Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JoiningJoice    26/12/2013    7 recensioni
Venezia, 1577. Un orfano di nome Jean guarda il corpo del suo migliore amico bruciare tra decine di altri corpi, mutilati e deformati dagli effetti della Morte Nera.
Venezia, 1582. Mentre la città ormai guarita si prepara a festeggiare il Carnevale, Jean viene avvicinato da un misterioso ragazzo dalla maschera nera. Qualcosa di grande sta per succedere, qualcosa per cui Venezia non è neanche lontanamente preparata...
Davanti agli occhi di Jean si formò l'immagine delle pire che avevano illuminato a giorno il sestiere anche nelle ore più buie della notte, fino a qualche settimana prima. La cenere cadeva ancora, più lenta e rada in quel momento, ma cadeva. Fu assalito da un pensiero improvviso, malato.
(Stiamo respirando cadaveri.)
Genere: Angst, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Vita e Morte a Venezia






'Ymir! Ymir!'

Ymir aprì gli occhi su un mondo azzurro e lacrimoso; ci volle qualche secondo prima che si rendesse conto di star guardando gli occhi di Historia da vicino, più vicino di quanto non le fosse mai capitato.


'Ehilà, principessa...' sospirò, sfoggiando il sorriso più forte che le riuscì. La mano di Historia era poggiata sulla sua guancia, morbida e delicata.

'Stai bene.' esclamò Historia, la voce rotta dal pianto. 'Stai bene...'

'Ovvio che sto bene...ouf!'


Ymir lasciò che Historia la abbracciasse, cercando di ignorare il fastidioso dolore al petto che la sua presenza le provocava. Le passò una mano sui capelli biondi, carezzandola.

La stretta divenne più forte man mano che Ymir fu in grado di mettere gli ultimi pezzi della propria memoria insieme. L'immagine di Historia in piedi sul cadavere di Reiner la colpì bruscamente, e la presa si fece intensa, dolorosa.


'Ymir, che succede?'

Ymir la guardò, lo sguardo disorientato, scuotendo lievemente la testa. 'Non fare mai più...tu...hai ucciso, Historia.'

'Ti stava...'

'Historia' rimarcò, 'Hai ucciso. Non...non farlo mai più.'

Historia fece per aprire la bocca, ma la richiuse subito, stringendo i denti. 'Non...'

Ymir scosse la testa. 'Ascoltami. Questa relaz...noi, non abbiamo bisogno di essere entrambe maledette dall'immagine di un cadavere tra le mani. Basto io per entrambe.'

Questa volta, quando Historia le si gettò addosso, l'abbraccio fu molto più intenso e vero. Ad occhi chiusi, prima di potersene pentire, Ymir si ritrovò a sussurrare all'orecchio di Historia la verità sulla notte di quindici anni prima.

La testa di Historia si mosse sul suo petto. 'Non mi importa chi tu sia, né quanto vecchia tu sia.'

Ymir la costrinse a guardarla negli occhi. 'Principessa, rimani così come sei per tutta la vita.'

Historia sorrise, triste.

Le loro labbra si incontrarono e intrecciarono; Ymir sentì il nodo che le legava il cuore sciogliersi e cadere da qualche parte fuori dalla sua anima. Sorrise ogni volta che Historia si separava da lei per una breve pausa, non il suo solito sorriso furbo, ma qualcosa di dolce e naturale.

Quando Connie e Sasha arrivarono, stavano ancora baciandosi, appoggiate a quel muro.


*


'Non può finire bene.' mormorò Mike, raggiungendo Hanji in prima fila. 'I ragazzi hanno sentito le dimissioni di Rivaille. Possiamo contare sull'aiuto di Gunther, Eld, Auruo è ancora ferito alla mano da quella maledetta freccia...chi altro?'

'Moblit.' mormorò Hanji, pensierosa. 'Nanaba. Darius. Dita. Manda i preoccupati ad aiutare i civili che stanno evacuando, e dì loro di mandarci chiunque abbia abbastanza palle da volerci aiutare. Il ragazzino e il padre li conosci; descrivili, qualcuno potrebbe portarci informazioni.'

Mike annuì e passò alle retrovie per diffondere le informazioni necessarie. Hanji sudava freddo; sarebbe stato molto più semplice se Mike fosse stato al comando e lei a bacchettare i soldati, ma dovevano seguire gli ordini di Rivaille. Gli ordini del comandante Smith. Persino all'interno della Guardia Cittadina c'erano delle evidenti discrepanze tra i soldati, e loro erano la branca che sarebbe morta sotto il comando di Erwin Smith.

La raggiunse nuovamente, annuendo senza parlare; Hanji si voltò appena. Erano la metà di quanti avrebbe sperato sarebbero rimasti. Sorrise, alzando la spada.

'ANDIAMO A TROVARE QUEL BASTARDO!'

Un non troppo forte ma entusiasta ruggito replicò al suo urlo. Afferrò le redini del cavallo e saettò in avanti.

*


La colpì sull'anca con tutta la forza che aveva in corpo. Lei non tentò nemmeno di scansarlo; incassò il colpo, cadendo sulle proprie mani e rimettendosi in piedi con una ruota, agile. Tolse il mantello che le copriva le spalle, sul volto un'espressione infastidita.

'Non hai intenzione di inseguire Jean, vero, Annie? Vuoi farla finita con me.' la provocò Marco, sorridendo.

Lei non rispose. Alzò i pugni verso il volto, in attesa.

Marco conosceva il suo modo di combattere. In teoria, sarebbe rimasta ad aspettare che lui l'attaccasse fino a poter trarre vantaggio dalla sua stessa azione. Non aveva idea di cosa sarebbe successo se fosse rimasto fermo. Non aveva mai visto nessuno che fosse stato tanto furbo da capire di non dover approfittare dell'aspetto fragile di Annie.

E lui, tristemente, non poteva concedersi il lusso di scoprire cosa sarebbe successo.

Si avvicinò a lei, mirando al suo volto. Parò, tirandogli contemporaneamente un calcio sul fianco e facendolo cadere in avanti. Marco riuscì a parare l'impatto contro il pavimento con entrambe le mani. I palmi iniziarono a bruciargli.

Girò su se stesso, evitando un altro calcio, questa volta mirato a schiacciarlo a terra. Si tirò su, abbassandosi in tempo da evitare un pugno alla testa.

Annie si rimise in posizione di difesa. Marco digrignò i denti. Sentiva di nuovo in bocca il sapore del sangue; il titanio cercava di riprendersi il suo corpo, assecondando il suo istinto di difendersi, il suo bisogno di vincere, il suo desiderio di uccidere...

(no!)


Si prese la testa tra le mani; l'attimo di distrazione fu fatale. Il calcio di Annie questa volta lo raggiunse, facendolo ruzzolare a tre metri di distanza. Alzò lo sguardo, ansimando.

Era un sorriso, quello sul volto di Annie? Era questo che il titanio le faceva? La faceva sorridere?

Grisha Jaeger era davvero in grado di fare miracoli.

'Veramente era quello che avevo intenzione di fare fin dall'inizio.'

Marco realizzò un secondo troppo tardi; Annie era già partita verso l'interno della chiesa, veloce, più veloce di quanto lui sarebbe mai stato. Si lasciava dietro una cortina di vapore che gli annebbiò la vista.

'JEAN!' urlò, sputando sangue. Si rialzò in piedi tremante; per qualche secondo incespicò in direzione di Annie, barcollante a causa della botta.

Non vedeva più dall'occhio destro. Il suo corpo non stava collaborando. Si afferrò il lato destro del volto e lo strinse fino a sentirlo quasi mallearsi sotto le sue dita.

'Non adesso, ti prego, non adesso.' mormorò, cercando inutilmente di rilassarsi. Riaprì l'occhio; la vista era tornata, sfocata, ma era tornata. Annie stava salendo la scala in legno che portava al tetto.


(non può essere... di tutti i posti...)


'No!' urlò, correndo dietro a Annie con rinnovata determinazione.

Arrivò alla base delle scale quando Annie era praticamente già alla fine delle stesse. Con un gesto rapido del polso afferrò un pugnale dal fianco e glielò lancio contro, mancandole la caviglia di pochi centimetri. Imprecò a bassa voce, iniziando a salire le scale.

Arrivata all'ultimo scalino, lei si voltò e gli restituì la mossa; non lo colpì, ma il dover schivare il coltello gli fece perdere l'equilibrio. Rimase aggrappato al piolo con la sola mano destra, e tentò in ogni modo di ignorare il colpo secco che il suo osso emise, rompendosi.

Era solo titanio, no? Quanto ci avrebbe messo a guarire?


(abbastanza perchè lei lo uccida)


'No, no, no, NO!'

Si tirò su a denti stretti, affrontando il resto della scalata cercando di non pensare al polso rotto.

La sua mano sinistra si aggrappò al tetto; si diede un'ultima spinta verso l'alto e uscì all'aria fresca.

E nel momento in cui alzò gli occhi davanti a sé, seppe che tutto era perduto.


*


'Signora! Da questa parte!'

Hanji fermò il cavallo, piantandogli i piedi sui fianchi per non farlo impennare e voltandolo verso la voce che l'aveva chiamata. C'era una ragazza, in piedi su delle macerie, che si sbracciava per attirare la sua attenzione; scendendo dal cavallo e camminando nella sua direzione, Hanji si chiese come avesse potuto non notare quella zazzera di capelli rossi.

'Che c'è?' chiese bruscamente.

La ragazza indicò dietro di sé. 'Ho ricevuto le istruzioni dai vostri soldati di avvisarvi nel caso vedessi il ragazzo che state cercando. È al porto, insieme a un'altra combriccola di ragazzini. Stanno cercando di lasciare la città insieme a un'altra marea di disperati.'

Hanji strinse gli occhi, sospettosa. 'Come faccio a sapere che non stai mentendo?'

Senza aspettare una risposta, Hanji chiamò Moblit e gli consegnò le redini del suo cavallo. Estrasse la spada.

'Vengo con te, ragazza. Se Eren Jaeger è dove tu dici che sia, sei salva. Altrimenti questa potrebbe accidentalmente scivolare sul tuo collo.' l'espressione folle fu presto sostituita da un sorriso. 'Come ti chiami, capelli rossi?'

'P-Petra...' mormorò lei, esitante.

Ci misero tre minuti ad arrivare al porto, dove centinaia di persone spingevano verso le barche; dopo altri due minuti, il sottile collo di Eren Jaeger era sotto il braccio forte di Hanji, che lo stava stritolando nella sua presa.

'Soffoco!' si lamentò.

'Ti conviene non provarci.' sospirò Hanji. 'Ragazzo Jaeger, non ho il potere di riportarti nel posto da dove sei scappato. E a tal proposito, i miei complimenti ai tuoi amichetti dinamitardi, a cui chiederò spiegazioni quando tutto questo sarà finito. Ti chiedo una pausa e una collaborazione.'

Eren smise di agitarsi; Hani allentò la presa e lo guardò negli occhi, scoprendovi una determinazione che prima d'ora non aveva avuto modo di notare.

'Eren, tuo padre minaccia di uccidere tutti quelli che ami. Davvero non puoi aiutarmi?'

'Io...' Eren mormorò qualcosa riguardo il non ricordare. Hanji annuì; caratteristica che accomunava gran parte di chiunque fosse venuto a contatto con Grisha, a quanto pare.

'Non ti viene in mente nulla? Un qualsiasi indizio su dove tuo padre avrebbe potuto nascondere la propria arma? Un luogo in cui era solito recarsi?'

Eren scosse la testa per qualche secondo, prima di illuminarsi. 'A dire il vero, un posto del genere ci sarebbe...una chiesa.'

Hanji sentì il volto deformarsi in un sorriso eccitato. Annuì. 'Perfetto. È un inizio.' afferrò il polso di Eren, sentendo una scossa d'adrenalina attraversarle il corpo.

Si voltò verso la ragazza che l'aveva aiutata. 'Ehi, Petra?'

Lei alzò lo sguardo. 'Sì?'

'Hai mai considerato la possibilità di arruolarti?'


*


'Che c'è, Marco?'

Le mani di Jean strette attorno al collo di Annie. Gli occhi azzurri di lei, per nulla preoccupati, e un sorriso sbilenco.

Marco sentì la propria mente svuotarsi ancora prima che Annie potesse aprire bocca. Chiuse gli occhi istintivamente, alla ricerca di una protezione presente solo nella sua immaginazione.

Nella sua mente, dietro i suoi occhi, Jean non era sul bordo del tetto di una chiesa, non era sul punto di strangolare una ragazza. Nella sua mente, Jean era un bambino di dieci anni sbalordito di fronte al pugnale regalatogli dal suo patrigno, un ragazzino che correva via dalle guardie tendendogli la mano eternamente piena di graffi.

Un occhio nero curato da un bacio sulla guancia, una camicia strappata da non mostrare ad Antonio e da cucire di notte, cercando di fare silenzio.

'Ma...rco...'

Nella sua mente erano tutti vivi. Nella sua mente, la morte non era mai arrivata.

Ma non si può vivere di sogni.

Marco aprì gli occhi, pronto.

'...uccidi!'

La speranza che il comando non funzionasse lo colpì per un attimo; il secondo dopo, però, si sentì trascinato in un angolo della propria coscienza. Ma c'era qualcosa di diverso, questa volta. Ne era consapevole.

Ed era di fronte a Jean, la mano stretta attorno al suo collo, la mano tesa oltre il bordo del tetto.

Gli occhi di Jean si spalancarono, terrorizzati. Marco lasciò la presa.

Non rimase a guardare Jean cadere; si voltò verso Annie, ubbidiente. Lei sorrideva.

'Ben fatto, Mar...'

Marco estrasse la spada, tracciando un arco dal basso verso l'alto lungo il petto di Annie. Per un attimo, il suo volto si contrasse in un'espressione di pura sorpresa, rapidamente sostituita da folle rabbia.

Cadde in ginocchio. Il sangue sgorgava rapidamente dallo squarcio sul petto. Troppo rapidamente per il fattore di guarigione del titanio modificato. Allungò una mano verso Marco.

'Io non...cadrò...debole e fragile.'

Parte di Marco, la sua parte umana, razionale e caritatevole, avrebbe voluto stringerla, mostrare compassione, dire che comprendeva ciò che era stata costretta a fare. Purtroppo per Annie, al momento quella parte di Marco era ritirata da qualche parte dentro lui stesso, ed era colpa sua.

Strinse la mano attorno all'elsa e la conficcò nel cuore di Annie; questa volta, la sorpresa durò molto più a lungo, e lacrime sincere andarono a formarsi nei suoi occhi azzurri spalancati.

'Dimmi, Annie.' sussurrò la Maschera. 'Cosa vuoi di più in questo momento?'


Annie non rispose. Non che lui si aspettasse una risposta da parte sua. Era orgogliosa, altezzosa, più dura di chiunque avesse mai incontrato. Era diamante, impossibile da spezzare.

Girò il polso; la lama ruotò nel buco che era stato il cuore di Annie.


'Annie...muori.'

E lei lo fece. In silenzio, gli occhi rivolti al cielo. Un singolo rivoletto di sangue le colava dalla bocca verso il mento. Marco la adagiò a terra, asciugò il sangue caduto dalla bocca e le chiuse gli occhi.

Avrebbe dovuto portare il cadavere via dal tetto, o Annie sarebbe diventata presto cibo per corvi.

Ma Marco non era tanto caritatevole e umano. Non più.


*


Quando Marco era corso verso di lui e lo aveva afferrato per il collo e lo aveva gettato giù dal tetto, Jean aveva capito che era finita. Per sempre. Aveva chiuso gli occhi e si era abbandonato alla gravità.

Era già morto una volta per mano di Marco. Non aveva paura.

Ma poi era arrivata l'acqua. Fredda, glaciale, più dura del cemento.

Era andato a fondo per cinque metri buoni prima di rendersi conto di non essere morto – il dolore non era poi tanto diverso. Poi però la logica aveva avuto la meglio, e Jean, nuotatore provetto, si era affrettato a risalire in superficie in cerca di aria.

Era riemerso annaspando, nel panico; poche bracciate lo avevano ricondotto sulla banchina, su cui si era gettato, bagnato, stremato e quasi impossibilitato a respirare dal tuffo imprevisto e dalla paura provata. Perchè, sì, aveva avuto paura, a dispetto di ciò che aveva pensato cadendo.

E il pensiero che Marco non lo avesse fatto apposta e non fosse consapevole della presenza di un canale sotto la chiesa lo aveva colpito più duramente della massa d'acqua in cui era atterrato.

Aveva scacciato via il pensiero, spostando le proprie preoccupazioni su ciò che ne era stato del suo...come avrebbe dovuto chiamarlo, dopo quel bacio? Amico? Compagno? Fratello? Amante?


(quasi assassino?)

(non t'azzardare.)


Si era rialzato in piedi, le gambe non esattamente stabili e il cuore ancora in tachicardia a causa della caduta, quando un nitrito lo aveva costretto a voltarsi. A pochi metri da lui c'era la tizia pazza armata di balestra che l'aveva arrestato. Solo che non era armata di balestra, e c'era Eren con lei.

(Eren?!)


Improvvisamente ristabilitosi, Jean era corso nella direzione del caporale e di Jaeger, estraendo la daga dal fianco con un urlo indemoniato. Eren si era voltato, spaventato.

La direzione presa dalla sua lama era stata deviata da un'altra lama, appartenente al caporale Zoe. Jean era stato sbalzato lievemente indietro.

'Sei impazzito, ragazzino?!'

'Tu!' aveva urlato, indicando Eren con la punta della daga. 'Jaeger. Pagherai per tuo padre. Assassino. Assassino!'

Eren era scattato in avanti, arrabbiato. 'Ma che diavolo stai dicendo?'

'Non voglio sentire scuse!'


Era corso nuovamente verso di lei, ed era stato nuovamente sbalzato via dalla difesa di Hanji che, a questo punto, doveva aver compreso di dover intervenire. Gli era andata incontro, puntandogli la lama contro il volto.


'Eren Jaeger non centra nulla con ciò che ha fatto suo padre. È una vittima tanto quanto te, Kirschtein.'

'Una vittima tanto quanto me?! Ehi, Eren! Tuo padre ha ricucito il tuo migliore amico e ha fatto in modo che ammazzasse? Perchè l'ultima volta che ho visto Armin mi sembrava stesse benone!'

'...cosa?'


Jean si ammutolì; gli occhi di Eren erano spalancati, pieni di paura. Gli ci vollero due secondi buoni per ricordarsi che all'epoca della morte di Marco Eren aveva dieci anni, e altri due secondi per capire che no, non centrava davvero nulla con ciò che suo padre aveva fatto.


'Jean.' mormorò Eren, la voce resa acuta dal pianto. 'Di chi stai parlando? Che è successo?'

Zoe si voltò verso di lui. 'Capisci cosa intendo? Non dovrebbe nemmeno essere qui, ma è l'unico che conosce il padre abbastanza bene da condurci alla sua arma.'

'L'arma.' sussurrò Jean, voltandosi. La Chiesa del Redentore era a pochi metri da loro. 'Marco.'

Afferrò la balestra dal fianco del cavallo del Caporale e si mise a correre in direzione del portone della chiesa.


*


C'erano due sole cose al mondo che spaventavano davvero Marco.

Una era l'idea di Jean morto. L'altra gli si parò davanti quando ridiscese la scala a pioli della chiesa, atterrando con un piccolo salto sull'altare della chiesa.

Grisha Jaeger non stava pregando. Per lui esisteva un solo dio: se stesso.

Sotto il suo sguardo freddo, Marco sentì le poche forze rimaste scivolare via dal suo corpo; si gettò in ginocchio, arrendevole, orripilato. Era arrivato così lontano. Mancava così poco.

Sarebbe bastato che morisse, ancora una volta, solo un'altra volta.


'Mio figlio.' sorrise Grisha, orgoglioso. 'La mia opera migliore.'

'Non sono opera tua.' si ritrovò a sussurrare. 'E non lo erano neanche loro.'

'Ma certo che sì, Marco. Perchè negare l'evidenza? Ti ho riportato in vita, ho fatto lo stesso con loro.'

Il sorriso dolce di Grisha fu rapidamente sostituito da un'espressione crudele.


'Perchè negare l'evidenza?'


La sua voce rimbombò per tutta la chiesa, potente. Fu quando l'ultimo eco fu sparito che Marco si rese conto di avere le mani sulle orecchie, e di essersi ritirato in un angolo come l'ultimo dei codardi.

E ancora una volta, come anni prima, Grisha Jaeger lo sovrastava.

'Possiamo ancora farcela.' sorrideva, di nuovo tranquillo. 'Dammi il braccio, Marco. Il braccio in titanio.'

'No. No, no, no...ti prego...'

Un sorriso grottesco deformò il volto dell'uomo. 'Sì. Pregami.'

Marco non vide calare la spada, non sentì dolore quando quella trafisse la carne. Ebbe solo la fugace visione del suo braccio destro sul pavimento della chiesa, poi tra le mani di Grisha, poi gettato nell'armadietto in cui il prete conversava le ostie consacrate.

L'attimo dopo Grisha era di nuovo di fianco a lui, le mani strette attorno ai suoi capelli.

'Non è fantastico?' rise. 'Ho perso, eppure ho vinto. Questo posto esploderà. Esploderà insieme al resto di Venezia. Moriremo.'

Una prima esplosione scosse le fondamenta della chiesa. Marco guardò Grisha, implorante.


'Fallo smettere. Ti prego. Ti prego.'

Grisha si alzò in piedi, allargando le braccia.


'Pregami. Pregami.'

Una macchia di sangue comparve sul suo petto. Marco la guardò, sorpreso.

Altre due macchie, altri due piccoli sbalzi in avanti. Grisha Jaeger cadde in ginocchio, rivelando a Marco il proprio assassino.

Jean. Bagnato, tremante, il volto sconvolto dall'ira, stava fermo in mezzo alla navata, balestra alla mano. Camminò in avanti a stento, incurante dalle scosse causate dalle esplosioni. Non degnò il cadavere di Grisha di un'occhiata, limitandosi a calciarlo via dalla propria strada.

'Sei vivo.' mormorarono quasi all'unisono. Jean sorrise, piegandosi verso Marco e sollevandolo a fatica.

'Ti porto fuori di qui.' affermò Jean, tranquillo. Marco scosse la testa.

'Sono troppo pesante. Non farai in tempo.'

Come a sottolineare le sue parole, le fiamme iniziarono a propagarsi lungo tutta la navata, veraci. Jean grugnì un dissenso, sistemando meglio Marco tra le sue braccia.

'Ti porto fuori di qui.' ripetè.

Marco non potè che rimanere a guardarlo, semicosciente, ancora dolorante per il braccio perduto.

'Sei un idiota, Jean.'

Lui sorrise. Una fiamma gli colpì il braccio, ma sembrò non farci caso.

'Ti amo.'

'Anche io.'

Erano a metà navata. Con la coda dell'occhio, Marco vide la struttura dell'altare crollare su se stessa.

'Dovresti uccidermi.' mormorò.

'Ormai ha usato l'arma. Non servirebbe più a nulla. Sei libero di vivere.'

'Ho ucciso Annie.'

Jean non rispose; si fermò, in preda a un attacco di tosse.

Fu in quel momento che una lingua di fuoco si propagò attraverso il pavimento, stringendosi attorno alla sua gamba. Jean cadde in ginocchio. Mancavano meno di due metri all'uscita.

'...stanco.' tossì. Guardò Marco negli occhi.

'No.' sussurrò, improvvisamente preoccupato dalla luce folle negli occhi ambrati di Jean. 'No.'

Con uno sforzo che rasentava il disumano, Jean alzò Marco e lo lanciò lontano da sé, verso l'uscita della chiesa. Marco rotolò via, colpendo più volte la testa contro il cemento duro della strada.

Non riusciva ad alzarsi. Non riusciva a muoversi. Non riusciva a fare niente.

Piegò la testa, rivolgendola verso l'interno della chiesa. Il fuoco riempiva il portone. Sembrava la bocca dell'inferno.

E in mezzo a quell'inferno c'era Jean, sdraiato a terra, impossibilitato ad alzarsi dalla gamba ustionata.

Il suo nome scivolò attraverso le labbra di Marco, debole. Come se avesse potuto sentirlo, Jean alzò la testa nella sua direzione.

C'erano parole non dette, tra loro. Pensieri felici. Il fantasma degli anni persi.

'Ti amo' sillabò Marco, nuovamente.

Jean sorrise.

L'attimo dopo la chiesa crollò su se stessa, seppellendolo sotto fiamme e macerie.


'JEAAAAAAAAAN!'




Ci vediamo all'epilogo.

- Joice

   
 
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