Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: ColdFire    19/05/2008    1 recensioni
Voleva il cambiamento lei. Ma non è riuscita acora a raggiungerlo e oramai si è rassegnata...ma è vero? Non è che basterà quella famosa scintilla a farla sorridere di nuovo...? "[..]Però voglio il cambiamento. [...]Spero possa accadere…per davvero… A fra qualche anno…"
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
StAge 1
------------------------------------------------------

"It's a coffee day..."

La campanella che segnò la fine delle lezioni fu accolta da tutti con un gran sospiro, seppure la prof. di latino ancora stava finendo l’ultimo rigo del passo di Cesare che stava spiegando.

-Traduzione e analisi, più le pagine relative agli excursus del De Bello Gallico –

Fu l’assegno, preso diligentemente solo da pochi, poiché il brusio dei ragazzi aveva già preso il sopravvento sulla calma voce della professoressa.
Non ci volle molto per uscire da quelle quattro opprimenti pareti grige e scoprire che pioveva leggermente. Eccola spiegata tutta quella confusione che ancora sostava sotto la parte coperta davanti l’ingresso dell’Istituto.

Ma man mano fluì via anche quella.
Ben presto si aprirono ombrelli di varie dimensioni e di colori vivaci e gruppetti di ragazzi cominciarono ad allontanarsi, mentre c’erano quelli che tentavano una corsa da velocista per arrivare al bar vicino evitando di bagnarsi troppo.

In realtà c’era anche qualcuno che camminava tranquillo sotto la pioggia, soltanto con  passo affrettato, ma senza alcuna preoccupazione per il cappuccio tirato sulla testa che si stava zuppando pian piano.
Una ragazza bassina, una figurina quasi insignificante in mezzo a tutti quei gruppetti. Gli occhi abbassati a terra, a schivare come poteva le pozzanghere che irrimediabilmente si formavano sulla pavimentazione lievemente avvallata. Qualche ciocca castana e riccia spuntava ai lati del collo da sotto al cappuccio, ma lei la ributtava subito indietro.

Aveva un’espressione ferma sul viso. Forse un po’ indecifrabile. O forse era tutto dovuto al capo chinato a guardare a terra. Però nei suoi occhi c’era un misto di pacata calma e forse un po’ di stizza.
Il passo che portava sembrava proprio tipico di chi misurava tutto nella propria vita, di quelli che si progettano ogni momento della giornata di ogni mese. E forse quella sedicenne non l’aveva per niente messa in conto quella pioggia improvvisa. Forse se l’avesse prevista, avrebbe avuto anche lei il suo piccolo ombrello.
Ma sembrava importare poco.

D’un tratto alzò il passo.
I goccioloni divennero più grandi e freddi, fitti. E la figurina prese la strada verso il bar del vicolo.

**

Bar Vico.
Così citava l’insegna fissata a muro sulla porta a vetri con intelaiatura di legno vecchio.
O anche detto bar del vico, perché lì nessuno lo chiamava bar Vico. Anche i clienti abituali si limitavano a una perifrasi ogni volta che dovevano indicarlo; risultato? Il bar era per lo più sconosciuto ai molti che quotidianamente affollavano il “bar della piazzetta” e il “bar vicino al ponte”.
E infatti si notava benissimo che l’insegna in penombra era sporca e nerastra, i muri su cui si apriva l’entrata piccola un po’ scrostati e con qualche scritta.

Ma la piccola figurina non badò a questo.
Forse per la pioggia, che aveva cominciato a cadere più fitta e tamburellante, forse perché poco le importava, si infilò senza soffermarsi un momento lì fuori, aprendo la porta dai vetri quadrati e lievemente smerigliati e chiudendosela dietro.
In realtà l’interno era molto più di quanto ci si potesse immaginare.
L’ambiente non era molto ampio, anzi togliendo i giri di parole, il bar era minuscolo.
Il bancone di fronte l’ingresso e tavolini per due, massimo quattro persone, affiancati sotto le pareti laterali e assiepati davanti al bancone.
Tutto con uno strano sapore d’antico, di vecchio far west: come l’intelaiatura della porta, sia il bancone, che i tavolini erano in legno scuro, pesante, ma ben lucido; perfino il lampadario a lanterna sembrava uscito da uno di quei film western, assieme alle mensole lignee dietro il bancone dove stavano ben ordinate bottiglie strane e una miriade di bicchieri e tazze.

Ma il tocco moderno c’era, eccome se c’era. Eppure si sposava perfettamente con quell’arredamento coutry. Le sedie di metallo satinato e argentato con un design da far venire l’idea del comodo al sol guardarle, gli sgabelli al bancone col piede sempre di metallo argentato con la seduta di gomma morbida color verde foresta, i decori di filo metallico sempre colorato d’argento sullo zoccolo del bancone, uguali ai fronzoli che si attorcigliavano sui piccoli applique a mezza luna di vetro satinato, che spandevano sulle pareti gialle una luce calda e soffusa, a illuminare i tavolini che il lanternone centrale non riusciva a raggiungere.

Solitamente era vuoto, vista, come si è già detto, la sua poca fama.
Ma nei giorni piovosi i bar erano sempre più affollati e il bar Vico non faceva eccezione.
Fatto stava che la ragazza, dopo un rapido sguardo attorno, rimpianse di essersi attardata sotto la tettoia. Magari se non avesse perso l’autobus, ora sarebbe già stata di ritorno a casa, ma sostanzialmente con quella pioggia si sarebbe fatta un bagno.
Quindi con passo cadenzato, si avvicinò al bancone, visto che i pochi tavolini erano per lo più tutti occupati.
E poi sedersi a un tavolo da sola le dava fastidio con quella gente che stava invece assiepata.
Si scelse lo sgabello più isolato e più lontano dal centro e si tolse il giubbotto bagnato, poggiandolo sullo sgabello di fianco, l’ultimo della fila, quasi sotto al muro.
Si mise comoda, ad attendere. Tanto il prossimo autobus passava fra quaranta minuti. Che fretta c’era?

-Toh! Niente libro oggi?-

La ragazza, che aveva pressoché lo sguardo fisso e perso su un’interessante bottiglia dal collo torto che le stava di fronte sulla mensola, socchiuse gli occhi, per poi riaprirli e guardare in direzione del barman, nonché gestore. Aveva già capito dalla voce che non si trattava del signor Piero, ma del suo scapestrato figliolo, che in quel momento, dopo averla chiamata, stava servendo un paio di caffè.
Il tempo di ritornare dietro il bancone, che il ragazzo si avvicinò a lei, poggiando i gomiti e i bracci sulla superficie e incurvando le spalle, tendendosi verso ella con un sorriso a mo’ di ghigno buono.

-Allora, Fla-fla, caffè macchiato anche oggi?-

Riprese, fissandola.
La ragazza lo guardava con un non tanto amichevole cipiglio.
Non che non lo sopportasse, ma quel ragazzo a volte le pareva peggio di un’erbaccia, irritante e persistente. Aveva i capelli biondi, il figlio del gestore, scarmigliati e corti, non si capiva se fossero lisci o ricci, di un colore strano per quella zona, biondo spento, biondo cenere; occhi grigi e affilati, sottili. Volto scarno, zigomi alti; era sugli uno e settanta circa:uno e trenta d’altezza, più quaranta di stoltezza e aveva ventidue anni, laureato da poco.
Eh, sì, una vera eccezione tra i giovani del paese: si era laureato nei tre anni, ma come se fosse stato contagiato d’improvviso dalla sfortuna, gli era morta la madre e lui s’era rifiutato di prendere una specializzazione che l’avrebbe portato via dal padre e dal fratellino, distrutti dalla recente scomparsa.
Così una testa geniale come un laureato in biotecnologie avrebbe dovuto essere, si era trasformata pian piano, fino al risultato che ora Flavia Iori si trovava davanti.
Gianni Rolano e il suo sorriso da deficiente.

-Succo d’ananas, grazie-

Rispose con voce quasi sibilante la ragazza, accentuando il suo cipiglio.
Cosa che fece capire al biondo che quell’oggi era meglio non scherzare con la piccola liceale, e smorzò il suo sorriso. Le diede per un attimo le spalle, poggiò davanti a lei sul bancone un bicchiere in vetro colorato alto e doppio, poi prese il succo richiesto dal frigo-perché sapeva che alla ragazza le cose troppo fredde non piacevano- e glielo versò tutto nel bicchiere.
Flavia ringraziò con un cenno del capo, mentre agguantava piano il largo bicchiere e se lo portava alla bocca.
Gianni la vide bere un piccolo sorso, poi distolse lo sguardo da lei e parlò.

-..strano, sai..solitamente quando piove prendi sempre il tuo caffè, Fla-fla..-

-..oggi il sonno mi è passato-

Interruppe gelidamente la ragazza, poggiando il bicchiere ancora mezzo pieno sul bancone. Gianni a quel tono tornò a guardarla e le fece un sorrisetto sarcastico.

-Mamma mia che caratterino oggi, eh!!?-

-..invece tu sei troppo allegro-

Il tono della ragazza era divenuto quasi lapidario e Gianni sentì crollarsi la noia addosso.

-Perché non dovrei esserlo?Oggi ci sono più clienti del solito..-

-..Infatti è quasi pieno…-

Fece Flavia guardandosi attorno. Gianni seguì il suo sguardo, per poi tornare sulla ragazza che ora fissava persa la porta, attraverso la quale si vedeva la pioggia cadere letteralmente a catinelle.

-..non mi piace quando piove…-

Aggiunse Flavia con un fil di voce, tornando poi al suo succo, bevendolo a piccoli sorsetti.
Gianni si ricordò che con i ragionamenti della ragazza valeva la proprietà transitiva.
Ergo..

-Ergo questo posto ti piace solo quando è deserto..-

Fece, con tono un po’ scocciato, interrotto però da un cliente. Il biondo si volatilizzò subito verso la cassa. Ordinazione pagamento e saluti ed era già di ritorno.
Flavia continuava imperterrita a far piccoli sorsi del suo succo. Il ragazzo la guardò quasi annoiato.

-Non posso mica mandar via i clienti per far contenta te, nhè!!-

Proruppe d’un tratto, allungando fugacemente la mano e tuffandola fra i capelli riccioluti della ragazza, a scompigliarli. Flavia poggiò il bicchiere oramai vuoto sul ripiano e lo fulmino con un’occhiataccia, evadendo da quell’eccessiva effusione da parte del biondo.

-Ma che ti prende oggi?-

Fece, alquanto irritata, mentre il barman ritirava la manina incriminata. Se la nascose come un bambino dietro la schiena e girò gli occhi metallici all’insù, allontanandosi di un passetto indietro dalla ragazza.

-Toh, toh, dovrei chiedertelo io, sai?Sei più irritata del solito, Fla-fla. In meno di una giornata ti sei trovata il fidanzato e ci hai pure litigato? –

Buttò giù il biondo con espressione quasi gioconda, mentre la ragazza avrebbe voluto mangiarselo con gli occhi, sperando di riuscir davvero a farlo scomparire dalla sua vista.
Ma così non fu, altrochè!Gianni, messa su una faccia da paparazzo incallito, le si avvicinò di nuovo e mormorò come avido di informazioni:

-Com’è la storia, dimmi, dimmi..-

E in risposta non ebbe che un ben architettato coppetto dietro la nuca dalla ragazza, più che stufa del suo comportamento immaturo.

-Ahia, Flà, mi hai fatto male-

Fece a mo’ di scusa il barista, mentre si era di nuovo allontanato dalla ragazza e in contemporanea si massaggiava la nuca offesa.
Vide la ragazza che ad occhi socchiusi riagguantava la tracolla e il giubbotto. Aprì con eleganza la suddetta e dopo qualche minuto tintinnarono sul legno lucido delle monete.
Gianni le guardò un po’ imbronciato.

-Il caffè lo offre la casa, lo sai-

Fece mentre Flavia si sistemava il giubbotto sulle spalle, ancora umido. Era di un bel grigio argenteo.

-Oggi non ho preso il caffè-

Fece, puntando gli occhi castani e scuri in quelli metallici del biondo. Erano entrambi seri e la ragazza spinse gli spiccioli verso il ragazzo. Questi poggiò la propria mano su quella di Flavia e la respinse indietro, sorridendo biricchinamente.

-Ma oggi è il giorno del caffè, o sbaglio?-

E Flavia lo guardò un attimo interdetta. Poi scosse la testa lievemente, facendo dondolare i ricci con riflessi dorati. Un’ombra di sorriso le passò sulle labbra.

-Grazie-

Mormorò soltanto, prima di infilarsi gli spicci in tasca e scendere dallo sgabello, la tracolla in una mano. Si diresse verso la porta, infilandosela e quando fu sulla porta, una mano sulla maniglia, l’aprì, mentre con quella libera faceva un cenno di saluto al biondo, impegnato con un cliente.
Quando il campanello risuonò e la porta si richiuse, Gianni guardò oltre i vetri la piccola figurina argentea allontanarsi in fretta sotto la pioggia.

-Quant’è, allora?-

Si fece avanti alla cassa un ragazzo, che il barman vedeva per la prima volta lì. Aveva la faccia simpatica, occhi scuri e capelli corti e color mogano scuro, forse resi più scuri e più scomposti dall’acqua presa prima.
Gianni fece un cenno d’accordo e prese gli ordini del tavolo dove si era seduto con un altro.

-4.75€-

Disse monotematico, staccando lo scontrino e dandolo al moro, che si stava rivoltando le tasche in cerca degli spiccioli. Sopraggiunse da dietro l’altro con cui si era fermato.

-Fabrì, mi paghi tu, che te li do a casa? Ho preso i biglietti, prima e ho finito i “liquidi”-

Disse l’amico, dalla faccia simpatica anche lui. O meglio a Gianni così parevano la maggior parte dei suoi clienti.
Questo però ispirava  più simpatia dell’altro: aveva i capelli ricci ricci, portati abbastanza lunghi da parere un cespuglietto, di un colore che forse poteva andare dal biondo scuro al castano miele, chiaro, non si vedevano poi così bene, coperti per metà dal cappuccio del giaccone; portava gli occhiali e per questo il colore degli occhi era difficile da definire: scuro, molto probabilmente.

-E quando mai, Alessio, ti porti un po’ in più? Comunque, ecco-

E poggiò nel piattino di plastica gli spicci precisi.

-Grazie, ragazzi, arrivederci-

-Prego, prego-

Fece quello che aveva pagato.

-Arrivederci!-

Aggiunse l’amico riccioluto da dietro.

Gianni non ebbe neanche il tempo di mettere nella cassa i soldi, che i due già stavano sulla porta.
Stavano parlottando, mentre il ragazzo moro si aggiustava il giubbotto sulle spalle.

-Se perdiamo l’autobus, restiamo a piedi e senza pranzo, che oggi non passa nemmeno tuo padre-

-Eh, sì-

Assecondava l’altro, rimanendo immobile.
Si guardarono di rimando come incantati. Poi peggio, d’aver preso una secchiata d’acqua fredda, si mossero dalla loro improvvisa stasi.

-Alè!!Ma che mi combini!Perdiamo l’autobus!-

-Sì, sìsì!-

E frettolosi uscirono aprendo l’ombrello e ficcandovisi sotto.

Gianni sorrise scuotendo la testa. Proprio due tipetti particolari.
Ma dopotutto quello era un giorno di pioggia. E i giorni di pioggia erano sempre i più interessanti: uno, perché il bar era sempre un po’ più pieno di gente diversa e due, perché era il giorno del caffè della piccola Flavia.
E ripensando alla ragazza, il biondino fece un altro dei suoi sorrisetti deficienti, che facevano tanto sciogliere le papere e le oche, canticchiando un motivetto messo su con quelle poche parole che gli erano venute in mente.

-“It’a coffee day, It’s a coffee day my little…dududuhduhhh…”-



---------------------------
Come dice il titolo, "StAge 1" completato!La recita è iniziata, ognuno ai propri posti, ragazzi! Qui non siamo neanche scesi sotto il livello del mare: siamo ancora sulla parte dell'iceberg che spunta in superficie.
Un capitolo per lo più di presentazione, per lo più di riflessione. Torna in scena la protagonista del prologo, anche se c'era l'idea di non farla apparire fin da subito..ma poi mi è venuta la scena del bar, ed ecco qui!!
A proposito, voglio i vostri pareri su Gianni: vi piace il barman biricchino??
In ogni caso, ringrazio tanto Zerby, che è stata per adesso l'unica a commentare: sono davvero contenta che il prologo ti abbia incuriosito e spero che questo primo cap. ti soddisfi in egual modo!Grazie ancora!

Un grazie anche a chi ha letto soltanto, spero di poter presto leggere anche i vostri commenti!
Byez, vedrò di aggiornare quanto presto!!
You'll comment, if you want...
ColdFire§
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: ColdFire