmente facili.
«Ma pensi veramente di avere il diritto di saperlo?». Mi scagliai contro di lui come se fosse stato il mio peggior nemico e, in realtà, lo era sul serio. «Credi veramente di poter venire qua, in casa mia, a chiedermi spiegazioni quando tu non me ne dai nessuna?».
Serrai la mascella e gli rivolsi uno sguardo che avrebbe potuto trafiggerlo: ero sopraffatta dalla rabbia, dalla delusione, dallo stupore. Chi era lui per dettare legge sulla mia vita?
«E lasciami!» strattonai il braccio facendogli mollare la presa.
Akito rimase immobile per circa cinque secondi e, subito dopo, cominciò a sorridere. Intanto io mi ero fiondata sulla porta intimandogli di uscire da casa mia, dalla mia vita specialmente.
«Che c’hai da ridere?» chiesi spazientita.
«Tanto non starai con lui, Kurata. Non puoi.»
Continuò a sorridere in maniera quasi isterica.
«E perché non dovrei?». Chiusi automaticamente la porta perché le urla cominciavano a farsi veramente pesanti e non volevo che qualcuno ci sentisse: la signora Kamuri, la mia vicina, si sarebbe di certo lamentata.
«Perché è me che vuoi.» Rispose sicuro di se Hayama.
Ecco cosa odiavo di lui: la sua presunzione, il suo ostentare perennemente il fatto di essere perfetto. Akito era cambiato molto negli anni, non era più il bambino insicuro delle elementari e nemmeno il ragazzino che litigava con i professori alle medie. Era diverso e si notava anche dalle piccole cose, dalle insignificanti battute di ogni giorno.
L'avevo pensato tante di quelle volte, guardandolo.
Mi aveva illusa, straziata e delle volte perfino ignorata. Io dal canto mio avevo pensato quelle parole, tante di quelle volte, senza mai trovare il coraggio di dirle veramente. Era come se mi si bloccassero in gola. Era questa la scusa che adottavo per giustificare quel groppo alla gola quotidiano.
Mi ero promessa tante volte di trovare il coraggio, di imporre ai miei piedi quel percorso che mi avrebbe portata dritta alla vendetta.
Poi sospirai e mi avvicinai proprio per dirgliele quelle parole che davvero avrebbero sancito la fine di tutto. La fine della nostra, se così poteva essere chiamata, storia. La fine della nostra, anche questa di dubbia natura, amicizia. La fine di tutto.
Ti odio pensai. E contemporaneamente mi maledissi per ciò che il mio cervello aveva appena elaborato. Io non lo odiava affatto, anzi, lo amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo ed era proprio per questo che non potevo sopportare quell’assurda situazione.
Non riuscii comunque a trattenermi e lo dissi. Fu quasi un suono impercettibile ma mi sembrò di stare urlando.
«Ti odio»
«Non è vero.» Si affrettò a rispondere Hayama, come se potesse leggermi nel pensiero, come se decifrasse anche i movimenti del mio corpo. Nel dirlo, infatti, avevo abbassato lo sguardo non riuscendo a reggere il suo.
 «Vattene Hayama, sul serio, o non rispondo di me.» dissi tutto d’un fiato convinta che quell’affermazione lo avrebbe fatto desistere dal rimanere in casa mia. Niente da fare, Akito non aveva assolutamente intenzione di andarsene, questo era ovvio.
«Non voglio che frequenti quello.».
Si mise a sedere sul divano da cui io nel frattempo mi ero tenuta alla larga perché qualsiasi posto per Hayama era perfetto per fare sesso. Sarebbe bastato un abbraccio, qualche bacetto e addio.. gli sforzi fatti per mandarlo via sarebbero stati vani in meno di mezzo secondo.
«Ah no? E perché? Spiegami..» risposi sarcastica.
Come poteva veramente pretendere di mettere becco sulle mie faccende personali? Poi la risposta arrivò da sola: semplicemente perché, fino al giorno prima, le mie faccende personali erano lui.
E lui, da faccenda personale, doveva rimanere segreta. Ma non era questo quello che speravo per noi.
«Perché no e basta, deve esserci per forza un motivo??» sbottò lui rialzandosi dal divano e mettendosi a circa due centimetri dalla mia faccia.
«Si Hayama, deve esserci. Trovane uno buono o giuro che io quello, come lo chiami tu, altro che se lo frequento, me lo sposo!!» dissi tutto d’un fiato provocando le risa di lui. Sembrava così paradossale: Akito che rideva in un momento così tragico e quando c’era veramente da ridere non accennava nemmeno un sorriso.
«Non c’è nulla da ridere Hayama, ma vaffanculo!!» e feci per andarmene. Fui nuovamente bloccata da lui e, questa volta, bloccata sul serio. Avevo le spalle contro il muro e le mani ferme dietro la schiena in una morsa che avrei volentieri evitato: la troppa vicinanza era una dichiarazione di guerra.
Lui tornò serio, come sempre.
«Non voglio che lo frequenti.». Mi guardava negli occhi, quegli occhi che per me erano due calamite, due pietre che mi immobilizzavano.
«Tu dammi una buona ragione, una soltanto, e io non lo farò.»
«Non è la persona giusta per te.»
«Non mi basta.»
«Non sarai felice.»
«Non mi basta.»
«Tu sei mia.».
In quel momento tutto l’universo sembrò girare così vorticosamente che la mia testa stava per scoppiare. Non credevo che Hayama fosse capace di dire così tante cose in tre parole.
Ma, improvvisamente, tutto mi fu chiaro ed era stata proprio quella frase apparentemente così romantica a farmi aprire gli occhi. Il suo non era amore, non era affetto, non era nulla di tutto ciò: era solo un primato. Lui il primo, sempre. Il primo a far l’amore con me, il primo a regalarmi un completino sexy, il primo a farmi godere tra le lenzuola. Il primo e,ovviamente, l’unico.
Ecco qual era il succo di tutto quello che mi aveva ripetuto dal momento in cui aveva messo piede in casa mia. Non era geloso, era semplicemente possessivo.
E io potevo ancora sopportare tutto questo? Potevo davvero lasciare che Akito Hayama mi possedesse? Non era da me.
Lo sguardo di Hayama non lasciava intendere repliche, quella era la sua ultima parola ma, per sua sfortuna, non aveva ancora capito che stavolta era Sana Kurata a condurre il gioco.
Possessivo? Bene. Voleva la guerra? Avrebbe avuto la guerra.
«Io non sono un’ossessione! E nemmeno un trofeo da appendere insieme agli altri. Sono.. sono solo una ragazza che ha avuto la condanna di conoscerti. Sono stanca di te, Hayama. Ti prego.. vattene..». La voce rotta, le mani tremanti. Avrei voluto fare la guerra, è vero, ma non ero io a comandare in quel momento. Una lacrima - una sola - mi rigò il viso. Hayama baciò quella lacrima e poi, quando lei mi voltai, non c’era più.
La porta chiusa. In tutti i sensi.
 
*
____________________________________________________________
Da: Marco coffee
Conoscere la star della tv non ha nulla a che vedere col conoscere la persona. Grazie della bella giornata, credo di aver avverato il mio più grande sogno! :* Domani ti va se passo a prenderti all’uni e ce ne andiamo di nuovo alla caffetteria dalla cameriera un po’ facile? Baci.
 
A: Marco coffee
Domani non ho lezione all’uni ma potresti vedere casa mia dall’interno invece che solo dal giardino. La cameriera potremmo vederla un altro giorno, se proprio ci tieni. A domani bel siciliano.
 
Avevo appena detto circa due bugie, fatto ottomila ammiccamenti e mi ero comportata da troietta. Tutto racchiuso in un solo messaggio, wow. Non capivo la vera ragione per cui avevo fatto una cosa del genere. Probabilmente perché non avevo voglia di andare all’università e anche perché l’idea di Marco dentro casa mia non mi dispiaceva affatto. Non era per dimenticare Hayama e nemmeno perché non sapevo stare senza un uomo- cosa che in realtà sarebbe potuto sembrare visto che ogni santa volta che chiudevo con Akito correvo tra le braccia di Naozumi- ma semplicemente perché quel ragazzo era carino, dolce, simpatico. Perché non avrei dovuto provarci? La mia vita non poteva continuare a ruotare ancora attorno a qualcuno che mi teneva segreta, come se fossi qualcosa da nascondere. Avevo bisogno di un amico e non di Fuka che, se solo avesse saputo, avrebbe fatto di tutto per sistemare le cose tra di noi, ma di qualcuno esterno. Esterno alla mia vita, alla mia relazione con Hayama. Esterno a quel sentimento. E l’avevo trovato, perché lasciarmelo sfuggire?
Hayama era stato la fine di un capitolo della mia vita. Ma, si sa, ogni fine ha un nuovo inizio.
*
Aspettavo ansiosa che arrivasse Marco e, nel farlo, mi sentii parecchio a disagio. Avevo appena chiuso la mia storia con.. si, bè, l’amore della mia vita e iniziarne una nuova non era di certo il consiglio più gettonato di tutti gli psicologi.
In realtà però non mi importava di ciò che potevano pensare tutti gli strizzacervelli del mondo: ero appena stata scaricata- o meglio, io avevo scaricato Hayama ma poco importava- e avevo il diritto di provare a rifarmi una vita. Che c’è, senza Hayama nulla ha senso? Ma per piacere, mi ripetei incessantemente tutto il tempo che avevo passato a vestirsi.
Mi misi a sedere sul divano, era tutto pronto: la tavola era apparecchiata, i fornelli pronti ad essere accesi e nell’aria c’era profumo di vaniglia, il mio preferito. Era tutto perfetto.
Accesi la tv e, nel farlo, notai di non essermi ancora tolta quel bracciale. In un momento, grazie a quel piccolo oggettino d’argento, migliaia di ricordi mi affollarono la mente.
 
7 marzo. Era il giorno del mio compleanno e per l'occasione Hayama aveva deciso di farle una sorpresa. Da parte mia ero estremamente nervosa, non amavo le sorprese e, nonostante nutrissi una grandissima fiducia nei suoi confronti, ero preoccupata per le macchinazioni della sua mente deviata. Durante la settimana, inoltre non mi aveva dato il minimo suggerimento su cosa avesse intenzione di organizzare e questo mi preoccupava ancora di più.
Quello che però mi stupiva più di qualsiasi altra cosa era questa smania di Akito di organizzare qualcosa per il mio compleanno. Andiamo, era Akito Hayama. E Akito Hayama non organizza feste, non organizza cenette romantiche, non organizza niente che possa far piacere a Sana Kurata. Comunque avevo deciso di non vestirmi particolarmente elegante: avevo indossato una gonna a tubo nera, una camicia bianca leggermente trasparente e un paio di tacchi, per dare un tocco in più al look. Avevo lasciato i capelli sciolti- ad Hayama piacevano così- e mi ero messa appena un filo di mascara e un po’ di blush. Ero pronta.
Pensando che Hayama mi avesse preparato qualcosa e, addirittura, comprato un regalo mi sentì lusingata, non lo aveva mai fatto per nessuno ma in fondo lo sapevo anche io di essere speciale ai suoi occhi. Ecco, in quei momenti mi auto convincevo di essere importante per lui e più ci rimuginavo più tutto sembrava avere senso. La serata tutta per noi, la sorpresa.. quella sera sarebbe successo qualcosa di speciale.
[…]
Una scatoletta allungata, rossa. Meravigliosa.
Avevo aperto quel pacco col cuore in gola e le lacrime pronte ad uscire. Era stata la nostra serata e, sicuramente, mai più Hayama avrebbe fatto una cosa del genere per me. Il giorno dei miei vent’anni, però, era speciale e andava festeggiato.
Un braccialetto d’argento, con tanti fiorellini mi si presentò davanti e tutto ciò che riuscii a dire fu ‘wow’. Niente di più, nessun commento, nessuna parola, solo ‘wow’.
Hayama me lo mise e mi guardò sorridere.
Poi, quando credetti di aver notato ogni minimo dettaglio di quel bracciale, Hayama mi prese il braccio e lo girò. Insieme al braccio, il gioiello fece lo stesso.
Dietro il braccialetto quest’incisione: “Eternamente in bilico, ma insieme.”
 
Girai automaticamente il bracciale e rilessi quella frase che la sera del mio compleanno mi aveva lasciata così felice. Eternamente in bilico, ma insieme.
Peccato che, di fatto, eravamo perennemente in bilico e mai, mai eravamo rimasti insieme.


 
   
 
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